ARREDAMENTO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

ARREDAMENTO

Hilda Selem

(IV, p. 577; App. I, p. 157; II, I, p. 255; III, I, p. 133; IV, I, p. 160)

Dare una definizione precisa e pertinente del termine a. è pressoché impossibile, data l'ambiguità e la molteplicità dei parametri che sottendono tale denominazione.

È evidente che non si può parlare di un'architettura degli interni distinta o contrapposta all'architettura degli esterni, poiché il significato dell'architettura sta nella sua centralità, nella sua globalità, nell'omogeneità delle scelte che determinano un certo tipo di linguaggio, nella modificazione continua, nella flessibilità; così è altrettanto vero che esistono due ambiti disciplinari distinti: quello dell'architetto-progettista degli spazi e delle loro interrelazioni e quello del designer-progettista di oggetti d'uso da prodursi in serie e per lo più privi di spazialità interna.

Si dà il caso − e ciò avviene molto frequentemente − che all'ar chitetto-progettista degli spazi non venga affidato l'incarico di occuparsi dell'a. e ci si rivolga ai cosiddetti ''arredatori'', mentre il designer, anziché rivolgere i propri interessi a una produzione di massa, qualificata ma a basso costo, li rivolga a una produzione di oggetti ed elementi di arredo assai sofisticati, destinati a un'utenza elitaria come manifestazione di uno status symbol, quasi sempre effimera.

È noto come i principali protagonisti del Movimento Moderno siano stati contemporaneamente progettisti di edifici e di a., a sottolineare l'univocità e l'imprescindibilità di un unico processo progettuale: basti pensare a van de Velde, a Mackintosh, a Rietveld, a Le Corbusier, a Breuer, a Mies van der Rohe.

Oggi, al contrario, si registra una separazione sempre più marcata tra ricerca e progettazione e tra produzione e industria: cioè proprio dove la funzione del design dovrebbe essere propulsiva e propositiva; nonché quella tra committenza e professionisti. Oggi, ancora, si sente la necessità di un rapporto dinamico maestro-discepolo attraverso la mediazione dell'università; quindi discepolo-industria (o discepoloartigiano); quindi discepolo-confronto reale con le proprie possibilità di realizzare strumenti per abitare.

Bisognerebbe ripensare alla grandezza irripetuta degli anni Trenta-Cinquanta; al mondo in cui il senso del progettare non si poneva in maniera soggettiva e protagonistica, ma come conseguenza di una complessità entro la quale era possibile intervenire secondo una linea logica del progetto. Poiché il problema che oggi si pone al progettista è quello di finalizzare gli apporti specifici alla realizzazione del prodotto, mantenendo costante il livello creativo della sua ideazione.

Ciò premesso, considerato che l'a. nell'accezione comune non è mai inteso come design dell'oggetto, ma come studio e configurazione di rapporti tra oggetti e tra spazio e oggetto (mentre l'ambito del disegno industriale è limitato agli ''oggetti'', cioè a prodotti privi di spazialità interna praticabile), si potrebbe pensare a una gerarchizzazione di quel complesso fenomeno che è l'architettura per scale dimensionali: questo potrebbe essere il denominatore comune tra a. (architettura degli interni)-design (progetto)-industrial design (progetto particolarmente rivolto ai problemi di producibilità materiale del prodotto). Condividendo pienamente l'affermazione di Rogers per cui l'architettura (indipendentemente dalla scala) è una parte che esprime il tutto di cui è parte, risulta che il design non è altro che un ''atteggiamento'' dell'architettura, quello che privilegia la componente tecnologica, mentre l'a. si rivolge alla creazione di sotto-sistemi spaziali interni modulari e/o combinatori che si pongano in dialogo con il sistema spaziale-strutturale dell'organismo architettonico e con il sistema-oggetti. Quindi non si tratta di intendere l'a. come ''fodera'' dell'invaso spaziale (R. De Fusco), ma come componente determinante l'intero sistema delle unità spaziali e l'intera sezione dell'involucro edilizio, con particolare riferimento al dettaglio, ai materiali, alle textures, all'accostamento dei materiali, alle luci. In conclusione non esiste discontinuità spaziale tra interno ed esterno, tra innen e aussen, elementi tra loro in opposizione sin dall'inizio dell'esistenza umana.

È opportuno rifarsi all'''antropomorfismo architettonico'' di cui dissertava Vitruvio e all' ''Archi-tettura'' per riconoscere principi e leggi simili a quelle che caratterizzano la struttura fisico-psichica dell'individuo. Tutti gli storici e i critici dell'architettura, da Giedion a Gropius, da Wright a Zevi hanno discusso sui problemi dello spazio: "non vi è architettura se non vi è spazio interno" (B. Zevi).

Alla fine del secolo scorso, manifestandosi nuove tendenze (Casa Milá, detta la Pedrera, e la Colonia Guell di Gaudí, il Palau de Musica di Domenech, le opere di Otto Wagner, Hoffmann, van de Velde e Horta), la preminenza era data agli spazi interni, anche se apparentemente veniva attribuita notevole importanza all'aspetto esterno, ornamentale, dell'edificio. Esempio tipico di spazio interno è il 1° e il 2° Goetheanum di Rudolph Steiner a Dornach (Svizzera, 1924), dove, analogamente a quanto si riscontra nell'Eisensteinturm di Mendelsohn a Berlino, vi è il fattore ''inconscio'', il rifugio nell'innen (utero). Al contrario il Movimento Moderno presenta con Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Oud, Breuer, la dissoluzione dello spazio interno, la proiezione verso l'esterno nel diniego dell'innen e l'affrancamento dall'inconscio del facciatismo ottocentesco. Esempio emblematico di quest'atteggiamento è il Padiglione di Barcellona di Mies van der Rohe nella fluttuazione e concatenazione di spazi interni ed esterni. Successivamente si è ritornati su forme architettoniche più chiuse, neo-liberty, brutalismo, tardo-espressionismo: basti pensare alla Philarmonie di Scharoun, alla Ford Foundation di Kevin Roche, edificio tutto introverso, in cui la vita di relazione si svolge tutta all'interno; alle opere di Michelucci, Rudolph, Clorindo Testa, Hubert Bennet, in cui si privilegia la spazialità interna; alle opere eccellenti di C. Scarpa, di F. Albini, che propongono l'inserimento di una nuova spazialità in edifici preesistenti o in architetture ipogee (Tesoro di S. Lorenzo, Genova).

È proprio nell'ambito della rivitalizzazione e del recupero di preesistenze storiche, nell'allestimento di mostre sia temporanee sia permanenti, nelle architetture ipogee, nei negozi, ove lo spazio interno non ha riferimento alcuno con le forme esterne dell'architettura, ma ove l'aspetto consumistico e la precarietà obbediscono alle leggi della moda e della sua transitorietà, che si realizza quell'''autonomia'' dell'interno a tutti i livelli, autonomia sia dall'architettura intesa come unità tra interno ed esterno sia dall'industrial design.

Per concludere, condividendo le affermazioni di Persico, di De Carli, di Rosselli, l'a. è architettura, o meglio "un modo del percepire e del fare estetico nella vastità dei suoi diversi campi, da quello fruitivo a quello tecnologico a quello più strettamente figurale e formale", la cui complessità investe un atto di qualificazione integrale dello spazio di vita; è pensiero e sentimento che "si ordinano in una cosa corporea, di cui solo il dettaglio è la verifica e prova di verità". Quindi lo spazio interno va inteso come riflesso di ''uno stato d'animo'', non solo specchio dell'anima, ma potenziamento della medesima, archivio delle sue esperienze, della storia di chi vi abita. Lo spazio abitativo è l'espressione della personalità dell'uomo (tel le logis, tel le ma^itre), lo stile è l'uomo, la casa intesa quale proiezione dell'io; l'a. come forma indiretta del culto dell'io, specchio di un certo tipo di educazione e di civiltà. Infatti, come dice W. Benjamin, "l'interno rappresenta l'universo del privato; ove egli aduna ciò che è distante, ciò che è passato ed il suo salotto è un palco nel teatro del mondo".

Bibl.: G. Dorfles, Simbolo, comunicazione, consumo, Torino 1962; M. Praz, La filosofia dell'arredamento, Milano 1964; Le case nel tempo, Roma 1964; E. Ambasz, Italy, the new domestic landscape, New York 1972; A. Demachy, Interior architecture and decoration, Friburgo 1974; M. Schofield, Decorative art and modern interiors, architecture and decoration, Londra 1974; G. Dorfles, L'intervallo perduto, Torino 1980; M. Zanuso, Il progettista nella società industrializzata, Conferenza tenuta al Teatro Eliseo di Roma per i Martedì Letterari, Roma 1985; G. Ottolini, Architettura, architettura degli interni, arredamento e design, Relazione tenuta al Convegno Interfacoltà La disciplina ''Arredamento e architettura degli interni'' nelle Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano (5-6 maggio 1988); per un panorama completo e aggiornato v. inoltre le riviste Domus, Casabella-Continuità (1953-1964), L'architettura: cronache e storia, in particolare in quest'ultima il n. 357 (novembre 1988) con articoli di A. Branzi, M. Bellini e A. Castiglioni.

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