PAZZI, Arturo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PAZZI, Arturo

Giovanni Duranti

PAZZI, Arturo. – Figlio di Roberto, commerciante, e di Luigia Germiniasi, nacque a San Martino dall’Argine, nel Mantovano, il 19 settembre 1867.

Terminati gli studi primari presso la scuola tecnica comunale di Bozzolo, nel 1884 si iscrisse all’Istituto tecnico di Cremona. Nel 1886 conseguì l’abilitazione all’insegnamento del disegno, sostenendo gli esami presso la Regia Accademia di belle arti di Milano con menzioni onorevoli per la Scuola di Geometria e per la Prospettiva e Studi dal Vero. Nello stesso anno entrò a far parte dell’ufficio tecnico della Compagnia fondiaria italiana, nel quale rimase fino al 1893, avendo modo di sviluppare fin da giovane un solido magistero professionale.

Per completare la propria formazione artistica effettuò ripetuti viaggi lungo la penisola, ripercorrendo le rotte culturali seguite per secoli da intellettuali e amatori d’arte nei loro grand tour.

Secondo l’attitudine tipica della cultura artistica tardo-ottocentesca, nel corso di quelle autentiche escursioni conoscitive riempiva di schizzi e disegni interi taccuini, fissando il proprio sguardo sia sulle compagini urbane e i monumenti che le connotavano, sia sul tessuto minore dell’edilizia spontanea disseminata lungo il territorio italiano.

Furono proprio le indagini sul campo a favorire i rapporti di scambio intellettuale e i legami amicali con gli artisti gravitanti attorno all’ambiente del Pensionato artistico nazionale, come Vittorio Mascanzoni e Arturo Viligiardi. Con loro condivise l’interesse per il mondo medioevale che aveva derivato dall’ambiente culturale lombardo, dominato dalla figura di Camillo Boito; interesse che già nel 1887 aveva riversato nella progettazione della cappella Partini, costruita all’interno del Verano, il camposanto romano.

Al Pensionato artistico lui stesso concorse per due volte consecutive, senza mai ottenere la vittoria: nel 1891, con il progetto di un «Edificio da costruirsi a Roma per la residenza dei 12 pensionati italiani nelle tre arti maggiori», e nel 1894, con il progetto per un teatro comico.

Tra il 1899 e il 1900 lavorò presso la sezione tecnica della Banca d’Italia, occupandosi, tra l’altro, del restauro di villa Spada (attuale sede dell’ambasciata d’Irlanda), sul Gianicolo, e della ristrutturazione di villa Robilant, dove introdusse senza inibizioni gli etimi della nuova architettura mitteleuropea.

Agli inizi del XX secolo raggiunse la piena affermazione professionale portando a termine nella capitale un cospicuo quanto eterogeneo gruppo di villini (espressione della nuova architettura, moderna e laica, di stampo anglosassone). In questi interventi disseminati sugli antichi Prati di Castello, nei pressi della Mole Adriana e lungo le propaggini rivolte verso il Tevere, dimostrò un’assoluta disinvoltura linguistica, saldando il linguaggio classico dell’architettura – declinato di volta in volta secondo le diverse scuole regionali – con i nuovi etimi promossi dal movimento Arts and crafts.

Nel 1900, facendo riferimento ai prodromi del classicismo d’area umbro-toscana, realizzò per l’avvocato Felice GiacomoVitale, in fondo a via dei Gracchi, un villino «dall’aspetto semplice, ma signorile, con eleganti motivi architettonici di carattere senese, […] eseguito a cortina con laterizio di Arezzo e aggetti in travertino di Roma» (Casa dell’Immobiliare-villino Vitale, 1905, p. 12 ).

Attraverso il sapiente utilizzo del mattone conferì il necessario decorum al villino Ferrari (1902), una sobria cascina nei pressi del Tevere, coperta da un tetto a capanna e sovrastata da un’altana, dove era ancora percepibile – nei fitti dentellati, nei ricorsi litici, nelle acuminate greche – un gusto spiccatamente lombardo. Risolse l’impaginato prospettico del villino Libotte (1905), situato tra via Ezio e via degli Scipioni, in stile «rinascimento-emiliano», articolando «gli aggetti in travertino e il fondo in mattoni scoperti» (Cappella Partini. Case dell’Immobiliare, 1906, p. 13) in un disegno sapiente e calibrato.

Nel villino Roberti (1905), in via Crescenzio, stemperò la simmetria generale dell’organismo architettonico in un ponderato bilanciamento di volumi, accostando a un repertorio figurativo protorinascimentale (monofore e bifore incorniciate entro un ordine architettonico, trifore, fregi al di sotto delle cimase affrescati con motivi fitomorfi e rosoni) l’elemento cardine della domestic architecture britannica, il bow-window.

Fu impegnato, inoltre, nella costruzione di un consistente numero di immobili da rendimento. Biasimando la monotonia che, all’interno dei nuovi quartieri, connotava le ampie e ripetitive facciate dei blocchi edilizi, adottò l’escamotage di frazionare i lunghi prospetti dei caseggiati in più tranches dotate di un’autonoma definizione architettonica.

Articolò lo sviluppo parietale dell’immobile compreso tra via Tacito e via Boezio (1902) in due parti: una in stile classicheggiante, l’altra in stile «trecento-lombardesco» (Cappella Partini. Case dell’Immobiliare, 1906, p. 7). Per la casa Boggio (1905), situata tra lungotevere de’ Cenci e via Arenula, fece ricorso agli etimi classicisti della Roma umbertina e ai fasti del barocco romano.

Dal 1901 al 1905 lavorò per conto della Società generale immobiliare. Realizzò un gran numero di immobili all’interno dei nuovi quartieri attraverso i quali si andava definendo il volto della città umbertina e intervenne in più di un’occasione nel cuore stesso del Tridente interessato, a partire dalla proclamazione di Roma capitale, da una profonda opera di riconfigurazione architettonica.

Nel 1902 redasse il progetto per il palazzo delle Assicurazioni generali in piazza Venezia (il ganglio simbolico della Terza Roma), il cui volume, secondo la strategia urbana adottata da Giuseppe Sacconi, doveva bilanciare la mole della residenza di Paolo II (palazzo Venezia), contribuendo a creare l’inquadratura prospettica dell’Altare della Patria (Duranti, 2010, pp. 171-174).

Contemperando istanze di ambientamento, esigenze funzionali e ragioni politiche (dovute al dissidio tra il Regno d’Italia e il Vaticano), mise a punto un impaginato prospettico privo di virtuosismi decorativi, così da esaltare il valore della massa muraria (valore poi mortificato in fase di realizzazione dalla pletore di elementi scultorei apposti da Guido Cirilli, chiamato a completare l’opera).

Nel 1905 progettò l’immobile in via del Babuino 61, dove dispose con sofisticato equilibrio «motivi architettonici di stile Rinascimento, semplici, ma eleganti e varî, di bellissimo effetto» (Casa dell’Immobiliare-villino Vitale, 1905, p. 12).

In luogo dell’indifferenziata successione di finestre che definiva i fronti viari, mise a punto per la minuscola facciata una soluzione di grande unitarietà, dominata da un colossale arco d’entrata, recuperando inoltre l’uso del mattone faccia-a-vista adoperato da Edmund Street nella vicina chiesa di All Saints.

Nello stesso anno venne nominato architetto capo dell’Ufficio progetti della Società italiana per le imprese fondiarie, carica che mantenne fino a tutto il 1915. Durante questo decennio si occupò della costruzione di un consistente numero di edifici dislocati lungo due delle grandi arterie urbane lungo le quali si andava attuando l’edificazione della nuova Roma: via Pinciana (l’attuale via Po) e via del Tritone.

Lungo via Pinciana dispiegò una serie di facciate improntate da un afflato che stemperava il paludato decoro degli edifici umbertini con il garbo e la grazia di soluzioni ornamentali ispirate a motivi settecenteschi e parimenti suggestionate dalle opere dei Wagnerschuler.

Nel 1909, nel palazzo compreso tra via Crescenzio e via Ovidio, trasfigurò le eco mitteleuropee con le suggestioni del barocco romano, accostando alle modanature e al sobrio lavoro d’intaglio suggestioni liberty.

Nel 1910 partecipò al concorso bandito dal Comitato di evangelizzazione dei valdesi per la costruzione, in piazza Cavour, della chiesa e dell’annessa casa da reddito.

Recuperando il giovanile interesse per il mondo medievale, presentò una proposta progettuale ispirata «allo stile del 300, che più risponde all’idealità ed alla tradizione della Chiesa Evangelica, […], preferendo gli esempi più classici del rinascimento Gotico italiano, del quale si gloriano parecchie […] regioni dal Monviso all’Appennino Meridionale» (relazione dattiloscritta conservata presso l’Archivio della Chiesa Valdese a Torre Pellice).

Nel 1911, nell’ambito delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, prese parte all’Esposizione internazionale di architettura, esponendo il progetto per la cappella Partini e quello di una casa d’abitazione.

Nel momento che precedette la prima guerra mondiale, tra il 1910 e il 1915, portò a compimento attorno a largo del Tritone una serie di fabbricati che, insieme ai padiglioni del policlinico costruiti da Giulio Podesti, alla galleria Sciarra e al palazzo della Rinascente di Giulio De Angelis, costituirono la versione capitolina dell’architettura della belle époque. Facendo riferimento alle esperienze condotte in ambito mitteleuropeo e nordamericano, risolse lo snodo urbano del largo Tritone, mettendo a punto un impianto stellare verso il quale confluivano le convesse volumetrie dei nuovi palazzi del commercio, della finanza e del gran mondo internazionale.

Quella per il liberty fu una passione costante che seppe governare; comprendendone il senso più intimo e profondo, evitò l’importazione di volute e svolazzi in un contesto dove la modernità non aveva ancora soppiantato l’auctoritas della tradizione. Nei moderni palazzi di via del Tritone contemperò l’istanza d’ambientamento, determinata dalla prossimità con il tessuto consolidato della Roma barocca, con il ricorso alle più avanzate tecnologie edilizie che le nuove tipologie degli edifici richiedevano.

Nella sede della Banca d’Italia (oggi filiale della Banca di Vicenza) e nel palazzo dei magazzini Old England (oggi filiale della Deutsche Bank) adottò l’ordine gigante, messo a punto da Michelangelo e ripreso dal Bernini, per governare la grande dimensione del nuovo ganglio urbano. Nell’hotel Select (attuale sede de Il Messaggero) affiancò ai riferimenti raffaelleschi e michelangioleschi le eco della produzione artistica di Charles Garnier. Per i magazzini concepì un congegno strutturale composto da una muratura portante esterna e da colonne di ghisa uniformemente distribuite all’interno dell’edificio, così da ottenere un open space suscettibile di essere articolato tramite un sistema di tramezzature leggere.

Nei villini Andreuzzi (1928) e Fissone (1930) sottolineò il valore del peso e della gravità: esaltò la massa muraria attraverso lo scavo di profonde nicchie e una calibrata disposizione di specchiature, dove depositò i frammenti di un linguaggio classico ormai sottratto al fluire del tempo.

Rigettando i volumi puri, astratti, tendenzialmente immateriali e lontani dalle leggi della fisica prefigurati e proposti dalle avanguardie, verso la fine degli anni Venti si mosse nel solco del classicismo sintetizzato sottoponendo modanature, paraste e cornici a una sofisticata opera di decantazione figurativa, una scelta dettata in prima istanza dal sistema produttivo dell’edilizia romana, ancora saldamente ancorato al mondo artigianale.

Nel 1927, nell’anno dell’anniversario della fondazione del primo asilo d’infanzia per opera di Ferrante Aporti, redasse una proposta progettuale per l’asilo-monumento dedicato all’abate educatore sanmartinese, da edificarsi nel suo paese natale, «ispirata alle pure e semplici forme costruttive del primo rinascimento lombardo» (relazione dattiloscritta in Archivio Pazzi).

Ancora nel 1927 elaborò una proposta per il piano regolatore di Fregene, destinata, nelle intenzioni progettuali, ad assumere il ruolo di località balneare deputata agli otia di un’élite internazionale, sul modello del principato monegasco (singolare l’individuazione di un anello stradale esterno all’abitato deputato allo svolgimento delle gare automobilistiche).

Numerose le pubbliche onorificenze che raccolse nel corso di una vita gravida di successi e di riconoscimenti da parte dell’Ordine della Corona d’Italia: cavaliere (1906), uffiziale (1911), commendatore (1917) e grande uffiziale (1925). Nel 1928 fu tra i primi a iscriversi all’albo professionale degli ingegneri e architetti e, tra il 1932 e il 1935, fu membro della Giunta di quell’associazione.

Morì a Roma il 25 febbraio 1941.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio privato Pazzi; Casa dell’Immobiliare-villino Vitale, in Roma nuova. Rassegna d’opere edilizie moderne di Roma (suppl. mensile de L’Italia industriale artistica), s.1, 1905, n. 1, pp. 11-13; Cappella Partini. Case dell’Immobiliare. Palazzo di piazza Venezia palazzina Libotte, ibid., 1906, n. 1, pp. 3-10, 12 s.; Nuovi magazzini ‘Old England’ in Roma, in L’architettura italiana, XI (1916), pp. 82-88, tavv. 35 s.

P. Portoghesi, L’eclettismo a Roma 1870-1922, Roma s.d. (ma 1968), pp. 77-79, 92-94, 202; Id., Uno sguardo all’Europa, in Il Messaggero, 27 ottobre 1986, p. 3; A.M. Damigella, Roma e il Lazio, in Archivi del liberty, a cura di R. Bossaglia, Milano 1987, pp. 332, 385 s., 393; G. Duranti, L’autonomia della copia. Il Foro Italico di Roma Capitale (piazza Venezia e le sue quinte prospettiche), in La Copia. Connoisseurship, storia del gusto e della conservazione. Giornate di studio, Roma..., 2007, a cura di C. Mazzarelli, San Casciano in Val di Pesa 2010, pp. 167-185; G. Duranti, A. P. Architetto di Roma Capitale, Roma 2014.

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