Informale, arte

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

informale, arte

Stella Bottai

Oltre la forma

Dopo la Seconda guerra mondiale una profonda crisi distrugge la fiducia nell'arte e nei suoi linguaggi. Non solo la bellezza della forma sembra lontana e inutile, ma anche le esperienze delle avanguardie (cubismo, dadaismo) sembrano ormai superate. Inizia così una profonda ricerca da parte degli artisti di nuove strade per esprimersi, diverse da quelle precedenti. Un percorso che riparte dall'individuo, dal rapporto unico, speciale, del pittore con la sua opera, condiviso dagli scrittori e dagli intellettuali della corrente dell'esistenzialismo europeo

Si ricomincia dall'abc

Quando in Europa salgono al potere, dopo il 1920, le dittature che impongono leggi razziali e un'arte a servizio dello Stato, molti artisti e intellettuali fuggono negli Stati Uniti. Nel Nuovo Mondo trovano un terreno culturale fertile dove sviluppare le idee delle avanguardie di cui avevano fatto parte, grazie alle numerose gallerie, ai musei di arte moderna e agli aiuti economici stanziati dal governo.

Gli artisti emigrati (tra i primi l'armeno Arshile Gorky e il tedesco Hans Hoffmann) riescono a comunicare ai giovani americani la grande libertà di espressione conquistata dal cubismo, dall'espressionismo, dal dadaismo, dal surrealismo: la libertà di non rappresentare figure, di usare i colori in modo arbitrario, di allontanarsi dalla realtà, come se si azzerassero le regole della pittura fino ad allora date per acquisite. Si prepara così il terreno per la nascita dell'arte informale, uno tra i maggiori movimenti americani di avanguardia, esploso dopo la guerra.

Ma cosa vuol dire informale? Dipingere senza forma, cioè senza avere già l'opera in mente, ma improvvisando sull'onda delle emozioni con una spontaneità mai vista, senza figure riconoscibili, senza prospettiva né geometria; e soprattutto lasciare che colori e materiali diventino i veri protagonisti sulla tela. È un momento importante nella storia dell'arte, perché l'artista segue solo il suo istinto, completamente autonomo dai giudizi della critica e del pubblico. L'informale è un vasto movimento, che si divide in tre gruppi: gestuale, materico e segnico.

L'informale gestuale: in piedi sulla tela

Il gruppo gestuale ha come protagonista l'americano Jackson Pollock. Ricordando l'insegnamento dei dadaisti (l'artista rinuncia a 'controllare' il risultato del suo lavoro), ma anche il vitalismo di Picasso, Pollock presta grande attenzione al momento della creazione dell'opera, sperimentando nuovi metodi. Un giorno, in cerca di ispirazione, stende una grande tela sul pavimento e inizia a muoversi intorno a essa, e dentro di essa, con i suoi pennelli. La sua sembra una danza da cui scaturiscono gesti veloci e istintivi, non controllati, come aveva visto fare sulla sabbia dai Pellirosse dell'America occidentale. Oppure vi fa oscillare sopra un barattolo di vernice pieno di buchi: le gocce di colore (la tecnica si chiama dripping, cioè "sgocciolamento") prendono posto nel quadro come se il vero autore non fosse Pollock ma il caso, l'improvvisazione. Le sue opere nascono così, in maniera insolita, cariche di suggestioni emotive molto forti. Va detto che artisti come lui hanno potuto emergere e continuare la propria attività grazie ad alcuni mecenati, come la ricca ed estrosa americana Peggy Guggenheim, la cui importante collezione è conservata a Venezia. In Europa, tra gli artisti dell'informale gestuale ricordiamo l'italiano Emilio Vedova, che dipinge su vaste superfici assemblate come piccoli ambienti, e il francese Georges Mathieu, che ha operato anche nel teatro e nel cinema.

L'informale materico: sacchi di tela e plastica colorata

Una caratteristica dell'informale, oltre all'invenzione di nuove tecniche, è l'uso di materiali inediti, considerati dagli artisti i veri protagonisti delle opere. Prendiamo l'esempio dell'italiano Alberto Burri. Egli ritaglia e incolla sulla tela i sacchi di iuta con cui arrivavano in Italia, durante la guerra, le provviste portate dai soldati americani. Usa materiali mai visti prima in un'opera d'arte, come la plastica e il catrame, che l'artista non lascia però inermi: Burri rattoppa i sacchi, brucia la plastica e il legno con la fiamma ossidrica, come se volesse aggredire il quadro. In realtà egli vuole 'costruire' un'opera lasciando parlare le forme, i colori, la consistenza dei diversi materiali, molti dei quali sono legati a precisi ricordi della sua vita.

In Francia un'esperienza simile è vissuta dagli artisti Jean Fautrier e Jean Dubuffet. Il primo dipinge le serie degli Ostaggi, un drammatico ricordo della guerra, stendendo tanti strati di colore sulla tela in modo da formare una pasta alta che faceva assomigliare i dipinti alle sculture; il secondo è attratto invece dall'art brut, ovvero l'arte spontanea, immediata, come quella che avrebbero potuto fare nella loro innocenza i bambini o i malati mentali.

L'informale fatto di piccoli e grandi segni

Un quadro informale può essere segnico, cioè costituito solo da segni, piccoli o grandi, a volte mischiati a disegni. L'artista scrive sulla tela come su un foglio di carta, ma non segue l'ordine di scrittura convenzionalmente usato: i segni si spargono sulla superficie e ne risulta un quadro brulicante di piccoli tocchi di colore o di inchiostro, come un percorso in un mondo misterioso, in una fiaba, come un alfabeto indecifrabile. Ne sono importanti esponenti il tedesco Wols (pseudonimo di Alfred Otto Wolfgang Schulze), che dipinge l'esperienza vissuta in prima persona nei campi di concentramento; l'americano Cy Twombly, che lavora a lungo a Roma con artisti italiani, e l'italiano Giuseppe Capogrossi, di cui sono celebri i grandi segni ripetuti tante volte, che ricordano dei pettini rudimentali. In queste opere è facile intravedere la presenza di simboli religiosi molto antichi, come i totem: segni che ci affascinano per il mistero che li avvolge, anche se non sempre ne comprendiamo in pieno il messaggio.

Uno spazio continuo

Un altro limite superato dalla pittura informale è l'idea di spazio in pittura. Lucio Fontana (artista argentino ma di origine italiana) esplora la possibilità di dare a questo linguaggio la terza dimensione, la profondità o, addirittura, di mostrare che il quadro continua oltre la sua superficie ritagliata e incorniciata, estendendosi nello spazio come fosse infinito. In risposta, Fontana decide di fare un gesto molto semplice ma provocatorio in quegli anni: prende una piccola lama e incide un taglio al centro della tela colorata, per suggerire che lo spazio non si ferma sulla superficie dell'opera, ma la attraversa per continuare il suo viaggio. I tagli di Fontana, insieme ai celebri buchi, sono quindi dei gesti che liberano lo spazio, imprigionato da secoli nella sua tecnica di rappresentazione, la prospettiva.

Tante culture nell'arte di Pollock

Molte delle nuove soluzioni adottate dall'arte informale sono frutto di stimoli provenienti da culture antiche e da costumi moderni. I quadri di Jackson Pollock, con il loro caos di colori e segni, sono esemplari in questo senso, perché attingono sia dall'Oriente sia dall'Occidente: la pittura in piedi, per esempio, sembra che fosse già praticata dagli artisti cinesi, mentre siamo certi del fatto che l'artista conoscesse la danza sulla sabbia praticata a fini magici dai Pellirosse dell'America occidentale. Formatosi con artisti del Messico (i muralisti David A. Siqueiros e José C. Orozco), Pollock conosce anche l'arte degli Aztechi e dei Maya, da cui è attratto per i complessi simbolismi e per la loro visione del cosmo. Infine, ma non meno importante, è l'influenza che Pollock riceve dal jazz, la musica in voga in quegli anni: i musicisti jazz che improvvisano durante le loro esecuzioni hanno fatto conoscere agli artisti un nuovo modo di lavorare, senza schemi predefiniti e basato sull'ispirazione del momento.

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