Arte

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Arte

Stefano Chiodi
Serenita Papaldo

(IV, p. 631; App. I, p. 163; V, i, p. 233)

Il superamento o la contaminazione dei linguaggi artistici tradizionali, così come l'introduzione di nuovi procedimenti espressivi che includono un dialogo sempre più stretto tra a., scienza e tecnologia sono tematiche ripetutamente emerse nel corso delle varie Appendici, sia nell'ambito di voci relative a movimenti sia nella trattazione delle esperienze artistiche di singoli Stati, oltre che nelle numerose biografie di artisti che compaiono soprattutto nelle Appendici IV e V. In particolare, nell'App. IV sono stati trattati correnti e movimenti quali body art (i, p. 301), conceptual art (i, p. 508), land art (ii, p. 298), minimal art (ii, p. 483), ottico-cinetica, arte (ii, p. 705), mentre la performance, l'happening o l'environment hanno trovato spazio in lemmi come teatro (iii, p. 478) e così via. Nell'App. V, con L'arte e le tecniche artistiche dal dopoguerra a oggi, svolta sotto il lemma arte, ma soprattutto con la trattazione della Videoarte (v. linguaggi visivi, iii, p. 226), è stata esaminata la sempre più massiccia presenza delle tecnologie avanzate in ambito artistico.  *

Il carattere multimediale dell'opera d'arte contemporanea

di Stefano Chiodi

Con il termine anglosassone multimedia, affermatosi negli anni Settanta sugli equivalenti intermedia o mixed media, vengono in genere designate quelle esperienze artistiche contemporanee in cui si attua una simultanea interazione tra differenti mezzi espressivi, con un implicito accento sull'uso di tecnologie avanzate e su un modello di fruizione orientato alla durata e al coinvolgimento polisensoriale; la definizione si riferisce in particolare alla manipolazione delle immagini per mezzo di dispositivi elettronici o informatici e alla sua fusione con componenti sonore e testuali, nonché ad azioni, performances, installazioni video ed elaborazioni su supporto digitale, ove le diverse componenti possono essere presentate in forme molto spesso caratterizzate da un certo grado di modificabilità, casuale o programmato, ovvero da una relazione interattiva con l'osservatore. La nozione viene così a interessare non una particolare corrente o tendenza, ma un ampio spettro di fatti artistici eterogenei, di definizione sovente problematica, nel cui tratto comune - la messa in questione delle aspettative percettive e dello stesso ruolo convenzionale dello spettatore - si avverte l'eco di temi peculiari del pensiero filosofico ed estetico degli ultimi decenni, quali la critica alle pretese universali del soggettivismo razionalista, la rivendicazione della differenza e della tolleranza come nuovi paradigmi culturali, l'individuazione dei meccanismi di controllo sociale, il distacco, infine, dal pathos del 'nuovo' e la più generale decostruzione dello statuto puramente visivo attribuito all'a. dal modello critico modernista. Per le sue intrinseche caratteristiche, inoltre, che mettono in discussione il tradizionale e non di rado consolatorio iato tra le tecniche di matrice artigianale e quelle riprese dalle lavorazioni industriali, l'opera multimediale tende a fuoriuscire dal circuito istituzionale dell'a. (museo e galleria) sostituendo a quello nuove forme di fruizione, affini ai modi del teatro e dello spettacolo musicale, ove sia richiesta la presenza fisica dello spettatore, o completamente 'virtuali', come accade nel caso di lavori concepiti per la rete telematica Internet o la distribuzione su CD-ROM.

L'espansione delle pratiche artistiche al di là dei confini assegnati dalla tradizione e il rapporto con le nuove tecnologie messe a disposizione dagli sviluppi della produzione industriale sono certamente tra i connotati più caratteristici dell'a. del 20° secolo. Pur tenendo presente la fondamentale esperienza del Bauhaus, riflessa in Vision in motion (1947) di L. Moholy-Nagy (1895-1946), è tuttavia solo dal secondo dopoguerra che il tema insieme pratico e teorico dell'utilizzazione delle tecniche moderne, soprattutto elettroniche, ha assunto un rilievo autonomo nella vicenda artistica contemporanea. Un ruolo determinante in questo processo ha senz'altro esercitato la nascita della cibernetica, della quale N. Wiener aveva indicato già nel 1948 la natura di teoria interdisciplinare dell'informazione e della comunicazione in grado di collegare i principi e le strutture organizzative di ogni campo conoscitivo; introducendo una nozione fondamentale come quella di feedback e un modello processuale interattivo, estensibile agli ambienti sociali e biologici, la teoria cibernetica va considerata decisiva per stabilire uno spartiacque tra le esperienze ottico-cinetiche della prima metà del secolo e quelle, posteriori, basate sulla tematizzazione dei processi comunicativi.

Tra i primi a utilizzare in un contesto estetico i principi della cibernetica fu N. Schöffer (1912-1992), artista di origine ungherese poi stabilitosi in Francia, che nelle sue monumentali torri spatio-dynamiques, strutture verticali mobili su cui sono installati proiettori luminosi e amplificatori sonori, come, per es., Cysp 1 del 1956, realizzò uno dei primi esempi di applicazione artistica di elaboratori elettronici. Anche l'opera del tedesco G. Metzger (n. 1926) è caratterizzata da un sofisticato uso di dispositivi computerizzati, ma in contrasto con la matrice utopica e costruttivista di Schöffer egli concepì opere 'autodistruttive', visualizzazione del potenziale negativo delle tecniche nel periodo della guerra fredda; i suoi scritti e la sua attività pubblica, culminata nel Destruction art symposium a Londra (1966), ebbero un'eco anche nell'atteggiamento antitecnologico delle culture giovanili degli anni Sessanta e costituiscono un parallelo degli assemblages cinetici destinati all'autodistruzione dello svizzero J. Tinguely (1925-1991), quale Study no. 2 for an end of the world, una performance realizzata nel 1962 nei pressi di una località del Nevada utilizzata per test nucleari e poi trasmessa dalla catena televisiva NBC. L'interesse per tecniche e materiali innovativi e per una diversa formulazione del rapporto spettatore/opera divenne tratto dominante per gli artisti attivi sul fronte della Optical Art; tanto il gruppo tedesco Zero, fondato nel 1957 da O. Piene (n. 1928) e H. Mack (n. 1931), quanto il francese Groupe de Recherche d'Art Visuel (GRAV, 1960-68), che ebbe J. Le Parc (n. 1928) e F. Morellet (n. 1926) tra i suoi maggiori esponenti, si concentrarono infatti sui processi di interazione tra individuo e ambiente, progettando veri e propri dispositivi a scala architettonica finalizzati a esplorare e ampliare la sfera della percettività, come Black gate Cologne (1968), un environment di Piene costituito da telecamere, monitor e luci stroboscopiche azionate dalla presenza del pubblico. In senso analogo operavano negli stessi anni i numerosi collettivi di artisti sorti in Italia, quali il Gruppo T di Milano (1959), il Gruppo N di Padova (1960) e il Gruppo 1 di Roma (1962), riuniti ad altri analoghi gruppi internazionali nel movimento Nouvelle tendance (1961). Negli Stati Uniti, il tentativo più sistematico di mettere in diretta comunicazione gli artisti con le novità scientifiche e tecnologiche, soprattutto in campo informatico, fu quello condotto da Experiments in Art and Technology (EAT), raggruppamento fondato nel 1966 dallo scienziato-artista B. Klüver (n. 1927) e presieduto da R. Rauschenberg (n. 1928). EAT si fece promotore di uno scambio interdisciplinare tra la ricerca scientifica e le più varie esperienze artistiche - comprendenti, oltre quelle più consuete, anche architettura, design, danza, musica -, a partire dalla manifestazione 9 Evenings: theater and engineering, svoltasi a New York nel 1966.

Un approccio differente, che assume le nuove tecnologie nel contesto di una visione esplicitamente critica dei valori della società di massa, è quello rappresentato dal vasto arcipelago di esperienze legate alla pratica dell'happening. Questo termine, impiegato per la prima volta nel 1959 nella serie di azioni 18 Happenings in 6 parts dello statunitense A. Kaprow (n. 1927), definisce un evento spettacolare ove ai gesti dei performers si mescolano con la massima fluidità elementi plastici, visivi e sonori, e a cui il pubblico viene chiamato a partecipare attivamente, in una modalità che vede messa in crisi la nozione oggettuale di opera d'arte e la distinzione tra sfera estetica ed esperienza quotidiana. Una delle prime manifestazioni di questa tendenza furono le azioni pubbliche del gruppo giapponese Gutai, creato da J. Yoshihara (1904-1972) nel 1954, che anticipavano molti aspetti dell'a. dei decenni successivi, quali l'immissione di materiali naturali e oggetti di uso comune in ambito estetico, l'enfasi sulla processualità piuttosto che sulla produzione concreta, l'utilizzo in chiave espressiva del corpo dell'artista. Allo sviluppo di questa nuova sintesi tra mezzi formali eterogenei contribuì in modo determinante l'insegnamento del compositore statunitense J. Cage (1912-1992), svolto dal 1948 presso il Black Mountain College (North Carolina) e in altre istituzioni (New School for Social Research, New York; Ferienkurse für neue Musik, Darmstadt). Riprendendo da M. Duchamp l'utilizzo di procedimenti creativi basati sulla casualità (come avviene nel chance method, un tipo di scrittura musicale volto a escludere l'apporto soggettivo dell'autore) e innestandovi concetti desunti dal pensiero tradizionale cinese (I Ching) e dal buddismo Zen, Cage poneva l'accento sull'esigenza di procedere oltre la dimensione soggettiva ed espressiva caratteristica dell'a. occidentale, focalizzando l'attività creativa sugli aspetti accidentali, non predeterminati dell'opera, mettendone al contempo in rilievo i meccanismi processuali e il valore dinamico e intersoggettivo. Le idee del compositore ebbero una notevole influenza sugli sviluppi della cultura artistica, non solo statunitense, degli anni Cinquanta e Sessanta; tra i primi ad avvertirne la portata fu lo statunitense Rauschenberg, le cui realizzazioni più note, i combine paintings, con la loro struttura a molteplici 'fuochi' visivi, le espansioni tridimensionali, l'inclusione di oggetti e immagini prelevate direttamente dalla realtà, aprono a una nuova concezione dell'opera d'arte come costruzione polisemica, stratificata, connessa all'esperienza individuale e collettiva e per questo incompatibile con il modello critico formalista, proposto in forma canonica dal critico C. Greenberg (1909-1994), che scorgeva al contrario nell'adesione alle specificità del medium impiegato (in primo luogo la flatness, la pura consistenza visiva e la centratura su un unico punto di vista ideale nella pittura) e in una totale autonomia e autoreferenzialità dei linguaggi i caratteri ineludibili della modernità artistica. L'apertura al contesto ambientale e sociale, la contaminazione tra tecniche e media diversi, lo sconfinamento programmatico dell'a. in altre dimensioni comunicative, caratterizzano anche il movimento internazionale Fluxus, lanciato nel 1961 da G. Maciunas (1931-1978) con una serie di eventi nella sua galleria A/G di New York. Riecheggiando parole d'ordine dadaiste, la poetica di Maciunas promuoveva la massima libertà espressiva, il superamento delle convenzioni e dei confini tra le varie discipline, contestando parallelamente le strutture artistiche ufficiali, le forme tradizionali di apprezzamento estetico e la stessa organizzazione sociale capitalistica. Le più tipiche manifestazioni Fluxus furono i festival, serie di concerti, happenings e azioni individuali in cui erano mescolati tutti i generi artistici, come nel caso di Neo Dada in der Musik (1962) e di Festum Fluxorum Fluxus (1963), entrambi svoltisi a Düsseldorf con la partecipazione di un nutrito gruppo di artisti, musicisti e performers internazionali, tra i quali vanno ricordati lo statunitense G. Brecht (n. 1926), le cui azioni basate sull'uso creativo della casualità si sviluppavano a partire da notazioni testuali, o event scores, il francese R. Filliou (1926-1987), che fornì anche un contributo teorico alla definizione di un nuovo modello di educazione artistica, e, almeno nella prima fase della sua attività, il tedesco J. Beuys (1921-1986), la cui opera, ramificata in performances, installazioni, envinronments, testi, attività politica e didattica, avrebbe in seguito costituito uno dei più complessi tentativi di ridefinizione e allargamento della sfera di operatività artistica dell'epoca contemporanea. L'atteggiamento di Beuys verso i nuovi media, in particolare la televisione, rifletterà sempre la sua concezione lirica e al tempo stesso terapeutica dell'a., legata alle teorie antroposofiche di R. Steiner e a una visione fortemente critica della modernità; il mezzo elettronico viene infatti considerato dall'artista un semplice veicolo d'informazione, incapace di generare relazioni autentiche tra gli individui e il mondo e al fondo responsabile della perdita di 'aura' dell'opera d'arte. Sintomatica è in questo senso la sua azione Filz TV, ripresa da G. Schum per la televisione tedesca nel 1970, in cui Beuys appare, in atto di colpirsi il volto con i pugni, seduto di fronte a un apparecchio televisivo dallo schermo coperto di feltro, da cui provengono frammenti sonori di un notiziario. In modo altrettanto significativo, Beuys si servirà invece a più riprese del film, e in diverse modalità: come documentazione delle sue performances (Eurasienstab, 1968), come elemento di installazioni (Vakuum 〈-> Masse, 1968) o come opera autonoma (Soziale Plastik, 1967).

Uno dei maggiori esponenti del movimento Fluxus fu il tedesco W. Vostell (1932-1998), i cui happenings, alla fine degli anni Cinquanta, si basavano sul principio operativo del décollage (consistente nel prelievo dai tabelloni stradali di manifesti pubblicitari e nella loro successiva manipolazione, metodologia utilizzata negli stessi anni, tra gli altri, anche dal francese R. Hains e dall'italiano M. Rotella), come mezzo per evidenziare, in termini anche politici, la dialettica fenomenica creazione/distruzione e la forza pervasiva della comunicazione pubblicitaria. Vostell fu anche tra i primi a utilizzare il mezzo televisivo in modo sistematico; se la sua Schwarzes Zimmer del 1958, un ambiente che presentava al suo interno un assemblage di immagini e oggetti connessi ai campi di concentramento nazisti e televisori sintonizzati sulle normali emissioni, stabiliva una connessione tra la massima ideologia negativa del secolo e le nuove forme di dominio esercitate dai mass media, in TV dé-coll/age (1959) l'artista proponeva per la prima volta un modello di fruizione attiva, stimolando lo spettatore a porsi in atteggiamento critico rispetto ai modelli imposti dal messaggio televisivo. L'affermazione del video come autonomo mezzo artistico è dunque strettamente legata a nozioni come 'ibridazione', 'metamorfosi', 'immediatezza', 'interattività', e alla concezione performativa e multimediale che l'esperienza artistica andava assumendo nell'ambito delle tendenze Fluxus. Altri fattori, tuttavia, concorsero alla definizione di questo nuovo campo operativo, primi tra tutti la riflessione semiologica sul concetto di 'opera aperta', le elaborazioni teoriche sulla comunicazione di massa, in particolare gli studi di M. McLuhan sugli effetti culturali e le qualità multisensoriali dell'immagine televisiva, e la critica ai meccanismi di controllo e persuasione della società massificata condotta a partire dal 1957 dagli esponenti dell'Internationale Situationniste e che più tardi troverà compiuta espressione in La société du spectacle (1967), l'influente volume di G. Debord (1931-1994). Una precoce riflessione sulle potenzialità estetiche del medium televisivo era stata fornita in Italia dal Manifesto del movimento spaziale per la televisione del 1952, firmato, tra gli altri, da A. Burri, L. Fontana, Tancredi e R. Crippa, che indicava il superamento della prospettiva oggettuale, legata alla dimensione terrestre, in uno smaterializzato 'recipiente universale' in cui le immagini scorrono veloci, si decentrano in tutte le direzioni e non rappresentano più una dimensione statica ma un evento in perpetuo divenire; però è in effetti solo nei primi anni Sessanta, anche grazie alla diffusione di tecnologie relativamente accessibili come videoregistratori a nastro e telecamere portatili, che il mezzo televisivo (inteso tanto come messaggio audiovisivo che come presenza oggettuale del monitor) si diffonde nelle pratiche artistiche. Si deve allo statunitense di origine coreana N.J. Paik (n. 1932) la creazione della prima videoinstallazione, 13 Distorted TV sets, presentata alla Galerie Parnass di Wuppertal nel 1963, in cui la visualizzazione delle immagini era distorta dall'artista per mezzo di magneti applicati sui tubi catodici, operazione affine peraltro a quella con cui Cage aveva creato anni prima il suo 'pianoforte preparato'. Ogni televisore, che emetteva una serie di segni luminosi arbitrari, non predeterminati dall'artista, veniva così trasformato in un meccanismo autoreferenziale, in grado di generare immagini dal suo stesso meccanismo. L'accumulo dei tredici monitor, con la conseguente moltiplicazione dei punti di vista, riprendeva inoltre la disposizione delle cabine di regia, dove l'operatore controllava simultaneamente più canali e telecamere, ed era destinato a rendere consapevole lo spettatore della natura pianificata e selettiva delle trasmissioni televisive. Da questo momento la ricerca di Paik si orienterà su due filoni: da un lato lo studio del processo di generazione dell'immagine elettronica, sperimentando dal 1964 (con l'ingegnere giapponese Shuya Abe) un sintetizzatore in grado di generare flussi casuali di forme e colori, e dall'altro la produzione di installazioni comprendenti musica, danza e mezzi elettronici, come Variation v, un'opera del 1965 nata in collaborazione con Cage e M. Cunningham, in cui schermi video, microfoni e sorgenti di illuminazione ad accensione casuale moltiplicavano in modo imprevedibile i punti di vista e gli stimoli sonori cui lo spettatore era chiamato a prestare attenzione, o la serie di azioni realizzate con la violoncellista Ch. Moorman, tra le quali va ricordata TV bra for living sculpture (1969). L'uso del mezzo televisivo inaugurato da Paik differisce da quello in seguito praticato nel campo degli happenings e delle azioni, in cui l'immagine video può accompagnare la performance dal vivo o più frequentemente assumere il carattere di memoria dell'evento, come accade nel caso di artisti della Body Art come lo statunitense V. Acconci (n. 1940), la francese G. Pane (1939-1990) e gli inglesi Gilbert & George (n. 1943; n. 1942). Una delle caratteristiche fondamentali delle videoinstallazioni di Paik, e degli altri artisti che ne hanno seguito l'esempio, è infatti non solo quella di produrre sequenze di nuove immagini, ma anche di determinare nuove condizioni per la loro visione; il monitor viene considerato in quest'ultimo caso non più un semplice strumento di riproduzione, ma un elemento che può essere manipolato al pari di ogni altro materiale pittorico o plastico all'interno di una presentazione coordinata.

Una decisiva espansione del novero dei materiali e delle tecniche utilizzate a fini artistici avviene a partire dalla metà degli anni Sessanta con le indagini sui meccanismi estetici di produzione, ricezione e presentazione condotte dalle tendenze analitiche sviluppatesi in Europa e negli Stati Uniti, che liquidavano definitivamente l'antinomia modernista avanguardia/kitsch a favore di una concezione fenomenologica dell'a. estesa virtualmente a tutti i campi dell'esperienza e alla relativa pluralità di linguaggi. Ciò è particolarmente evidente nell'ambito delle esperienze della Process Art, in cui alle rigide strutture seriali e geometriche, utilizzate dalla Minimal Art, e alla centratura sugli aspetti linguistici, propria della corrente concettuale, si sostituiva una concezione antiformale, dinamica, che mirava a stabilire una nuova dimensione di indagine estetica intorno alle interconnessioni tra meccanismi psichici e biologici, modelli socioeconomici e strutture culturali. Tra i primi teorici di questa tendenza fu lo statunitense R. Morris (n. 1931), già attivo nel campo della performance assieme al compositore La Monte Young (n. 1935) e alla danzatrice L. Childs, che in una serie di articoli per la rivista Artforum (Notes on sculpture, 1967) indicava la possibilità di estendere il campo di intervento dell'artista a nozioni astratte come quelle di 'forza' ed 'energia', rese sensibili sotto forma di processi di trasformazione fisica dei materiali, evidenziando al contempo l'influenza delle strutture ambientali e antropologiche sulla decodifica dell'opera da parte dello spettatore.

Se il minimalismo esaltava il trionfo della forma sulla materia, Morris puntava al contrario la sua attenzione sulla transizione tra la dimensione mentale e la realizzazione concreta, nonché sugli stati intermedi, non compiuti, e sulle complesse interazioni tra l'opera d'arte - concepita come 'campo' di esperienza e non solo come esito oggettuale - e la sfera dei comportamenti individuali e collettivi, come avveniva nelle sue installazioni di quegli stessi anni, dove elementi di feltro o gomma fornivano un'eloquente visualizzazione dell'azione del tempo e della forza di gravità, richiamando contestualmente un'ampia rete di relazioni metaforiche. Queste idee vennero condivise da artisti come E. Hesse (1936-1970), la cui opera vede indagate le mutue relazioni tra le qualità fisiche di materiali anticonvenzionali, quali resine elastiche e fibra di vetro, e nuove modalità di manipolazione (basate su azioni ricche di suggestioni psicologiche quali sospendere, avvolgere, legare ecc.), e R. Serra (n. 1939), che ha esplorato in un ampio numero di installazioni, azioni e film i molteplici aspetti dei procedimenti artistici, da Verb list compilation (1968), un puro elenco verbale di 'compiti' operativi, a Splashing (1968), un'azione in cui l'artista lanciava piombo fuso su una parete, ricavandone forme solide casuali, fino alla serie di installazioni (poste anche in spazi pubblici) che utilizzano lastre di acciaio grezzo per conferire nuova pertinenza visiva a tradizionali concetti scultorei, quali peso, gravità, equilibrio. In Italia, alcuni rappresentanti del movimento Arte povera, così battezzato nel 1967 dal critico G. Celant (n. 1940) in occasione di una mostra alla galleria La Bertesca di Genova, appaiono particolarmente vicini alle ricerche processuali, in particolare J. Kounellis (n. 1936), le cui installazioni, concepite come riflessioni sui limiti delle istituzioni, dei linguaggi e delle strutture istituzionali, utilizzavano in quegli anni materiali di origine naturale (cotone, carbone ecc.) o industriale (ferro, vetro), processi fisici (combustioni), piante e animali viventi (come i dodici cavalli esposti alla galleria L'Attico di Roma nel 1969); M. Merz (n. 1926), che ha evidenziato le relazioni tra meccanismi biologici e modelli culturali 'primitivi' e contemporanei attraverso figure metaforiche come la serie numerica del matematico medievale Fibonacci e le forme archetipiche della spirale e dell'igloo; G. Penone (n. 1947), la cui opera si è concentrata sull'esplorazione della dimensione corporea e sulle sue relazioni con i meccanismi di mutazione e accrescimento propri del mondo vegetale; P. Calzolari (n. 1941), che ha indagato i cambiamenti di stato (solido/liquido ecc.) indotti dai mutamenti di temperatura sui materiali.

Nell'ambito delle esperienze processuali il mezzo televisivo si afferma non solo come un adattamento alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia, ma come un ambito governato da leggi estetiche autonome, al cui interno è possibile porre in evidenza le strutture psicologiche, linguistiche, sociali della comunicazione visiva e le relazioni tra questa, il fattore temporale e i contesti socio-ambientali in cui viene a diffondersi. A differenza del cinema, e del suo flusso unidirezionale di immagini e suoni, il mezzo elettronico permette infatti di manipolare liberamente i parametri spaziali e temporali, tramite modalità caratteristiche come la trasmissione 'dal vivo', la connessione con postazioni remote, ottenuta anche con collegamenti satellitari - come fecero D. Davis (n. 1932) nella rassegna Documenta 6 di Kassel del 1977 e poi Paik (Good morning, Mr. Orwell, 1984) -, l'uso simultaneo di molteplici telecamere e monitor (che rendono possibile registrare o riprodurre immagini diverse nello stesso luogo, o immagini riprese in luoghi diversi nello stesso tempo).

Le installazioni video tendono così a rivelare i rapporti interni tra i materiali e le immagini che le compongono e a mettere in evidenza la propria logica di funzionamento, mirando al coinvolgimento sensoriale e psicologico dello spettatore, considerato spesso come una componente attiva dell'opera. È quanto si verifica nelle opere dello statunitense D. Graham (n. 1942), il cui interesse, anche teorico, si è precocemente focalizzato sugli aspetti relazionali della comunicazione e della presentazione dell'opera d'a., come accade nelle sue installazioni video: Present continuous past(s) (1974), un ambiente ricoperto di specchi in cui lo spettatore è confrontato con un'infinita regressione del continuum temporale, ottenuta riproducendo con un ritardo di otto secondi l'immagine video ripresa dal vivo nel medesimo spazio; Two viewing rooms (1974) e Yesterday/Today (1975), entrambe basate su un complesso gioco di ritardi, sdoppiamenti e sovrapposizioni spazio-temporali ottenute per mezzo della rottura del sincronismo tra suono e immagine video; Public space, Two audiences, realizzato per la Biennale di Venezia del 1976, che chiamava direttamente in causa la funzione ostensiva dello spazio museale. Ancora più complesse, in questo medesimo contesto operativo, sono opere come Project for local cable TV (1971), in cui la dinamica relazionale del video è portata al livello di una piccola comunità collegata via cavo, e soprattutto Local television news program (1978), che rappresenta il tentativo più ambizioso realizzato da Graham di trasformare la televisione da strumento di manipolazione e controllo in mezzo di comunicazione libero, bidirezionale e socialmente costruttivo. Lo studio delle dinamiche percettive e dell'interazione tra l'ambiente esterno e le dimensioni psichiche ed emozionali è al centro anche dei lavori dello statunitense B. Viola (n. 1951), che nei suoi video (The reflecting pool, 1977-80) e nelle sue installazioni (An instrument of simple sensation, 1983) si avvale di un raffinato montaggio di immagini organizzate in ritmi temporali ciclici, tali da richiamare lo spettatore in una dimensione sospesa e meditativa; dell'italiano F. Plessi (n. 1940), che sottolinea l'ambigua contiguità dell'immagine televisiva con il mondo reale (The Bronx, 1986); dello statunitense G. Hill (n. 1951), i cui environments video si sono concentrati sui rapporti tra immagine e parola (Primarily speaking, 1981-83), sui parametri spazio-temporali (Between cinema and a hard place, 1991) e sui modelli di sessualità (Suspension of disbelief, 1991-92).

Su un piano ancora diverso operano poi quegli artisti che utilizzano la comunicazione multimediale per affrontare, anche in chiave ironica, temi quali i comportamenti collettivi, i contrasti tra identità individuali e sessuali, i condizionamenti culturali e la latente violenza della società contemporanea. In questo ambito si iscrivono i lavori dello statunitense B. Nauman (n. 1941), caratterizzati da una ricerca fenomenologica applicata alla dimensione del corpo e da suggestioni letterarie derivate dalle opere di S. Beckett e A. Robbe-Grillet; la sua opera ha utilizzato sin dagli esordi una gamma molto ampia di mezzi espressivi, quali fotografie (Eleven color photographs, 1966-70) e ologrammi che ritraggono il volto e i gesti dell'artista, video quali Violin tuned dead e Slow angle walk (Beckett walk) (1968), incentrati su azioni elementari e iterative come suonare il violino o camminare ossessivamente in direzioni opposte, o installazioni che coinvolgono direttamente lo spazio espositivo e la presenza dello spettatore, come Performance corridor (1968) e Green-light corridor (1970), stretti spazi illuminati da luce al neon destinati a suscitare disagio e sensazioni claustrofobiche in chi vi accede. Il tema dei comportamenti compulsivi rimane una costante nella produzione di Nauman, che in anni più recenti ha dedicato a esso opere realizzate con tubi al neon colorati (Hanged man, 1985), o videoinstallazioni quali Violent incident (1986), sul tema della violenza domestica. L'utilizzo simultaneo di media differenti e uno spiccato interesse per le dinamiche psicologiche interpersonali caratterizzano la ricerca dello statunitense T. Oursler (n. 1957), le cui installazioni si avvalgono di elementi statici tridimensionali (arredi, oggetti ecc.) e di manichini animati da proiezioni video che li trasformano in veri e propri personaggi parlanti, con un esplicito riferimento alla dimensione narrativa del teatro e della televisione (The watching, 1992; Switch, 1996). Altrettanto complesso e ramificato è il lavoro di M. Barney (n. 1967), autore di installazioni e film costantemente centrati su tematiche legate alla sfera corporea, alla definizione di un'identità sessuale e psichica sempre sfuggente, rese in una ricca ed ermetica trama di figure allegoriche (il Mago, la Diva, il Candidato, la Regina delle Catene ecc.) e complesse simbologie che trovano la loro più matura esemplificazione nel progetto cinematografico Cremaster, composto da cinque film. Prendendo spunto dalle machines célibataires di Duchamp, dalle ricerche surrealiste e dalla concezione allargata di opera d'a. propugnata da Beuys, la tedesca R. Horn (n. 1944) è andata articolando una multiforme produzione di azioni, film e installazioni, caratterizzata dall'uso di dispositivi meccanici assimilabili a equivalenti metaforici dei molteplici processi psicofisici attraverso cui si costituisce l'esperienza individuale; i 'meccanismi' della Horn (ruotismi, motori elettrici, temporizzatori ecc.) si presentano così come appendici del corpo dell'artista (Überströmer, 1970; Kakadu-Maske, 1973) o come elementi di installazioni (Pfauenmaschine, 1982; The yellow-black race of pigments, 1987), tutti caratterizzati da comportamenti sincopati e violenti che forniscono paradossali rappresentazioni di dinamiche comportamentali e psicologiche, quali piacere, desiderio, dolore.

L'indagine sul corpo, sulla sua rappresentazione e sulle trasformazioni culturali determinate dai metodi diagnostici e dalle manipolazioni biotecnologiche è un altro settore della ricerca artistica contemporanea in cui l'utilizzo di nuovi media procede di pari passo con la loro oggettivazione critica. Se le performances dello statunitense Ch. Burden (n. 1946) avevano visualizzato in forme estreme l'effetto di azioni violente sperimentate sul corpo stesso dell'artista (Shoot, 1971; Through the night softly, 1973, da cui fu tratto un filmato pubblicitario televisivo nello stesso anno), i lavori dell'australiano Stelarc (pseud. di Stelios Arcadiou, n. 1946) hanno precocemente esplorato le possibili connessioni tra il corpo biologico e le nuove tecnologie, in un primo tempo in forma diretta (Suspensions, 1976) e successivamente configurando un organismo virtuale, The body, le cui possibilità operative sono espanse da inedite estensioni sensoriali e interfacce cibernetiche interattive che utilizzano anche le nuove possibilità offerte dalla rete telematica Internet. Ancora sui temi dell'identità e sull'immagine corporea, anche in assonanza con tematiche del pensiero femminista, ha centrato la sua ricerca la francese Orlan (n. 1947), a partire dalla performance del 1975 Sainte Orlan: i lavori multimediali mostrano le manipolazioni del suo volto durante interventi chirurgici che tendono a modificarne l'aspetto esteriore per adattarlo a modelli scelti nel vasto patrimonio di immagini femminili della pittura europea, in una modalità che può essere considerata l'approdo più radicale (tenuto conto della sua natura irreversibile) delle esperienze della Body Art. Le nuove possibilità di manipolazione digitale delle immagini offerte da elaboratori elettronici sempre più sofisticati è un altro campo in cui la ricerca artistica è stata attiva nel corso degli ultimi decenni; la Computer Art - tra i cui primi esempi vanno annoverate le Permutations (1967-68) di J. Whitney e Pixillation (1971) di L. Schwartz e, in una modalità già interattiva, Seek (1970) di N. Negroponte e Green music (1974) di J. Lifton - tende a porre in primo piano i caratteri peculiari dell'immagine digitale, primi tra tutti l'immaterialità e la logica matematica soggiacente. Molto influente in questo senso si è dimostrata la teoria dei frattali elaborata dal francese B. Mandelbrot, che utilizza calcoli aleatori per generare complesse rappresentazioni basate sull'infinita ripetizione di un modulo base. Legati ad altri aspetti della logica dei computer, come l'interattività e la possibilità di fornire risposte in tempo reale, sono invece i lavori di artisti come M.W. Krueger (Video place, 1989), L. Hershman (Deep contact, 1990) e J. Manning (Who says, 1990).

Il video, i dispositivi digitali e tutti gli altri nuovi media impiegati dagli artisti negli ultimi decenni non possono essere più visti come un insieme di complicati strumenti che semplicemente estendono il campo delle tecniche tradizionali. Attraverso una progressiva modificazione delle aspettative concettuali e degli ambiti percettivi le nuove forme espressive tendono in effetti a definire nuove modalità di creazione e fruizione estetica, in cui aspetti già ricordati quali la struttura interattiva, la stratificazione dei messaggi, l'immaterialità dei supporti, divengono spie e anticipazioni di un più generale mutamento culturale in atto nel mondo contemporaneo. In un'epoca dominata da una stretta interdipendenza tra competenze scientifiche e tecnologiche, possibilità di accesso ai nuovi canali di comunicazione informatica e sempre più sottili forme di dominio politico ed economico, la produzione artistica tende così a conquistarsi nuovi spazi di visibilità e a recuperare, al di là delle prospettive ideologiche moderniste, il valore sperimentale che era stato proprio delle avanguardie, sviluppando un'interrogazione intorno agli aspetti pratici e teorici delle tecnologie, all'habitat naturale e sociale e ai meccanismi di selezione e legittimazione dei comportamenti individuali. Il caso dell'artista americana J. Holzer (n. 1950) è in questo senso assai indicativo; concepita come un'ininterrotta sollecitazione critica rivolta alla società contemporanea, la sua opera si concentra sull'elaborazione di testi, truisms (affermazioni lapalissiane), che chiamano in causa, sotto forma d'ironica inversione, la disparità tra coscienza pubblica manipolata e volontà individuale. Le sue opere più caratteristiche sono i pannelli a diodi luminosi (LED), che possono assumere dimensioni diverse, dalla piccola insegna sino alla scala ambientale: esemplari in questo senso le installazioni su facciate di edifici e il monumentale pannello a spirale posto all'interno del Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1990. La Holzer è anche stata tra i primi artisti a utilizzare Internet come nuovo ambito creativo, con un lavoro specificamente concepito, Please change beliefs (1996), un elenco di truisms modificabili dinamicamente dallo spettatore-utente. La rete telematica costituisce in effetti il più innovativo campo di sperimentazione artistica, sebbene il suo sviluppo in questo senso sia ancora limitato e parziali risultino le riflessioni critiche sull'argomento. L'ambito più direttamente coinvolto è l'interfaccia grafica World Wide Web, in virtù delle sue specificità comunicative, quali l'accessibilità incondizionata, la bidirezionalità, l'interattività, nonché la possibilità di utilizzare contemporaneamente testi, immagini (anche animate) e suoni. Questi caratteri vengono utilizzati, per es., da artisti come lo spagnolo A. Muntadas (n. 1942), che nel lavoro On translation (1997) esplora i problemi della trascrizione, interpretazione e traduzione che investono molteplici linguaggi e codici, e dei due russi operanti negli Stati Uniti, Komar & Melamid (V. Komar, n. 1943; A. Melamid, n. 1945), che in The people's choice (1994-97) hanno messo a punto un'inedita indagine sulle preferenze estetiche del pubblico contemporaneo.

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Formazione dell'artista contemporaneo

di Stefano Chiodi

I profondi mutamenti intervenuti nelle esperienze artistiche dal 1960 in avanti, con l'estensione del loro campo operativo a tecniche e mezzi espressivi inediti e le drastiche trasformazioni delle relative modalità di ricezione, a livello sia individuale che istituzionale, rappresentano altrettanti fattori attivi in direzione di un rinnovamento delle modalità di formazione degli artisti contemporanei. L'ultimo quarantennio appare in effetti caratterizzato dall'apparizione e dal vertiginoso ricambio di indirizzi di ricerca che nel loro complesso segnano la perdita di rilevanza, quando non la vera e propria caduta, dell'opposizione tra pratiche 'alte' e 'basse' e la brusca interruzione della tradizione tecnica e formale (il 'mestiere') trasmessa in precedenza dalle accademie o dalle consuete forme di apprendistato artistico.

Il ricorso a procedimenti e materiali mutuati dalle tecnologie industriali, tipico delle correnti pop e minimaliste, o al contrario direttamente attinti al mondo naturale, nel caso dell'a. processuale e dell'Arte povera, la mescolanza di generi e di linguaggi (performance art), l'utilizzo diretto del corpo in senso espressivo, come pure di tecnologie elettroniche o informatiche, e soprattutto l'assunzione del 'montaggio' come fondamentale strategia estetica (anche laddove, come nel corso degli anni Ottanta, si operava un apparente ritorno a modi pittorici più consueti), costituiscono tuttavia solo gli effetti più appariscenti di una trasformazione culturale che ha interessato il campo artistico contemporaneo a partire dai suoi stessi capisaldi estetici. Il tratto essenziale, la 'differenza', frutto di questa trasformazione, va infatti individuata nella messa in discussione di nozioni intimamente connesse alla produzione artistica quali l'unicità, l'originalità e l'autografia, e alla conseguente dilatazione della categoria di 'opera' all'ambito dei comportamenti, dei gesti tipici, degli enunciati verbali o delle operazioni puramente intellettuali, ovvero alla sua controversa restaurazione (negli ultimi due decenni) nelle modalità del simulacro e dell'allegoria, in un pluralismo che relativizza ogni posizione e rende possibili molteplici opzioni concorrenti. È stata anche proposta una differenziazione dell'identità dell'artista in uno spettro di posizioni alternative tra loro: 'antropologo', secondo il capofila della corrente concettuale J. Kosuth, 'sciamano' per J. Beuys, per limitarci a due casi polarmente contrapposti, l'artista contemporaneo non può che continuamente rimodellare i propri fondamenti euristici, senza poter più contare su una ratio predefinita. L'artista, come nota H. Belting (1983), si trova infatti privato della distanza fissa dall'a. del passato garantitagli dalla rottura inaugurale e dal carattere progressivo del modello modernista. L'ideologia canonicamente enunciata da C. Greenberg e dai suoi seguaci cessa quindi di costituire il riferimento obbligatorio per la teoria dell'a. contemporanea, che tende a recuperare nel tessuto novecentesco gli episodi eterodossi (per es. il movimento dada, il realismo della Neue Sachlichkeit, il Novecento italiano, oltre a singole figure di artisti) rispetto al purismo astrattista, ovvero a sottolineare il contraddittorio rapporto tra l'artista e la società, sterilizzando la prospettiva di emancipazione globale tipica delle avanguardie della prima metà del secolo. L'indebolimento della distinzione tra 'opera' e 'commento', portato caratteristico della filosofia ermeneutica contemporanea, contribuisce poi a mutare i termini del rapporto tra pratica e teoria dell'a., con l'assunzione da parte di quest'ultima (tanto più nell'ambito formativo) di una funzione regolatrice eccezionalmente rilevante.

Con l'apparizione di nuovi ed eterogenei paradigmi operativi, che privilegiano, di volta in volta, un'analisi linguistico-critica, un ampliamento della sfera estetica al piano dei comportamenti individuali e dei modelli sociali, il ricorso a materiali e strutture 'primarie', ovvero a una espressività diretta e intenzionalmente 'ineducata', si è andata sempre più precisando l'insufficienza dei modelli formativi, tanto 'classici' che 'moderni', che avevano caratterizzato i decenni precedenti, ma anche la difficoltà a reperire principi alternativi di validità generale su cui basare un nuovo progetto educativo. Già dal principio del sec. 20°, in realtà, era apparsa ormai irreversibile la perdita di efficacia dell'insegnamento impartito nelle tradizionali accademie di belle arti, la cui struttura, modellata sull'eredità del sec. 19°, costituiva l'ultimo anello di una catena risalente alle accademie classiciste europee del Seicento e alle concezioni vasariane. Fondato sulla trasmissione di un sapere insieme teorico e pratico, a sua volta basato sulla continuità di un paradigma artistico rigidamente delimitato, il modello dell'accademia era stato sottoposto all'azione demolitrice delle avanguardie e soprattutto del Movimento moderno sin dagli anni successivi al primo conflitto mondiale, con le proposte del berlinese B. Paul (1874-1968), miranti a unificare in un'unica struttura l'insegnamento delle arti maggiori e quelli relativi alle arti applicate (Paul 1918), e soprattutto l'azione di W. Gropius e del Bauhaus, il cui fine didattico era individuato in "un tirocinio pratico completo e una precisa dottrina degli elementi formali e delle loro leggi strutturali" (Gropius 1923), in nuova modalità formativa che puntava a superare allo stesso tempo l'estetismo tardo ottocentesco e la marginalità culturale dei mestieri artistici attraverso un positivo rapporto con le tecnologie moderne e una visione estetica unitaria del processo di creazione.

Il modello multidisciplinare e integrato perseguito dal Bauhaus ha continuato a esercitare un forte ascendente anche nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, segnatamente nell'ambito delle scuole orientate all'architettura e all'industrial design, come l'Institute of Design di Chicago, aperto da L. Moholy-Nagy nel 1944, la Hochschule für Gestaltung, fondata a Ulma da M. Bill nel 1950, e il Black Mountain College, dove insegnò sino al 1949 J. Albers, nelle quali d'altra parte l'originario equilibrio voluto da Gropius tra arti 'pure' e 'applicate' viene decisamente spostato a favore di queste ultime. Ed è ancora a questa concezione che guardano in anni recenti le scuole d'a. che soprattutto nel mondo anglosassone tendono a riunire nello stesso istituto le diverse discipline artistiche e quelle più strettamente legate alla produzione industriale. Negli Stati Uniti, per es., queste istituzioni, che rilasciano i titoli di bachelor o master in fine arts, mirano a fornire agli allievi (con corsi su base biennale o quadriennale) una formazione pratica, con lo studio delle diverse tecniche artistiche, tanto quelle tradizionali che quelle via via pragmaticamente individuate nei settori più attivi della ricerca contemporanea (fotografia, video, computer ecc.) e insieme un'istruzione teorica e storica molto attenta alle tendenze critiche dominanti. La compresenza nella stessa istituzione di insegnamenti tradizionali dell'area delle fine arts e quelli legati all'artigianato artistico, all'abbigliamento, alla grafica pubblicitaria, al cinema ecc., sia pure inseriti in curricula distinti, tende di fatto a stabilire un'equivalenza non occasionale tra le differenti aree di ricerca e formazione, con innegabili conseguenze a medio termine sulla conformazione del campo artistico contemporaneo. In Italia l'educazione artistica è impartita al livello della scuola secondaria superiore nei licei artistici e negli istituti d'a., e nell'accademia di belle arti per il livello superiore, assieme agli Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA) e ai corsi di laurea in disegno industriale, per quanto riguarda questo ambito specifico. L'attuale ordinamento di queste istituzioni (tranne nel caso degli ISIA) è ancora debitore dell'impostazione voluta dalla riforma Gentile; nonostante i molti adattamenti (il più importante dei quali, per quanto riguarda l'accademia, ha visto la creazione negli anni Settanta di insegnamenti complementari di carattere pratico o teorico accanto alle tradizionali cattedre di pittura, scultura, scenografia, decorazione, incisione e storia dell'a.) e la crescita numerica degli istituti (dalle nove accademie 'storiche', quasi tutte di fondazione preunitaria, si è passati alle attuali venti accademie statali), esso appare ormai insufficiente a soddisfare le nuove esigenze formative, soprattutto dal punto di vista della ricerca e non più della trasmissione di saperi in larga parte desueti; la scarsa permeabilità dell'istituzione alle dinamiche più vive delle a. contemporanee e la sua emarginazione dal dibattito artistico italiano e internazionale indicano l'urgenza di una riforma ormai non più differibile.

Questo pur ricco e articolato quadro non esaurisce il ventaglio di possibilità presenti nel campo della formazione degli artisti, tanto più se si considera lo stretto legame esistente tra questo ambito e il più generale problema dell'identità culturale dell'artista contemporaneo. Non sono infrequenti in effetti, nel periodo in esame, i casi di artisti provenienti da aree molto distanti da quella specificamente estetica, come è il caso, per limitarci a due soli esempi, di G. Brecht (n. 1926) e R. Filliou (1926-1987): Brecht si formò come chimico alla fine degli anni Quaranta e poi, dedicatosi a studi sul concetto di indeterminazione nelle scienze, nella filosofia e nell'a., entrò in contatto con J. Cage alla New School for Social Research di New York e divenne uno dei maggiori esponenti del movimento Fluxus; Filliou, già attivo nella resistenza comunista francese durante la guerra, quindi formatosi come economista negli USA, successivamente si avvicinò a studi di a. e filosofia che sfociarono in un percorso creativo centrato sulla dimensione comunicativa e sociale e sul valore 'sovversivo' dell'esperienza dell'arte. Occorrerà così, nel periodo in esame, ricercare al di fuori delle tradizionali istituzioni accademiche e delle design schools le novità più interessanti nel campo della formazione degli artisti.

Esemplare in questo senso resta l'esperienza di Cage al Black Mountain College nei primi anni Cinquanta, prototipo di una integrazione orizzontale tra diversi ambiti espressivi (pittura, fotografia, cinema, danza, musica, teatro ecc.) che alla concezione progettuale ereditata dal Bauhaus, e alla sottintesa nozione di 'professionalità' artistica, tendeva a sostituire un concetto di creatività mobile e trasversale che metteva in discussione le tradizionali distinzioni tra culture e tecniche, focalizzando la didattica sui meccanismi comunicativi e sulla natura processuale dei fatti artistici più che sulla produzione controllata di opere. In questa proposta, che segnava contestualmente il distacco dalla visione 'ipersoggettiva' dell'a. di tendenza informale, iniziava a emergere anche una nuova concezione dell'artista come 'operatore' aspecifico, che agisce sui confini tra le tecniche e i linguaggi, mettendo in crisi le tipologie artistiche convenzionali, di fatto giocando sull'accentuazione della distanza tra le aspettative del pubblico e i propri prodotti.

L'interesse dei movimenti artistici degli anni Sessanta e Settanta per i procedimenti linguistici e gli aspetti filosofici inerenti alla creazione artistica, l'apertura alla considerazione dei suoi aspetti antropologici, l'accento sulle intenzioni e la conseguente perdita di rilevanza della fase esecutiva e della stessa nozione di 'opera', sono tutti elementi che caratterizzeranno anche i tentativi di riconsiderare i modi di formazione artistica. Più che la nascita di nuove istituzioni, si assiste così al moltiplicarsi di seminari, di incontri, di occasioni di confronto tra artisti di paesi e tendenze diverse, come quelli svoltisi all'Internationale Kulturzentrum di Achberg. Una delle esperienze più rimarchevoli in questo senso fu la Freie internationale Hochschule für Kreativität und interdisziplinäre Forschung, concepita da J. Beuys dopo la sua espulsione dalla Kunstakademie di Düsseldorf (1972); ispirata al 'concetto allargato di arte', priva di una sede stabile (sarà attiva anche in Irlanda, Gran Bretagna, Italia), la Frei Hochschule proponeva un curriculum che oltre le materie artistiche comprendeva discipline come sociologia, scienze naturali, economia, in una visione incentrata sulla 'liberazione' delle energie individuali. La natura non formalizzata di questa proposta, e l'importanza che al suo interno assume il rapporto individuale con l'allievo, mette inoltre in rilievo come quello istituzionale sia solo uno dei livelli che è possibile distinguere esaminando il problema della formazione dell'artista contemporaneo. Vi è infatti una dimensione, certamente più fluida e meno suscettibile di rigide classificazioni, rappresentata dalla collaborazione d'atelier e dai rapporti personali di scambio e discepolato tra artisti di diversa generazione, che ha conservato e conserva grande importanza nel campo dell'apprendistato artistico; per limitarci a pochi europei, è noto il grande ascendente che in Italia L. Fontana ha esercitato sugli artisti degli inizi degli anni Sessanta, come L. Fabro, l'importanza della lezione di T. Scialoja nei confronti dei giovani esordienti agli inizi degli anni Ottanta - tra gli altri, D. Bianchi (n. 1957), G. Dessì (n. 1954), Nunzio (N. Di Stefano, n. 1954) - o quanto avvenuto in Germania, con la collaborazione tra Beuys e G. Richter, o l'insegnamento dei coniugi B. e H. Becher (n. 1931; n. 1934), che ha avuto larga eco nel lavoro di artisti di più recente affermazione come T. Ruff (n. 1958).

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Tecnologie avanzate nella conoscenza e nella fruizione dell'opera d'arte

di Serenita Papaldo

L'uso dell'informatica volto a favorire la fruizione dell'opera d'arte da parte del pubblico o inteso come supporto documentario o divulgativo, è strettamente connesso con tutti i problemi legati allo studio, alla gestione e alla tutela dei prodotti artistici. Con il suo ingresso nella storia dell'a., e quindi nei diversi aspetti della realtà e della storia dell'opera successivamente alla sua fase creativa, l'informatica si pone chiaramente come nuovo strumento di indagine in grado di offrire possibilità di lettura o di ricerca precedentemente non immaginabili e al tempo stesso di contribuire all'evoluzione del tradizionale mezzo bibliografico o di riproduzione. Avviata soprattutto a partire dagli anni Settanta, l'applicazione delle tecnologie avanzate in questo campo è stata oggetto di sperimentazioni sempre più ampie e coerenti da parte delle grandi istituzioni, come di iniziative e proposte di studiosi, enti, istituti di ricerca. Vari e diversificati i settori d'intervento: dai mezzi di supporto e di diffusione, accessibili anche a una fruizione non specialistica, ai vasti programmi di archiviazione di dati e di immagini relativi al patrimonio artistico, alle opere conservate in collezioni pubbliche e private, alle fonti della storia dell'a., fino ai prodotti e alle applicazioni finalizzati alla ricerca o alla gestione; esperienze che rispondono a finalità diverse, incentivate da logiche di mercato o dalla necessità di ottimizzazione di funzioni istituzionali, ma inscindibili dall'attività di studio e di confronto tra istituzioni internazionali condotta nel settore.

Le possibilità offerte dall'uso delle tecnologie avanzate hanno, peraltro, avviato una trasformazione profonda dei tradizionali processi di conoscenza e fruizione dell'opera d'arte, aprendo la strada a nuove ipotesi di ricerca. Progetti di informatizzazione condotti da università ed enti di ricerca sulle fonti storiche, sui repertori iconografici, sui cataloghi di vendita e di esposizione restituiscono, anche solo grazie alla comparazione e all'elaborazione di dati affini e confrontabili, informazioni storico-critiche preziose: sull'evoluzione del gusto di committenti, acquirenti e pubblico, sulla frequenza e il significato di tematiche ed elementi figurativi, sulle testimonianze storiche e sull'analisi filologico-linguistica dei testi critici e documentari.

La soluzione dei problemi catalografici, lessicali e terminologici legati alla creazione di banche dati costituisce un nodo centrale nei diversi convegni internazionali, avviati dalla First international conference on automatic processing of art history data and documents, tenuta a Pisa nel 1978 (v. beni culturali e ambientali: Beni culturali e informatica, in questa Appendice). Le esigenze di classificazione e archiviazione proprie dei luoghi di conservazione delle opere d'arte, come musei e collezioni, e degli enti preposti alla tutela del patrimonio artistico costituiscono infatti uno dei maggiori campi d'interesse nell'applicazione e nella sperimentazione delle nuove tecnologie. La prospettiva della formazione di banche dati unificate sempre più ampie, il collegamento con relative banche immagini, offrono aspettative di gestione e di ricerca, secondo chiavi diverse e libere da limiti di luogo, in parte già realizzate, sebbene le difficoltà oggettive intrinseche a progetti di così largo respiro abbiano in vari casi portato in primo piano iniziative più circoscritte e settoriali.

Se delle numerose iniziative censite nel 1984 e nel 1988 per conto della Scuola normale superiore di Pisa e del J.-P. Getty Trust di Los Angeles, e di quelle sostenute in ambito nazionale da leggi speciali di finanziamento (l. 28 febbr. 1986 nr. 41, l. 20 maggio 1988 nr. 160, l. 19 aprile 1990 nr. 84), poche sono state incrementate e mantenute attive, d'altra parte vari progetti di ampio respiro risultano ormai consolidati, come il Canadian Heritage Information Network, il sistema francese del Ministère de la culture et de la communication che gestisce le banche dati dell'Inventaire général du patrimoine, dei musei e del settore archeologico, il Marburger Index, nato dalla collaborazione tra il Bildarchiv Foto Marburg e una serie di musei tedeschi, il Sistema informativo per il Catalogo generale dei beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici italiani, in fase di attuazione.

Uno dei nodi fondamentali nell'utilizzazione dell'informatica è la necessaria conversione di linguaggio, metodi descrittivi e modalità di approccio propri dell'a., tradizionalmente liberi, sintetici e allusivi, non univoci e spesso legati a differenti scuole e metodologie; il mezzo informatico necessita viceversa di un profondo rigore concettuale e descrittivo, e tende a una frammentazione quanto più possibile capillare dell'informazione, altrimenti non indagabile. Uno sforzo spesso non indolore che, se pure attraverso difficoltà e resistenze, induce in modo sempre più evidente un nuovo atteggiamento metodologico disciplinare. Tale esigenza ha condotto alla realizzazione di strumenti, quali vocabolari normalizzati e più ampi repertori di termini collegati sulla base di affinità sinonimiche o di dipendenze gerarchiche, come thesauri multilingue. Un ruolo strategico è svolto in questo senso, a partire dal 1983, da The Getty Art History Information Program (AHIP), ora The Getty Information Institute, che collabora con molte istituzioni sia americane che europee attraverso progetti come The Union List of Artist Names (ULAN), The Thesaurus of Geographic Names (TGN) e The Art and Architecture Thesaurus (AAT), nel quale confluisce anche il progetto di un thesaurus multilingue del corredo ecclesiastico, scaturito dalla collaborazione con la Direction du patrimoine del Ministère de la culture et de la communication francese, con il Réseau canadien d'information sur le patrimoine e con l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione del Ministero per i Beni culturali e ambientali italiano.

Nella stessa direzione sono stati elaborati strumenti di supporto per l'uniformazione dei dati, come standard internazionali di descrizione delle opere, authority files, ovvero liste o repertori di riferimento per informazioni di carattere biografico o bibliografico, sistemi di controllo e quindi di unificazione di dati provenienti anche da fonti diverse. In tal senso istituzioni o comitati appositamente creati, come l'International Committee for Documentation (CIDOC) dell'International Council of Museums (ICOM), l'International Standard Organization (ISO), il Computerized Interchange of Museum Information (CIMI), il Digital Audio-Visual Council (DAVIC), lo Steering Committee del Consiglio d'Europa ecc., collaborano alla definizione di protocolli di conversione e di scambio dei dati.

Aspetto fondamentale e imprescindibile del nuovo approccio tecnologico nella storia dell'a. è l'acquisizione su supporto informatico delle immagini, che permette, oltre all'integrazione tra dati storico-archivistici e apparati iconografici, raffinate possibilità di ricerca e di gestione anche all'interno di ampie banche immagini. Varie sono le iniziative relative alla costituzione di archivi unificati di immagini, finalizzati a favorire l'accesso e la conoscenza del patrimonio artistico o museale di diversi paesi; operano in tale direzione progetti come Europart, Remote Access to Museum Archives (RAMA) o Multimedia Access to World Cultural Heritage, frutto della cooperazione europea. Anche in questo settore le grandi potenzialità offerte dall'impiego di tecnologie avanzate sono direttamente dipendenti dall'elaborazione di adeguati strumenti e standard di descrizione, di valore multilingue, necessari per es. al raggiungimento e all'identificazione dell'immagine attraverso diverse chiavi di ricerca e di lettura; in tal senso va citato il sistema di classificazione iconografica Iconclass, creato negli anni Settanta per l'ordinamento sistematico della fototeca dell'università di Leida e adottato in seguito a livello internazionale da diversi progetti di catalogazione automatizzata.

Nuove prospettive sono inoltre tracciate dalle diverse possibilità di elaborazione delle stesse immagini informatizzate. Da elaborazioni integrate di immagini e di dati scientifici nascono per es. ipotesi ricostruttive di luoghi o edifici distrutti o in rovina, come aree archeologiche o antichi monumenti, o di progetti architettonici inattuati, basate su disegni d'autore o su raffigurazioni, spesso incompleti o approssimativi, e quindi di per sé insufficienti a fornire un'idea organica e credibile dell'oggetto; realizzazioni che nella fase attuale trovano ampia diffusione in prodotti divulgativi, in applicazioni di realtà virtuale dirette al pubblico, ma che continuano a rappresentare uno stimolante strumento di ricerca. Fondamentale il contributo di tali metodiche nelle varie fasi della conservazione e del restauro, dalle procedure analitiche alla possibilità di riproduzione in copia dell'oggetto tridimensionale. Sperimentazioni innovative e promettenti riguardano inoltre progetti di elaborazione, selezione, confronto degli elementi linguistici o compositivi dell'opera d'a., rivolti a nuovi metodi di lettura dell'immagine, figurativa e non figurativa.

Lo sviluppo di supporti informatici agili e delle nuove possibilità di collegamento attraverso siti telematici, accanto all'evoluzione tecnologica nel settore, ha determinato un immediato riscontro nella produzione a fini commerciali, didattici o divulgativi. Connesso a questo tipo di prodotti è emerso il problema della tutela dei diritti della proprietà delle informazioni e delle immagini riprodotte, affrontato anche dalla Comunità Europea e che ha dato origine a iniziative come il progetto ESPRIT, IMPRIMATUR (Intellectual Multimedia Property Rights Model and Terminology for Universal Reference). Sono sempre più consistenti le basi di dati, gli archivi, i servizi disponibili per via telematica; sistemi di archiviazione di immagini per la fruizione e la ricerca on-line da parte di un utente remoto e per la gestione dell'attività di vendita sono utilizzati per es. da importanti collezioni fotografiche, accanto ai tradizionali cataloghi cartacei o su CD-ROM.

La necessità di approntare strumenti di conoscenza e di fruizione per il pubblico adeguati al nuovo approccio tecnologico alla materia ha determinato la realizzazione di prodotti multimediali, interattivi, basati su sistemi ipertestuali: mezzi di forte efficacia e capacità di coinvolgimento, e allo stesso tempo di impatto amichevole e di utilizzazione relativamente semplice. Di grande diffusione anche commerciale la produzione di CD tematici, relativi ad argomenti o luoghi di interesse artistico, a monografie di artisti, a cataloghi di musei o di mostre, mentre un notevole interesse riscuotono le diverse applicazioni di realtà virtuale, oggetto di avanzate sperimentazioni. Numerosi i prodotti di supporto locale, studiati per l'uso in musei, siti storici o edifici pubblici; postazioni informative, sistemi di guida portatili, gestibili secondo percorsi scelti dall'utente, sistemi interattivi di ricerca e documentazione.

Nel panorama attuale, se pure nell'ambito di un bilancio promettente e sostanzialmente positivo anche per la varietà delle iniziative e delle proposte, il rapporto tra l'informatica e le discipline storico-artistiche è ancora in parte da costruire. I risultati e i vantaggi ottimisticamente previsti dall'uso di tecnologie avanzate sono solo parzialmente raggiunti, mentre resta il forte problema di uno sfruttamento ottimale delle potenzialità offerte da strumenti e mezzi d'indagine, suscettibili di divenire esse stesse l'oggetto e il fine ultimo della ricerca e sottoposte inoltre al rischio di rimanere presto obsolete, proprio a causa della rapida evoluzione delle tecnologie.

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