DAZZI, Arturo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DAZZI, Arturo

Maria Antonietta Picone Petrusa

Figlio di Lorenzo e di Amalia Castelpoggi, nacque a Carrara il 13 genn. 1881.

Il padre, che era proprietario di cave di marmo e aveva un laboratorio per la lavorazione di questo materiale, morì quando il D. aveva solo sette anni, lasciandolo in condizioni economiche disagiate. La formazione dei D. avvenne a contatto con la lavorazione artigiana del marmo, materia cui rimase legato tutta la vita. Questo spiega la sua inclinazione "verso un'esaltazione dei valori formali e verso una definizione plastica allo stesso modo vigorosa e salda di essi" (Matthiae, 1979, p. 13). Era il marmo stesso a favorime l'attitudine a "far grande" e ad interpretare la scultura per via architettonica.

Entrò nel 1892 all'Accademia di belle arti di Carrara, dove rimase fino, al 1899. L'insegnamento accademico, nonostante i suoi limiti di impostazione, si fondava sullo studio della produzione rinascimentale del '400 e del '500, che infatti costituì per il D. il punto di riferimento fondamentale della sua formazione. Delle opere di questo periodo ricordiamo il bassorilievo con Visita di Andrea Pisano alle cave di Carrara (Carrara, Accademia di belle arti), che con la sua intonazione accademica gli valse nel 1901 il pensionato artistico provinciale di durata triennale. Nel 1902 vinse il primo premio ai due concorsi nazionali Albacini e Stanziani. Giovanissimo, si era orientato verso un verismo a sfondo sociale, teso non tanto alla trascrizione automatica dei reale, ma a mettere in risalto il lavoro umano, lo sforzo e le sofferenze che lo accompagnano.

Punti di riferimento erano le ricerche dello scultore belga C. Meunier, del francese E.-A. Bourdelle, dell'italiano V. Vela. Temi veristi ricorrono negli Eroi del mare, gesso (ora perduto, era nell'Accademia di Carrara; documentato solo in fotografia: v. Matthiae, 1979, ill. p. 119), che gli valse nell'anno 1905 la vincita del pensionato artistico nazionale di quattro anni a Roma, nei Lavoratoridelle Alpi Apuane (Carrara, Accad. di belle arti) del periodo carrarese e nel gruppo in bronzo (medaglia d'oro alla Esposizione di Monaco) I costruttori (Roma, Palazzo dei Cavalieri del lavoro, sala del presidente), realizzato nel 1906, durante il pensionato romano.

Quest'ultima opera, in cui il senso drammatico dello sforzo fisico degli operai è sottolineato da una trave disposta in diagonale nella composizione, rende bene la fondamentale differenza con il tono prevalentemente lirico delle analoghe ricerche scultoree francesi.

Con la vittoria del pensionato nazionale si trasferì a Roma, dove aveva sposato nel 1904 Lia Scopsi, dalla quale ebbe due figli: Romano (nato nel 1905) e Renzo (nato nel 1907).

Roma in quel periodo era un centro attivo, dove fervevano i lavori intorno a varie iniziative, fra cui il Vittoriano e il palazzo di giustizia. Il D. collaborò ad entrambi dopo aver vinto due concorsi. Per il palazzo di giustizia eseguì la statua del Card. G. B. De Luca (1909), che sembra "una scultura barocca rivissuta in chiave moderna" (Matthiae, 1979 p. 17) per il particolare approfondimento psicologico e per il modo libero di trattare i piani, il cui articolarsi modula l'incidenza luministica.

Collegamenti con la statuaria del passato erano già nella Pietà (1907), eseguita per la tomba dei conti di San Bonifacio a Padova, citazione moderna della PietàRondanini diMichelangelo. Nel 1908 il D. vinse il concorso di primo e di secondo grado, insieme con A. Zanelli per la decorazione del fregio dell'altare della Patria.

Già negli appunti dell'architetto G. Sacconi relativi al Vittoriano si era passati dalla celebrazione del primo re d'Italia a quella dell'Unità nazionale. Era nata così l'idea dell'altare della Patria, sormontato dalla statua del re. Il D. e lo Zanelli concepirono in modo opposto il fregio decorativo del gradone sottostante la statua di Vittorio Emanuele II: il primo sviluppò con effetto scenografico il tema dei "Precursori" e immaginò due cortei di italiani illustri, capeggiati da Giulio Cesare e da Garibaldi, convergenti verso un'edicola centrale con la dea Roma; Zanelli, invece, sviluppando il tema libero del concorso, realizzò un'allegoria del Lavoro e dell'Amor patrio e si attenne, sul piano delle soluzioni plastiche, ai grandi modelli fidiaci del Partenone. Vincitore definitivo risultò Zanelli, ma il D. ebbe in ogni caso l'occasione di "far grande", ponendosi giovanissimo alla ribalta dell'ambiente romano.

Dopo questo successo, che costituì il punto di arrivo della sua fase giovanile, ebbe infatti molte commissioni anche da privati, come per es., il busto in bronzo del Geologo D. Zaccagna (Carrara, coll. priv.) dalla forte resa drammatica, che espose a Napoli alla I Esposizione nazionale giovanile del 1912. Negli anni 1911 - 1915 il D. si accostò al gusto liberty, anche se non vi aderì mai completamente per il continuo riaffiorare della sua formazione classicistica. Tuttavia, nella Signorina De Bertaux (bronzo, 1914, Parigi, collezione De Bertaux), con cui egli vinse la medaglia d'oro alla mostra internazionale di San Francisco, adottò nel panneggio l'eleganza grafica dell'artnouveau e una freschezza di impostazione cui contribuì la vivace presenza del cagnolino ai piedi della figura. Il gusto liberty si coniugava invece a reminiscenze ellenistiche nel bassorilievo in gesso Giovinezza, presentato a Napoli alla II Esposizione nazionale giovanile nel 1913.

Fra il 1917 e il 1918 si intensificò la sua partecipazione ai concorsi per l'erezione di monumenti e si delineò così la sua aspirazione ad esprimere le esigenze dell'ufficialità e a mediare fra modernità e classicismo. Ma dalla formazione verista e accademica il D. passò, senza aderire al futurismo, a una "simpatia" per le tematiche metafisiche; amico di Carrà, ne seguì il percorso dalla metafisica al Novecento. Nel gruppo del Novecento che si raccolse alla Biennale di Venezia nel 1926, dove tenne una personale, il D. si trovò in posizione d'avanguardia. Si era infatti orientato precocemente verso un plasticismo arcaizzante e semplificato, che sottolineava forme compatte è salde. Aveva del tutto superato le tentazioni decorative e mosse che lo avevano sfioratonella produzione anteriore alla prima guerra mondiale ed era approdato ad uno stile compatto e sobrio, pronto ad abbracciare il significato nazionalistico che avrebbe assunto la ripresa classicistica nelle arti figurative degli anni Venti.

Opere esemplari di tale atteggiamento furono: nel 1917 il Cieco di Castrocaro (gesso, Forte dei Marmi, coll. G. Dazzi; marmo, Brescia, coll. Lombardi Rezzato) e subito dopo il Monumento a Enrico Toti (1919-22; Roma, Pincio) e il Monumento al ferroviere (1923; Roma, piazzale della Croce Rossa).

Nel 1922 partecipò con successo alla I Fiorentina primaverile (pp. 71-73 del catalogo) e cominciò la significativa collaborazione con l'architetto M. Piacentini; vinse infatti il concorso per un fregio da apporre in una lunetta del salone centrale della nuova sede della' Banca d'Italia, progettata da Piacentini, e più tardi realizzò pannelli decorativi per il cinema Corso dello stesso architetto. Fra il 1923 e il 1925 realizzò i monumenti ai caduti ad Ancona, Rossignano Marittimo, Codogno, Crema, e poi a Fabriano (1926), a SantaCroce sull'Amo (1927), nel 1928 il S. Sebastiano perla "casa madre" dei mutilati a Roma e una Vittoria sul monumento della Vittoria a Bolzano. Di tutti i monumenti. ufficiali il più significativo, resta l'Arco di trionfo di Genova, per cui vinse. il concorso insieme all'architetto Piacentini (1924-1932: cfr. G. Calero, in Rass. d'arte, n.s., III 1974 pp. 26-32). Qui il D. realizzò un lungo fregio su due registri, con una sequenza di episodi fra loro concatenati.

L'attitudine a conciliare la tradizione classica con la semplilicazione plastica moderna era nel D. anteriore al periodo fascista e tuttavia il fascismo ne strumentalizzò gli aspetti più vistosi, spingendo lo scultore sulla via di un vuoto e retorico gigantismo (adottato anche in opere conimissionategli da Stati esteri), come nel Marchese di Cimeros (bronzo, 1926) per Cuba e nel Colosso di marmo per la fontana di piazza della Vittoria a Brescia (1932, attualmente nei depositi del comune), o nel monumento all'Indipendenza di Caracas (1939). Accenti sinceri e non retorici si trovano nelle opere che il D. realizzò liberamente al di fuori delle commissioni ufficiali, come in Serafina (marmo, 1920: San Marcello Pistoiese, coll. R. Dazzi), nel Ritratto di Gri (marmo, 1923: Forte dei Marmi, coll. G. Dazzi), in Antonella con l'arancia (marmo, 1924: Roma, coll. Biancale), in Gegè Oppo (marmo, 1930: Roma, Con. C. Oppo).

Dal principio alla fine della sua carriera artistica il D. ha'espresso le sue qualità migliori nell'animalistica, dove poté mettere a frutto gli studi naturalistici maturati a contatto con le opere del Rinascimento toscano.

Dal cagnolino ritratto ai piedi della Signorina De Bertaux al Vitellino (manno, 1924: Roma, coll. Biancale), con cui vinse il premio nella Mostra internazionale dell'animale a Roma (1928), al Cavallino (1928), esposto alla Biennale di Venezia e poi acquistato dalla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, ai delicatissimi Agnellini dell'acquasantiera nella cappella Agnelli 1936) a Sestriere, al Toro pisano (pietra di Finale Ligure, 1950: San Marcello Pistoiese, coll. Rom. Dazzi), fino allo schematismo arcaizzante dei numerosi animali raffigurati nella stele Marconi a Roma (Eur) o ancora ai numerosi disegni dedicati a questo tema (collezioni degli eredi Dazzi).

Nel periodo fra le due guerre partecipò a tutte le principali esposizioni nazionali e internazionali, come la Mostra d'arte moderna italiana a Zurigo (1927). la Mostra internazionale d'arte di Madrid e quella di Barcellona (1928), le Biennali di Venezia (1926, 1928), la Quadriennale della scultura a Roma (1931), la Quadriennale romana del 1935, dove espose la sua meno nota produzione pittorica, la Esposizione d'arte moderna di Budapest (1936), l'Esposizione internazionale di Parigi (1937), dove vinse il "Grand Prix". A quella mondiale di New York (1937) il D. fu invitato a dare un'opera che celebrasse Gugliemo Marconi: lo scultore presentò La radio che porta il cuore del mondo, una statua di cinque metri e mezzo, acquistata successivamente da una organizzazione religiosa americana.

A parte i premi vinti nelle esposizioni e le vittorie nei concorsi pubblici, il D. ricevette anche altre benemerenze: fu nominato cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (1927); il ministro dell'Educazione nazionale lo nominò nel 1929, senza concorso, professore della cattedra di scultura presso la Reale Accademia di belle arti di Carrara; nel 1932 vinse il premio Fabricotti e fu nominato membro dell'Accademia di S. Luca; nel 1937 accademico d'Italia (cfr. L'Illustr. ital., 18 apr. 1937, p. 39); nel 1940 ebbe la medaglia d'oro per benemerenze artistiche "Città di Roma".

Nel 1937 gli fu commissionata ufficialmente da Mussolini una stele celebrativa di Marconi, che avrebbe dovuto essere ultimata per l'Esposizione universale di Roma del 1942.

A causa della guerra il D lavorò con numerose interruzioni alla stele a tronco di piramide, finché nel 1952, al culmine della crisi e dell'insoddisfazione, ruppe tutti i pannelli in gesso. Riottenuto l'incarico per l'interessamento della famiglia Marconi, ricominciò tutto da solo, senza nemmeno l'aiuto dello sbozzatore, e ultimò l'opera nel 1957. Disegnava le figure a carboncino sui massi di marmo, abbassando poi il piano di fondo in modo da far emergere la linea di contomo. La raffigurazione, divisa in "Canti" - della "Gioia", della "Danza", della "Vendemmia", della "Alluvione" e così via -, celebra la universalità del mezzo di comunicazione che affratella tutti i popoli dei mondo comprendendo pure gli animali. Acome una di quelle grandi enciclopedie medioevali interpretate però con spirito del tutto moderno ... Così ... si fa strada una certa notazione simbolica destinata a redimere definitivamente ogni inclinazione naturalistica frutto della educazione accademica" (Matthiae, 1979, p. 44). Il monumento, a tronco di piramide alto m 45 con una base di m 5 x 5, formato da novantadue pannelli, fu inaugurato al quartiere Eur di Roma nel 1959.

Finita la guerra, nel 1945 tornò nella sua grande villa di Forte dei Marmi, dove si era stabilito nel 1925; qui si trovò isolato e, anche a causa della salute, attraversò un periodo di profonda crisi che durò finché non tornò a scolpire, disegnare e dipingere. Nel 1958 realizzò un grande altorilievo di intonazione scenografica per la chiesa di S. Giovanni Bosco al Tuscolano, a Roma, su commissione dell'architetto G. Rapisardi. Nell'anno successivo partecipò al concorso per le porte bronzee di S. Pietro, senza riuscire vincitore.

Dai bozzetti in marmo (Forte dei Marmi, coll. Gri Dazzi) e dall'unico pannello realizzato nella grandezza definitiva (San Marcello Piatoiese, coll. Romano Dazzi) si coniprendono le ragioni della sconfitta: la ripetitività dello schema compositivo basato su una o più figure emergenti al centro ed altre in primo piano, con la negazione della sequenza secondo ritmi aperti a lui più congeniali; in secondo luogo l'uso di un rilievo schiacciato lontano dal plasticiamo cui era abituato. Questa stessa scelta nelle porte della cappella Agnelli a Sestriere si era rivelata felice per le diverse dimensioni dell'opera, mentre si adattava male alla solennità e alla grandezza delle composizioni vaticane.

Nel 1952 il D. partecipò alla Biennale veneziana esponendo un ritratto ligneo dello scrittore CurzioMalaparte (San Marcello Pistoiese, coll. R. Dazzi), che glielo aveva chiesto ma che non vi si riconobbe e troncò bruscamente la lunga amicizia.

Negli ultimi anni di vita il D. detté ancora qualche saggio della sua attività scultorea: il S. Francesco (1962) in marmo bianco delle Apuane per Vittoria Apuana e il a Dante (1966) per Milazzo.

Morì a Fin il 15 ott. 1966.

Ancora non studiata è l'attività pittorica del D.: esenipi sono conservati nelle collezioni degli eredi; il D. vi si dedicò in particolare durante la guerra quando (1940) si era stabilito ad Orbetello. I numerosissimi di sono in parte dis tra gli eredi e in parte sono stati raccolti e conservati da Ilaria Cenci (cfr. Giannattasio 1984).

Fonti e Bibl.: U. Ojetti, L'arte nell'Esposiz. di Milano..., Milano 1900, p. 58;A. Lancellorth La I mostra d'arte giovanile a Napoli, in Emporium, XXXV (1912), pp. 229 a.; G. Sogliazio, L'Esposizione nazionale giovanile di belle arti. La sala romana, in Don Marzio, 4-5 febbr. 1912; A. Lancellotti, La II Esposizione nazionale d'arte a Napoli, in Emporium, XXXVII (1913), pp. 310, 315, 317 a.; II Biennale romana. Mostra internazionale di belle arti,Roma 1923, pp. 31, 57; P. Torriani, La chiesa di S. Edoardo a Sestriere, in L'Illustrazione ital., 1° genn. 1937:. pp. 5 a.; A. Dazzi, La stele mwconiniana..., in Atti dell'Ace. naz. di S. Luca, III (1957-58), pp. 9-19; Id., Ilmonumento a G. Marconi con testo di C. Carrà, Roma 1959;C. Carrà, presentazione a Il monumento a G. Marconi, a cura di A. Pisani-M. Vanutelli, Carrara 1959; M. Portalupi, A. D., in Notiziario d'arte, 1963, pp. A a.; G. Mascherpa, A. D. (catal.), Gall. Corso Venezia, Milano 1965; Omaggio a A. D. (catal.), Gall. comunale d'arte moderna, Forte dei Marmi 1973;G. Matthiae, D., Roma 1979 (con scritti autobiogr.; bibl. a cura di M. C. Morlotti); E. Thovez, Della nudità eroica, in Scritti d'arte, Treviso 1980, pp. 250-254; S.Giannattazio, in A. D., catal., Gall. La Feluca, Roma 1984;U.Thieme-F. Becker, Künsterlexikon, VIII, pp. 493 a. (con bibl.); H. Vollmer, Künsterlexikon des XX Jahrh.s, I, pp. 50 a.; Encicl. Ital., XII, p. 430; Dizion. Bolaffi degli scultori ital. moderna Torino 1972, p. 110.

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