SERPIERI, Arrigo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SERPIERI, Arrigo

Simone Misiani

SERPIERI, Arrigo. – Nacque a Bologna il 15 giugno 1877, da Eduardo e da Maria Ramponi.

Nella città natale, dove visse gli anni giovanili, si accostò al mondo rurale tramite l’azienda agricola dello zio materno, Agostino Ramponi, a San Giorgio di Piano, per l’epoca all’avanguardia. Dopo il liceo si trasferì a Milano, dove nel 1900 conseguì la laurea in scienze agrarie presso la Regia Scuola superiore di agricoltura; la sua tesi, discussa con Vittorio Niccoli, verteva sul funzionamento di un tipico podere a mezzadria della campagna bolognese (fu pubblicata l’anno successivo, con il titolo Sui metodi di determinazione del profitto nelle imprese rurali).

Iniziò la carriera universitaria nella scuola dove si era laureato, come assistente presso la cattedra tenuta dal suo maestro, quella di economia ed estimo rurale. Nel 1902 divenne docente incaricato di questa disciplina, essendosi spostato Niccoli all’Università di Pisa. Nel 1906 vinse il concorso a cattedra, sempre nella stessa materia, e insegnò per un anno a Perugia; poi fece ritorno a Milano, come titolare della cattedra che era stata di Niccoli.

Il capoluogo lombardo fu molto importante nella sua biografia intellettuale. In questi anni collaborò con un istituto filantropico, la Società Umanitaria, centro importante del socialismo riformista, dove analizzò i problemi dell’economia rurale della montagna alpina e il tema dei contratti agrari dell’Alto Milanese. I suoi studi si focalizzarono sulla crisi agraria di fine Ottocento, osservando l’avvio del processo migratorio e di spopolamento contadino. I lavori si collocano nel filone del riformismo diretto dagli agricoltori lombardi con al centro l’istituzione della Federconsorzi, nome d’uso della Federazione italiana dei consorzi agrari. Questi primi studi gli fornirono l’occasione di ripensare il mestiere dell’economista agrario, che secondo lui avrebbe dovuto passare da un ruolo puramente tecnico a un ruolo di responsabilità civile, intervenendo così nel generale cambiamento della struttura economica e sociale dell’Italia.

Il suo primo campo di interesse fu relativo alla politica forestale inaugurata dalla cosiddetta legge Luzzatti (l. n. 277 del 2 giugno 1910, Provvedimenti per il demanio forestale di Stato e per la tutela e l’incoraggiamento della silvicoltura), che aveva riconosciuto i boschi come beni demaniali. A Milano entrò in contatto con Francesco Saverio Nitti (tra il 1911 e il 1914 ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio nel quarto governo Giolitti); nel 1912 questi gli affidò la direzione e la riorganizzazione dell’Istituto forestale nazionale di Vallombrosa (in precedenza Istituto superiore forestale), dall’anno successivo trasferito a Firenze. In questa scuola Serpieri assunse anche la cattedra di economia ed estimo forestale (Di Sandro, 2015, p. 10). Il capoluogo toscano divenne la sua città di adozione, dove visse fino alla morte con la moglie Joele Zuzzi. A Firenze dal 1911 Serpieri fu socio dell’Accademia dei Georgofili per volontà di Vittorio Alpe, agronomo suo maestro a Milano e, dal 1912 al 1926, presidente della Federconsorzi con una visione liberale ripresa dopo la fine del fascismo (M. Rossi-Doria, Alpe, Vittorio, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 527 s.)

Quando l’Italia entrò nella Prima guerra mondiale (1915), Serpieri si presentò volontario; giunse al fronte con il grado di sottotenente del Genio, ma ben presto fu assegnato al Comando supremo, con l’incarico di organizzare i servizi forestali nei territori occupati; un ruolo che gli valse il grado di capitano per meriti eccezionali, la croce al merito di guerra e, nel 1919, la partecipazione alla conferenza di pace di Parigi (come esperto per la determinazione dei danni di guerra). Collegò la politica forestale alla questione della difesa della montagna, assegnando alla politica forestale una funzione strategica nella politica nazionale.

Sempre nel 1919 fu incaricato di presiedere il Segretariato della montagna, incarico che avrebbe conservato fino al 1935. In realtà, negli anni 1919-20 Serpieri rimase deluso dalla politica socialista, che aveva abbandonato la linea riformista inseguendo il mito della lotta di classe. Il cosiddetto decreto Visocchi sull’occupazione delle terre (d.l. n. 1633 del 2 settembre 1919) aveva riconosciuto la richiesta della distribuzione della terra ai contadini e agli ex combattenti senza un’analisi aziendale.

Il 1920 rappresentò uno spartiacque nella biografia intellettuale di Serpieri. A Firenze si avvicinò agli ambienti più avanzati della classe dirigente liberale, partecipando agli incontri del Circolo di cultura di Gaetano Salvemini, animato da intellettuali provenienti dall’interventismo democratico, come Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e Piero Calamandrei. Attorno alla cerchia di amici e allievi di Salvemini si formò il nucleo di un ricambio generazionale e culturale nel pensiero economico. Il Circolo era privo di precisi confini politici, e anzi permetteva il dialogo tra idee diverse.

Nel quinquennio 1919-24 Serpieri assunse un profilo di politico con competenza di tecnico. Nel 1919 entrò a far parte dell’élite di esperti (Meuccio Ruini, Alberto Beneduce, Eliseo Jandolo, Vittorio Peglion, Carlo Petrocchi, Angelo Omodeo) chiamata da Nitti (presidente del Consiglio dal giugno 1919 al giugno 1920) a realizzare il programma elettroirriguo da lui promosso, in cui riforma fondiaria, sviluppo del territorio, industrializzazione e politica di colonizzazione erano interconnesse (Melis 2018, pp. 103-105). Portò avanti il progetto di Ghino Valenti da cui nacque il concetto di bonifica integrale. Serpieri condivise l’idea di Valenti che fosse necessaria un’iniziativa dello Stato di politica agraria per ottenere il riequilibrio della struttura del territorio (G. Valenti, Studi di politica agraria, Roma 1914; sull’influenza di Valenti nella formazione di Serpieri, v. Prampolini, 1976). Nel 1920 collaborò con Valenti a un’indagine economico-statistica sull’Italia agricola e il suo avvenire. Vi cooperarono Alpe, Azimonti, Briganti, Coletti, Peglion, Pirocchi. Serpieri si interessò ai problemi della montagna, dei boschi e dei pascoli con riguardo alla legislazione forestale di sostegno alla montagna e ai montanari.

Nel 1922 collaborò con Silvio Trentin (esponente del partito Democrazia sociale) nell’organizzare il I Congresso regionale per le bonifiche venete (22-25 marzo), svoltosi a San Donà di Piave, che si chiuse con la richiesta al governo di una politica di bonifica e colonizzazione interna nelle aree suscettibili di incremento produttivo (M. Dini, introduzione ad Arrigo Serpieri..., 2010, p. 25; A. Serpieri, A venticinque anni dal congresso di San Donà di Piave..., 1947, ora in Dini, 2010, pp. 125 s.). Denunciò la paralisi delle istituzioni democratiche davanti alla pressione sociale nelle campagne. Nel giugno 1922, in una conferenza alla Federconsorzi, accusò il progetto di legge Drago (Trasformazione del latifondo e colonizzazione interna) di alimentare il mito della rivoluzione agraria (Osservazioni sul disegno di legge «Trasformazione del latifondo e colonizzazione interna», 1922); la critica fu utilizzata da Ernesto Rossi su Il popolo d’Italia per dimostrare il fallimento delle istituzioni democratiche (Latifondo e demagogia, 11 giugno 1922). La proposta di legge sulla trasformazione del latifondo fu approvata in aula nell’agosto del 1922, ma l’iter si interruppe dopo la salita al potere di Benito Mussolini, il quale, nell’ottobre del 1922, aprì al programma riformista di politica agraria per conquistare il consenso degli agricoltori. Tra il 1° agosto 1923 e il 3 luglio 1924, nel primo governo Mussolini, ricoprì il ruolo di sottosegretario all’Agricoltura nel ministero dell’Economia nazionale affidato a Orso Mario Corbino, e nell’aprile 1924 fu eletto alla Camera nel ‘listone’ fascista. La sua nomina a sottosegretario fu salutata con favore dai circoli democratici e con riluttanza, se non aperta avversione, dai latifondisti meridionali. È significativo il commento positivo di Giustino Fortunato, contenuto nella corrispondenza del periodo con Eugenio Azimonti e Gaetano Salvemini. Il suo primo atto di rilievo fu la legge n. 3267 del 30 dicembre 1923 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani); fu la prima legge forestale italiana, e poneva l’accento sul problema della tutela del suolo alle pendici montane.

Il secondo provvedimento fondamentale fu il decreto Nuove norme per la bonifica integrale (r.d.l. 18 maggio 1924, n. 753), la prima legge di bonifica integrale, avente come scopo la trasformazione fondiaria e la colonizzazione agraria. L’atto riconosceva allo Stato il potere di espropriare terre ai proprietari inadempienti all’obbligo di miglioramento fondiario e di appoderamento. Lo Stato si sarebbe servito dell’ONC (Opera Nazionale Combattenti) per accelerare le opere di intervento sul territorio, in una logica di tipo imprenditoriale. Il provvedimento colpiva esplicitamente gli interessi del Sud latifondista. Il decreto non fu tradotto in legge a causa dell’opposizione interna (che diede vita nel dicembre 1924 a un Comitato sui consorzi di bonifica nel Mezzogiorno, presieduto da Ferdinando Rocco, il fratello di Alfredo, giurista di riferimento nel regime); sarebbe stato adottato solo nel 1933 (l. n. 215 del 13 febbraio).

Nel 1925-26, dopo la crisi seguita al delitto Matteotti (10 giugno 1924) e i primi atti di costruzione del regime, maturò l’adesione di Serpieri al fascismo (Fumian, 1979, p. 5). In un volume edito nel 1925 sistemò i provvedimenti di politica agraria del suo sottosegretariato, assegnando al fascismo una funzione storica di modernizzazione della nazione. Assunse lo schema interpretativo ‘dell’Italia in cammino’ dallo storico Gioacchino Volpe, suo cognato. Il 3 luglio si dimise da sottosegretario, e successivamente, il 1° luglio 1927 (Giaconi, 2017), si iscrisse al Partito nazionale fascista (PNF). Negli anni seguenti prese parte ai dibattiti sulla Carta del lavoro (aprile 1927) e sullo Stato corporativo (1929-35).

Serpieri aveva una concezione tendenzialmente elitaria e dirigista delle riforme. Era entrato nel governo per le sue competenze di ‘tecnico’ (come scrisse nel volume in cui illustrò retrospettivamente la propria azione, La politica agraria italiana e i recenti provvedimenti amministrativi, 1925). In sintesi, fornì delle risposte analitiche ai problemi pratici dell’agricoltura del suo tempo – l’elevata pressione demografica sulla terra e l’arretratezza tecnico-conoscitiva di larga parte degli agricoltori, e in particolare dei contadini – senza rinunciare alla teoria neoclassica: attribuì alla scienza agraria un compito di economia civile ‘nazionale’ per la stabilizzazione sociale, riconoscendo all’imprenditore agricolo il compito di innovazione.

Considerava il regime fascista come uno strumento adeguato al compito di riformare le istituzioni parlamentari, al fine di dare vita a un nuovo patto sociale, capace di portare nelle istituzioni il mondo della produzione e del lavoro: l’ordine corporativo avrebbe dovuto fondare tale patto, in una prospettiva diversa dal mito nazionalista e sindacalista della terza via tra capitalismo e socialismo.

Rappresentò gli interessi dell’impresa agricola nella costruzione del territorio. In un volume (La guerra e le classi rurali italiane, 1930) evidenziò l’aumento del peso della proprietà contadina nel dopoguerra, ma anche il fatto che la tendenza alla distribuzione fondiaria era stata interrotta dalla misura monetaria di ‘quota novanta’ (il progetto di rivalutazione della lira, volto a raggiungere il cambio di 90 lire per una sterlina, esposto da Mussolini in un discorso pubblico a Pesaro il 18 agosto 1926).

Considerava la politica agraria come strumento per combattere lo squilibrio tra popolazione e terra coltivabile. Riassunse la sua visione dell’economia nel citato programma di bonifica integrale. In questo passaggio fondò un paradigma disciplinare, dando alla scienza agraria dignità di elemento costitutivo della teoria economica generale (M. Dini, in Antonio Serpieri..., 2010, pp. 8-34; Di Sandro, 2015, pp. 67-204). Applicò alla scienza agraria i principi teorici del pensiero neoclassico dominante della scuola di Losanna (Enrico Barone e Vilfredo Pareto), ma certamente misurò la teoria alla luce del suo approccio pratico e storico, e si affidò alla politica per risolvere i problemi del comportamento non razionale dell’economia. Riassunse l’economia agraria nella valutazione delle ‘scelte’, compiute sia dall’imprenditore (microeconomia) sia dalla collettività (macroeconomia ed economie settoriali; si vedano Guida a ricerche di economia agraria, 1929, e Istituzioni di economia agraria, 1946). Secondo lui, le azioni pubbliche avrebbero dovuto darsi l’obiettivo del mantenimento di un ‘livello di ruralità’ pari al 40% della forza lavoro. In definitiva, a partire da Serpieri l’ambito dell’economia agraria si è accentrato sulle azioni di scelta sia dei singoli agricoltori (economia dell’azienda agraria) sia dei pubblici poteri (politica economica agraria), ambedue considerate unitariamente.

Negli anni 1925-26 rafforzò il suo legame con la città di Firenze, prese l’insegnamento di economia agraria nell’Istituto superiore forestale italiano, divenuto nel frattempo Istituto superiore agrario. Inoltre fu presidente dell’Accademia dei Georgofili tra il 1926 e il 1944. Il periodo 1928-1934 rappresentò il momento centrale nella biografia di Serpieri (Stampacchia, 2000, pp. 126-344). In questo periodo egli fondò l’Istituto nazionale di economia agraria (INEA), da lui presieduto fino al 1939. Dal settembre 1929 al gennaio 1935 fu sottosegretario alla Bonifica integrale presso il ministero dell’Agricoltura, allora diretto da Giacomo Acerbo. In questi anni il principale risultato legislativo di Serpieri fu la citata legge di bonifica del 1933, per una trasformazione fondiaria finalizzata al miglioramento dei livelli di produttività economica (bonifica idraulica) e, nello stesso tempo, all’inclusione sociale e civile dei contadini che si trasferivano nei nuovi poderi (colonizzazione). Essa riprese, innovandolo, un provvedimento di cinquant’anni prima, la cosiddetta legge Baccarini (n. 269 del 25 giugno 1882, Norme per la bonificazione delle paludi e dei terreni paludosi). Lo Stato avrebbe dovuto favorire la crescita di un sistema aziendale fondato sulla coesistenza di grande impresa e proprietà contadina. La bonifica riconobbe una limitazione del diritto di proprietà privata in funzione dell’utilità pubblica, riconoscendo così allo Stato il diritto-dovere di esproprio. L’azione pubblica non doveva essere limitata all’ambito economico, ma contemperare aumento del rendimento economico e opere di utilità collettiva, di ‘civiltà’ (un principio poi ripreso nella Costituzione repubblicana del 1948). In definitiva, la bonifica integrale prevedeva un investimento di capitale rivolto alla trasformazione fondiaria interamente a carico dello Stato (città, borghi, strade, infrastrutture ecc.) e a carico dei privati (miglioramento fondiario, aziende poderali ecc.). Gli strumenti cardine dell’azione pubblica erano i Consorzi di bonifica, a cui erano affidati i piani di bonifica dei comprensori di riferimento, e l’ONC, con l’incarico di sostituire i privati inadempienti nella trasformazione fondiaria. Nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale il provvedimento diede risultati significativi rispetto alle aspettative, generando effetti moltiplicativi sul territorio valutati positivamente nel medio periodo; diversamente il suo operato nel Sud fu condizionato dall’opposizione dei latifondisti.

Serpieri seguì in prima persona la realizzazione dei piani di bonifica e colonizzazione rurale. L’applicazione della legge fu resa possibile grazie al personale tecnico ereditato dall’amministrazione nittiana, chiamato ad amministrare gli istituti di uno Stato modernizzatore (gli enti). I risultati ottenuti furono rilevanti a livello nazionale. Lo sforzo maggiore del governo contro il latifondo fu concentrato nelle Paludi Pontine. In ogni modo, i piani di bonifica si rivelarono più efficaci nell’Italia settentrionale e centrale che non nel Mezzogiorno. Nel 1934, durante il Convegno per la bonifica integrale presso l’Accademia dei Georgofili, Serpieri dichiarò che la bonifica si trovava a un bivio: rivendicò i risultati ottenuti nell’applicazione della legge, ma chiese a Mussolini maggiori poteri per rendere funzionanti i consorzi nel Sud, pur senza rinunciare al modello liberale basato sulla collaborazione tra Stato e privati e riconoscendo che nelle Paludi Pontine l’ONC aveva contribuito a rendere possibile il successo dell’iniziativa. Nel dicembre di quell’anno Serpieri presentò alla Camera un disegno di legge per la colonizzazione del latifondo (Norme per assicurare l’integralità della bonifica) che suscitò una dura reazione interna. Dopo essere stato approvato dalla Camera, fu bocciato in Senato.

L’ascesa politica di Serpieri fu interrotta nel gennaio del 1935, quando le sue dimissioni da sottosegretario furono una concessione ai grandi proprietari terrieri del Sud. Non ricevette più incarichi di governo, anche se nel 1937 ottenne un avanzamento nella carriera accademica con la nomina a rettore nell’Università di Firenze, incarico che tenne fino al 29 luglio 1943, in conseguenza della caduta del regime. D’altro canto, dopo l’estromissione dal governo continuò a essere protagonista del dibattito pubblico, come organizzatore delle istituzioni della ricerca e in Parlamento. Nel 1938 appoggiò l’avvio di una fase della politica di bonifica integrale concentrata in alcune zone del Sud (nel Tavoliere, nelle paludi campane e in Sicilia). In questa fase prese corpo la rivista di regime Bonifica e colonizzazione, che accompagnò l’azione del sottosegretario e futuro ministro dell’Agricoltura Giuseppe Tassinari.

La rivista uscì dal gennaio 1937 al 25 luglio 1943 e sostenne la ripresa della legge di bonifica integrale. Il periodico si misurò con la pianificazione agraria internazionale, sostenendo una linea editoriale confusa e contraddittoria, segnata da aperture alla Germania nazista e al New Deal di Roosevelt, con un’attenzione anche ai risultati ottenuti dal piano quinquennale dell’Unione Sovietica (Misiani, 1998, pp. 310-313). La rivista fu edita dal nipote di Serpieri, Giovanni Volpe, figlio dello storico Gioacchino. Il caporedattore fu l’allievo antifascista Manlio Rossi-Doria, uscito di prigione nel 1935, dopo aver scontato cinque anni di carcere per la riorganizzazione del Partito comunista a Napoli.

Serpieri appoggiò anche la costituzione dell’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano, che operò tra il 1939 e il 1943 contro il potere dei grandi proprietari. Nel Sud, comunque, le iniziative di bonifica non poterono giungere a buon fine a causa della guerra, della progressiva riduzione delle risorse materiali degli enti preposti e dell’imposizione a livello nazionale dell’organizzazione corporativa, orientata alla creazione di un modello di economia autarchica.

Nel 1938-39 come rettore Serpieri, in ottemperanza con le leggi razziali, fece espellere dall’Università di Firenze 42 docenti e assistenti, tra cui gli ordinari Attilio Momigliano, Ludovico Limentani e Riccardo Dalla Volta. Applicò la legge anche nei concorsi universitari, come nel caso di Giorgio Tagliacozzo, la cui domanda fu esclusa perché ebreo. Dopo la proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica sociale.

Dopo la liberazione di Firenze, nell’estate del 1944 Serpieri subì un processo di epurazione. Fu sospeso dall’insegnamento e dallo stipendio, e attraversò una fase di difficoltà economiche. Mentre era sospeso fu chiamato a collaborare alla Commissione economica del ministero per la Costituente (Rossi-Doria, 1946). Nel 1948 fu reintegrato in servizio nell’Università di Firenze e nominato professore emerito. Non rivestì più incarichi nelle istituzioni, ma prese parte al dibattito sulla politica agraria collaborando al Corriere della sera (con lo pseudonimo di Rusticus), al Messaggero, al Globo e ad altri giornali.

Commentò la politica agraria dei governi centristi e rilanciò la linea della bonifica integrale come alternativa alla riforma agraria. In conclusione, considerò lo sviluppo dell’agricoltura come retrovia dell’industrializzazione (Monti, 2003, pp. 146-148) e interpretò la politica di bonifica integrale, tra le due guerre, come scienza della costruzione del territorio (Misiani, 2017, pp. 71 s.).

Nel settembre del 1948 all’Accademia dei Georgofili nei suoi interventi durante il Convegno per la riforma agraria (ora raccolti in Scritti di economia agraria, 1946-53, 1957) criticò i progetti di riforma agraria, rilevando il limite della redistribuzione sociale senza analisi economica, e ripropose il metodo dei piani di bonifica. Riprese questo concetto in diversi volumi. Per lui, i diritti sociali dei contadini riconosciuti dall’art. 44 della Costituzione repubblicana erano meglio garantiti dai piani di bonifica integrale (Arrigo Serpieri..., 2010, p. 133). Criticò quindi la legge di riforma agraria del 1950, distinguendosi da suoi allievi come Giuseppe Medici, Mario Bandini e Manlio Rossi-Doria, che ritennero possibile collegare la riforma agraria alla bonifica integrale.

Morì a Firenze il 29 gennaio 1960, dopo due anni di malattia.

Opere. Per un elenco completo si rinvia a Di Sandro, 2015, pp. 235-280.

Fonti e Bibl.: Archivio storico del Senato, ad vocem, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/ 876b34df7222a9fac125785e003ca629/05c2b604c350db6c4125646f00608c14?OpenDocument; Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato Serpieri, on. Arrigo, b. 89 W/R.

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