ARISTOFANE di Bisanzio

Enciclopedia Italiana (1929)

ARISTOFANE di Bisanzio

Gino FUNAIOLI

È certamente il più geniale dei filologi alessandrini, in più d'un campo iniziatore o innovatore. Allievo con probabilità di Zenodoto, e sicuramente di Callimaco e Dionisio Giambo, tre uomini che arrivarono alla filologia attraverso la poesia, come quelli che per reazione contro la cultura attica, risalendo alla preattica e poetando in dialetto, si trovarono nella necessità di studiare forme poetiche e linguistiche e cose del mondo più antico; allievo altresì di Eufronio, uno della Pleiade tragica alessandrina, e di Macone commediografo, amatori e illustratori entrambi del vecchio teatro (U. v. Wilamowitz, Einl. in d. griech. Trag., Berlino 1921, p. 135 segg.), A. parte da tendenze e simpatie e vie loro per procedere a concezioni e vedute sue con metodi proprî. Da Bisanzio passato giovanissimo ad Alessandria per istruirsi, si creò qui poi la sua scuola, da cui uscirono, fra gli altri, Aristarco e Callistrato, e, certamente dopo Eratostene di Cirene, fu alla direzione della grande biblioteca (G. Busch, De bibliothecariis Alex, Schwerin 1884, p. 30 segg.) all'età di 62 anni, a cominciare circa dall'anno 195, quando Eratostene morì: cosicché, essendo egli morto a 77 anni, la sua vita viene ad avere per limiti su per giù il 257 e il 180 avanti Cristo. Capitale è l'opera sua di critico del testo, dove antesignano era stato il suo maestro Zenodoto, né per Omero soltanto, sì anche per Esiodo e forse per Pindaro e Anacreonte; ma A. è editore in grande stile, da schiudere ulteriori orizzonti a questo genere di critica, da lasciare anche orme profonde nella tradizione di tutta una serie d'autori, Omero in prima linea. Assicurare con metodo critico il testo; fissare definitivamente i principî di questa delicata opera di ricostruttore, dopo che il materiale della biblioteca era stato riordinato e inventariato; collazionare; procedere cauti in congetture, rispettando la tradizione il più possibilmente; indicarne in margine con segni critici, già esistenti, questi, ma da lui arricchiti (K. Lehrs, De Aristarchi studiis Hom., Lipsia 1882, pp. 240, 332; H. Schrader, De notatione crit. a veteribus grammaticis in poetis scaenicis adhibita, Bonn 1864), le corruttele, le oscurità, le incomprensibilità; indagarne la lingua, la metrica, il contenuto; studiare la biografia degli autori e premettere ai testi introduzioni di natura letteraria e di valutazione estetica: tali i procedimenti di A., che divengono quindi patrimonio della scuola alessandrina. Commentarî esegetici non pare che escano alla luce già con lui, solo con i suoi scolari; e forse tuttavia qualcosa fu da questi pubblicato di sulle lezioni del maestro (Schol. in Eurip. Or.. 454 e 488; W. Elsperger, in Philologus, suppl. XI, 1901, pp. 75, 114, 97). Da sé A. pubblicò certamente ricerche illustrative della commedia: sulle etere ateniesi, sulle maschere, sui proverbî. La critica omerica fece con lui un passo risolutivo di fronte alla Zenodotea, che pur era stata, beninteso, nelle sue molteplici e ben comprensibili deficienze, di valore inestimabile: gli scolî parlan chiaro, i quali, mentre mirano a informarci del testo omerico d'Aristarco in contrapposto a quello dei predecessori, citano A. piuttosto di rado e Zenodoto invece centinaia di volte; il che significa che A. era già assai vicino ad Aristarco o che, insomma, il discepolo accettava spesso le conclusioni del maestro. In fatto di atetesi A. non fu parco, ma, a quanto si vede, sempre acuto: con viva penetrazione critica faceva finire, per es.. l'Odissea al c. XXIII, 297 (G. Finsler, Homer, II, Lipsia 1918, p. 435), seguito anche in ciò da Aristarco: il che però se facesse per primo, non si può dire (E. Meyer, in Hermes, XXIX, 1904, p. 478 segg.). Esiodo ebbe anche sicuramente un'edizione da lui (Schol. in Hesiod. Theog., 68) e assennate indagini riguardo all'autenticità, che primo egli negò, dell'Aspis e delle Χίρωνος ὑποϑῆκαι (Rzach, in Pauly-Wissowa, Rpal-Encycl., VIII, coll. 1220-1222). Più nuove e più decisive le cure poste alla lirica. Un'edizione di Pindaro e dei lirici in genere non esisteva: i poeti eran conosciuti in forma frammentaria e disordinata. Di Pindaro in particolare, si sa che fu raccolto e riordinato, probabilmente nei 17 libri della tradizione; e per lui, come per gli altri, l'impresa di ricostituire la loro veste genuina doveva essere, se altra mai, ardua, e perché non ancora avviata e per la varietà degli esemplari che certamente correvano da secoli. Aristofane fece di più: i testi lirici si scrivevano fino allora continuatamente, alla maniera di prosa, di che oggi possiamo farci un'idea dal più antico libro rimastoci, il papiro dei Persiani di Timoteo; A. li distinse per via di segni nella loro composizione di κῶλα e di strofe per andare incontro ai bisogni di un'età, in cui il senso della metrica s'era oscurato: e fu il primo avviamento a studî metrici serî. L'ortografia era altro problema complesso; e l'unità della tradizione ci rivela la saldezza del lavoro pur qui compiuto. Criterî ancor più larghi si discoprono in A. editore dei tragici, per i quali gli spetta sicuramente il medesimo posto d'onore che per i lirici. Documentata dagli scolî è l'edizione di Euripide: da presupporre immancabilmente quella di Eschilo e di Sofocle, dalle ὑποϑέσεις o introduzioni pervenuteci ai loro drammi sotto il nome di A. (Eschilo: Eumenidi; Sofocle: Antigone; Euripide: Medea, Oreste, Fenicie, Baccanti, Reso), o, comunque, da rivendicare sostanzialmente a lui. Esse davano in forma concisa notizie di carattere didascalico-pinacografico, e cioè le linee del dramma e gli elementi necessarî a intenderlo, i raffronti con drammi affini, dati sul teatro d'azione, sul coro, sul recitatore del prologo, sulla prima rappresentazione e infine, culmine di tutto, un giudizio estetico della maniera che vediamo, p. es., dalle Fenicie euripidee. Fra i commediografi, fu editore di Aristofane, sebbene sia discutibile se qualcosa e quanto delle ὑποϑέσεις sia qui da attribuire al nostro: ma di essi non amò soltanto gli antichi, ammirò grandemente Menandro (Anthol. Palat. app., 286; Syrian. ad Hermog., II, 23 Rabe), e scrisse Παράλληλοι Μενανδρον τε καὶ ἀϕ' ὧν ἔκλεψεν, un titolo da intendersi naturalmente nel senso migliore, di rapporti cioè tra Menandro e i suoi modelli. Nemmeno la prosa fu lasciata da parte, se pure prosa di alta ispirazione, ed è caso quasi eccezionale fra i grammatici alessandrini: distribuì in trilogie i dialoghi di Platone (Diog. Laerz., III, 61, 62). Il succo dei giudizî sui singoli scrittori trovò espressione per la prima volta con A. nei cosiddetti Canoni o liste di autori classici dei varî generi letterarî, sulla cui costituzione molto si è discusso, ma della cui esistenza sin dal tempo di A. sembra eccessivo il dubitare (L. Radermacher, in Rhein. Mus., LVII, 1902, p. 139 segg.): i Canoni rimastici, peraltro, sono in genere rifacimenti posteriori. Un problema essenzialissimo che ad A. s'imponeva come critico di testi del periodo antico era l'interpretazione verbale; e già essa era stata tentata da filosofi e anche da filologi, quali Zenodoto e Callimaco. Ma con A. si apre un'era: le sue Λέξεις sono la prima raccolta scientifica di ampio materiale lessicografico, fatta per soggetti di cui conosciamo diversi titoli, ricca di distinzioni sottili e di citazioni da ogni genere di scrittori. La lessicografia antica ha qui le sue origini e di qui attinge largamente; ci sono giunti anche estratti di questa fondamentale opera di A. Il principio dell'analogia era certamente applicato in simili studî, in quanto riguardava la forma delle parole, l'etimologia, la declinazione; ma un libro Περὶ ἀναλογίας forse non fu composto da lui.

Bibl.: Fonte principale per le poche notizie biografiche è Suida, s. v. Αριστοϕάνης e 'Αριστωνυμος; vedasi A. Meineke, Fragm. Comicor., I, p. 197. Sulla cronologia della vita, F. Ritschl, Die Alex. Biblioth., p. 78 seg.; id., Opusc., I, p. 64 e G. Busch, op. cit., p. 45 segg., e di rincontro E. Rohde, in Rhein. Mus., XXXIII, 1878, p. 167, 3; id., Kl. Schr., I, p. 121; 3; E. Krause, De Apollodoris comicis, p. 25 segg. Il Beloch, Griech. Gesch., IV, ii, Berlino 1927, p. 598, vorrebbe collocarne la vita tra il 258-254 e il 185-177, eliminando di conseguenza Zenodoto dal numero dei maestri di A. e fissando la nascita di Callimaco al 300 circa (p. 495 segg.). Cfr. A. Rostagni, I bibliotecarî alessandrini, in Atti della Acc. delle scienze di Torino, L (1914-15), p. 262 seg.; G. Perrotta, in Athenaeum, n. s., VI (1928), p. 127 segg. Sulla critica omerica, particolarmente U. v. Wilamowitz, Homerische Untersuchungen, Berlino 1884, p. 67 segg. Sui lirici, Wilamowitz, Textgesch. d. griech. Lyriker, Berlino 1900, pp. 7 segg., 74 segg. Sui lirici, tragici e commediografi, Wilamowitz, Einl. in d. griech. Trag., Berlino 1921, p. 140 segg. Sulle conoscenze metriche che derivano da A., F. Leo, in Hermes, XXIV (1889), p. 280 segg. Interpunzioni e accenti avranno aiutato la lettura dei testi (R. Schmidt, Beiträge z. Gesch. d. Gramm. d. Griech. u. Lat., Halle 1859, p. 571 segg.; A. Lentz, Herodiani reliquiae, I pref., p. xxxvii segg.; Rutherford, Schol. Aristoph., 2ª ed., III, Londra 1905, p. 156 segg.; I. E. Sandys, Hist. of class. Scholarship, I, Cambridge 1906, p. 125 seg.), ma difficilmente in modo sistematico (Wilamowitz, Einl. ecc., p. 143). Sulle ὑποϑέσεις, F. W. Schneidewin, Abhandl. Gött. Ges. Wiss., VI, 1856, p. 3 segg.; A. Trendelenburg, Gramm. Graecor. de arte trag. iudicior. reliquiae, Bonn 1867, p. i segg.; G. Jachmann, De Aristot. didascaliis, Gottinga 1909, p. 46 segg. Resti di ὑποϑέσεις euripidee, in Amherst pap., II, 1901, p. 8 seg. (L. Radermacher, in Rhein. Mus., LVII, 1902, p. 138). Sulle ὑποϑέσεις di Aristofane il commediografo, I. Wagner, Die metr. Hypothes. zu Aristophanes, Berlino 1908. Sui canoni alessandrini più a fondo han discorso D. Ruhnken, Opusc., I, 1823, p. 385 segg.; G. Bernhardy, Griech. Lit.-Gesch., 5ª ed., I, p. 185; Th. Bergk, Griech. Lit.-Gesch., I, p. 284 segg.; H. Usener, Dionys. Hal. libr. de imit., 1889, p. 132 segg.; O. Kröhnert, Canonesne poetar scriptor artificum per antiquitatem fuerint, Königsberg 1897; W. Heidenreich, De Quintil. l. X, de Dionys. Hal. de imit. l. II, de canone qui dic. Alex. quaestiones, Erlangen 1900. - Sulla grammatica e l'analogia H. Steinthal, Geschichte d. Sprachwissenschaft, II, Berlino 1891, p. 78 segg. e K. Barwick, Remmius Palaemon, Lipsia 1922, p. 269. Sulla lessicografia, L. Cohn, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 1000 segg. I frammenti in A. Nauck, A. Byzant. gramm. Alex. fragmenta, Halle 1848. Aggiungi Pap. Oxyrh., II, 1899, p. 52 seg., 85; Arch. f. Papyrusforschung, I, 1900-01, p. 535.

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