ARTIGIANATO

Enciclopedia Italiana (1929)

ARTIGIANATO

M. A. L.
G. Lu.

Nel mondo antico. - In Grecia, dopo la fase primitiva nella quale tutto il lavoro si raccoglieva attorno al focolare domestico, nell'epoca classica la specializzazione nella produzione aveva già portato alla creazione di moltissime categorie di artigiani specializzati nei vari mestieri; non solo, ma col graduale raffinarsi delle esigenze si crearono fra gli artigiani suddivisioni fra le varie specialità d'una stessa produzione: così, nell'industria artigiana greca più caratteristica, quella delle ceramiche, si distinsero coloro che tornivano e preparavano il vaso grezzo nelle sue varie forme e coloro che lo decoravano, che sovente erano poi veri e proprî artisti. Le opere fabrili, le costruzioni d'armi e la ceramica fiorivano moltissimo ad Atene e a Corinto; a Mileto e a Samo le industrie artigiane delle stoffe e dei tappeti; i mobili di Mileto erano assai pregiati; mentre la stessa Atene, per le sue grandi opere pubbliche, aveva potuto dare grande impulso ai battiloro, ai cesellatori, ai tornitori e scultori d'avorio. La specializzazione dell'artigianato, oltre che essere una necessità, veniva lodata e raccomandata anche dai teorici, come Platone e Senofonte.

Nel mondo ellenistico gli artigiani liberi erano numerosi e raggruppati in grandi corporazioni di cui si hanno notevoli esempî in Egitto e, sull'esempio antichissimo egiziano, le professioni si trasmettevano di padre in figlio. Nell'Egitto tolemaico si aveva, inoltre, una tassa d'esercizio sull'artigianato (χειρωνάξιον), che doveva essere pagata per poter esercitare il mestiere, ed a cui non sfuggivano neppure i mestieri più bassi, quelli che nell'artigianato non meritano di essere compresi. Le condizioni degli artigiani liberi della Grecia propria nell'epoca ellenistica sono assai diverse da quelle in cui essi si trovavano nell'età classica. Nel periodo in cui Atene e la sua democrazia trionfavano, la sua produzione industriale era oggetto di attivissimi scambî e di esportazione, che arricchivano sempre più i liberi artigiani. Nell'età ellenistica invece il progresso generale della civiltà anche nei paesi che dalla condizione di centri d'acquisto si elevavano a quella di centri di produzione aveva chiuso molti sbocchi alle antiche industrie artigiane; la pressione fiscale, la crisi economica, la grandissima specializzazione rendevano difficile la condizione degli operai greci; mentre in molti altri centri ellenistici la costruzione di grandi opere pubbliche e la ricchezza generalmente diffusa permettevano una relativamente maggiore prosperità agli artigiani.

A Cartagine ebbero soprattutto importanza le industrie metallurgiche e la lavorazione dell'oro, argento, gioielli e pietre fini, avorio e vetro; la ceramica, assai meno progredita e artistica che quella greca, è tuttavia notevole; ma nessuna di queste forme di produzione è dotata di originalità o di vero senso d'arte. All'infuori delle maggiori industrie, che venivano esercitate direttamente dallo stato, sembra che molta parte di questa produzione industriale fosse esercitata da artigiani liberi, i quali, come quelli greci, si facevano aiutare tutt'al più da qualche altro operaio.

Presso gli Etruschi, lo sviluppo da essi dato all'industria delle terrecotte e dell'oreficeria prova un notevole sviluppo di artigianato. Nel sec. VII a C. soprattutto l'industria dell'oreficeria raggiunse un livello notevolmente elevato, come ci provano i ritrovamenti di Vetulonia, Cerveteri, Palestrina; però non si sa nulla sulle condizioni private degli artigiani.

A Roma e in Italia, le industrie, anche nel periodo immediatamente successivo alle grandi conquiste repubblicane, producevano quasi essenzialmente senza esportare, essendo assorbite totalmente dal mercato locale. Oltre alle arti fabrili, che rimasero molto sviluppate in Etruria e più tardi in Campania, Capua si distingueva per produzioni artigiane fini, profumi e ceramiche; a Roma le botteghe-officine degli orefici avevano un importante sviluppo, facendo centro nella Via Sacra; ma lo sviluppo dell'artigianato libero fu assai presto ostacolato dall'introduzione della mano d'opera servile, la quale però venne utilizzata, in piccola misura, dagli artigiani stessi. Già nell'età repubblicana esistevano importanti corporazioni: i fullones (fabbricanti di stoffe), gli orefici, i fabbri, i fictores (ceramisti): caratteristici, fra gli artigiani, i fabbri ambulanti che percorrevano la campagna dando opera per le necessità dell'agricoltura. Le botteghe ancora visibili a Pompei o a Ostia possono facilmente illustrare le condizioni, anche nell'età imperiale, del lavoro artigiano che era nello stesso tempo di produzione e di diretto commercio. Nel periodo imperiale prese un fortissimo sviluppo l'organizzazione corporativa, che ci dà anche un'idea dell'estrema specializzazione di questa produzione. Queste associazioni davano maggior coesione alle masse dei lavoratori, ne tutelavano gli interessi, garantivano un certo mutuo soccorso ed assicuravano alla comunità le pratiche del culto divino e funerario. Anche quando cominciò a svilupparsi, nel periodo imperiale, una grande industria, l'artigianato sopravvisse rigoglioso nelle campagne e nelle provincie e costituì sempre una forza economica per la società imperiale. Durante la decadenza dell'Impero le corporazioni divennero gradatamente organi ufficiali dello stato; il lavoro artigiano divenne una pubblica prestazione, con la quale gli imperatori garantivano le condizioni essenziali di vita alle città, e sotto Diocleziano si stabilirono poi anche tariffe statali di prezzi fissi, i quali non fecero che peggiorare la crisi economica.

Bibl.: P. Guiraud, La main d'oeuvre industrielle dans l'ancienne Grèce, Parigi 1900; H. Francotte, L'industrie dans la Grèce ancienne, Bruxelles 1900-1901; G. Glotz, Le travail dans la Grèce ancienne, Parigi 1920; J. Beloch, Die Gross-industrie, in Zeitschrift für Socialwiss., II (1899), p. 19 segg.; J. P. Waltzing, Étude historique sur les corporations professionnelles chez les Romains, I-IV, Lovanio 1895-1900; Rostovtzeff, A large estate in Egypt in the third century B. C., 1917; T. Frank, An Economic History of Rom., 2ª ed., Baltimora 1927 (trad. it. della 1ª ed., in Collana Storica Vallecchi); Rostovtzeff, The social and economic history of the Roman Empire, Oxford 1926.

Nel Medioevo e nell'età moderna. - Nell'alto Medioevo l'artigianato, ossia la condizione del lavoratore indipendente che esercita, da solo o con l'aiuto di un piccolissimo numero di assistenti, nella propria bottega e con istrumenti proprî, un minuscolo opificio industriale, sopravvive nei suoi due aspetti: sia che designi quei lavoratori che acquistano a proprio rischio la materia prima e vendono il prodotto finito, sia che indichi quelli che ricevono dal cliente la materia prima e gliela restituiscono lavorata dietro un compenso prestabilito. Mentre predomina nelle campagne il lavoro domestico e si organizzano al centro delle grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche piccoli laboratorî industriali, esercitati da schiavi specializzati, distinti per mestieri, si hanno scarse, ma sicure notizie del libero artigianato, non solo nelle città del mondo arabo e bizantino, ma anche in quelle tanto più misere dell'Occidente; benché limitato forse a un piccolo numero di mestieri di più immediata necessità. Ma il suo trionfo non si afferma che dopo il Mille ed è strettamente legato con lo sviluppo del mercato cittadino. Nella piazza del mercato e nelle viuzze circostanti si vanno presto addensando, distribuite per lo più secondo i varî mestieri, le botteghe degli artigiani, che in quei ritrovi periodici della popolazione rurale hanno l'occasione di scambiare i loro manufatti coi prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento. La divisione del lavoro fra città e campagna e la ristrettezza del mercato, che non oltrepassa normalmente i confini del territorio soggetto alla città, sono i due elementi principali che, accanto alla modesta densità e al lento movimento della popolazione, determinano e spiegano il deciso predominio dell'artigianato, di una forma cioè di organizzazione indipendente e individuale del lavoro che richiede un sicuro equilibrio fra domanda e offerta, raggiungibile soltanto in un mercato chiuso e ristretto, dove ogni artigiano possa contare sopra una clientela fedele e conoscerne preventivamente i bisogni.

L'equilibrio, tanto necessario alla vita dell'artigiano, che per assicurarsene la continuità deve sottomettersi dappertutto ai vincoli della corporazione, si mantiene facilmente in quelle città che per la loro lontananza dalle vie del traffico internazionale vivono, col loro breve territorio, in un isolamento economico quasi completo e si sforzano di sviluppare entro le proprie mura tutte le industrie necessarie alla popolazione urbana e rurale.

Ma una simile situazione, che potrebbe chiamarsi dell'economia cittadina pura e dell'artigianato nella sua forma più genuina, e che assai difficilmente si presenta in modo così completo nella realtà, è ben presto superata, almeno in quelle regioni dove è possibile una più intensa vita degli scambî. La divisione del lavoro non si manifesta più soltanto fra città e campagna, ma anche fra città e città; il fenomeno si presenta con la massima intensità nelle Fiandre, nel paese classico dell'industria laniera, dove ogni città raggiunge una fama mondiale per alcune determinate varietà di tessuti che vi si producono, e si ripete, sebbene in proporzioni minori, in alcune città della valle padana, della Toscana, della Francia del nord-est, delle contee sud-orientali dell'Inghilterra e, più tardi, nella Germania meridionale, estendendosi dall'industria della lana a quella del lino e della seta, alla lavorazione dei metall,i del vetro e così via. Perciò in queste città, accanto alle piccole industrie che provvedono ai bisogni immediati della popolazione locale e che conservano, anche sostanzialmente, i caratteri dell'artigianato, sorgono le industrie specializzate, costrette dalla loro stessa specializzazione a destinare i loro prodotti a un mercato molto più vasto, e che possono bensì conservare le caratteristiche formali dell'artigianato, ma devono, d'altra parte, per necessità tecniche ed economiche, distaccarsene profondamente nella sostanza. Prima fra tutte l'industria della lana, diffusa allora in ogni centro urbano come quella che provvede a un bisogno universalmente sentito e che offre il massimo alimento agli scambî, non può per la sua stessa natura essere esercitata da singoli artigiani indipendenti, che acquistino la materia prima, la trasformino, e vendano il loro prodotto ai consumatori. Per giungere dalla lana greggia al prodotto finito sono necessarî numerosi processi di lavorazione, ciascuno dei quali richiede attitudini e organizzazione tecnica distinte. Quelle singole lavorazioni, salvo casi eccezionali in cui sono affidate al lavoro domestico delle popolazioni rurali, seguitano a essere eseguite nelle loro botteghe da artigiani, i quali però non producono più per il mercato o per i diretti consumatori, ma per altri artigiani, di fronte ai quali essi finiscono per trovarsi in un rapporto di dipendenza. D'altra parte, dove sorgono industrie specializzate ed esportatrici, viene a mancare la condizione fondamentale per assicurare l'indipendenza dell'artigiano. Nell'impossibilità di far fronte alle forti anticipazioni di capitali, necessarie per la produzione di manufatti per l'esportazione, e di esporsi al rischio della vendita in mercati lontani e sconosciuti, l'artigiano cade sotto il dominio del mercante, che gli anticipa le materie prime e si accaparra tutta la sua produzione. Ma se in tal modo, fin dai secc. XIII e XIV, in alcune delle maggiori industrie esportatrici gli artigiani si trasformano sostanzialmente in lavoratori dipendenti da un'impresa capitalistica, cominciano invece a svilupparsi nuove industrie di lusso e artistiche, affidate principalmente all'abilità e al genio individuali e a cognizioni empiriche tradizionali, per le quali l'artigianato è ancora la forma più adatta d'organizzazione.

Perciò in tutto il basso Medioevo e nei primi due secoli dell'età moderna, sia per la tenace sopravvivenza dell'economia cittadina anche negli stati nazionali, sia per la politica delle monarchie assolute, che vedono nell'artigianato corporativistico un utile elemento di conservazione, sia infine per il tenace tradizionalismo della tecnica industriale, l'artigianato cittadino può considerarsi ancora in grande prevalenza, sebbene accanto a esso abbiano assunto notevole sviluppo l'industria a domicilio, specialmente nelle campagne, e il salariato nelle manifatture.

La rapida decadenza dell'artigianato si manifesta soltanto dopo la metà del secolo XVIII, in seguito all'intensificazione del commercio interno e internazionale, destinato a soddisfare ai bisogni non più d'una piccola minoranza di potenti e di ricchi, ma di moltitudini sempre più numerose. Alle aumentate richieste di un commercio di massa, per cui la quantità e il buon mercato hanno un'importanza assai maggiore della qualità, l'artigianato non è in grado di rispondere, tanto più che le sue difficoltà sono aggravate dalle richieste determinate dal variare della moda. La sempre più estesa applicazione delle macchine gli dà poi il colpo di grazia, sottraendogli di anno in anno nuovi campi di attività, conquistati a sue spese dalla grande industria. Ma sebbene sconfitto dalla fabbrica, che è la forma dominante e caratteristica dell'economia industriale dell'età contemporanea, l'artigianato non scompare: non solo esso rivela la sua resistenza e la sua vitalità in un grandissimo numero di piccole industrie, che soddisfano a bisogni quotidiani ed elementari per cui il mercato si fraziona per rioni, per villaggi, per contrade; non solo la grande industria stessa sembra dargli nuovo alimento vitale, valendosi di numerosi artigiani per piccoli lavori di riparazione o anche per la fabbricazione di qualche accessorio; non solo seguitano ad essere riservate, in gran parte, alla sua attività le industrie di lusso e artistiche, per cui la qualità prevale sulla quantità e la tradizione locale o familiare ha spesso un'importanza decisiva, ma in molti dei campi medesimi che gli sono stati sottratti dalla grande industria, esso non è affatto scomparso, come ad esempio nelle industrie dell'abbigliamento, in cui le grandi fabbriche di confezioni e i grandi calzaturifici meccanici non impediscono che i migliori fra i vecchi sarti e calzolai conservino una clientela fedele, in vista delle loro attitudini tecniche e soprattutto della loro conoscenza dei bisogni particolari del pubblico ristretto che essi sono abituati a servire.

In questi ultimi decennî poi, accanto al progressivo sviluppo e alle sempre nuove conquiste della grande industria, nuove possibilità di rinascita sono venute all'artigianato da due fattori, materiale l'uno e morale l'altro: dalla distribuzione dell'energia elettrica a buon mercato, che ha permesso a molti piccoli opifici artigiani di trasformarsi e d'intensificare la loro produzione a costi decrescenti, e dalla reazione, sempre più largamente diffusa, contro l'eccessiva standardizzazione della produzione e del gusto, alla quale si è tentato e si tenta di resistere aiutando con finanziamenti e con l'istituzione di concorsi per la vendita, la sopravvivenza e la rinascita delle piccole industrie locali, soprattutto artistiche, che hanno una tradizione plurisecolare e sono esercitate in grandissima parte da artigiani.

Bibl.: K. Bücher, Die gewerblichen Betriebssysteme in ihrer geschichtlichen Entwickelung (nel vol. Die Entstehung der Volkswirtschaft, 9ª ed., Tubinga 1913, pp. 125-164); id., articolo Gewerbe, in Handwörterbuch der Staatswissenschaften, 3ª ed., Jena 1911; W. Sombart, Il Capitalismo moderno, trad. it., Firenze 1925; Marshall, Industry and Trade, Londra 1923, I; H. Hauser, Ouvriers du temps passé, Parigi 1895; idem, Les débuts du capitalisme, Parigi 1927; Boissonade, Le travail dans l'Europe chrétienne au Moyen-âge, Parigi 1921; Brugaro, L'artigianato pisano nel Medioevo, in Studi storici di A. Crivellucci, 1907 e 1912; Monneret de Villard, L'organizzazione industriale nell'Italia longobarda nell'Alto Medioevo, in Archivio stor. lombardo, 1912; G. Prato, Orizzonti di economia Ruskiniana, nella rivista Problemi italiani, 15 novembre 1923. Vedi inoltre la bibliografia sulle corporazioni.

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