ARTUQIDI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ARTUQIDI

M. Bernardini

Dinastia turcomanna che governò, tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 15°, il Diyār Bakr, regione corrispondente al bacino superiore del Tigri; dalla metà del sec. 13° il loro dominio si ridusse praticamente alla sola città di Mardin. La storia della dinastia artuqide, fondata dall'eponimo Artuq ibn Ekseb, è caratterizzata sin dal sec. 12° da conflitti interni che determinarono presto una frammentazione territoriale dei suoi domini. Due rami fondamentali devono essere presi in considerazione: il primo, di maggior rilievo, ha le sue origini all'epoca di un figlio di Artuq, Īlghāzī, che stabilì la sua capitale a Mardin (1108); la città restò artuqide sino al 1409, anno in cui passò nelle mani dei Qara Qoyunlu. Il secondo stabilì invece la sua capitale a Hasankeyf (Ḥisn Kayfā) a partire dal tempo di un altro figlio di Artuq, Suqmān (1098), ed ebbe un'esistenza più breve. Hasankeyf fu infatti presa dagli Ayyubidi nel 1232.Le altre città del Diyār Bakr vissero vicende alterne: Diyarbakır (Amida) fu conquistata dagli A. nel sec. 12°, entrando dal 1183 nell'orbita degli A. di Hasankeyf per poi cedere agli Ayyubidi nel 1232. Silvan (Mayyāfāriqīn) entrò a far parte dei territori degli A. di Mardin nel 1121 e fu conquistata dagli Ayyubidi nel 1185. A Harput (Khartabirt, Kharberd) Balak formò un principato indipendente (1121-1124); la città passò poi agli A. di Hasankeyf e nel 1234 finì sotto l'egemonia selgiuqide. Altri centri minori conobbero il dominio artuqide, tra i più importanti vanno segnalati Kızıltepe (Koçhisar-Dunaysir), Harran e Birecik.Alcune tra le peculiarità più significative della storia artuqide richiedono ulteriori considerazioni: la prima è da ricercarsi nella presenza dell'elemento turcomanno che condizionò non poco la vita del Diyār Bakr, nell'ambito di un più vasto movimento di queste genti che si andava sviluppando in tutta l'Asia Minore, orientale e occidentale. Altro tratto peculiare è certamente l'atteggiamento religioso: pur allineandosi all'ortodossia sunnita dei selgiuqidi - gli A. furono tra l'altro promotori di importanti opere pubbliche e religiose -, essi assunsero però, facendo le dovute eccezioni, un atteggiamento tollerante nei confronti dei numerosi cristiani sottomessi. Fu durante il governo degli A. che il patriarcato ortodosso si stabilì a Deir Za῾ferān per rimanervi sino al sec. 15°; sempre in epoca artuqide, il cattolicosato armeno ebbe sede a Dvozk nella prov. di Harput.Significativo è anche il fatto che gli A. furono quasi sempre vassalli di altri regni più potenti, principalmente dei Selgiuqidi, degli Zangidi, degli Ayyubidi e persino dei Mongoli. Questi ultimi riuscirono a prendere Mardin solo a condizione che gli A. restassero loro vassalli, dopo ben otto mesi di assedio. Inoltre, il controllo su città di importanza vitale per il passaggio di vie commerciali determinanti favorì lo scambio culturale e quindi artistico con i territori circonvicini.Le più antiche moschee artuqidi furono erette a Mardin. Purtroppo è oggi arduo analizzare la struttura originale della moschea fondata da Amīn al-Dīn (Emineddin), fratello di Īlghāzī, e conclusa da quest'ultimo nell'Emineddin Külliyesi, a causa delle ricostruzioni e dei restauri che vi sono stati eseguiti in epoche successive (Altun, 1978b, pp. 14-20; Sinclair, 1985, p. 49, n. 1; 1987-1990, III, p. 208). Analoghe difficoltà presenta il Jāmi῾ al-Aṣfar, eretto all'epoca di Īlghāzī (1107-1122; Cahen, 1935, p. 237; Altun, 1978b, pp. 21-22; Sinclair, 1985, p. 49, n. 1; 1987-1990, III, p. 209).Un'altra moschea di questo primo periodo artuqide ha sollevato numerosi problemi di datazione. Si tratta dell'Ulu Cami di Harput. Ardıç (1939, pp. 41-44) e Gabriel (1940, p. 259) datarono l'edificio al 561 a.E./1165-1166, in base a un'iscrizione collocata sul lato nord del cortile. Tale data fu rimessa in discussione da una nuova lettura (Oral, 1967, p. 140) che anticipò la costruzione dell'edificio al 541 a.E./1146. Ciò sposterebbe la data di costruzione a un periodo di interregno successivo alla morte di Balak, in cui il dominio della città passò nelle mani dei Ciubuqidi, per tornare agli A. alla fine del secolo. L'iscrizione nel minbar ligneo della moschea, oggi nella Kurşunlu Cami, sembrerebbe avvalorare quest'ipotesi (Oral, 1962, pp. 35-57). L'Ulu Cami è comunque lontana dai successivi esempi monumentali artuqidi sia per la tecnica costruttiva sia per la pianta. Il suo modello ispiratore sembra essere stato piuttosto la vicina Ulu Cami selgiuqide di Malatya (Altun, 1973; 1978b, pp. 27-43).Il primo esempio monumentale di architettura artuqide è costituito dall'Ulu Cami di Silvan. La struttura originale ha subìto anche in questo caso diversi rifacimenti; tuttavia l'analisi che ne fece Bell - che la visitò nel 1911, prima del deturpante restauro del 1913 - permette di rilevare alcune indicazioni sull'edificio originario (Bell, 1914, pp. 159-160, tavv. 84, 93). La fondazione risale anteriormente al 1152, anno in cui crollò la cupola, la cui ricostruzione venne portata a termine - come attesta un'iscrizione posta alla sua base - nel 1157, sotto il regno di Najm al-Dīn Alpi (1154-1180; Sinclair, 1985, p. 50). Nella pianta di Bell compariva un corridoio, oggi scomparso, che era disposto attorno alla cupola e che la isolava così dal resto della moschea. Ai lati della cupola si aprivano tre navate voltate, parallele al muro della qibla. Nell'odierna struttura la sala di preghiera è invece preceduta da un altro ambiente voltato, che all'epoca del passaggio di Bell doveva essere a cielo aperto. La cupola è sorretta da quattro trombe alveolate che permettono il passaggio a una base ottagonale che, insieme a otto trombe secondarie inserite agli angoli, forma un poligono regolare di sedici lati su cui poggia la base circolare. All'epoca delle indagini di Bell, i pilastri che sorreggevano la cupola erano affiancati da colonne sulla cui funzione resta tuttora aperta la discussione. Diverse ipotesi sono state anche avanzate per ciò che concerne l'uso di alcune mensole della navata nord, corrispondenti ad altre, analoghe anche per la decorazione, disposte sulla facciata settentrionale che oggi hanno perduto la loro funzione strutturale (Gabriel, 1940, p. 222; Altun, 1978b, pp. 44-48; Sinclair, 1985, p. 50). Sembra comunque da scartare l'ipotesi secondo cui alla costruzione della cupola avrebbe fatto seguito solo in un secondo tempo - e cioè all'epoca dell'inserimento di un miḥrāb ayyubide nella sala di preghiera - quella del resto della moschea (Bell, 1914, p. 159). Escludendo le tecniche costruttive, la cupola dell'Ulu Cami di Silvan è stata posta in relazione con quella fatta costruire da Malikshāh nella Grande moschea di Isfahan (Gabriel, 1947, pp. 212-214; Altun, 1978b, p. 290). È chiaro che tale concezione, di cui i Selgiuqidi furono i primi artefici, trovò nella moschea artuqide una nuova applicazione: la cupola non è più considerata come elemento isolato, ma parte integrante dell'edificio, sin dal suo progetto originario. Questo avvenne anche per il fatto che nella distribuzione delle navate e nella disposizione della corte l'Ulu Cami perpetuò il modello siriano della Grande moschea di Damasco (Herzfeld, 1948, p. 133), al quale i costruttori artuqidi potevano ispirarsi direttamente osservando la Grande moschea selgiuqide di Diyarbakır, di poco precedente (1091-1092). Quest'edificio, che gli A. trasformarono poi praticamente in külliye introducendo le madrase Zinciriye e Mesudiye, doveva certamente offrire un modello avvincente per quei costruttori, anche in virtù del riuso programmatico di elementi classici che in esso era avvenuto (Gabriel, 1940, pp. 184-194; Akok, 1969; Rogers, 1971, pp. 350-351). Se d'altro canto l'Ulu Cami di Diyarbakır è priva di cupola sopra al miḥrāb, questa si ritrova in edifici immediatamente precedenti il periodo artuqide, come nella Grande moschea di Urfa (Edessa), in cui si presenta ancora in dimensioni ridotte, e in quella di Cizre (Jazīrat ibn ῾Umar), considerata a giusto titolo l'esempio precursore in ambito anatolico delle cupole monumentali sopra il miḥrāb (Preusser, 1911, pp. 25-26; Kuran, 1980, p. 83). L'Ulu Cami di Silvan è comunque il primo esempio artuqide di questo nuovo impianto architettonico; a esso dovettero certamente riferirsi le due grandi moschee monumentali artuqidi successive: quella di Mardin e quella di Kızıltepe.La Grande moschea di Mardin sorge probabilmente sul sito dell'antica chiesa dei Quaranta Martiri devastata dai musulmani nel 1172 (Sinclair, 1985, p. 59). Un'iscrizione sul minareto reca la data dell'edificio, 572 a.E./1176, sebbene esista anche un frammento epigrafico che potrebbe risalire al periodo selgiuqide (sec. 11°; Gabriel, 1940, p. 23). Tuttavia, l'esistenza dell'Ulu Cami in un'epoca precedente il periodo artuqide appare difficilmente concepibile (Altun, 1978b, p. 65). Altre iscrizioni successive indicano interventi posteriori (Gabriel, 1940, p. 23; Altun, 1978b, p. 64). Diversamente dall'Ulu Cami di Silvan, la cupola dell'Ulu Cami di Mardin occupa solamente lo spazio di due navate ed è dunque più piccola. Il decentramento della cupola rispetto all'asse N-S della sala di preghiera ha fatto supporre che essa fosse stata allungata verso oriente (Gabriel, 1940, p. 22); è anche probabile però che tale asimmetria fosse già presente nell'edificio originale (Sinclair, 1987-1990, III, p. 210). La cupola a costoloni potrebbe costituire uno dei primi esempi del genere, ma forse essa può risalire a un periodo più tardo. Analoghe costolonature si ritrovano alla sommità di quattro contrafforti che sostengono il muro della qibla (Sinclair, 1987-1990, III, p. 210). L'attuale minareto, artuqide solo per ciò che concerne la base quadrata, doveva fare il paio con un altro distrutto da Tamerlano; anche l'Ulu Cami di Mardin ha subìto comunque vari rimaneggiamenti.Ultimo caso in ordine cronologico di questo gruppo monumentale di moschee artuqidi e decisamente l'esempio più notevole è l'Ulu Cami di Kızıltepe (Dunaysir). Databile con certezza al 601 a.E./1204, durante il regno di Yawlaq Arslan, come riporta un'iscrizione sul miḥrāb (Gabriel, 1940, p. 51; Artuk, 1946, p. 167; Altun, 1978b, p. 84), l'edificio è molto simile nell'impianto alla Grande moschea di Mardin. La cupola parabolica è stata ricostruita in pietra, sebbene l'originale dovesse essere in mattoni (Gabriel, 1940, p. 50; Sinclair, 1987-1990, III, p. 226). Scavi recenti hanno permesso di rinvenire alcune stanze sui lati est e ovest della moschea, la quale ha anche subìto un consistente restauro negli ultimi anni (Altun, 1978b, pp. 79-99). I due minareti che fiancheggiavano la moschea a E e a O sono andati distrutti (Gabriel, 1937, p. 361; 1940, pp. 51-52; Altun, 1978b, p. 80; Sinclair, 1987-1990, III, p. 226). L'interno della moschea, non dissimile da quello dell'Ulu Cami di Mardin, ne differisce però per la particolare esilità e altezza dei pilastri, che gli conferiscono maggiore monumentalità. Ma l'aspetto più rilevante a Kızıltepe è certamente costituito dall'impianto ornamentale. Pur decorata con pochi elementi, la facciata nord dà l'impressione di esserlo riccamente. Come a Silvan, prima dei rifacimenti, due miḥrāb affiancano la porta centrale e ai lati di questi sono disposti due gruppi di tre porte. Attorno a ognuna di esse e dei miḥrāb corre un motivo che alterna delle linee spezzate a un nastro inanellato, in una fascia continua. Tale motivo sembra rielaborare quello presente nel miḥrāb della madrasa Khatuniyya a Mardin e la sua matrice è forse armena. Per altro, l'inquadramento dei portali in un nastro continuo sembra evocare un modello cristiano, quello del nastro siriaco visibile in molti edifici della regione. Singolari sono i nastri, anch'essi incisi nella pietra, che si elevano dal suolo sino alla sommità degli archi tra le prime porte laterali e i miḥrāb che affiancano il portale. Si tratta di due fregi ad anelli concatenati culminanti in una rosetta quadrilobata; Sinclair ha accostato questo motivo a uno analogo presente nelle porte del battistero di Nusaybin (Sinclair, 1985, p. 62). Il portale riprende invece nella forma del suo arco polilobato l'analogo di Silvan, sicuramente vicino nello stile a numerosi modelli siriani. Lo stesso si verifica nel miḥrāb all'interno della moschea.Due esempi, entrambi più tardi, di moschee sono presenti a Mardin: quella di ῾Abd al-Laṭīf (Latifiye Camii) e la Bāb al-Ṣūr (Melik Mahmud Cami). Nella Latifiye Camii si ripete in scala ridotta il modello monumentale precedente: un'iscrizione fornisce la data dell'edificio, il 772 a.E./1371; si tratta dell'opera di uno schiavo del sultano Dāwud, morto nel 1376 (Gabriel 1940, p. 26; Altun, 1978b, pp. 100-108; Sinclair, 1987-1990, III, p. 208). La moschea Bāb al-Ṣūr, la cui sala di preghiera è composta da un unico ambiente voltato e cupolato sopra al miḥrāb, ha invece una corte irregolare. Al lato della sala di preghiera un ambiente voltato racchiudeva probabilmente una türbe. L'accesso alla moschea era consentito da un portale laterale non dissimile stilisticamente da quello presente nella madrasa di Sulṭān ῾Īsā, sempre di quest'ultimo periodo. La moschea è stata datata tra il 1363 e il 1365 (Altun, 1978b, p. 110).La più antica madrasa artuqide potrebbe essere la Hatuniye (Khatuniyya, o madrasa di Sittī Raḍviyya), se la datazione al 1176-1185 (Altun, 1978b, p. 116; Sinclair, 1987-1990; III, p. 213), che anticipa notevolmente quella al 1239-1260 (Gabriel, 1940, p. 27), fosse corretta. L'edificio presenta il primo esempio di uno schema poi consueto nelle madrase successive: sull'asse nord della corte centrale sono disposti due īvān, uno maggiore e uno minore, a fianco dei quali si trovano gli ambienti secondari che occupano le facciate laterali della corte. Questo schema deriva dai modelli selgiuqidi, ma è ridotto a una scala minore con l'eliminazione dei due īvān laterali in quelle costruzioni più monumentali.Due īvān si ritrovano nella madrasa Zinciriye (Zinjīriyya), che fa parte della külliye dell'Ulu Cami a Diyarbakır. La costruzione risale al 1198 (Gabriel, 1940, p. 199; Altun, 1978b, pp. 123-124); un'iscrizione riporta tra l'altro il nome del bannā (costruttore) ῾Isā Abū Dirha[m], la cui firma appare per altro anche sulle mura della città e in una porta della cittadella (Sönmez, 1989, pp. 101-103). Costruito in blocchi di basalto, l'edificio, dall'aspetto esterno disadorno, si eleva su un unico piano. All'interno una sala di preghiera è stata disposta a O della corte quadrata porticata. Le stanze sono tutte voltate a sesto acuto, tranne una nell'angolo nordoccidentale in cui un ambiente cupolato doveva ospitare una türbe.L'altra madrasa del complesso, la Mesudiye (Mas῾udiyya), fu iniziata nel 1193-1194 da Suqmān III, com'è riportato da un'iscrizione sull'īvān principale, per essere conclusa nel 1222-1224 (iscrizione del riwāq meridionale; Gabriel, 1940, p. 197; Akok, 1969, pp. 138-139; Altun, 1978b, pp. 132-133; Sinclair, 1987-1990, III, pp. 176-177). L'edificio è opera di un architetto di Aleppo, l'ustādh (capomastro) Ja῾far ibn Maḥmūd Tarsīm, il cui nome ricompare in altre iscrizioni su alcune torri delle mura e sul ponte sul Devegeçidi (Sönmez, 1989, pp. 132-134). Anch'essa in basalto, la madrasa si eleva su due piani, riprendendo lo schema a īvān in chiave monumentale. Non vi sono alloggi, ma solo stanze per l'insegnamento e ciò in contrasto probabilmente con le intenzioni originali dei costruttori. Comunque l'inadeguatezza del miḥrāb sul portico lascia supporre che esso fosse stato concepito per un'ulteriore costruzione. Le decorazioni della corte porticata, per es. gli estradossi oltrepassati degli archi, sembrano potersi connettere con quelle dell'Ulu Cami di Kızıltepe, oltre che a modelli zangidi (Altun, 1978b, p. 286; Sinclair, 1987-1990, III, p. 178).Numerose sono le madrase fondate dagli A. a Mardin; tra le prime va segnalata, oltre alla Hatuniye, la Marufiye (Hājjī Ma῾rūf, o Bayt al-Artuqī), attribuita al primo quarto del sec. 13° (Altun, 1978b, p. 144); essa è oggi ridotta a pochi elementi, principalmente un ambiente cupolato affiancato ai lati da tre īvān voltati. Allo stesso periodo risale anche la şahidiye (Shahīdiyya), sempre a Mardin, di cui Kuran ha fornito una ricostruzione ipotetica (1969, p. 35); l'edificio è oggi ridotto esclusivamente alla moschea. La pianta appare di difficile lettura a causa del restauro estensivo eseguito nel 1787-1788 (Altun, 1978b, pp. 152-160; Sinclair, 1987-1990, III, pp. 211-212). Kuran (1969, p. 32) ha anche ricostruito la pianta di un'altra madrasa, quella di Tāj al-Dīn Mas῾ūd a Harzem, che doveva essere non dissimile nello schema dagli esempi già visti. Dell'edificio resta oggi solo la moschea annessa al lato sud (Altun, 1978b, pp. 161-166).Madrase più tarde appaiono a Mardin tra i secc. 13° e 14°: quella di Malik Manṣūr e la Altunbuğa (oggi Altunbuğa Çeşmesi). Nel primo caso è rimasta solo la sala di preghiera, nel secondo un īvān voltato (Altun, 1978b, pp. 167-169; Sinclair, 1987-1990, III, p. 212).Di maggiore interesse sono invece le madrase dell'ultimo periodo artuqide a Mardin. Si tratta della Sulṭān ῾Isā Medresesi e della Kasim Paşa Medresesi. In questi esempi tardi vengono meno i tratti peculiari dell'architettura artuqide del sec. 12° e del 13°; come nella moschea Bāb al-Ṣūr, le influenze architettoniche sembrano risentire degli stilemi monumentali mamelucchi, in particolare negli alti portali e nella loro decorazione. La madrasa di Ṣultān ῾Isā eretta nel 787 a.E./1385 risolve numerosi problemi dovuti al non facile assetto del terreno. Due cupole a costoloni sormontano la moschea e il mausoleo contenuti all'interno del complesso (Gabriel, 1940, pp. 28-33; Altun, 1978b, pp. 170-183; Sinclair, 1987-1990, III, pp. 203-205). Analoga nella decorazione, la madrasa di Kasim Paşa si differenzia nell'impianto architettonico da quella di Ṣultān ῾Isā; la data del suo completamento è di due anni precedente la fine del governo artuqide su Mardin (Gabriel, 1940, pp. 33-39; Sinclair, 1987-1990, III, p. 205).Numerose sono le costruzioni civili artuqidi. I resti del più antico palazzo sono quelli di un grande edificio ad Hasankeyf, pressoché quadrato, da cui aggetta un ambiente annesso alla parete ovest. L'assenza di iscrizioni non permette una datazione precisa, anche se si è supposto che il palazzo possa risalire ai primi A. di Hasankeyf, del sec. 12° (Gabriel, 1940, p. 63; Altun, 1978b, p. 211). Le mura odierne corrispondono al primo piano. Sulla facciata principale sono disposti contrafforti semicircolari e di fronte all'entrata si erge una torre quadrata, forse una torre di guardia, accessibile solo dal primo piano dell'edificio, dato che è riempita alla base e non presenta traccia di scale. Tra il 1961 e il 1962 Aslanapa ha scavato un altro palazzo situato all'interno della cittadella di Diyarbakır (Aslanapa, 1961; 1962; 1965; 1971; Altun, 1978b, pp. 216-224). Sprovvisto di una datazione documentata, il palazzo può essere considerato contemporaneo della cittadella, opera di Malik Ṣāliḥ Naṣr al-Dīn Mahmūd, che governò a Diyarbakır tra il 1200 e il 1222. Gli scavi hanno portato alla luce una fontana circondata da uno spazio ottagonale, attorno al quale si aprono quattro īvān. Di un bagno posto a S della fontana è rimasto solo l'ipocausto. Molto interessanti sono le soluzioni decorative utilizzate: la fontana è ornata da un mosaico di pietre colorate, vetro e ceramica. Anche in questo caso tali tecniche ricordano analoghi procedimenti utilizzati in epoca zangide a Damasco.Un terzo palazzo, il Firdevs Köşkü a Mardin, è oggi ridotto a tre īvān allineati di cui due sono chiusi. La datazione di questo edificio al sec. 14° è ipotetica (Altun, 1978b, p. 255; Sinclair, 1987-1990, III, p. 213).Gli A. furono anche grandi costruttori e restauratori di fortificazioni. L'opera più imponente in questo senso consiste sicuramente nel rifacimento e nel restauro di un tratto delle mura di Diyarbakır. L'intervento artuqide sulle mura prosegue comunque l'attività pressoché ininterrotta di restauro delle mura romane e bizantine già operata da Abbasidi, Inalidi, Marwanidi e Selgiuqidi in diverse fasi precedenti (Gabriel, 1940, pp. 96-182; Sinclair, 1987-1990, III, pp. 166-176). Ricostruita nel 1183, la Porta di Urfa è fiancheggiata da due torri semicircolari fortemente aggettanti che si elevano su due piani e sono sormontate da una piattaforma merlata. Sulla torre nord è scolpito un uccello da preda con le ali spiegate che sormonta la testa di un toro nella quale passa un anello. A destra e a sinistra dell'iscrizione sottostante sono rappresentati due dragoni affrontati (Preusser, 1911; Öney, 1969, p. 207; Curatola, 1979). Seguendo il percorso delle mura verso S, si giunge alla torre Ulu Beden. Oggetto di demolizioni successive, questa fu, come la torre Yedi Kardeş, ricostruita a fundamentis in epoca artuqide su un edificio precedente. Disposta su tre piani, la costruzione è sormontata da un camminamento merlato; essa fu eretta dal bannā Ibrāhīm ibn Ja῾far, come riporta l'iscrizione che si sviluppa lungo tutta la superficie cilindrica esterna. L'iscrizione riporta anche il nome del sovrano Malik al-Ṣāliḥ Maḥmūd e la data della costruzione: 605 a.E./1208-1209 (Gabriel, 1940, pp. 115-121; Altun, 1978b, pp. 228-235; Sinclair, 1987-1990, III, p. 172). Ai lati del rettangolo centrale, in cui la fascia epigrafica si allarga in tre registri paralleli, sono rappresentati due altorilievi con leoni dalla testa umana di difficile interpretazione. Al centro, in alto, è rappresentata l'aquila bicipite araldica artuqide; tale emblema è presente in altre opere, tra le quali una mattonella ceramica nera sotto invetriatura turchese, rinvenuta nel palazzo artuqide di Diyarbakır, datata anch'essa allo stesso periodo (Aslanapa, 1965, pp. 23-24).Al sovrano Malik al-Ṣāliḥ Maḥmūd risale anche la ricostruzione della torre Yedi Kardeş, più a S, in direzione della porta di Mardin. Come nell'Ulu Beden l'iscrizione sulla superficie esterna riporta il nome dell'architetto, il bannā Yaḥiyā ibn Ibrāhīm al-Sarafī, che avrebbe eretto l'edificio tra il 1200 e il 1222 (Sönmez, 1989, pp. 108-115). Analoga per forma alla Ulu Beden, la torre Yedi Kardeş è affine alla precedente anche per l'apparato ornamentale (Gabriel, 1940, pp. 121-125; Altun, 1978b, pp. 235-240; Sinclair, 1987-1990, III, p. 172).Agli A. risalgono anche interventi nella cittadella di Mardin, poi inglobati nelle costruzioni degli Aq Qoyunlu e degli Ottomani; forse un intervento nelle mura di Eğil; la fortificazione di Hasankeyf, probabilmente contemporanea al palazzo; parti delle mura di Silvan e infine la cittadella di Harput, sebbene essa oggi presenti numerose integrazioni dhulqaridi e degli Aq Qoyunlu.Gli A. costruirono diversi ponti, generalmente in pietra, che recano spesso iscrizioni con i nomi dei costruttori. Tra i più importanti vanno segnalati quello già citato sul Devegeçidi (Çulpan, 1970; 1975, pp. 51-52; Altun, 1978a, pp. 1-2; 1978b, pp. 208-210; Sönmez, 1989, pp. 123-124). Sebbene oggi in rovina, anche il ponte sul Tigri a ridosso del palazzo di Hasankeyf potrebbe essere artuqide; tale datazione però è basata esclusivamente su una fonte letteraria (Gabriel, 1940, pp. 70-79; Sinclair, 1987-1990, III, p. 238). Devono essere infine segnalati due ponti, uno sul Batman Su e l'altro sull'Anbarçay, entrambi opera dello stesso architetto; come risulta dalle loro epigrafi, si tratta di un ghulām (apprendista) dell'ustādh Ja῾far ibn Mahmūd al-Ḥalabī (Gabriel, 1940, pp. 232-236; Altun, 1978b, pp. 200-205; Sönmez, 1989, pp. 141-146). Agli A. risalgono anche cinque hammām (Altun, 1978, pp. 187-194), quattro dei quali a Mardin e uno a Çatalkaya nelle vicinanze di Harput.Al di là della cospicua committenza architettonica, sotto gli A. si sviluppò una raffinata arte palatina che, se da una parte rifletté scuole contemporanee di maggior rilievo, dall'altra fornì un contributo originale all'arte islamica medievale.Notevoli sono gli interessi scientifici che caratterizzarono l'operato di numerosi sultani artuqidi. Il fatto che al-Jāzarī abbia operato per l'emiro artuqide Naṣr al-Dīn Mahmūd costituisce certamente l'aspetto più rilevante in questo senso: fu sotto questo emiro che egli produsse il suo Kitāb fī ma῾rifat al-ḥiyal al-handasiyya (Libro della conoscenza delle apparecchiature meccaniche ingegnose), concepito originariamente per allietare la corte. A questo libro, di cui esistono diverse copie coeve allo stesso al-Jazarī, si dedicarono copisti e miniatori. Ward (1985) ha dimostrato l'esistenza di una scuola di miniatori a Diyarbakır agli inizi del sec. 13°, a cui risalgono alcune copie, tra le quali quella datata 1206, conservata a Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., A. III 3472), e una coeva nella stessa biblioteca (H. 414); a queste doveva risalire il modello del più tardo Graves 27 (Oxford, Bodl. Lib.); sempre al sec. 13° risale un altro manoscritto del Topkapı (A. III 3461; Atil, 1975, p. 149). Questi manoscritti risentono dell'influenza dello stile pittorico selgiuqide, pur caratterizzandosi originariamente per la tavolozza cromatica e la resa prospettica, oltre che per alcune caratteristiche iconografiche come l'assenza di una linea di appoggio delle figure, che appaiono come sospese a mezz'aria. Alla stessa scuola è probabilmente da riferire un manoscritto delle Maqāmāt (Assise) di al-Ḥarīrī conservato a Parigi (BN, arab. 3929), datato tra il sec. 12° e il 13° (Ward, 1985, pp. 76-77). I manoscritti dell'opera di al-Jazarī costituiscono anche un'importante fonte documentaria circa altri oggetti di valore artistico prodotti nel periodo. È il caso di una tipologia di battiporta con draghi affrontati tra i quali vi è una protome leonina, presente anche in diversi manoscritti, che si ritrova in numerosi esemplari esistenti, come quello del sec. 13° della Grande moschea di Cizre (Preusser, 1911, pp. 25-26, tav. 36; Öney, 1969, p. 201; Tuncer, 1981, p. 95, figg. 45-50) e l'analogo oggi conservato a Istanbul (Türk ve Islam Eserleri Müz., inv. nr. 3479; Önder, 1966; Öney, 1969, tav. 17; Anadolu Medeniyetleri, 1983, nr. D 96, p. 60). Lo stesso vale per la tipologia di una cassetta con serratura a combinazione, di cui esistono diversi esemplari in bronzo di epoca artuqide (Maddison, 1985, pp. 141-157).Presso gli A. dovettero essere eseguite anche numerose copie del De materia medica di Dioscoride, tradotto dall'esemplare siriaco - a sua volta derivato dal greco -, opera di Rabban Ḥunayn-da Mihrān ibn Manṣūr, che lavorò alla corte di Najm al-Dīn Alpi (1152-1176); di questo testo resta un codice oggi a Mashhad (Kitābkhāna-yi Āstāna-yi Quds-i Rīzawī, Day, 1950; Grube, 1959, pp. 171-172).Oltre alle già citate cassette in bronzo e ai battiporta, la lavorazione del metallo, particolarmente praticata sotto gli A., produsse altri oggetti degni di nota. Di notevole importanza è la bacinella di rame eseguita in smalto cloisonné per il sovrano Rukn al-Dawla Dāwud, oggi a Innsbruck (Tiroler Landesmus. Ferdinandeum). L'oggetto riflette nell'apparato decorativo e nell'iconografia, oltre che nella tecnica, un'influenza bizantina (Scerrato, 1966, p. 91). Agli A. è da riferire un grande tamburo in bronzo degli inizi del sec. 13° (Istanbul, Türk ve Islam Eserleri Müz. inv. nr. 2832), sul quale corre un'iscrizione in cufico animato, in cui le aste delle lettere culminano con teste di uomini e di draghi (Erginsöy, 1980, p. 211; Anadolu Medeniyetleri, 1983, p. 68, nr. D 125). Numerosi mortai artuqidi, prodotti tra il sec. 12° e il 13°, formano un gruppo omogeneo: tra questi, tre esemplari conservati a Istanbul (Türk ve Islam Eserleri Müz., inv. nrr. 1509, 1510 e 1512) sono decorati sulle otto facce con le caratteristiche gocce della metallistica persiana e con protomi animali, taurine o leonine (Erginsöy, 1978, tavv. 199-201; Anadolu Medeniyetleri, 1983, pp. 64-65, nrr. D 108, D 110). Agli A. risale una cintura con le relative finiture oggi nel British Mus. (inv. nr. 1959, 7-22 1-5), sulla fibbia della quale appare la figura dell'aquila bicipite artuqide (Erginsöy, 1978, p. 155; 1980, tav. 147; Anadolu Medeniyetleri, 1983, p. 70, nr. D 127). Infine dev'essere ricordata una sfinge in bronzo rinvenuta a Kızıltepe, oggi a Diyarbakır (Arkeoloji ve Etnografi Müz.; Aslanapa, 1971, p. 287).

Bibl.:

Fonti. - Ibn al-Razzāz al-Jazarī, The Book of Knowledge of Ingenius Mechanical Devices (Kītāb fī ma῾rifat al-handasiya), a cura di D.R. Hill, Dordrecht-Boston 1974.

Letteratura critica. - M. Van Bechem, J. Strzygowski, Amida, Heidelberg 1910; C. Preusser, Nordmesopotamische Baudenkmäler altchristlischer und islamischer Zeit, Leipzig 1911; F. Sarre, E. Herzfeld, Archäologisches Reise in Euphrat- und Tigris-Gebiet, 4 voll., Berlin 1911-1920; G.M.L. Bell, The Palace and mosque at Ukhaidir, Oxford 1914; C. Cahen, Le Diyār Bakr au temps des premiers Urtuḳides, Journal Asiatique 227, 1935, pp. 219-276; B. Konyar, Diyarbakır Tarihi [Storia di Diyarbakır], 3 voll., Istanbul 1936; A. Gabriel, Dunaysir, Ars Islamica 4, 1937, pp. 352-368; N. Ardıç, Harput Artukoğullarına ait kitabeler [Iscrizioni inerenti gli A. di Harput], Türkiyat Mecmuası 6, 1939, pp. 41-43; A. Gabriel, Voyages archéologiques dans la Turquie Orientale, 2 voll., Paris 1940; H. Herzfeld, Damascus: Studies in Architecture, Ars Islamica 9, 1942, pp. 1-53; 10, 1943, pp. 13-70; 11, 1946, pp. 1-71; 13-14, 1948, pp. 118-138; I. 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