ARGENTO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ARGENTO

B.M. Alfieri

L'oro e l'a. erano, anche nel Medioevo, i due metalli preziosi per eccellenza. L'a., meno raro e di conseguenza meno costoso, venne utilizzato durante tutto il periodo medievale secondo procedimenti analoghi all'oro e adoperato come quello nella decorazione dei manoscritti di lusso. La carenza dell'oro, scomparso nel sistema monetario dall'epoca carolingia fino all'inizio del sec. 13° e, anche in seguito, riservato alle opere di grandissimo lusso, fece sì che l'a. divenisse uno dei metalli più usati dagli orafi; pertanto gli oggetti di a. semplice o dorato conservati sono di gran lunga i più numerosi.Bianco e brillante, l'a. è più duro dell'oro, quantunque fonda a temperatura più bassa (ca. 1000°C), è sonoro, donde l'importanza della proporzione dell'a. impiegato per la preparazione della lega per le campane; infine è malleabile ed estremamente duttile. L'a. si trova allo stato naturale, ma le miniere di piombo argentifero erano sfruttate fin dall'Antichità. È possibile che gli alchimisti, che associavano l'a. alla luna, avessero trovato nel processo della coppellazione - nel corso del quale il piombo sembra trasformarsi in a. - lo spunto per l'elaborazione delle loro teorie. Teofilo (Diversarum artium schedula, III, 23) ha descritto il processo piuttosto rozzo di purificazione dell'a., mediante il quale, per mezzo di un ramoscello verde appena colto da una siepe, le impurità venivano eliminate dalla superficie del metallo, in fusione in un crogiolo d'argilla. Durante tutto l'Alto Medioevo e nell'epoca romanica, l'uso dell'oro restò sempre eccezionale ed è a volte difficile precisare il senso della parola deauratum nei conti e negli inventari: può infatti indicare un oggetto d'oro ma più spesso si riferisce a un'opera d'a. dorato. Grande importanza ebbero, nell'Alto Medioevo, i grandi servizi di oreficeria del Basso Impero che divennero parte di tesori laici o ecclesiastici, come per es. il tesoro di Hildesheim (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Antikenmus.), appartenuto a un capo germanico, del sec. 5°, o gli oggetti di a. che Didier, vescovo di Auxerre, donò nel sec. 7° alla sua chiesa e che scomparvero nel 13° secolo. Se qualcuno dei vasi antichi d'a. è stato conservato con cura lungo il corso di molti secoli, la maggior parte fu invece fusa, aumentando così la quantità di materia prima di cui gli orafi medievali potevano disporre: l'esempio più celebre è quello del vaso d'a. offerto da Clodoveo a s. Remigio (il c.d. vaso di Soissons), fatto fondere dal santo per far eseguire un calice ornato di immagini. Ancora in epoca carolingia venivano impiegate enormi quantità di a. per particolari tipi di oggetti: per es., il crocifisso offerto alla basilica di S. Pietro in Vaticano da Leone III (795-816) pesava 72 libbre (Lib. Pont., II, p. 11) e il ciborium offerto dallo stesso pontefice per l'altare di s. Andrea, sempre nella basilica vaticana, era di 305 libbre (ivi, p. 16); l'esempio del grande paliotto d'a. di Città di Castello (Mus. Capitolare) mostra come l'impiego dell'a. per opere di grandi dimensioni sia continuato durante il periodo romanico. Anche il reimpiego di oggetti d'a. di epoche anteriori o di diversa provenienza resta costante, come mostra la donazione fatta da Raimondo III, conte di Rouergue (m. nel 1010), all'abbazia di Conques di 21 vasi d'a. cesellati e in parte dorati e di una sella d'a. presa ai musulmani, con cui i monaci fecero una croce, conservando come decorazione le cesellature originali, senza dubbio consistenti in iscrizioni cufiche.La ricomparsa dell'oro nel sistema monetario del periodo gotico non provocò, per contraccolpo, una scomparsa dei pezzi di argenteria, ma piuttosto il contrario. Gli inventari dei tesori religiosi e profani dei secc. 13° e 14° rivelano un numero considerevole di oggetti (reliquiari, statuette o vasellame) d'a. bianco e dorato. Il più completo fra gli inventari di tesori principeschi, e certamente uno dei più ricchi, quello di Luigi duca d'Angiò, databile al 1379-1380, menziona 3209 oggetti d'a. dorato e bianco, ornati di decorazioni tra loro diversissime, ma soltanto 377 oggetti d'oro (Moranvillé, 1906).Benché sia meno duttile dell'oro, l'a. puro è comunque troppo malleabile per essere lavorato; di conseguenza, per essere utilizzato in oreficeria, deve essere legato a una piccola quantità di rame, sempre rigorosamente calcolata. A partire dai secc. 13° e 14° gli statuti degli orafi consentono di conoscere meglio le condizioni di utilizzazione dell'a. e il titolo imposto per le opere eseguite. Oltre alla regolamentazione del titolo dell'a., queste differenti disposizioni ne precisano anche l'eventuale abbassamento, che poteva essere provocato dalla presenza di saldature. Dal 1223 gli statuti degli orafi veneziani fissano il titolo dell'a. utilizzato, in riferimento a quello della sterlina inglese. Questo criterio, ripreso nel 1292 da Edoardo in Inghilterra, fu il più comune per tutto il Medioevo. Alcuni statuti, come per es. quello degli orafi senesi, stabilivano un vero codice di sanzioni da infliggere agli orafi colpevoli di aver adoperato un cattivo a. e le ammende erano proporzionate al titolo stesso dell'a. sofisticato. Ugualmente era fissata l'utilizzazione dell'a. di recupero. Verso il 1260 il Livre des métiers di Etienne Boileau (Lespinasse, 1879-1892, I), che fissava lo statuto delle varie attività artigianali a Parigi, sotto il regno di Luigi il Santo, precisa che gli orafi erano autorizzati a lavorare l'oro e l'a. senza alcuna distinzione tipologica tra gli oggetti realizzati con i due materiali, come confermano gli oggetti conservati. L'a. puro era allora valutato 12 denari, quello lavorato doveva avere il titolo di una sterlina, e cioè 11 denari (un'oncia valeva 24 denari). Nel 1275 il titolo stabilito per l'a. fino era quello di Tours, e cioè quello dei grossi tornesi coniati sotto Luigi il Santo, che valevano 11 denari e 12 grani. Questo titolo corrisponde a quello che nel sec. 14° si chiamava argent le Roy, fissato sotto il regno di Carlo V (1364-1380) a 11 denari e 12 grani fini, più 3 grani di recupero per le saldature. Tutte le deroghe al titolo dovevano essere espressamente consentite dai maestri del mestiere, a eccezione delle opere destinate alla Chiesa; per evitare frodi in materia di pietre preziose, era permesso l'uso di paillons (lamelle) d'a. solo sotto le ametiste e i granati.I punzoni di città erano garanti del titolo degli oggetti: uno dei primi punzoni 'al fiore di giglio' (Parigi) è stato impresso su un oggetto d'a., il reliquiario portatile di Herkenrode (1286). Dopo il sec. 14° era consuetudine indicare le opere d'a. in rapporto al loro punzone ed è così che si trova menzione di a. di Parigi, di Montpellier, di Tolosa, d'Avignone, quest'ultimo da identificare con l''a. di corte', citato nei conti del re Renato d'Angiò, a. che doveva avere un titolo più debole, visto che il suo valore era inferiore del 12% rispetto a quello degli altri.Diversi termini appaiono nei testi per definire l'a., per es. argentum merum o argent mies era quello puro, non unito in lega, mentre l'a. di Cipro era costituito da un sottile nastro piatto, arrotolato intorno a un filo di lino. L'electrum era una lega d'oro e d'a. che, pur esistendo allo stato naturale, era quasi sempre di origine artificiale; le sue proporzioni non sono codificate dalle fonti, ma è stato utilizzato più spesso di quel che non si creda, dato che il suo colore lo fa confondere con l'a. dorato. La maggior parte dei documenti distingue l'a. senza doratura da quello dorato (vermeil), che godeva in effetti di un prestigio indiscutibile; parti di a. bianco e di a. dorato potevano essere accostate, a scopo decorativo, a costituire il c.d. argent verré.L'a., come l'oro, poteva servire alla fabbricazione degli oggetti più diversi; poteva essere fuso, battuto, lavorato a sbalzo, stampato con l'aiuto di una matrice. Il fenomeno della ritrazione, che appare al momento del raffreddamento dell'a., rendeva più complessa la fusione. L'a. riceveva, come l'oro, ogni sorta di decorazioni ottenute con le tecniche dell'incisione o del cesello. Poteva anche essere laminato o tirato in fili: il Livre des métiers elenca le corporazioni dei battitori d'a. 'in foglia' e dei battitori d'oro e d'a. 'da filare', che erano tenuti a usare una lega che fosse formata da almeno 10 sterline d'oro per 25 once d'a. (Lespinasse, 1879-1892, I).L'a. è stato spesso impiegato nella composizione delle decorazioni a tarsie metalliche, per es. nella tecnica, ereditata dall'Antichità, degli intarsi di lamine d'a. nel bronzo, utilizzata sia per oggetti di piccole dimensioni sia per l'ornamentazione di pezzi monumentali, come testimoniano alcune porte bizantine o realizzate sotto l'influsso bizantino. Nell'Alto Medioevo con la damaschinatura d'a. si sono ottenute decorazioni raffinate, mediante l'incrostazione di fili d'a. bianco (qualche volta di rame, eccezionalmente d'oro) nelle parti incise di una superficie metallica. La niellatura fu realizzata su rame, oro o a. sempre per ottenere contrasti di colore, ma in questo caso con il nero; tale tecnica consiste nel riempire tratti incisi o piccole superfici scavate con solfuro d'a. (un composto di a., zolfo e piombo) che, scaldato, va a colmare tutte le cavità, assumendo un colore nero intenso; questo procedimento è stato a volte, a torto, assimilato allo smalto.Dalla fine del sec. 13° l'a. ha giocato un ruolo decisivo nella diffusione della tecnica degli smalti traslucidi applicati su rilievi. Se è vero che questa tecnica è stata praticata sull'oro per opere di grandissimo lusso, molto più spesso è stata applicata sull'a., meno raro dell'oro, ma la cui brillantezza e colore permettevano ugualmente effetti notevoli. Il metallo, inciso e cesellato, era ricoperto di uno strato di smalti traslucidi, sufficientemente sottile da lasciar vedere la lavorazione sulla placca metallica sottostante, permettendo così alla luce di colpire la superficie dell'a. che ravvivava il colore degli smalti.

Bibl.:

Fonti. - Teofilo, Diversarum artium schedula, a cura di A. Ilg, Wien 1874 (rist. anast. Osnabrück 1970); Lib. Pont., II, 1892; Pierre le Roy, Statuts et privilèges du corps des marchands orfèvres-joailliers de la ville de Paris, Paris 1734.

Letteratura critica. - G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854; Abbé Texier, Dictionnaire d'orfèvrerie, de gravure et de ciselure chrétiennes ou de la mise en oeuvre artistique des métaux, des émaux et des pierres, Paris 1857; R. de Lespinasse, Les métiers et les corporations de la ville de Paris, I, Etienne Boileau, Le livre des métiers, a cura di R. de Lespinasse, F. Bonnardot; II, XIVeXVIIIe siècles, Paris 1879-1892; H. Moranvillé, Inventaire de l'orfèvrerie et des joyaux de Louis Ie, comte d'Anjou, Paris 1906; V. Gay, Glossaire archéologique du Moyen Age et de la Renaissance, 2 voll., Paris 19292; C.J. Jackson, English Goldsmiths and their Marks, London 1949; R.W. Lightbown, Secular Goldsmith's Work in medieval France, London 1978; J.M. Fritz, Goldschmiedekunst der Gotik in Mitteleuropa, München 1982; G. Monticolo, I capitolari delle arti veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia vecchia, dalle origini al MCCCXXX, I, Roma 1986.D. Gaborit Chopin

Area bizantina

La storia degli a. bizantini può essere divisa in due periodi: un periodo più antico (300-700) e uno medievale (dopo il 700), contraddistinti da tipologie e stili decorativi differenti.Gli a. del primo periodo sono numerosi: si conservano ca. 1500 pezzi, provenienti sia dall'area orientale sia da quella occidentale dell'impero, inclusi trenta tesori, ognuno dei quali costituito da almeno quattro oggetti importanti. Circa la metà di questi tesori, specie quelli dei secc. 6° e 7°, è composta da oggetti di uso domestico. È il caso, per es., dei tesori di Canoscio (Città di Castello, Mus. Capitolare), Canicattini Bagni (Siracusa, coll. privata), Lampsaco (Londra, British Mus.; Istanbul, Arkeoloji Müz.; Parigi, Louvre), Mitilene (Atene, Byzantine Mus.), Smirne (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), Cipro (Nicosia, Cyprus Mus.; New York, Metropolitan Mus. of Art; Londra, British Mus.; Baltimora, Walters Art Gall.). Gli altri tesori sono composti invece da oggetti liturgici, come nel caso di quelli di Sion (Antalya, Antalya Müz.; Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), Kaper Koraon - che venne diviso nei quattro tesori di Hama (Baltimora, Walters Art Gall.), di Stuma (Istanbul, Arkeoloji Müz.), di Riha (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.) e di Antiochia (New York, Metropolitan Mus. of Art; Parigi, Louvre) -, Phela (Berna, Abegg Stiftung; Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), Beth Misona (Cleveland, Mus. of Art), Luxor (Cairo, Coptic Mus.), Gallunianu (Siena, Pinacoteca Naz.). Almeno trecento di questi oggetti sono stati sottoposti ad analisi scientifiche e in quasi tutti il grado di purezza dell'a. oscilla tra il 92% e il 98%. Le fonti scritte documentano una diffusa circolazione degli a. ed è importante notare come nell'impero d'Oriente, tra il 400 e il 615, questo metallo non venisse usato per la coniazione ordinaria. Circa centottanta pezzi portano i marchi delle officine imperiali; i marchi erano applicati nel sec. 4° agli oggetti utilizzati nella largitio, distribuiti cioè dall'imperatore in occasione dell'ascesa al trono, di anniversari e di altre celebrazioni, pratica questa che si perpetuò almeno fino al regno di Giustino II (565-578); dal 498 ca. fino almeno al 668 i marchi vennero applicati anche a una grande varietà di oggetti di uso comune, come lampade, piatti, calici e patene.Fra i reperti conservati si ritrovano a. di committenza imperiale o aristocratica - come quelli di Monaco del 321 ca. (Bayer.-Hypotheken-und Wechsel-Bank) o dei tesori Esquilino (Londra, British Mus.; Parigi, Mus. du Petit Palais) e Kaiseraugst (Augst, Römermus.), entrambi del 350 ca., nonché il missorium di Teodosio I, del 388 (Madrid, Real Acad. Historia), la croce di Giustino II (Roma, Tesoro di S. Pietro), i piatti con le Storie di Davide, del 630 ca., ritrovati a Cipro (New York, Metropolitan Mus. of Art) - ma anche molti altri oggetti di minor peso e di semplice fattura.Un gran numero di questo tipo di oggetti in a. di costo limitato veniva acquistato da semplici cittadini per farne offerta alle chiese, come è attestato dalle iscrizioni dedicatorie; i doni offerti alla chiesa di Sion in Licia (Turchia) dal vescovo Eutichiano (565 ca.) sono però di maggior peso e di qualità superiore. Le chiese erano infatti decorate con una grande quantità di a., usato per rivestire altari, cibori, transenne del coro, tabernacoli e porte; esempi di tali manifatture si conservano appunto nel tesoro di Sion.In questo stesso periodo, la produzione più diffusa era costituita da oggetti di uso domestico, inclusi piatti con decorazioni, spesso a rilievo, di soggetti imperiali, mitologici o cristiani, disposti o in un medaglione centrale o sull'intera superficie (per es. i piatti con figurazioni di eroti dei secc. 6° e 7°, conservati nel Benaki Mus. di Atene e i piatti citati con Storie di Davide); piatti da portata come quelli del tesoro di Mitilene, realizzati in servizi di varie grandezze, ornati con un semplice motivo intarsiato o inciso, come un monogramma o una croce, racchiuso in un medaglione centrale; lampade a stelo, a sospensione e polycandela lavorati a traforo. I servizi composti da brocca e patera (cherniboxesta), alcuni dei quali sono databili al sec. 7°, erano spesso decorati a rilievo con immagini marine (Poseidone, creature marine, pescatori). Tra gli oggetti di uso domestico si trovano anche numerosi cucchiai (alcuni, come quelli conservati nei tesori di Lampsaco e Cipro, ornati con animali e iscrizioni, in particolare monogrammi dei proprietari), articoli da toletta (scrigni, specchi, ampolle) e anche rivestimenti per mobili (tesoro di Lampsaco).Oltre agli oggetti destinati all'illuminazione, simili a quelli di uso domestico (un importante gruppo di polycandela e lampade è presente nel tesoro di Sion), l'argenteria liturgica includeva patene e calici (nell'insieme chiamati diskopoteria), incensieri, croci, ventagli, reliquiari e acquamanili. Le patene differivano dai piatti in a. per uso domestico per gli alti bordi inclinati e perché decorate nel cavetto con l'incisione di una grande croce circondata da un'iscrizione dedicatoria (tesori di Sion, Kaper Koraon e Gallunianu); due celebri patene, quelle di Stuma e di Riha, sono però decorate con una scena complessa realizzata a sbalzo, la Comunione degli apostoli.I calici, caratterizzati dalla grande coppa emisferica, dal piede svasato e dallo stelo interrotto da un ingrossamento, il c.d. nodo, erano spesso privi di decorazione (tesoro di Gallunianu), oppure erano ornati con figure (tesori di Hama, Beth Misona, Phela); iscrizioni dedicatorie erano poste intorno al bordo superiore della coppa. Gli incensieri non avevano coperchio e la loro forma ricorda, su scala minore, quella dei contemporanei lampadari. Le superfici esterne erano spesso decorate a rilievo con scene del Nuovo Testamento (tesoro di Sion) o con figure singole; iscrizioni dedicatorie venivano incise intorno all'estremità superiore, come nei calici. Le croci (tesori di Luxor, Hama e Phela) erano di forma latina e avevano alla base un cordolo metallico per consentire l'inserimento su un supporto fisso o su un'asta, probabilmente sormontata da un pomello d'a. (tesoro di Phela). Una o entrambe le facce delle croci erano decorate da iscrizioni dedicatorie e/o figure. I ventagli liturgici (rhipidia) venivano sventolati dai diaconi per allontanare gli insetti dai simboli sacri; due esemplari conservati e datati al 577 (tesori di Riha e Stuma) e alcune fonti scritte attestano che i ventagli venivano decorati con immagini di cherubini e serafini, figure custodi del trono divino. I cherniboxesta per uso liturgico sono attestati da varie fonti scritte; ne rimangono però solo pochi esempi con dediche alla chiesa di pertinenza o con decorazioni a carattere religioso (per es. il c.d. vaso di Homs; Parigi, Louvre). I reliquiari d'a., come quelli conservati a Roma (BAV, Mus. Sacro), a Leningrado (Ermitage), a Milano (Tesoro del Duomo), avevano forma di scrigni oblunghi o cubici, decorati con simboli e scene cristiani. L'argenteria ecclesiastica annoverava anche placche votive o piccole croci offerte a scopo devozionale o per ringraziamento (tesoro di Hama), rilegature di libri sacri decorate con figure e/o croci (tesori di Sion e Antiochia), piccoli utensili quali cucchiai e colatoi (tesori di Hama e Gallunianu).La produzione argentea successiva al 700 non è stata ancora oggetto di studi dettagliati ed esaurienti e non è stata nemmeno effettuata alcuna verifica circa la purezza del metallo dei vari oggetti. Nel corso di scavi archeologici non sono stati rinvenuti tesori costituiti da esemplari di oggetti domestici o liturgici in a., anche se le fonti ne attestano l'uso: per es. un piatto liturgico in a. è testimoniato nell'inventario di Patmos e, assieme a oggetti per uso domestico (asemion), nel testamento di Eustathios Boilas (1059); sono documentati anche vari oggetti d'oro e d'a. (crateri e specchi) appartenenti a famiglie nobili e imperiali dell'11° e 12° secolo.Tuttavia, a differenza del primo periodo, quello successivo è rappresentato da un numero proporzionalmente grande di oggetti di committenza imperiale e aristocratica, in particolare calici, patene, reliquiari, lastre, coperte di libri. Alcuni di questi oggetti, sui quali compaiono iscrizioni dedicatorie dei secc. 10° e 11°, furono portati dai crociati, nel 1204, da Costantinopoli a Venezia, Halberstadt, Limburg a.d. Lahn, Maastricht e in altri centri europei, dove sono tuttora custoditi; gli oggetti un tempo conservati presso la Sainte-Chapelle di Parigi furono invece distrutti durante la Rivoluzione francese. Molti dei calici bizantini del sec. 10° che si trovano oggi nel Tesoro di S. Marco a Venezia - per es. quello dell'imperatore Romano II e il c.d. calice dei Patriarchi - sono formati da una coppa in pietra semipreziosa collocata su un supporto in a. dorato, decorato sul piede e sul bordo con ornamentazioni a rilievo, placche smaltate, gemme e perle. Tre secoli più tardi, il calice di Manuele Cantacuzeno (Athos, Vatopedi, 1348-1380) venne realizzato in maniera analoga: una coppa di diaspro scolpito, sorretta da un piede d'a. dorato con manici a forma di drago. Sostegni d'a. dorato sono stati utilizzati anche per le patene d'alabastro e d'agata, databili ai secc. 10° e 11°, conservate a Venezia e a Bruxelles. L'uso della doratura totale di questi sostegni d'a., a imitazione dell'oro, differisce dall'impiego della doratura parziale, diffusa nel primo periodo bizantino e finalizzata a creare un contrasto di colori sullo sfondo in argento.In contrapposizione ai numerosi, anche se spesso 'poveri', oggetti liturgici del primo periodo, si ritrovano pochi esemplari medievali di calici e patene in a. al di fuori di Venezia - la patena di Halberstadt (Domschatz) con una Crocifissione a rilievo, databile al sec. 11°, rappresenta un'eccezione - sebbene questo genere di oggetti venga non di rado menzionato negli inventari. Nei musei di Istanbul, Antiochia, Berlino, Oxford, Atene, Ginevra, Leningrado e Washington si conserva una serie di patene, frammenti di calici e polycandela realizzati in rame stagnato a imitazione dell'a. e databili al 10° e 11° secolo.Relativamente numerosi risultano gli esemplari di croci processionali, reliquiari e rivestimenti di icone; di particolare interesse è una serie di croci processionali, rivestite in a., del sec. 11°, forse provenienti dall'Asia Minore e ora conservate nei musei di Washington, Parigi, Ginevra e Cleveland, decorate su un lato con busti a sbalzo e motivi floreali e sull'altro con intarsi a niello e figure parzialmente dorate.Numericamente rilevanti fra i reliquiari medievali sono le stauroteche, databili tra il sec. 10° e il 13°; si tratta di astucci a struttura di dittico o trittico, realizzati in a. dorato, spesso con decorazioni in smalto e gemme. Sovente questi reliquiari presentano motivi decorativi in a. sbalzato, come nel pannello con le Pie donne al Sepolcro conservato a Parigi (Louvre) e in numerosi pannelli posteriori decorati con la croce come albero della vita.Sono stati spesso variamente riconosciuti come reliquiari, incensieri o artophoria oggetti in a. che altro non sono invece che riproduzioni di tabernacoli o di edifici. A questa categoria appartengono il reliquiario a cupola del sec. 10° conservato ad Aquisgrana (Domschatzkammer), forse realizzato sul modello del Santo Sepolcro di Gerusalemme, la riproduzione del santuario di S. Demetrio a Salonicco (Leningrado, Ermitage), del sec. 11°, e ancora una costruzione a più cupole con personificazioni della Verità e della Fortezza sui portali, attribuita a una bottega dell'Italia meridionale (Venezia, Tesoro di S. Marco).Placche o pannelli erano utilizzati come reliquiari, icone (per es. quella dell'arcangelo Michele; Venezia, Tesoro di S. Marco) o coperte di libri (Venezia, Bibl. Naz. Marciana). Anche in questi casi l'a. non venne utilizzato per le sue proprietà decorative, ma usato in sostituzione dell'oro e ricoperto da incrostazioni in altri materiali. Tra il sec. 11° e il 14° le cornici e i rivestimenti (rize) per icone dipinte furono minuziosamente eseguiti in lamina d'a. pressata con inserti a rilievo e ricoperta in filigrana; spesso venivano incorporate placchette lavorate a sbalzo con figure o scene narrative, come quelle del mandylion di Genova (S. Bartolomeo degli Armeni), databile al 14° secolo. Tra gli esempi di pannelli medievali da rivestimento in a. liscio va ricordato il paliotto della cattedrale di Torcello, del sec. 13°, di probabile manifattura veneziana con influenze bizantine.Oltre agli a. liturgici, sono pervenuti alcuni oggetti di uso comune con decorazioni a rilievo, in particolare il calamaio di Leone (Padova, Tesoro del Duomo, sec. 9°-11°), decorato con figure mitologiche, e una serie di coppe del sec. 12°, conservate a Leningrado (Ermitage) e a Kiev (Istoritscheskij Muz.), con scene campestri e di caccia che rivelano l'influenza del Vicino Oriente.Strettamente legata ai lavori in a. bizantini di questo periodo è la produzione della Georgia, che annovera fra i suoi esemplari icone lavorate a sbalzo, cornici e rivestimenti, alcuni dei quali eseguiti in forme bizantine (per es. la placca con S. Simeone Stilita del 1015 ca.; Tbilisi, Gosudarstvennyj mus. Gruzii) e altri in forme orientali (per es. le icone con S. Demetrio che uccide Diocleziano; Mestia, Mus. Statale di Storia ed Etnografia della Svanezia).

Bibl.: E.C. Dodd, Byzantine Silver Stamps (Dumbarton Oaks Studies, 7), Washington 1961; W.F. Volbach, Silverware, in Byzantine Art and European Art, Ninth exhibition held under the auspices of the Council of Europe, cat., Athinai 1964, pp. 409-438; A. Grabar, Les revêtements en or et en argent des icônes byzantines du Moyen Age, Venezia 1975; B.P. Darkevič, Svetskoe iskusstvo Vizantii [Arte profana di Bisanzio], Moskva 1975; Wealth of the Roman World, AD 300-700, a cura di J.P.C. Kent, K.S. Painter, London 1977; W. Seibt, T. Sanikidze, Schatzkammer Georgien. Mittelalterliche Kunst aus dem staatlichen Kunstmuseum Tbilisi, cat., Wien 1981; Il Tesoro di San Marco a Venezia, Milano 1984; M. Mundell Mango, Silver from Early Byzantium. The Kaper Koraon and related Treasures, Baltimore 1986; C. Mango, La Croix dite de Michel le Cérulaire et la Croix Saint-Michel de Sykéôn, CahA 36, 1988, pp. 41-49; Ecclesiastical Silver Plate in Sixth-Century Byzantium, a cura di S. Boyd, M. Mundell Mango, G. Vikan (in corso di stampa).M. Mundell Mango

Islam

L'a. (arabo fiḍḍa) fu largamente usato nell'antica società musulmana, poiché, insieme all'oro, costituiva la materia prima della monetazione ufficiale istituita dal califfo omayyade ῾Abd al-Malik verso la fine del 7° secolo. Le fonti medievali citano numerose zone minerarie, a Oriente e a Occidente dell'immenso territorio dell'Islam, ma i più celebri distretti argentiferi per lo sfruttamento del minerale su larga scala erano situati nelle regioni del Khorasan e della Transoxiana (Bolin, 1953; Dunlop, 1957). Nel corso del sec. 10° una grande quantità di a. islamico, sotto forma di dirham, raggiunse per vie commerciali anche l'Europa orientale e settentrionale (Blake, 1937; Hinley, 1955).L'a. veniva usato anche nella lavorazione del vasellame di lusso, nelle incrostazioni decorative, nella decorazione architettonica. L'uso di gioielli d'a. per le donne veniva convalidato dall'autorità dello stesso Profeta, che aveva proibito solo quelli d'oro. Agli uomini venne concessa l'elsa della spada in a. contro il pagamento di una tassa-elemosina pari a un quarantesimo del valore dell'oggetto.Numerose fonti, storiche, letterarie e poetiche, concordano nel testimoniare l'uso costante di vasellame prezioso per i banchetti di corte. Zubayda, la bella moglie di Hārūn al-Rashīd (766-809), si rifiutava addirittura di mangiare in stoviglie che non fossero d'a. o d'oro. Di questo periodo si conserva a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst) un bellissimo piatto ottagonale d'a., con decorazione incisa, rappresentante l'animale fantastico sasanide sīmurgh, di natura benefica, entro medaglioni che si alternano con motivi vegetali altamente stilizzati. Già in epoca omayyade veniva reimpiegata l'argenteria sasanide, saccheggiata in gran copia dopo la conquista di Ctesifonte (637), secondo il racconto dello storico Ṭabarī (m. nel 923). Le numerose copie conservatesi di recipienti d'a. sasanidi, decorate con i caratteristici motivi della caccia regale, hanno creato non pochi problemi di datazione e di classificazione. Ai Buyidi (Iran occidentale, secc. 9°-10°) e ai Samanidi (Iran orientale, secc. 9°-10°) vengono attribuite alcune brocchette d'a. di Leningrado (Ermitage), decorate con medaglioni intrecciati, racchiudenti figure di animali fantastici o di uccelli, e con iscrizioni eulogiche in caratteri cufici. Nell'inventario dei tesori del palazzo fatimide del Cairo (Otto-Dorn, 1964), risalente al 1062, compare un lunghissimo elenco di recipienti d'a. peraltro scomparsi. Le suppellettili preziose erano normalmente usate anche nella corte omayyade di Córdova: si conoscono cofanetti per gioielli in a. sbalzato e dorato, simili a quelli in avorio. Uno di questi fu fatto fabbricare, secondo l'iscrizione, dal califfo al-Ḥakam II verso il 975 ed è decorato da eleganti tralci eseguiti in finissima filigrana (Gerona, Mus. de la Catedral). La tradizione si mantenne anche alla corte di Granada, come testimonia una bellissima ampolla da moschea decorata con eleganti caratteri cufici e tralci ad arabesco, donata nel 1305 alla moschea dell'Alhambra da Muḥammad III.Nell'Iran selgiuqide si apprezzarono altamente le stoviglie di lusso, come attestano gli esemplari provenienti da scavi effettuati in Persia, per es. le due tazze d'a. conservate all'Ermitage, decorate l'una con la figura del principe in trono, seduto su un tappeto, l'altra con il sovrano raffigurato nell'atto di domare una coppia di leoni. Una brocca d'a. selgiuqide (sec. 13°), ricoperta da fregi con animali e iscrizioni in rilievo, si conserva a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst).Presso i sovrani musulmani dell'Iran si perpetuò fino all'epoca safavide l'usanza sasanide (documentata tuttavia anche in tempi più antichi) di donare argenteria preziosa ai più eminenti capi dell'esercito sia per ringraziarli dei servizi resi sia per garantirsene la fedeltà. Un'autorevole testimonianza di quest'uso è fornita da Niẓām al-Mulk, gran vizir selgiuqide (m. nel 1092). Egli parla di un banchetto dato a Bukhara dal samanide Naṣr b.Aḥmad, alla fine del quale questi avrebbe detto: "dividiamo [...] l'argenteria [...] fra tutti i capi dell'armata" (Niẓām al-Mulk, Siyāsatnāma). Anche Gardīzī, descrivendo (1048) un grandioso ricevimento organizzato da Maḥmūd di Ghazna, ricorda che al termine di esso il sultano "ordinò che fosse preparato un dono di utensili d'oro e d'argento [...] per darlo a Qadar Khān come segno d'onore e generosità" (al-Gardīzī, Kitāb-i Zayn ul-Akhbār).Vari altri usi dell'a. vengono testimoniati dal famoso viaggiatore marocchino Ibn Baṭṭūta all'epoca del suo soggiorno (1334) presso i sovrani mongoli dell'Orda d'oro in Crimea. Questi solevano ridurre l'a. in lingotti per usarlo come moneta di scambio o come offerta votiva a famosi santuari o ancora come dono ai viaggiatori; inoltre lo impiegavano nella decorazione architettonica: le loro tende regali erano, secondo il viaggiatore, "sostenute da quattro pilastri di legno coperti con lamine d'argento. Ogni pilastro è sormontato da un capitello d'argento dorato che scintilla" (Ibn Baṭṭūta, Riḥla). Questa pratica doveva essere assai diffusa, se già nel 1065 il poeta persiano Asadī Ṭūsī, descrivendo il palazzo dello Shāh di Rūm, racconta che i suoi duecento padiglioni "erano sostenuti da pilastri d'argento" (Asadī Ṭūsī, Garshāspnāma).Gran profusione del prezioso metallo si faceva anche negli edifici religiosi, come attesta il libro di viaggi (Safarnāma) di Nāṣir-i Khusraw (m. nel 1088), ove in numerosi luoghi di pellegrinaggio e in mausolei del Libano e della Siria viene osservato l'impiego dell'a. in lampade e catene, porte e chiavistelli, persino nei mihrāb e nei soffitti. Secondo Nāṣir-i Khusraw nella 'moschea-cripta' di Gerusalemme, probabilmente il Santo Sepolcro, e nella Cupola della Roccia le lampade appese a catene erano numerosissime e, nella seconda, ogni catena recava un'iscrizione attestante il suo peso e il nome del sultano d'Egitto che l'aveva commissionata. Tutto l'a. della Cupola della Roccia doveva, secondo Nāṣir, raggiungere i 1000 mann (kg. 800 ca.). Nella Ka῾ba, però, doveva essere ancora maggiore, se persino tutte le porte sia quella esterna sia quelle che dall'interno consentivano l'accesso alla terrazza - erano di legno rivestito d'a. e anelli pure d'a. di diversa grandezza erano infissi sulle imposte esterne. All'interno, poi, oltre alle lampade con relative catene, erano d'a. anche sei miḥrāb "ciascuno della misura di un uomo [...] riccamente decorati con oro e niello nero" (Nāṣir-i Khusraw, Safarnāma).Quest'impiego massiccio del metallo prezioso nei luoghi di culto più venerati sembrerebbe in contrasto con le proibizioni islamiche contro il lusso. In realtà già nel sec. 7° al-Ḥajjāj, famoso governatore dell'Iraq, aveva emanato un severo editto contro l'uso dell'a., proibendo la fabbricazione di oggetti in a. per i luoghi sacri e ordinando che quelli esistenti venissero frantumati. Più tardi, sulla base di alcuni detti del Profeta (ḥadīth), si diffuse la proibizione di bere in coppe d'a. ("Colui che beve da un vaso d'argento avrà il fuoco dell'inferno gorgogliante nel suo ventre"). Tuttavia, nel Corano non c'è che un'unica proibizione: quella contro l'ammasso dell'argento. Castighi durissimi sono minacciati a coloro che lo tesaurizzano, senza spenderlo "sulla via di Dio", cioè per la guerra santa contro gli infedeli. Al contrario non mancano passi riguardanti gli abitanti del paradiso che bevono da coppe d'a. (Corano LXXVI, 15-16) o sono adorni di monili dello stesso metallo (ivi, 21). Perciò l'atteggiamento dei circoli religiosi musulmani nei confronti dell'a. fu spesso discordante; si operavano sottili distinguo fra il fabbricare oggetti e il farne uso. Taluni arrivarono a sostenere che non era proibito mangiarvi, perché il Profeta aveva interdetto solo l'azione del bervi. Ibn Baṭṭūṭa ricorda che durante un banchetto in Crimea, apparecchiato su tavole d'oro e d'a., alcuni rappresentanti della legge musulmana (fuqahā') mangiarono normalmente il loro cibo, mentre altri se ne astennero.Gli oggetti d'a. islamici pervenuti sono rari in rapporto al resto della metallistica e alle numerose testimonianze storiche e letterarie sulla loro esistenza; sono infatti circa ottanta pezzi, comprendenti vasellame di varie forme, dimensioni e diverso uso - vassoi, oggetti da toletta, incensieri, spruzza-profumi, gioielli, borchie per cintura, ornamenti per armatura - provenienti essenzialmente da tesori scoperti in Iran e nell'U.R.S.S., ove dovrebbero essere giunti in varie epoche per scambi commerciali; sembrano eseguiti in diverse località iraniche (Nihāvand, Khorasan, Balkh, Transoxiana) e sono databili tra la fine del 10° e quella dell'11° secolo. Sono oggi conservati all'Iran Bastan Mus. di Teheran, al Mus. of Islamic Art del Cairo, al British Mus. di Londra, al L. A. Mayer Memorial Inst. for Islamic Art di Gerusalemme (già Coll. Harari) e all'Ermitage. Il tesoro più coerente è quello di Teheran, consistente di undici pezzi di vasellame decorati con un'iscrizione niellata che ricorda il nome dell'emiro Valgir b.Hārūn, un ufficiale d'alto rango vissuto nell'Iran occidentale intorno al 1000. Il tesoro di Gerusalemme è più ricco e comprende numerosi spargi-acqua di rose, brucia-incenso di varie forme, un cucchiaio, ornamenti per cavalli; sembra classificabile in due gruppi, uno di orgine khorasanica e del tardo sec. 10°, l'altro nordiranico e di oltre un secolo più tardo. Forme e dimensioni degli oggetti non si differenziano da quelle dei coevi esemplari in metallo più vile, come, del resto, la decorazione, che si avvale di motivi floreali, animalistici o epigrafici, eseguiti a sbalzo, incisi o battuti. I reperti dell'Ermitage provengono da Sayram Su, sul Sīr-daryā, e da Tobolsk, sul versante orientale degli Urali; furono eseguiti probabilmente in Transoxiana e includono borchie di cintura, amuleti, bracciali e orecchini, oltre a monete. Anche gli scavi di Nīshāpūr hanno rivelato alcuni oggetti d'a. (braccialetti, anelli, un amuleto, frammenti vari) lavorati a sbalzo, incisi o niellati.Secondo una recente teoria, dovuta a Watson (1967) e Allan (1976), la scarsità di reperti d'a. si dovrebbe all'effettivo calo della loro produzione in tutto l'Islam, a favore dell'impiego del metallo prezioso per la monetazione, intorno al 1100. Melikian-Chirvani (1986) confuta questa tesi sostenendo, con l'avallo di numerose fonti, l'uso costante dell'argenteria nell'Iran dei secc. 12°, 13° e 14°, non solo nell'ambito della corte o fra l'aristocrazia militare, ma persino nei circoli religiosi. L'indubbia scarsezza dell'a. si dovrebbe alla sua fragilità e al fatto che, essendo appannaggio regale, subiva saccheggi e distruzioni a ogni cambio di regime, quando addirittura non veniva frantumato e fuso come moneta corrente per emergenze militari o finanziarie. Un esempio eloquente di questa pratica distruttiva è fornito dal bellissimo bacino parzialmente dorato della Keir Coll. di Londra, rinvenuto in frammenti piuttosto grossi, non dovuti a un danno accidentale, ma probabilmente a una frettolosa frantumazione che dovette avvenire alla vigilia dell'invasione mongola dell'Iran, in un periodo compreso tra il 1194 e il 1221, forse proprio per la necessità di batter moneta. Ricomposto, il bacino ha rivelato una linea e una decorazione decisamente iraniche, anche se con influssi misti, occidentali e orientali; fu probabilmente eseguito a Hamadān (Iran occidentale) per l'emiro Badr al-Dīn Qaragöz, come recita l'iscrizione dedicatoria, e ornato da coppie di arpie e cartigli fitomorfi entro lobi ovali, alternati a palmette a cinque lobi arrotondati, di tradizione iranica orientale.Una particolare attenzione dedicarono all'a. anche gli alchimisti, che lo definirono con fantasiosa terminologia 'luna', 'mare', 'servitore' e sperimentarono con successo varie reazioni chimiche per decantarlo e raffinarlo. Nella medicina islamica l'a. veniva usato, sotto forma di limatura e mescolato con altri prodotti, per la cura della malinconia, delle palpitazioni cardiache e di altre affezioni dello stesso genere (Ibn al-Bayṭār).

Bibl.:

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