EGIZIANA, Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

Vedi EGIZIANA, Arte dell'anno: 1960 - 1994

EGIZIANA, Arte

S. Donadoni

i. - Caratteri generali (v. anche voci egittologia; cronologia, vol. ii, p. 956 ss.; egitto, provincia romana). - L'arte dell'Egitto antico ci è nota solo dalla esperienza archeologica diretta. Le costruzioni conservateci attraverso i millenni, i monumenti che gli scavi dell'ultimo secolo hanno messo in luce non sono interpretabili alla luce di una tradizione letteraria che indichi nomi di autori, problemi che essi si sian posti, poetiche in cui essi abbiano espresso i loro ideali, valutazioni antiche che contengano una prima impostazione critica la quale, se non il valore artistico dei varî monumenti, ci permetta di valutare le esigenze e gli ideali di certa cultura figurativa. L'estrema abbondanza dei trovamenti sopperisce in qualche modo a questa mancanza: la storia dell'arte egiziana non porterà nomi proprî e i sovrani si assumeranno la responsabilità di ispiratori del gusto figurativo dell'epoca di cui essi siano eponimi. Si tenga presente che quando si parla della scultura e dell'architettura, poniamo, di Amenophis III, la definizione ha latitudine analoga a quella che attribuisse a Lorenzo dei Medici la pittura di un Botticelli o a Pericle il Partenone. L'importanza della monarchia come elemento di coordinazione cronologica si basa anche su un'altra considerazione. Per tutta l'epoca storica l'Egitto è un paese che tende ad una accentuata unità politica, e, poiché tale unità diviene il fulcro della civiltà locale, anche le arti figurative tendono a costituirsi in una tradizione unitaria, che ha la sua sede geografica nella città di residenza della corte.

Parlare di arte memfita o di arte tebana significherà perciò non tanto l'alludere a prodotti artistici di scuole locali delle due città, ma a certe tradizioni auliche che hanno il loro centro nell'una o nell'altra città in quanto capitale del regno. Queste tradizioni sono quelle su cui è più facile e più sicuro basare la nostra ricostruzione della storia dell'arte egiziana; ma di continuo si ripresenta agli studiosi anche l'esigenza di una indagine che riconosca i caratteri di certi gusti locali e paesani, che non riescono in genere a costituirsi in tradizione autonoma, ma che inquinano la purezza della linea di sviluppo dell'arte aulica. Un inquinamento che è in realtà solo una vitale ripresa di contatto con esigenze in genere non formalistiche, che ripropongono alla cultura ufficiale una problematica ogni volta diversa e le permettono di continuare a vivere facendo suoi i problemi che confusamente la provincia sente rampollare. Questa impostazione della storia dell'arte egiziana come reazione degli interessi empirici e descrittivi dell'arte provinciale ("popolare") sulla tradizione classica dell'arte della capitale ("aulica") è, ovviamente, assai schematica: in parte per una semplificazione di formulazione, ma in parte anche - bisogna riconoscerlo - per immatura valutazione critica del materiale archeologico a nostra disposizione.

Un notevole aiuto nella ricostruzione della storia dell'arte egiziana è offerto dalla alta quantità di pezzi e di costruzioni datati con sicurezza. Il fatto che le opere d'arte non siano mai fine a se stesse, ma sempre abbiano una funzione o pratica o rituale, fa sì che assai spesso sian corredate da iscrizioni che ne determinano meglio il carattere. Di regola le statue egiziane rappresentano una definita persona: per meglio assicurare tale valore se ne scriverà il nome sulla base o in qualche posto ben visibile, e figurazioni dipinte o a rilievo ricordano specifici avvenimenti e si indicheranno i nomi dei personaggi, le frasi che essi pronunciano, il titolo della composizione. I templi porteranno iscrizioni di dedica, le tombe epigrafi che indichino a chi è dedicato il monumento. Una vastissima serie di pezzi porta così nomi di personaggi noti o di sovrani; e caratteristiche paleografiche o epigrafiche si possono impiegare anch'esse come indizî per la datazione. Se una serie abbastanza ampia di pezzi ha una cronologia certa, è sempre possibile affiancare a quelli esplicitamente datati gli altri monumenti stilisticamente o tecnicamente affini. Non bisogna, però, anche in questo caso dimenticare i casi eccezionali in cui ci si può imbattere. Per ragioni varie, le iscrizioni possono essere, ab antiquo, falsificate: la sostituzione di un nome proprio ad un altro su una statua può servire a mutarne praticamente lo scopo (o la personalità rituale); una iscrizione di un sovrano ritenuto per qualsiasi ragione illegittimo o nemico da un successore può essere mutilata da questo, che porrà il suo nome al posto di quello del rivale. Altrove il modello può avere tale influenza che caratteristiche stilistiche e tecniche siano assunte fuori dal loro ambiente storico, e (per gusto antiquario o per inconscia imitazione) nascono opere che escono dalla serie canonica e che pongono problemi critici particolari proprio per questo loro ispirarsi a modelli antichi. Si capisce così come in taluni casi si abbiano nella letteratura critica oscillazioni nella datazione di alcuni pezzi che sono paurose: le sfingi di Tanis (v.) passano dall'Antico Regno all'epoca degli Hyksos (circa sei-sette secoli), la testa Salt del Louvre ora è datata alla IV dinastia ora alla fine della XVIII (circa tredici secoli di differenza); una testa regia di Copenaghen è considerata talvolta opera della XII dinastia, talvolta dell'età tolemaica, talvolta dell'età delle piramidi. Il tempio di Qasr es-Sagha è talvolta attribuito all'Antico Regno, talvolta alla XII dinastia. Questi casi purtroppo non sono i soli. Si debbono a una esperienza ancora immatura, e basta ricordare quanto ancora poco tempo fa fosse possibile trovare confuse sculture arcaiche e arcaizzanti o sculture antiche e rifacimenti rinascimentali nell'ambito dell'archeologia classica, per essere indulgenti anche davanti a tali casi.

Il compito attuale dell'archeologia egiziana è una più ferma identificazione delle abitudini tecniche e delle tradizioni stilistiche. I due filoni hanno molto in comune, in quanto lo sviluppo delle tecniche manuali è connesso con i moduli stilistici che si vogliono perseguire. Fin dall'epoca preistorica gli Egiziani han dimestichezza con la pietra, che è veramente il loro mezzo espressivo ideale. Dal tenero calcare della catena arabica, sempre a portata di mano in ogni punto dell'Egitto, ai graniti della prima cateratta, agli schisti, agli alabastri, alle pietre più rare e più dure del deserto. Il trapano è in uso dalla più alta antichità e serve per lavorare - probabilmente con l'aiuto dello smeriglio - le pietre più resistenti. Scalpelli e bulini metallici sono conosciuti, e di abrasivi si fa ampio uso per lavorare graniti e altre pietre di particolare durezza. Le statue nei teneri e pastosi calcari di Tura (v.) sono di regola dipinte: ma la bellezza delle rocce che ci si procura a fatica è troppo sentita perché si osi celarla con pitture. Al massimo, si traccia qualche tocco di colore in qualche particolare. In pietra si hanno statuette preistoriche, che sostituiscono presto quelle di argilla; e va man mano sviluppandosi la capacità di scolpire statue di sempre maggiori dimensioni. Così l'Antico Regno ha la Sfinge di Gīzah (v.); il Nuovo Regno ha i colossi tebani di Amenophis III e di Ramesses II, nei quali il virtuosismo è elemento evidente di ispirazione. È notevole però come il trasferirsi da un ordine di grandezza a un altro non modifichi in genere molto sensibilmente l'impostazione figurativa. Cosicché riproduzioni fotografiche di statue egiziane assai di rado lasciano capire le dimensioni degli originali. Nei tempi più antichi la statua era scolpita direttamente nel blocco prescelto, su cui eran tracciati successivamente e sempre di nuovo i profili definitivi, che si raggiungevano lavorando torno torno e cavando ogni volta quel che era ancora di troppo nel blocco. In epoca più tarda (circa dall'età saitica) si usa invece un modello a grandezza, dal quale si traggono le misure per il trasferimento in pietra. Le due diverse tecniche (la prima delle quali lascia a ogni opera la sua individualità, mentre la seconda ha una scolastica premeditazione) sono assai significative di due diversi atteggiamenti. L'abitudine al lavoro della pietra per costruire utensili, vasi, statue, ha presto determinato la formazione di una scuola di tagliapietre capace di fornire materiale architettonico. Nell'età arcaica in pietra si rifiniscono gli edifici: soglie, stipiti, architravi di porte e lastre a protezione della parte inferiore del muro. Per il resto si adopera il mattone crudo di argilla, sabbia e paglia. Ma con la III dinastia si osa già costruire solo in pietra, sia pure con pietre tagliate spesso ognuna con un suo particolare carattere (non tagliate, cioè, secondo un formato standard). Assai frequente è anche l'uso della pietra come fondo della decorazione piana. Si tratta di rilievi che possono essere di due tipi: il fondo può essere tutto più basso del rilievo, oppure questo è circondato da un profondo tratto inciso, al di là del quale il fondo non è asportato. Le due tecniche si trovano entrambe fin dall'età più antica, ma di regola la prima è quella più volentieri usata; e anche quando la seconda diviene assai di moda, con il suo violento pittoricismo, essa tende a essere impiegata soprattutto nei rilievi destinati a essere illuminati direttamente dal sole, cioè quelli che decorano pareti esterne. Il rilievo è, in genere, assai accuratamente graduato in una serie di livelli diversi, e rifinito a bulino. Di regola esso è poi ravvivato da una ricca policromia.

I metalli in uso non sono molto numerosi. L'oro è assai presto usato e l'argento è assai apprezzato. Del primo si sanno tirare fili e foglie sottilissime, che possono essere usate anche per vere e proprie dorature. In genere l'oro si lavora battendolo con martelli senza manico, e serve a confezionare gioielli di vario genere. Ma oggetti d'apparato non debbono essere stati infrequenti, anche se in genere sono andati persi nella caccia che è stata data loro per secoli. Il rame è in genere usato in lega con lo stagno a costituire bronzi di varia composizione. Esso può essere impiegato in lamine martellate, che son saldate fra loro per mezzo di chiodi (così nella grande statua di Pepi della VI dinastia) e può essere fuso in blocchi massicci (specie se nel caso di piccoli oggetti, quali statuette o amuleti) mentre in epoca più tarda è nota la fusione a cera perduta. L'Antico Regno sa già inserire smalti e pietre semi-preziose; nel Nuovo Regno sono frequenti i nielli.

Un materiale particolarmente gradito e abilmente usato è il legno. Oltre che per normali usi domestici, esso è impiegato in mobili di raffinata costruzione. Naturalmente è in pratica ignorato l'uso di chiodi metallici, ché i cavicchi sono il normale sistema di giuntura. Volentieri in legno si scolpiscono statue, che di regola constano anch'esse di varie parti raccordate. Le fibre tenaci di questo materiale garantiscono contro una fragilità che gli Egiziani hanno spesso temuto nella pietra: sarà possibile così che in legno si tentino degli atteggiamenti più liberi, che si lascino dei vuoti non permessi nella statuaria in pietra. In genere il legno è coperto da un sottile strato di gesso, su cui si depone il colore. Non è rarissimo che alle statue di legno si aggiungano vesti o, comunque, elementi di abbigliamento: segni tutti di una maggiore confidenza, direi, con queste opere che non con quelle più solenni in pietra. Anche fra i legni alcuni più preziosi, come l'ebano, sono trattati con più interesse, e fanno a meno dello strato di stucco e della coloritura.

Particolarmente importante, per le arti minori, l'abilità nel trattamento degli avorî e degli ossi (spesso usati nella suppellettile domestica) e degli smalti e paste vitree, conosciuti da epoca predinastica, e che son stati sempre assai popolari. I colori più usati sono il bianco, il giallo, l'azzurro, il viola, il verde (che talvolta deriva da un mutamento di un originario azzurro). Gli smalti sono in genere stesi su un nocciolo di terra refrattaria e non di argilla: cosicché il termine di "ceramica" è in verità improprio, e gli oggetti smaltati sono in genere assai fragili per la consistenza piuttosto sabbiosa dell'interno. Con il Nuovo Regno diviene frequente l'uso della pasta vitrea; ma di vetri soffiati sembra non si abbiano esempi fino all'età romana.

Come certe tecniche traversano, con diversi accorgimenti ma fondamentalmente analoghe se non uguali, tutto lo sviluppo dell'arte egiziana, così certe abitudini espressive restano molto simili a se stesse per tutta la storia egiziana. Sono le regole di una lingua, che mantengono la loro unità anche se volta a volta muta quello che si dice. Il modo di rendere la natura obbedisce a certe convenzioni che non limitano la possibilità di originalità di chi le impiega, ma che debbono essere tenute presenti dallo spettatore che non voglia esser traviato nel suo giudizio. Dire che problemi prospettici non esistono per gli Egiziani non sarebbe corretto; ma la prospettiva di cui si servivano comporta soluzioni diverse da quelle della prospettiva scientifica. Nei tempi più antichi lo spazio vien diviso in una serie di strisce successive, entro ognuna delle quali sono immaginati allineati i personaggi e gli oggetti: è uno spazio che non "comprende", ma che serve semplicemente come elemento per una misurazione di distanza dallo spettatore, e con misure da esprimersi solo in numeri interi. Sistemati così gli oggetti della rappresentazione su un certo numero di piani paralleli, essi si possono riprodurre in una parete piana ponendoli convenzionalmente l'uno sull'altro in una serie di registri, dei quali il più basso è immaginato il più vicino, il più alto, il più lontano. Questa razionalistica semplificazione comincia, dopo la fine dell'Antico Regno, a intorbidarsi: vi son figure che passano da un registro all'altro, e - infine - con il Nuovo Regno maturo, la divisione in registri cade, e la prospettiva conquista il senso della infinità di punti di cui è composto lo spazio, e di quanto sia fittizio voler distribuire gli oggetti a cadenze uguali; ma in questa scoperta dello spazio come "direzione" (avanti-dietro, destra-sinistra) perde il senso della necessità di un punto di vista unico: la prospettiva egiziana del Nuovo Regno è multipla, e segue, come se le vedesse dall'alto e contemporaneamente tutte alla stessa distanza, le singole figure, di cui è solo notato il rapporto delle une rispetto alle altre e non rispetto all'osservatore.

Questa esperienza, per noi inconsueta, è complicata dal fatto che la figurazione dei singoli soggetti obbedisce a una regola generale che vuole che di ogni cosa si rappresenti l'aspetto più caratteristico e che, per quanto è possibile, non si riproduca ciò che appare, ma ciò che è. Una tavola che ha un angolo di 90° non potrà per ragioni prospettiche figurare con angoli alternativamente ottusi ed acuti come per noi; se la soma dell'asino è tale che consta di due sacchi, uno a destra l'altro a sinistra, non si potrà rappresentarne solo uno per il fatto che l'asino è raffigurato di profilo. E, d'altra parte, nella figura umana è più caratteristico il naso se di profilo, gli occhi se di fronte, il busto se di fronte, le gambe se di profilo: andrà dunque disegnata secondo questi punti di vista diversi per dare il massimo di chiarezza. Si tratta, come si vede, di criteri fondamentalmente logici e non figurativi: la vera capacità dell'artista starà nel piegare questi schemi razionalistici a fondamento di una realtà di composizione che sarà invece la depositaria della ispirazione più strettamente artistica. Anche nella statuaria esistono elementi di tradizione che rappresentano una convenzione, se così vogliamo chiamare un dato sentito come ovvio da tutta una civiltà. La "frontalità", intesa nel senso più banale, è una costante che certo ha molte eccezioni in Egitto, ma che dà anche un elemento comune a infinite statue. Significa, spesso, solamente che la tridimensionalità della statua è sentita come un dato di fatto, che non ha bisogno di essere sottolineato drammaticamente. La frontalità egiziana, in effetti, è subito compromessa dal fatto che la salda cubatura della statua non solo permette, ma vuole un accento secondario sulla visione laterale. Tanto che, per la frontalità egiziana, si è piuttosto parlato di una impossibilità di visione di sbieco, piuttosto che laterale. E anche questa è formulazione in realtà assai estrinseca. Queste premesse vanno tenute presenti da chi si voglia volgere a un esame più strettamente storico dei varî momenti dell'arte egiziana.

ii. - La preistoria. - I più antichi manufatti che si abbiano dalla Valle del Nilo risalgono all'Età Paleolitica. Ma tanto questi, che quelli neolitici, son meglio studiati da specialisti di preistoria in generale, e si può dire che assai di rado in Egitto arrivino a manifestazioni artistiche. Si tratta piuttosto di elementi da cui si possono trarre deduzioni circa l'organizzazione sociale e politica, in taluni casi forse riaccostabili a dati della tradizione religiosa. Del Neolitico sono testimoniate varie culture, che forse dagli specialisti sono state anche troppo minutamente differenziate. Sembra comunque che si possa intravedere una grande divisione in culture alto-egiziane e culture basso-egiziane, apparentate alle culture nubiane le prime, a quelle libiche le seconde.

Le civiltà che cominciano a offrire resti più notevoli sono quelle eneolitiche (che, a rigore, proseguono in Egitto fino in epoca storica). La più antica prende nome dalla stazione di el-Badarī; (v.), dove il rame è solo eccezionalmente usato, ma dove un interesse per la decorazione della terracotta è assai evidente, e dove si hanno i primi esempî di scultura, in statuette femminili con chiaro senso di plasticità. La più importante sede eneolitica è comunque Naqādah (v.), che dà spesso nome all'intero periodo. La ricchezza della necropoli, e il suo essere restata in uso per lunghissimo tempo, hanno permesso agli studiosi di costituire delle serie tipologiche, la cui evoluzione può essere seguita e che consente una scala di date di sequenza (suite dates), e cioè il cardine di una cronologia relativa. Se non si potrà dire a che anno (o a che secolo) risalga un certo tipo di oggetto, si potrà però dire che è anteriore o posteriore ad altri tipi. Il complesso della suppellettile si spartisce in due grandi gruppi, la "prima" e la "seconda" civiltà. Particolarmente importanti, per questa tipizzazione, i prodotti vascolari: la "prima civiltà" ha vasi rossi con decorazioni in bianco, in cui i pieni sono rappresentati da un graticcio di linee (cross-lined pottery). Forme preferite sono la scodella, il vaso cilindrico con bocca slargata e lieve strozzatura al collo, il vaso globulare. Non mancano vasi teriomorfi. La decorazione ha motivi geometrici, figure di animali (spesso acquatici: ippopotami, coccodrilli), e talvolta figure umane. La "seconda civiltà" ha forme tettonicamente più mature, e anse, in genere assai in alto sul corpo del vaso, che constano di applicazioni di argilla a forme ondulate. La pittura è volentieri in rosso scuro o in nero-marrone. È bene notare il carattere di comodo di tutti i termini cronologici impiegati, che valgono - nella migliore delle ipotesi - solo per Naqādah, e possono perciò rappresentare solo il momento in cui a tale centro giungono mode o tecniche che altrove possono essere più antiche. Così la "seconda civiltà" è, sembra, una cultura basso-egiziana che a un certo momento soppianta, in Alto Egitto, la cultura indigena ("prima civiltà") la quale prosegue il suo sviluppo in Nubia (v. kubaniyah). Quale che sia il valore storico di questa "seconda civiltà", i suoi prodotti mostrano una assai più larga coscienza di problemi figurativi. Statuette di varie materie sono abbastanza numerose. Non testimoniano, come è normale, di una unica mentalità; ma, in genere, insistono su alcuni elementi caratteristici della figura (un toro, così, è soprattutto un paio di corna; della figura femminile si sottolineano i fianchi) e tende a stilizzare e trascurare il rimanente. "Caratteristico" può essere un gesto: così una danzatrice dovrà alzare le braccia e snodare il corpo, una prigioniera avrà le braccia (òrnate di pesanti bracciali) legate dietro il dorso: si esclude così ogni obbligo di rispetto per certi schemi compositivi, e quel che più si cura è che l'essere rappresentato abbia il massimo di vita, al di fuori di ogni convenzione stilistica.

L'arte di questo periodo si conclude con un gruppo di monumenti contemporanei a quell'epoca in cui l'Egitto trovò sanguinosamente la sua unità politica. Dalla capitale dell'Alto Egitto, Hierakonpolis (v.) prese le mosse questo ambizioso progetto, che è concepibile solo in un clima aperto a nuove esperienze, come frutto di una cultura che si pone mete ancor più nuove per quel tempo di quanto non potesse essere l'impero universale per un Alessandro. Questa civiltà ha lasciato i più bei monumenti predinastici. Spesso, nelle tavolozze (v.) è la descrizione dell'epopea che si andava vivendo, narrata in pittografie ora simboliche, ora realistiche. Certe rappresentazioni rasentano quasi la scrittura, sia pur geroglifica; altre mostrano una acuta osservazione della realtà, altre sottolineano gli elementi più importanti delle figure e delle scene. C'è, sempre, un gusto narrativo che unisce tutte queste diverse esperienze e dà loro un denominatore comune. È questo ciò che fa di queste opere la continuazione della più antica tradizione, così interessata al reale in quanto esplicito richiamo a un modello che nella figurazione è rispecchiato nella sua essenza più vera. In questo "predinastico tardo" è sensibile l'influenza del mondo e della cultura mesopotamica: lo schema delle figure ferme affrontate con un personaggio umano centrale si propone all'attenzione egiziana. Ma non è senza significato che questo motivo, di così piana e facile composizione, non attecchisca in Egitto dopo quest'epoca: la distribuzione delle figure, fin da ora, è retta da assai più complessi equilibrî, e fin da ora la simmetria è evitata dagli Egiziani. I monumenti più importanti di questo periodo sono le "tavolozze" (v.). I rilievi della più recente di esse raffigurano il primo re storico d'Egitto.

iii. - L'età arcaica. - Con la raggiunta unità politica la cultura egiziana si trova a dovere affrontare nuovi problemi. Delle molteplici esperienze locali si tende a dar valore canonico ad alcune che siano di valore eguale per tutto il paese. La cultura egiziana tende da ora a livellarsi, sotto la spinta del livellamento politico. Più che a far sorgere una scuola con caratteristiche di stile unitario, questa esigenza porta ora a costituire una tipologia che, nelle linee generali, varrà per tutta la successiva storia egiziana. Nasce ora la figura del re abbigliato secondo un certo costume; nasce ora la figurazione del defunto davanti alla tavola d'offerta; nasce ora la scena del faraone che uccide un nemico tenendolo per i capelli ed alzando con l'altra mano una mazza; nasce ora la statua seduta in trono, la statua virile stante che avanza un piede, e così via. Da un regno all'altro, per le tre prime dinastie il mutamento e l'arricchirsi di esperienze è così sensibile come - si può dire - non sarà mai più per il resto della storia egiziana: perciò singoli particolari mutano. Ma resta costante per questo periodo questa tendenza a fornire soluzioni tipologiche che servano per tutto il paese, che rispecchino nel loro valore di volgata l'esperimento unitario politico. D'altronde in questo periodo lo svilupparsi dell'uso e delle possibilità della scrittura in geroglifici tende a semplificare il valore pittografico della figurazione piana: le scene son commentate da un testo che le spiega (e che quasi sempre ci è incomprensibile) e perciò le scarica dalla responsabilità di dover tutto dire figurativamente. Si potrà anche per questa via arrivare a una tipologia di uso corrente e generale.

Il numero di opere di primo piano che risalgono a questo tempo è infinitamente maggiore di quel che abbiamo per i periodi precedenti. Nella statuaria ci sono molti pezzi di piccole dimensioni e di materia facilmente plasmabile (argilla) che continuano, accentuandola, la vivacità narrativa più antica, ricca di trovate puntuali; ma nella scultura in pietra, preparata tecnicamente da una lunga tradizione di artigianato specializzato nella preparazione di suppellettile litica, questo estro momentaneo non è consentito dalla tecnica stessa e dalla novità dell'impegno. Sono opere in cui però si mantiene il vecchio gusto della tipizzazione narrativa attraverso specifici particolari: i leoni mostrano i denti a ricordare la loro ferocia (non lo faranno più nell'epoca classica), le figure umane hanno un corpo appena sgrossato e si insiste sulla testa, che è l'elemento di vita della figurazione. È in questo gusto realistico il residuo delle più antiche culture, in confronto alla novità dell'impostazione tipologica.

Nell'architettura non possiamo scoprir grandi differenze, per gli scarsissimi resti. Ma nelle tombe una cosa va facendosi sempre più importante: la differenziazione della tomba regale da quelle dei privati. Mentre la prima sfocerà nella piramide (v.), la seconda avrà come forma tipica la mastaba (v.): anche qui usi funerarî più antichi sono livellati e le tombe tendono ad assumere forme tipiche. Ma anche nell'architettura resta un interesse allusivo, contropartita del realismo della scultura. Le costruzioni funerarie in mattoni hanno due fessure dalla parte della testa del morto. Esse non danno nella camera funeraria; eppure attraverso esse il morto può guardare. Quando, alla fine della III dinastia, si avrà il più maturo complesso architettonico di questa civiltà, la piramide a gradini di Saqqārah (v.), la pietra imiterà le strutture lignee, e ogni edificio sarà copia, costruita per l'eternità, di altri edifici in materia deperibile. L'organicità autonoma della statua, della figurazione piana, dell'architettura non è sentita: si tratta in ogni caso di un sostituto quasi magico di un modello, alle cui regole di esistenza bisogna rifarsi per capire la regola di esistenza del manufatto e della costruzione. Così la statua del defunto è pensata come un altro suo corpo - come una realtà empirica - ma non come l'oggetto di una esperienza che ha regole diverse da quelle del mondo quotidiano.

iv. - L'età memfita (2600-2200 a. C.). - Lo stesso consolidarsi di una tipologia, che abbiamo visto come caratteristica del periodo arcaico, comporta una liberazione dell'artista dall'obbligo di "inventare" materialmente la sua opera. Gli pone, d'altra parte, un continuo modello di cui cogliere il carattere. Ci son qui le premesse per il costituirsi di una tradizione formale, che non si può dire fosse mancata neanche in epoca più antica. Mentre prima, però, tale elemento formalistico non aveva costituito il cardine della tradizione, la IV dinastia imposta su un polemico rifiuto degli elementi narrativi tutta la sua civiltà figurativa. Si ha un improvviso semplificarsi delle forme architettoniche: alle mastabe a nicchioni si sostituiscono mastabe a muri lisci, alle piramidi a scalini piramidi regolari, alle colonne scannellate pilastri (v.) a sezione quadrangolare, ai profili arcuati dei tetti architravi e cornicioni orizzontali. Tutta l'architettura del tempo, rappresentata fondamentalmente a Gīzah (v.), è ispirata alla geometria più semplice e severa, ai più chiari rapporti matematici. È un'arte estremamente lontana da ogni accondiscendenza al gusto tradizionale, che rispecchia con la sua aristocratica intellettualità il costituirsi di una nuova civiltà, imperniata sul carattere divino del sovrano, accentratore di ogni autorità e signore assoluto, che governa attraverso una ristrettissima cerchia di parenti. È proprio questo chiudersi della classe dirigente che permette questo crearsi di un nuovo e così difficile gusto figurativo. Ma certo, nella cultura egiziana, già dalla III dinastia era subentrato un gusto razionalistico che può anch'esso esser responsabile in parte di questo decantarsi della cultura figurativa a cultura formale. Come si svalutano gli elementi pittoreschi (e tipizzanti) nell'architettura, e le esperienze inficiate di ritualismo, così nella scultura muta profondamente il modo di raffigurare la figura umana. L'interesse non è più concentrato nel capo e nel volto, e di conseguenza tutto il corpo viene ristudiato nel suo articolarsi in membra, che ne son quasi sottomultipli strutturali se non organici. Il maggiore studio dell'anatomia non è un arricchirsi di esperienze naturalistiche, ma solo un più equanime interesse per le varie parti di cui è composto il tutto. Così, per converso, i troni che sono accuratamente decorati e raffigurati nelle loro particolarità nella statuaria arcaica, in quanto segno che il personaggio rappresentato è di tale importanza che non siede per terra, sono ora spesso figurati semplicemente come cubi o parallelepipedi. Gli esempî di questo gusto sono numerosi, anche se non numerosissimi: e si capisce, ché un'arte così interessata a mettere in valore strutture geometriche e rapporti matematici non arriverà mai a esser popolare, se non attraverso semplificazioni estremamente povere. Le forme semplicissime dell'inizio della IV dinastia (il Khephren del Cairo, ad esempio, o le "teste di ricambio" di alcune tombe a Gīzah) presto cercano di applicarsi a risolvere problemi più complessi. Nascono i gruppi, in cui c'è un rapporto fra varie figure in una unità strutturale; nasce una tipologia più ricca, capace di interessarsi a particolari descrittivi, che son tradotti nella nuova e ormai adulta lingua figurativa: si pensi allo Scriba del Louvre, in cui gli elementi naturalistici son tutti divenuti condizione stessa della idealizzazione stilistica. Ma se si vedono opere più tarde, dalla VI dinastia è possibile osservare uno stancarsi della fantasia compositiva, e un rifiorire di interessi di contenuto: è il naturale tornare in primo piano del fondo popolaresco, realista e descrittivo, che sempre, in provincia, è riuscito a tener testa al rigore dell'arte aulica e che con lo sgretolarsi dell'unità autocratica dello stato più facilmente soppianta lo stile strettamente cortigiano.

La storia del rilievo murale ripete simili vie. Con il diffondersi dell'uso di sepolture ricche (v. mastaba), un sempre maggior numero di vani è ricavato nel corpo di tali edifici, originariamente privi di interno. Scopo di tali vani è fondamentalmente quello di mettere a disposizione dei decoratori pareti su cui scolpire scene della vita quotidiana che garantiscano al defunto una magica sopravvivenza del mondo dal quale egli traeva i mezzi di sussistenza e in mezzo al quale esercitava la sua autorità. L'origine sacrale di tali figurazioni comporta varî punti interessanti: l'obbligo di non sfuggire nel generico, per esempio. Le persone raffigurate sono in genere ben identificate, si sa quel che stan facendo, spesso si indica quel che dicono. Il "ritratto" è anche qui essenziale, anche se la identificazione può essere ottenuta non solo imitando i tratti del volto o del corpo, ma anche aggiungendo semplicemente un nome che indichi chi è raffigurato. Si costituisce presto una lista di soggetti e di scene: a pochi personaggi in vigoroso rilievo prima, con sempre maggior numero di figure e sempre maggior gusto aneddotico in seguito. La composizione, che all'inizio è assai semplice e gioca solo su ritmi estremamente severi, si fa sempre più colloquiale verso la fine dell'Antico Regno, e in alcuni casi gioca su una sintassi assai esplicita, in altri si abbandona al puro e semplice gusto del racconto, riferendo fino lo scherzo o l'insolenza o il complimento che un personaggio indirizza all'altro. La pittografia originaria fa di nuovo sentire la sua influenza.

v. - L'età feudale (2200-2052 a. C.). - La tensione fra la tradizione popolaresca arcaica e il gusto formalistico aulico, che gioca con equilibrio sempre rinnovato per tutta l'età memfita, rappresenta in realtà un equilibrio di tutta la civiltà egiziana fra la tendenza unitaria ed accentratrice che politicamente si manifesta nella monarchia assoluta e le forze centrifughe che si appoggiano alle tradizioni locali (praticamente alla nobiltà ed al clero provinciale). Con il crollo politico del potere unitario e l'inizio di un'epoca feudale, le premesse per il formalismo classicista cadono, e le forze più spontanee si possono manifestare in piena libertà. È un vero spezzarsi della tradizione e un frantumarsi in una serie di esperienze momentanee, diverse l'una dall'altra, del retaggio dell'età memfita. Il gusto più francamente descrittivo prevale, e ogni artista cerca di manifestare al di fuori di ogni tecnica espressiva tradizionale quel che ha da dire. Nel complesso è una esperienza assai misera, che non sa più ritrovare la freschezza originale di chi per la prima volta si ponga un problema espressivo, e che mutua dalla tradizione memfita schemi dei quali non sente più il valore. C'è uno sfondo di povertà anche economica, nella necessità di adoperare materiali a buon mercato per produzioni che comportino il minor tempo lavorativo possibile. Sono statuette lignee, modellini di terracotta; e sono pitture, assai più rapide che non il rilievo su calcare. In questo tono sciatto e cursorio, però, di tanto in tanto possono nascere immagini assai più rapide e vive di quanto non fosse possibile nella compassata arte memfita: solo che una tradizione in questo senso è impossibile, ché manca il connettivo di una costante lingua formale comune la quale consciamente interpreti queste aspirazioni di vitalità immediata. È questa l'epoca della provincia, che disordinatamente esprime le sue confuse aspirazioni di realismo.

vi. - Il Medio Regno (2052-1778 a. C.). - Quando, con il ricostituirsi di una unità politica con la XI e con la XII dinastia, la vita provinciale è di nuovo in funzione di una più larga vita nazionale, il disordine, l'improvvisazione dell'arte figurativa sono sentiti come un elemento di inferiorità. Si ricerca di nuovo la saldezza di una lingua comune: Memfi si presenta come ideale di compostezza e di nitore, e come simbolo di una civiltà che ha gravitato attorno alla corte regale. Quando la casa regnante si stabilisce in Basso Egitto, l'influenza dei modelli è tanto potente che in certe località (v. lisht) è assai difficile smistare il materiale più antico da quello di quest'epoca. Ma questa pedissequa imitazione non è naturalmente la norma costante, né la caratteristica vitale. L'aspirazione alla maturità stilistica d'altri tempi ridà agli artisti egiziani il senso di una classicità ritrovata, entro la quale debbono trasferire esperienze morali assai diverse, e maturate appunto durante l'epoca feudale. Il senso dell'individuo si è venuto a formare entro quella civiltà, cosicché le astrazioni geometriche che riportano le singole figure a forme eterne e fondamentalmente intellettuali non bastano più a esprimere una civiltà che ha maturato un suo senso della storia, che riconosce non più casi tipici e paradigmi, ma situazioni e persone e caratteri. Nella scultura, così, gli schemi memfiti possono anche essere conservati, ma diviene ora necessario di riviverli, di sottolineare l'organicità dei corpi, di fornire le membra di muscoli e di scheletro. Si ha così una plasticità che si manifesta in un accentuarsi dei problemi delle strutture che stanno sotto la superficie e che determinano una rappresentazione di masse non con suggerimenti di solidi geometrici ma con il richiamo a una esperienza viva della costruzione tridimensionale della anatomia. Si hanno le statue tutte macchiate di luci e ombre (l'unico mezzo figurativo per raggiunger lo scopo) in cui l'indagine del rapporto fra i piani della superficie e la struttura anatomica che li condiziona si manifesta in ritratti pieni di personalità. È naturale che pochi siano i capolavori, ma si può subito notare che la statuaria regia è quella che ha sentito di più la nuova problematica. E sembra che l'esigenza di rinnovamento derivi dall'Alto Egitto, dalla regione cioè da cui si ricostituisce l'unità egiziana e che meno aveva subito a suo tempo l'influenza del classicismo memfita. Qui esso ha potuto essere risentito, perciò, con molto maggiore originalità. Anche nell'architettura le piramidi dei re della XII dinastia a Lisht (v.), a Hawārah (v.) seguono senza molta convinzione e per amore di tradizionalismo politico, schemi memfiti. Nell'Alto Egitto, invece, si diffonde un gusto nuovo: sono le tombe rupestri di Benī Ḥasan (v.), di Bershah (v.), di Elefantina (v. assuan), in cui facciate a pilastri, camere in grotta hanno un preciso valore: sono ambienti immaginati per essere visitati, per essere visti dall'interno. Tutta l'architettura memfita si era soprattutto interessata a costruire blocchi geometrici di muratura: qui si ha una pianta assai mossa, che assume valore di protagonista della ispirazione architettonica. Il monumento funerario dei Mentḥotpe II e III a Deir el-Baḥrī (v.) è il più complesso esempio di questo gusto. Ma qualche generazione più tardi, il tempio di Medīnet Mādi (v.) con la sua logicità e semplicità mostra come si possa progredire su quella via. Numerose sono, in questo tempo, le testimonianze della pittura: Meir (v.), Bershah (v.), Benī Ḥasan (v.), hanno tombe a pareti decorate; e sarcofagi con scene dipinte e fregi di oggetti sono frequenti. Anche qui il gusto provinciale dell'età feudale è stato un fermento che ha profondamente modificato l'impostazione memfita. Il profilo tracciato con il pennello anziché con il bulino (ma a Meir sono rilievi) ha una facilità di sviluppo, una capacità di immediatezza ignota all'arte più antica. Il cromatismo è assai più vivo e vigile; la composizione non è legata a schemi di rendimento di uno spazio diviso rigidamente in registri; le figure cominciano a disporsi l'una dietro l'altra e non solo l'una accanto all'altra. C'è, in una parola, lo sciogliersi in una più quotidiana cadenza di discorso narrativo. Anche il rilievo muta di qualità: stacca le figure organicamente interpretate su uno sfondo neutro mentre, in antico, figure e sfondo erano in una correlazione e composizione sintattica unica.

È tutta un'arte meno raffinata, ma più sanguigna e radicata nella realtà: in cui alla fine si è raggiunta la sintesi fra le aspirazioni popolari di immediata rappresentazione realistica e la cultura formale della tradizione classica.

vii. - Il Nuovo Regno tebano (1778-1377 a. C.). - Un periodo di decadenza politica alla fine del Medio Regno coincise con uno spostamento di popoli in Asia che ebbe come punto di arrivo l'Egitto. Fu l'ondata degli Hyksos, gente di assai dubbia identificazione che, dopo breve soggiorno in Egitto, prese del resto caratteri egiziani. Tipico motivo decorativo dell'epoca Hyksos è l'uso della spirale su piccoli monumenti: motivo che spesso ha la funzione di riempire i vuoti della composizione. Anche gli Egiziani non avevano amato gli spazî vuoti: talvolta li avevano riempiti con geroglifici, commento scritto alla scena rappresentata; ma più spesso avevano costruito tutta la composizione in modo da riempire lo spazio a disposizione. Questa autonomia del particolare decorativo e il dinamismo intrinseco della spirale sono elementi forestieri all'arte egiziana e di ispirazione asiatica.

Quando l'Egitto si fu liberato dagli Hyksos, cominciò anche l'epoca dell'espansione imperiale in Siria. Si vede perciò cosa si fa in quel paese, se ne importano manufatti, e di manufatti consta in genere il tributo che le città di Siria pagano annualmente all'Egitto. Si può dire, in una parola, che l'arte egiziana del tempo sviluppa le possibilità della sua tradizione e non la tradisce, ma che tale sviluppo avviene sempre in cospetto di modelli siriaci. Questi non avevano forse la profondità di intuizione formale delle più belle cose egiziane; ma, espressioni di un'arte commerciale che doveva esser diffusa su tutti i mercati del tempo e in mezzo a culture assai diverse, avevano assimilato elementi disparati e li avevano composti con un gusto un po' frivolo, privo forse di una salda impostazione formale, ma piacevole e festoso, con uno spiccato tono da "arte minore". Questo brio compositivo, questa facilità di esprimersi entro moduli previsti, il vivo interesse artigianale, passano nell'Egitto del tempo. Specialmente nelle arti minori, naturalmente, che son quelle più legate alla moda e che più hanno bisogno - per prosperare - di un diffuso benessere, quale si ebbe in questo tempo in Egitto. È questa l'epoca d'oro di quest'arte quotidiana: le ceramiche smaltate riprendono forme vegetali, le statuette di legno, d'avorio, di metallo hanno una nervosa eleganza di contorno e visi di dolce e sorridente bellezza. I portaprofumi si presentano in mille forme, tutte imperniate su qualche "trovata" piena di grazia: antilopi dal profilo elegante, schiavetti che sorreggono a fatica recipienti più grandi di loro, fanciulle nude che suonano strumenti a corda o tamburelli, bagnanti che giocano con animali acquatici. Le materie sono scelte con cura, lavorate con estrema abilità, senza che essa mai venga ostentata. Prima d'ora, si può dire che le arti minori egiziane riprendessero le esperienze della grande arte senza assumere un tono speciale. Ora l'oggetto domestico, che deve rallegrare continuamente la vista di chi lo adopera, assume la sua piena autonomia. Questo garbo, questa cortesia passa anche alle opere d'arte più impegnative. La grande statuaria del tempo è attentissima a non varcare i limiti di questa urbana piacevolezza. La facilità dell'espressione, l'inopportunità del porre problemi di cui si debba scoprire la soluzione, l'interesse per la bellezza fisica, la cortesia del nascondere le difficoltà tecniche che si son dovute superare, sono norme che la grande statuaria prende proprio a prestito da quella minore. Ma senza che questo, naturalmente, possa esimerla dal mantenere vive e presenti quelle esperienze formali della tradizione più antica che le possano dare un prezioso ausilio e la necessaria impronta di classicità. Si giunge così a un gioco estremamente raffinato ed intellettuale, che nelle strutture classiche e tradizionali (le quali in molti casi sono apertamente sottolineate) insinua questi nuovi elementi di affabile grazia che si manifestano nella dolcezza dell'espressione, nella bellezza dei tratti minuti, nella cura dei particolari, nel rigore delle corrispondenze. Non è senza significato che la distanza che separa in quest'epoca i capolavori dalle opere dozzinali sia assai minore di quanto non fosse avvenuto nelle fasi precedenti. Lo stesso si può dire della pittura e del rilievo del tempo, dove è spesso facile vedere come vecchi schemi compositivi siano rinnovati per un alito di grazia e di giovinezza che rianima (e muta di valore), i vecchi partiti: anche qui il gusto quotidiano di eleganza è il fatto più caratteristico, e perciò si ha un più facile giocare sui profili, un più ricco e modulato cromatismo, una maggiore insistenza sui gesti e sulle figure più aggraziate.

Dove l'arte del tempo ha raggiunto un assai più complesso e saldo carattere è nell'architettura. Più che nelle tombe - per le quali si fa sempre più comune l'uso dell'ipogeo - nei templi si manifestano i nuovi caratteri: a Deir el-Baḥrī (v.), a Tebe (v.), nel distrutto tempio di Elefantina (v. assuan), ad Amada (v.), allo Speos Artemidos (v.), a Gurob (v.), a Medīnet Habu (v.), a Ṭōd (v.), sono costruzioni di chiara impostazione planimetrica, con elementi ben identificati e con uno spiccato gusto per la colonna quale elemento fondamentale della costruzione. Sono in genere così ravvivati gli schemi più antichi e si ottiene una leggerezza ignota all'epoca precedente (e anche a quella più tarda). Spesso è accuratamente studiato il paesaggio entro il quale l'edificio deve essere inquadrato (tipico l'esempio di Deir el-Baḥrī). Si rifugge d'altronde, anche in complessi così maestosi come il tempio di Luxor (v. tebe), da una ricerca del colossale: la "misura d'uomo" che era stata cara all'architettura del Medio Regno è ancora sentita come valida in questa epoca, che dall'architettura più antica dipende, del resto, assai chiaramente.

viii. - L'epoca di Tell el-Amārnah (1377-1318 a. C.). - Alla vivacità ed alla eleganza formale dell'arte della XVIII dinastia manca una problematica che abbia radici in una profonda esperienza etica. Molto spesso non è una diretta contemplazione della natura che offra il modello ad artisti, così dotti che preferiscono alludere ad esperienze culturali; non è una coerente concezione del mondo che si manifesta entro una definita esperienza figurativa. Lo stesso eclettismo che si può riscontrare, allude a una non ferma e unitaria fonte di ispirazione. Gli avvenimenti politici della fine della dinastia portano a un brusco distacco dalla tradizione politica e religiosa, a una improvvisa revisione degli atteggiamenti divenuti ormai abitudini, con un più approfondito senso morale. La corte lascia Tebe e va a stabilirsi in Medio Egitto, in una città nuova, costruita apposta per potere, fuori dai vecchi interessi, impiantare il nuovo mondo politico-religioso che il sovrano vagheggia: Akhetaton (Tell el-῾Amārnah, v.). Il senso politico del movimento tende a dare al sovrano un'autorità quale aveva avuto solo raramente fin nell'età memfita. Le conseguenze pratiche di questa rivalutazione della figura del re consistono fondamentalmente nel fatto che si svaluta la tradizione rispetto a quello che è l'immediato ed odierno re-dio. Non si scriverà più nella lingua aulica ma nella lingua di tutti i giorni, non ci si vanterà più della nobiltà della propria famiglia, ma del fatto di essere stati scelti personalmente dal re. Nelle arti figurative non ci sarà bisogno di adeguare la figura reale a un prototipo di maestà, ma bisognerà anzi raffigurare il re quale egli è, poiché è lui stesso il modello di tutto. Il gesto banale e quotidiano, quello drammatico, avran diritto ad esser ricordati ancor più che quello genericamente compassato e rituale, perché di questo re-dio son proprio questi gesti della vita che costituiscono la mitologia. In questa temperatura rivoluzionaria, in questo rinnovato amore per la realtà sentita di nuovo come fatto religioso, i vecchi schemi di eleganza tebana cadono. Nuovi artisti, probabilmente medio-egiziani, interpretano il nuovo momento; quanto è soluzione tradizionale non è più adoperabile per costoro, che hanno da riportare il senso della realtà quotidiana nell'empireo delle arti figurative tebane. È un linguaggio assai più rozzo e volgare - ma una lingua viva: la popolaresca aspirazione alla rappresentazione immediata e vivida, che si può far risalire alle esperienze predinastiche, e che sempre ha mantenuto una sua vitalità in provincia. Ma non è solo questo rinnovarsi di soggetti e di schemi compositivi: il gusto per la rappresentazione del movimento (che accoglie suggerimenti siriaci e forse addirittura minoici) porta più profondi e più coerenti mezzi di espressione: si insiste sul profilo, che non si snoda più fluido ed eguale, ma è intaccato, irregolare, inatteso. Si muovono le superfici delle statue con una vibrazione costante (assai diversa dalle luci e dalle ombre del Medio Regno, legate alla organicità della figura) che fan sì che ogni punto di vista comporti una visione totalmente diversa della statua. Lo studio di uno scultore è stato scoperto dagli scavi, abbandonato alla morte del re rivoluzionario; e di là provengono le cose più notevoli di quest'epoca, ricche di questo acuto senso della realtà personale e della vita, ottenuta attraverso il vibrare delle superfici.

L'architettura del tempo ci è assai poco conosciuta: i grandi complessi sono stati elevati rapidamente in terra cruda imbiancata a calce, o in pietra tagliata a piccoli blocchi: ma sono stati tutti egualmente distrutti con accanimento dopo il ritorno alla normalità. Da raffigurazioni, da edicole, da tombe è però possibile notare anche in questo campo quanto si sia innovato: le colonne si appesantiscono, si coprono di ornamenti, cessano di accentuare il loro carattere verticale per offrire piuttosto superfici curve a decorazioni che le coprano per intiero. È una civiltà pittorica, che non sente molto la struttura tettonica, ma vede ovunque la possibilità di instaurare giochi e contrasti di luci. Della pittura e del rilievo del tempo abbiamo documenti: anche qui il linguaggio è assai più sciolto ed eloquente, con un gusto per il gesto sottolineato, per la caratterizzazione di alcuni elementi rappresentativi a scapito di altri. Nella pittura la macchia di colore non ha più bisogno di contorni disegnati e raggiunge ormai spesso come regola quella leggerezza di tocco che prima d'ora si era raggiunta solo per caso.

La documentazione, che proviene in massima parte dal solo centro di Tell el-῾Amārnah, dà come caratteristica costante e generale di questa civiltà figurativa una ricerca di vita e di movimento ottenuta attraverso esperimenti luministici e pittorici.

ix. - L'età ramesside (1318-1165 a. C.). - La sconfitta sul piano politico e religioso dell'eresia amarniana non può significare anche un annullamento delle tendenze letterarie e figurative che avevano chiarito in questa occasione le esigenze di rinnovamento della cultura egiziana. Ma il ritorno alla tradizione smussa, anche, quel che c'era di troppo volutamente aggressivo a Tell el-῾Amārnah. L'equilibrio formale, la serenità dell'arte della XVIII dinastia si ripresentavano alla coscienza degli artisti come un ideale in cui si sommava l'esperienza di tutta la civiltà egiziana più antica e che non poteva perciò essere improvvisamente e completamente annullato. Questa incertezza di impostazione (gusto di rinnovamento e insieme rispetto della tradizione) è caratteristica del periodo immediatamente seguente al ritorno alla normalità: gli oggetti provenienti dalla tomba di Tutankhamon hanno un'eleganza tebana di vecchio stampo e un'apertura verso nuovi schemi, una capacità di accogliere nuovi particolari che testimoniano la più recente esperienza. Sethos I, nei rilievi di Abido (v.) e di Qurnah (v.) vorrebbe ritrovare la serena facilità dei tempi di Amenophis III: ma in molti particolari (di costume, di equilibrio compositivo) si rivelano esigenze nuove. Questa tendenza a un compromesso pratico fra vecchio e nuovo non dà, naturalmente, più che opere di interesse culturale; la sintesi fra la tradizione e la rivoluzione in una nuova civiltà figurativa si ha, grosso modo, durante il lungo regrio di Ramesses II. Il sovrano, che ha incoraggiato l'opera degli artisti e che certo ha anche fatto valere un suo gusto personale, non ha avuto paura del pittoricismo che era stato così fermamente enunciato a Tell el-῾Amārnah: l'arte figurativa del suo tempo sottolinea con ogni mezzo gli elementi luministici e, per ottenere nuovi effetti, è disposta a innovare arditamente nel campo della tipologia e della tecnica sia compositiva che più strettamente strumentale. L'enorme sforzo edilizio che l'Egitto ha sostenuto in questo momento ha mobilitato tutti gli artisti; e d'altra parte il fatto stesso che non si fosse ancora formata una tradizione aulica ha lasciato molte maggiori libertà ai singoli di quanto non fosse mai avvenuto prima nell'arte egiziana. C'è una convivenza di esperienze diverse, ben lontana dal caotico e primitivo individualismo dell'età feudale. Qui le voci, diverse l'una dall'altra, sono tutte alimentate però da elementi di una cultura unitaria, che costituisce come un largo connettivo alle interpretazioni individuali.

L'epoca di sviluppo di questa civiltà si può collocare fra Ramesses II e Ramesses III. Nell'architettura è l'epoca di costruzioni grandiose che in taluni casi si compiacciono chiaramente di curiosità strutturali: così il tempio ipogeo di Abu Simbel (v.) di Ramesses II, così l'ingresso del tempio di Ramesses III a Medīnet Habu (v.) che riprende motivi dell'architettura militare. Ma anche dove queste deviazioni dalla regola sono meno clamorose, il gusto ramesside è chiaramente identificabile in una ricerca di elementi che nascondono la logicità delle strutture, dando il massimo peso agli elementi decorativi e scenografici. Si può avere la immensità della ipostila di Karnak (v. tebe) dove le centinaia di colonne sono coperte di decorazioni pittoriche così come se fossero pareti murali; si possono avere le grandi decorazioni a rilievi storici del Ramesseo o di Medīnet Habu; si possono avere i pilastri affiancati a (e nascosti da) telamoni (non portanti, si noti bene), si possono avere statue colossali che occupano tutti gli intercolumnî dei cortili, svalutando l'ordinato snodarsi della sintassi delle strutture (v. abu simbel; herakleopolis; tebe). Si potranno avere intere città nella cui economia urbanistica giardini e laghetti sono altrettanto importanti quanto le costruzioni (v. tanis). Pochi sono gli elementi veramente nuovi di quest'epoca: ma inconfondibile è il gusto scenografico e pittoresco.

Nella scultura i problemi sono affini. C'è qui un profondo rimaneggiamento della tipologia, una più franca aderenza alla realtà quotidiana. Si lasciano gli abbigliamenti che potremmo chiamare "eroici" dell'età precedente e le persone sono rappresentate nel costume che realmente portano. Gli atteggiamenti tipici si rinnovano, c'è un più esplicito gusto narrativo. Questo interesse per i dati della vita pratica significa da una parte una più larga partecipazione della società alla elaborazione del gusto figurativo - ma è anche la necessaria via per giungere a uno sciogliersi della composizione canonica, legata a una tradizione di plasticità chiusa, attraverso le mille possibilità luministiche offerte dalla ricerca di rendimento delle particolarità di costume. Il gusto del movimento (espresso attraverso ricerche di luce) che era nato a Tell el-῾Amārnah si perpetua e si volgarizza nel periodo ramesside.

Il fenomeno è ancor più esplicito nella pittura, dove si può arrivare addirittura a forme per dir così "impressionistiche", e dove soprattutto si scioglie alla fine completamente la composizione piana dalla tirannia dei registri. C'è ora la possibilità di intere pareti decorate da una scena unica che comprende infiniti particolari, legati gli uni agli altri non da un logico senso di prospettiva o di narrazione per settori spaziali (i registri), ma da un unico slancio compositivo che solo nell'equilibrio dei colori, delle luci, delle ombre ha la sua giustificazione. Il profondo tratto inciso che contorna le figure nei rilievi dà loro una mobile vivacità nella incertezza stessa del loro profilo.

Attraverso così complesse esperienze figurative l'Egitto ritrova di nuovo in quest'epoca il senso della sua classicità.

x. - La Bassa Epoca e l'Età Saitica (1165-333 a. C.). - L'immiserirsi della vita politica egiziana dopo Ramesses III, il frangersi dell'unità del paese in regni e principati di scarsa consistenza economica e politica, ha assai ridotto l'attività delle maestranze egiziane. Inoltre, il fatto che il centro di gravità della vita del tempo e le corti più notevoli siano stati spesso nel Delta (v.) ha esposto a più facile distruzione i monumenti del tempo: inondazioni del Nilo e vita agricola più intensa compromettono di regola i resti archeologici in quella regione. Quasi completamente scomparse sono le testimonianze architettoniche: resta invece un numero sufficiente di sculture, di rilievi, di pitture per poter seguire lo sviluppo di tali arti. Il tardo Nuovo Regno e quindi le dinastie libiche proseguono sulla via tracciata dagli artisti ramessidi: ma ben presto si comincia a sentire come un senso di stanchezza nella loro fastosità pittorica: lo snodarsi dei nastri, lo scalpitare dei cavalli, le trovate compositive, il raffinarsi dei profili, l'allungarsi delle proporzioni non bastano più a mascherare una sempre più meccanica freddezza, un mestiere che spesso non è più capace di una ferma coerenza stilistica. I rilievi di Bubastis (v.), i tesori delle tombe regali di Tanis (v.) testimoniano di questo farsi mestiere di un originario impulso rinnovatore. La scomparsa del movente etico della nuova arte lascia spesso questi suoi frutti tardivi privi anche di un preciso senso formale. Non è neanche quell'edonismo della XVIII dinastia, che rispecchiava una felicità che ormai manca alla società egiziana del tempo. Si arriva spesso alla grazia leziosa e frivola delle statuette femminili quali la Karomama del Louvre. Quando i sovrani militari libici furono sostituiti da una dinastia etiopica, probabilmente già queste esperienze figurative erano allo stremo. Gli Etiopi, d'altronde, arrivavano in Egitto come restauratori di una genuina ed antica civiltà egiziana di cui essi si sentivano i depositari; e sotto il loro patrocinio cominciò a raffigurarsi come età aurea della storia d'Egitto quella compresa fra l'Antico ed il Medio Regno. Al fastidio per le eleganze floreali che maturava come naturale reazione, si aggiungevano perciò elementi culturali e lo stesso contatto con la più antiquata e primitiva civiltà nubiana. Le figurine di donna perdono ogni grazia: han seni pesanti, larghi fianchi, grosse teste tonde. I ritratti del tempo (quello di Taharqa, per esempio, o quello di Montemhet) sono costruiti con l'attenzione rivolta alla struttura interna della testa, con un rinnovato gusto per la compattezza dei volumi. L'architettura di due tempietti dell'epoca a Medīnet Habu (v.) ignora le trovate scenografiche: sono semplici blocchi di muratura. A Meroe (v.), in fondo all'impero, i re ricominciano a costruire piramidi.

I monumenti d'epoca etiopica accentuano piuttosto il lato istintivo di reazione al decorativismo tardo-imperiale. L'elemento culturale di tale reazione è stato più coerentemente posto in evidenza dai successori degli Etiopi, i re saitici. Già altre volte nella civiltà egiziana ci si era rivolti al passato a cercare ispirazione: abbiamo notato il tono "memfita" dell'arte dell'inizio della XII dinastia, o il classicismo allusivo dell'arte tebana della XVIII dinastia. Ma mentre altre volte (e cioè nell'epoca etiopica) si era trattato di una contemplazione che non comportava una presa di posizione esclusivista, ora l'arte antica diviene non solo la maestra al fare, ma il motivo stesso della ispirazione. La plasticità dell'arte egiziana più antica è studiata nelle sue formulazioni, spogliata di quanto poteva avere di vivo e di palpitante, ridotta a modulo espressivo che vale per sé, e che si deve ricalcare, sottolineandone solo l'astrattezza inumana. Si ha così un gusto del rifinito, del preciso, del previsto - un impegno tecnico ad affrontare impeccabilmente materiali resistentissimi allo scalpello. È un'arte di virtuosi, la più letteraria e raffinata che abbia avuto l'Egitto e che, nella sua fede per il modello riesce a raggiungere in più d'un caso una sua intellettuale commozione. Accanto a questo rigido arcaismo ci sono, in questo tempo, ricerche d'altro genere: rinasce - forse per la spinta di modelli antichi - il gusto del ritratto vivo e personale. Ma c'è anche un gusto tecnico di riprodurre un modello vivo con minuzia, sperimentando così la propria maestria; e c'è anche una polarizzazione in senso strettamente naturalistico di quanto non riesce a essere espresso nelle formule del rigido accademismo. Anche il rilievo segue lo stesso gusto arcaizzante. Ci son casi, addirittura, di tombe saitiche che riproducono linea per linea tombe di età memfita (v. deir el-gebrawi). Ma anche qui una maggior compassatezza, un interesse più scolastico per i particolari, una più meccanica distribuzione delle figure nei gruppi tradisce spesso l'ispirazione libresca. Alcuni pochi esempi (così un rilievo a Torino che mostra la fabbricazione dell'unguento di gigli) hanno però una sensibilità diversa, un po' più sensuale in un certo rilevarsi della plasticità dei corpi.

Dell'architettura, i resti sono estremamente poveri. A File (v.) restano costruzioni di Nectanebo, proprio al limite della storia egiziana classica. Sembra che già qui si profilino tendenze che saranno vive in epoca tolemaica e romana: le forme chiuse degli edifici sono sottolineate, ma d'altronde si accentua la decorazione del capitello. Si ha anche, in quest'epoca, la ripresa di modelli estremamente arcaici: una tomba a Tebe riprende il motivo delle mastabe protodinastiche in mattoni crudi con decorazioni a nicchioni verticali torno torno il muro.

xi. - L'epoca tolemaica e romana (332 a. C.-394 d. C.). - Il primo arrivo dei Greci di Alessandro Magno alla fine del IV sec. a. C. sembrò che potesse mostrare agli Egiziani nuove possibilità figurative, e quasi la necessità di sperimentare un innesto di una nuova cultura sul tronco di quella indigena. Si hanno così gli esperimenti dei rilievi di Petosiri a Tuna (v.), o il rilievo Tigrane Pascià ad Alessandria, o alcune scene di tombe memfite dove la compassata freddezza saitica cede a un più festoso interesse per particolari contemporanei di costume e per una più calda e sensuale eleganza. Ma questo primo contatto non riuscì a svilupparsi in una più profonda e duratura sintesi di esigenze figurative; le due civiltà eran troppo mature e organiche entrambe perché potessero ormai modificare le loro caratteristiche. Vi sono, è vero, molte sculture in cui elementi di costume greco o egiziano appaiono a dare un tocco di colore esotico a opere rispettivamente egiziane o greche: ma non si passa in genere oltre questi elementi puramente estrinseci. La scultura ellenistica ha una sua storia in Egitto (o più propriamente ad Alessandria) che non deve praticamente nulla se non in modo esterno all'ambiente. La parte più sana della scultura egiziana d'epoca tolemaica, a sua volta, prosegue le esperienze saitiche di formalismo e di ispirazione culturale, aggiungendo forse - nel sempre più chiaro impegno a sottolineare una certa corposità delle figure - un tocco di sensualità. Questo è ancor più evidente nel bassorilievo, dove si va sempre più perdendo la capacità di comporre per grandi complessi, e le figure divengono sempre più schematiche - ma d'altro canto con sempre maggior cura si sottolineano gli elementi di plasticità con un movimento di superfici ignoto alle più antiche esperienze indigene; e che finisce col divenire assai presto meccanico e arbitrario.

L'età romana accentua questo carattere d'incertezza. Le cose più notevoli sono i ritratti dipinti su tavolette da porsi al posto della maschera delle mummie di questo tempo e che, per quanto di chiara tradizione e tecnica ellenistica, risentono di un tono locale in certi tratti d'austera impassibilità e nella costruzione stessa dei volti (v. fayyūm).

Assai più importante, in questo scorcio della civiltà egiziana, l'attività architettonica: a Edfu (v.), a Denderah (v.), a File (v.), a Kōm Ombo (v.), a Esnah (v.) e in altre località son sorti santuarî che sono ancor oggi fra i più importanti ed i meglio conservati dell'Egitto. In genere è mantenuta la vecchia distribuzione di pianta, i consueti elementi tradizionali del pilone, del cortile, dell'ipostila, del sacrario. Si hanno però nuove caratteristiche: l'uso delle cripte, l'importanza assunta da quei muri a cortina che uniscono in basso le colonne e che, noti già dalla Bassa Epoca, ora divengono elementi di varietà strutturale metodicamente sfruttata. Particolarmente curati sono i capitelli, che han ricchissime decorazioni geometrico-floreali e che son trattati ognuno per suo conto e danno così varietà notevolissima all'insieme. Questa importanza data ai particolari decorativi in opposizione alla semplicità delle strutture architettoniche vere e proprie è sottolineata anche dall'affollarsi di rilievi e di lunghe iscrizioni che occupano ogni spazio a disposizione con un horror vacui nuovo nella civiltà figurativa egiziana. Che la cultura egiziana mantenga però ancora una vitalità propria in questo tempo è dimostrato da opere così eleganti e felici come il cosiddetto Chiosco di Traiano a File. Quando di nuovo in Egitto cominciò a proporsi una cultura figurativa indigena, essa era ormai cristiana: e nell'ambito dell'arte bizantina bisognerà che se ne cerchi la cornice.

xii. - Lo studio dell'arte egiziana (v. anche egittologia). - Perché l'Europa avesse dell'arte egiziana una precisa idea e non una immaginaria caratterizzazione bisogna attendere la spedizione di Napoleone in Egitto nel 1799. È una profonda, anche se rapida, presa di contatto, illuminata da un atteggiamento di simpatia che farà sì che l'impresa napoleonica possa determinare, in Francia, le caratteristiche dello stile "retour d'Egypte". Della nuova arte si sente il fascino esotico, ma anche quella precisione di impostazione che non poteva non essere congeniale al gusto neoclassico del tempo. Con la riapertura dell'Egitto al commercio occidentale e con la presenza colà di numerosi agenti consolari, cominciarono a formarsi le prime raccolte archeologiche e ad effettuarsi i primi scavi che le alimentassero. Ebbero allora origine quei nuclei di antichità (Salt, Drovetti, Anastasi, e altri) che, acquistati da varî governi, costituirono il nocciolo di futuri musei egittologici in Europa. Nel 1828 arrivava in Egitto la prima missione archeologica, la spedizione franco-toscana sotto la guida dello Champollion e del Rosellini. In parte essa si occupò di raccogliere materiale, ma il risultato più importante fu una raccolta di disegni e di rilievi che, pubblicati sia a Pisa che a Parigi, servirono a diffondere ancor più la conoscenza e la moda delle cose egiziane. Al fascino esotico della civiltà da lui per primo di nuovo intesa lo Champollion si abbandonò con slancio romantico: ne celebrò la grandiosità, le doti sovraumane. In quest'epoca, recarsi a Tebe per abbandonarsi alla meditazione, fra le rovine e il silenzio, fu prezioso diletto. Intanto l'impresa franco-toscana veniva ripetuta nel 1842 per conto del governo prussiano dal Lepsius, che con molto più metodo e maggior minuzia percorse per tre anni il paese del Nilo. I disegni dei suoi Denkmäler non raggiungono forse la felicità dei disegni dei suoi predecessori, e son più scolastici: ma son certo filologicamente assai più sicuri. Pochi anni più tardi, nel 1850, un francese, Manette, scopriva a Saqqārah il Serapeo, e tanto fu preso dalla passione archeologica che ottenne dal Khedive di organizzare un Service des Antiquités che esercitasse e controllasse l'attività archeologica in Egitto, e di costituire un museo che prima a Gīzah, poi a Bulacco, e finalmente al Cairo è il museo principe per le antichità egiziane. Col Manette cessa lo sfruttamento inconsiderato e tumultuario dei campi di rovine. A Mariette e a Maspéro si deve un attento interesse per tutte le zone archeologiche d'Egitto, una felice cura nella protezione e nel restauro dei monumenti che la ripresa industriale ed agricola dell'Egitto andava compromettendo più di quanto non avessero fatto i secoli. Il Maspéro fu anche un attivo patrocinatore dell'arte egiziana nella cultura francese del suo tempo: un suo manuale è ancor oggi prezioso come inquadramento generale, e il suo gusto per gli elementi naturalistici dell'arte egiziana da una parte, il determinismo storico che per lui spiega certi atteggiamenti dell'arte dell'antico Egitto, mostrano quanto profondamente questa sua valutazione potesse essere significativa ed importante nella cultura positivistica contemporanea. Nel 1880 era intanto arrivato in Egitto uno studioso inglese, il Petrie, già specialista in metrologia antica e che, venuto per rimisurare le piramidi, continuò poi la sua opera nel paese, introducendo nuovi criteri di scavo, estremamente scrupolosi, e capaci di valorizzare tutti gli elementi archeologici, anche - e, anzi, in certo modo soprattutto - quelli privi di particolare valore artistico. Pittoresca figura di archeologo di indomabile energia, costituì una British School of Archaeology in Egypt (nata da un precedente Egyptian Research Account) che ha finito col dare la regola della tecnica di scavo in Egitto, e a cui si è debitori di ottimi lavori sul cantiere e di rapide ed esaurienti pubblicazioni. Gli interessi del Petrie e della sua scuola furono piuttosto rivolti alla tecnica, alla tipologia, all'impiego del materiale archeologico come fonte storica. Con il nuovo secolo, l'arte egiziana ebbe un momento di particolare popolarità con l'esperienza cubista. Gli scritti che precedono le popolarissime raccolte di tavole della Fechheimer tendono a presentare l'arte egiziana come un precorrimento dell'arte del momento. Una simile passione per l'arte di Tell el-῾Amārnah coincise con l'esperienza espressionista. Sono interessanti esperimenti di interpretazione, unilaterali, certamente, ma nati da una vera esperienza dei monumenti. Astratta e priva di una reale conoscenza documentaria è una sintesi del Worringer, che pure ebbe vasta fama e fortuna. Gli studî più notevoli sull'arte egiziana son forse le pazienti ricerche dello Schaefer sulle sue forme espressive: che, affrontando particolari problemi, sottintendono più che non esprimano una coerente valutazione critica.

La povertà delle opere che si pongano chiaramente il problema della storia dell'arte egiziana dipende in parte dal molto lavoro pratico che han davanti a sé gli archeologi: scavi urgenti, raccolte troppo vaste da sistemare, ricerche puntuali che debbon per forza precedere più calme contemplazioni, rappresentano situazioni comuni a tutta l'archeologia: ma, credo, in modo particolare sono sensibili nell'archeologia egiziana.

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