ARGENTO

Enciclopedia Italiana (1929)

ARGENTO (fr. argent; sp. plata; ted. Silber; ingl. silver)

Filippo ROSSI
M.
Luigi BRUGNATELLI M
L.
M.
Alberico BENEDICENTI
Leonardo MANFREDI
Goffredo BENDINELLI
Francesco COGNASSO

È il noto metallo prezioso, o nobile, usato nella monetazione, nella fabbricazione di oggetti d'uso, ma soprattutto ornamentali o artistici. Il nome, in quasi tutte le lingue, sembra che si riferisca al color bianco e alla caratteristica lucentezza, per cui questo metallo fu dagli alchimisti indicato col nome della luna (o Diana) e col simbolo della luna crescente: così il lat. argentum (gr. ἄργυρος, arm. arcat‛, sanscr. arjunaḥ "bianco, luminoso"; cfr. anche il celt. Argento-(p)ratum "Strasburgo").

Proprietà. - L'argento ha color bianco particolare che si designa con l'epiteto "argenteo" e un vivo splendore, dovuto alla sua grande capacità di riflettere i raggi luminosi. Conduce il calore e l'elettricità meglio di qualsiasi altro metallo. La sua densità è 10,5 volte quella dell'acqua. Fonde a 960° C. e bolle intorno ai 2000° C. È più duttile e malleabile di qualsiasi altro metallo tranne l'oro. È più sonoro dell'oro; ha suono caratteristico, detto "argentino". Il simbolo chimico è Ag.

L'argento non si ossida né all'aria secca né all'umida, né a freddo né a caldo e per questa ragione entra a far parte del gruppo dei metalli nobili. Quando è fuso assorbe l'ossigeno atmosferico (fino a 22 volte il suo volume) e lo abbandona bruscamente nel momento della solidificazione. Il gas si sviluppa allora con tale vivacità da sollevare la superficie del metallo e produrre una forte proiezione di particelle. Questo fenomeno detto "rocciamento" è impedito da piccole quantità di rame allegate all'argento. L'argento si scioglie facilmente nell'acido nitrico, e con minor facilità nell'acido solforico concentrato bollente. L'acido cloridrico in soluzione acquosa non lo attacca che superficialmente. L'acido solfidrico lo annerisce, trasformandolo in solfuro, Così pure i solfuri alcalini, che si adoperano per patinarlo. L'argento metallico può inoltre venire disciolto dal cianuro di potassio e dall'iposolfito di sodio. Essendo più elettropositivo del mercurio, del rame, del ferro, e dello zinco, questi metalli possono precipitare l'argento dalle sue soluzioni e anche decomporre i suoi sali solidi.

L'argento metallico possiede tutte le proprietà necessarie per servire come moneta e cioè: inalterabilità, omogeneità, divisibilità, poca durezza che gli permette di ricevere facilmente le impronte, valore commerciale elevato tanto da permettere alla moneta di conservare un piccolo peso ed un piccolo volume. Per queste ragioni è stato adoperato fin dall'antichità come mezzo di scambio.

Argento nativo e minerali d'argento. - L'argento nativo si trova associato ad altri minerali d'argento nella zona di arricchimento dei giacimenti argentiferi. Particolarmente ricchi d'argento nativo sono le miniere di Kongsberg in Norvegia, di Freiberg in Sassonia e i giacimenti del Chile e del Messico.

L'argento, talvolta con piccole quantità di oro, rame, ecc., cristallizza nel sistema monometrico, classe esacisottaedrica (forme più cornuni: {100}, {111}, {110}, {210}, {331}, ecc.; abito cubico od ottaedrico). I cristalli sono ordinariamente a facce arrotondate, deformati, frequentemente tabulari o allungati, contorti, uncinati; comune gli aggregati filiformi, dendritici, lamellari, ecc. È a frattura uncinata. Ha durezza 2,5-3; peso specifico 10,1-11,1.

Si trovano in natura anche leghe di argento e oro (elettro) e di argento e mercurio (amalgama).

Ed ecco i minerali d'argento:

1. Solfuri, tellururi, seleniuri: Argentite (v.) (Ag2S), monometrico ed Acantite (Ag2S), rombico.

Hessite (Ag2Te), monometrica, simile all'argentite e con abito analogo. Giacimenti: nei filoni piombo-argentiferi della Transilvania e dell'Australia occidentale.

Aguilarite Ag2(S, Se), pure monometrica. Abito rombododecaedrico, di solito deformato, lucentezza metallica. Colore grigio-nero. Giacimenti: S. Carlo presso Guanajuato nel Messico. Monometrici sono altresì i minerali rari: Naumannite (Ag2, Pb)Se, Eukairite (Ag,Cu)2 Se, Jalpaite (Ag,Cu)2 S.

Appartengono invece alla serie rombica, come l'acantite, la Stromeyerite, modificazione rombica del (Ag, Cu)2S, in cristalli prismatici, geminati, pseudo-esagonali, che trovasi associata a minerali di rame, e la Petzite (Ag, Au)2 Te.

Si possono qui ricordare anche i seguenti minerali dei filoni auro-argentiferi di Transilvania: Silvanite (Au, Ag)Te2, rombica, Krennerite (Au, Ag)Te2 monoclina, e le rare specie Muthmannite, (Au, Ag)Te, Stutzite, ecc.

2. Antimoniuri, Arseniuri, ecc.: Discrazite (Ag3Sb), rombica, in cristalli pseudo-esagonali o in masse e aggregati fogliacei, con lucentezza metallica e colore bianco argenteo, settile, di Altwolfach (Baden), Andreasberg (Harz), Chanarcillo (Chile). Di composizione non sicuramente definita sono: l'antimoniuro d'argento (Animikite); gli arseniuri d'argento: Arsenargentite, Huntilite e Macfarlanite; la Chilenite, bismuturo d'arzento.

Solfosali: Sternbergite (Ag Fe2 S3), rombica, in cristalli tabulari o in aggregati lamellari; color giallo-garofano; nei filoni argentiferi di Joachimsthal (Sassonia). Appartiene al gruppo delle argentopiriti, fra le quali sono da ricordare anche: l'Argentopirite, l'Argiropirite, la Friesite, che si trovano specialmente nelle miniere argentifere degli Erzgebirge sassoni.

Miaroirite (Ag Sb S2). Si trova in cristalli con abito prismatico o tabulare; lucentezza adamantina tendente alla metallica; color grigio-nero. Si trova nelle miniere argentifere di Andreasberg (Harz e Freiberg in Sassonia). Una varietà di miargirite è la Kengottite di vngheria, contenente un po' di solfuro di piombo.

Smithite (Ag As S2), anch'essa monoclina, in cristalli di abito pseudo-esagonale, con lucentezza adamantina e color rosso. Si trova nella Dolomia di Lengenbach in Valle di Binn (Vallese). È da ricordare qui anche la Plenargirite (Ag Bi S2), in cristalli simili a quelli della miargirite, di Schapbach (Baden), e la Matildite della miniera Matelda in Perú, del Colorado ecc., che ha la stessa composizione e si presenta in cristalli prismatici da alcuni autori ritenuti rombici. Un altro raro solfosale argentifero è l'Andorite (Pb, Ag) Sb3S6.

3. Un gruppo importante di solfosali d'argento è rappresentato dai cosiddetti argenti rossi, e comprende:

Pirargirite: (Ag3 Sb S3) (argento rosso-scuro), e Proustite (Ag3 As S3) (argento rosso-chiaro), trigonali e isomorfi e le corrispondenti e più rare modificazioni monocline, pure fra loro isomorfe: Pirostilphite (Ag3 SbS3) e Xantoctonite (Ag3 As S3): v. pirargirite e proustite.

Un analogo minerale raro è la Tapalpite, che ha probabilmente la composizione Ag3 Bi (S Te)3.

Un altro solfosale importante è la Stefanite (v.), di composizione Ag5 Sb S4: sistema rombico, classe probabilmente piramidale.

Solfosali ricchi d'argento sono anche: la Poliargirite (Ag24 Sb2 S15), la Polibasite [(Ag, Cu)16(Sb, As)2 S11], la Pearcite [(Ag, Cu)16(As, Sb)2 S11]. Minerali argentiferi rari, ma importanti per la presenza del germanio, sono: Argirodite (Ag8 Ge S6) di Freiberg (Sassonia), la Canfeldite [Ag8 (Sn, Ge) S6], di La Paz (Bolivia), l'Ultrabasite, ecc.

4. Cloruri, Bromuri, Ioduri: al gruppo della Cherargirite (v.), appartengono i minerali monometrici: Cherargirite (Ag Cl), Bromirite (Ag Br), Miersite (Ag I), Embolite [Ag(Cl, Br)], Iodrobromite [Ag(Br, I, Cl]: Iodirite (Ag I), esagonale.

5. Come minerali d'argento, dal lato metallurgico, vanno considerati, perché questo elemento vi è contenuto in quantità utile, la Galena argentifera (v. galena), la Blenda argentifera (v. blenda) le Tetraedriti e Tennantiti argentifere (Freibergiti) (v. tetraedriti), la Percilite argentifera (Boleite), e altri solfosali di piombo, di zinco, di rame contenenti argento.

Giacimenti. - I minerali d'argento si trovano per lo più in concentrazioni e costantemente associati a galena, blenda, pirite, e ad altri minerali di piombo, di zinco, di rame; in alcune località anche a minerali di nichel, cobalto (Erzgebirge).

Come ganga di giacimenti argentiferi e piomboargentiferi è comune specialmente il quarzo, ma anche si associano spesso baritina, fluorite, e carbonati (calcite, dolomite, siderite).

Il tipo più comune di giacimento è il filone, specialmente il filone a struttura listata, dove i diversi minerali si alternano. È anche frequente, tuttavia, nei filoni maggiori, un'irregolare distribuzione e concentrazione, in nidi o accumuli delle parti più ricche. Generalmente in una regione argentifera i filoni si associano in gran numero formando dei veri campi filoniani in rocce di vario tipo. Classici sono quelli dei dintorni di Freiberg e di Joachimsthal. È notevole pure la regione filoniana argentifera del Sarrabus in Sardegna. Non mancano grandiosi filoni isolati come a Comstock nella Nevada, e giacimenti di altro tipo, come Stockwerh in rocce eruttive recenti, in Ungheria e in Transilvania.

Allorché i filoni attraversano rocce calcaree si sviluppano tipi metasomatici irregolari di giacimento, in forma di borse, nidi, ecc. In ogni caso i giacimenti argentiferi si dimostrano connessi per la loro genesi con rocce eruttive, ordinariamente intrusive. Da queste l'argento viene concentrato nei suoi giacimenti per estrazione del magma sotto forma di solfuri e solfosali. Questi prevalgono d'ordinario nella zona di arricchimento, mentre l'argento nativo e i sali alogenati d'argento sono minerali secondarî della zona superficiale di alterazione. Questi ultimi minerali sono specialmente abbondanti nei ricchi giacimenti del Chile, del Perù e del Messico, ma si trovano anche in filoni negli Erzgebirge.

Giacimenti utili d'argento si possono considerare poi anche i giacimenti di galena più o meno argentifera, come, p. es., quelli di Monteponi nell'Iglesiente (Sardegna).

La regione argentifera principale d'Italia è il Sarrabus, nella estremità sud-orientale della Sardegna. In questa gli scisti silurici sono intersecati da numerosi filoni di porfidi irradianti dalla massa granitica del gruppo dei Sette Fratelli, e da un sistema prevalentemente tangenziale alla massa granitica, di filoni piomboargentiferi con ganga in genere calcarea o fluoridrica. Le miniere principali sono quelle di Giovanni Bono, Masaloni, Baccu Arrodas, Tuviois, ecc.

Metallurgia. - L'argento può venire estratto dai suoi minerali per via secca, ossia per fusione; oppure per via umida, ossia per amalgamazione. La scelta del trattamento dipende dalla natura del minerale, dalla sua ricchezza in metallo prezioso, dal prezzo del combustibile e dalle altre condizioni economiche locali. Per via secca si trattano i minerali contenenti piombo, oppure i minerali argentiferi insieme con altri minerali di piombo. Il trattamento consiste in un arrostimento preliminare allo scopo di togliere tutto o parte dello zolfo sotto forma di anidride solforosa, e in una successiva fusione, che si pratica spesso in un forno a manica e che fornisce o piombo contenente argento, o una metallina cioè un miscuglio di solfuri di ferro, piombo o rame contenente l'argento. La metallina è sottoposta a un secondo arrostimento seguito da fusione, che fornisce piombo o rame argentifero. Questo procedimento è fondato sulla proprietà del piombo e del suo ossido di decomporre ad alta temperatura il solfuro d'argento e sulla proprietà del piombo fuso di sciogliere l'argento. È un procedimento costoso perché consuma molto combustibile e dà luogo a perdite notevoli di piombo e d'argento. Con esso si ottiene il piombo di opera, il quale a seconda dei casi contiene da 0,01 a 1% di argento.

Il piombo di opera più povero d'argento si può arricchire con due metodi diversi. Col primo, scoperto da Pattinson nel 1833, si lascia solidificare parzialmente il piombo fuso entro caldaie; i cristalli che si separano sono di piombo quasi puro, mentre il liquido è ricco d'argento. Si può così arricchire il piombo fino ad un tenore del 2,5% d'argento. Col secondo metodo s'incorpora al piombo di opera fuso il 2% di zinco. Lasciando poi abbassare la temperatura si separa alla superficie del bagno una crosta contenente gran parte dello zinco, alquanto piombo e quasi tutto l'argento. Da questa lega ternaria si separa lo zinco per distillazione e si ottiene piombo assai ricco d'argento.

Dal piombo di opera così arricchito si estrae l'argento mediante la coppellazione, operazione che si compie entro un forno a riverbero, la cui suola è formata da una grande scodella detta coppella, che si fa con marna, oppure con miscugli di argilla e calcare ben compressi e battuti. Il piombo di opera, caricato nella coppella, fonde e il bagno liquido si ossida ricoprendosi di uno strato di ossido di piombo, (litargirio), il quale alla temperatura del forno è anch'esso fuso. Per attivare l'ossidazione viene soffiata sul bagno aria compressa. Nel primo periodo della coppellazione salgono alla superficie del bagno le impurezze mescolate meccanicamente al piombo insieme col rame, il tutto sotto forma di una massa nera parzialmente fusa, che viene tolta con cucchiaie di ferro. Appaiono allora alla superficie del bagno l'antimonio e l'arsenico sotto forma di antimoniati e arseniati di piombo mescolati con ossido di piombo e formanti una massa fusa pastosa che viene anch'essa asportata. Incomincia allora il periodo del litargirio, che dura sino alla fine della coppellazione. Il litargirio fuso cola attraverso un apposito canale praticato in un punto della coppella opposto agli ugelli di dove esce l'aria compressa. Mano a mano che la superficie del bagno si abbassa, il detto canale viene scavato per mezzo di uno strumento in ferro. Quando tutte le impurezze sono state eliminate, il litargirio che prima era verde assume il suo colore naturale giallo o rosso, e quando non rimane più che un velo di ossido di piombo alla superficie del bagno ora composto quasi solo di argento, il litargirio forma sull'argento liquido anelli colorati detti occhi. Si dice allora che l'argento è in fiore. Alla fine dell'operazione l'ultima pellicola di litargirio sparisce e all'improvviso appare il metallo prezioso con un vivo splendore, che viene designato col nome di lampo dell'argento.

L'estrazione per via umida comprende il trattamento dei minerali con mercurio o amalgamazione, e il trattamento dei minerali con reattivi o lisciviazione. Nell'amalgamazione i minerali vengono triturati con mercurio oppure con mercurio insieme con reattivi diversi, capaci di decomporre i composti d'argento e liberare il metallo prezioso, il quale viene trattenuto dal mercurio. L'amalgama di mercurio e d'argento viene distillata per ricuperare il mercurio e separare l'argento.

Il mercurio si allega direttamente alle particelle d'argento nativo disseminate nel minerale e riduce il cloruro d'argento trasformandosi in cloruro mercuroso e mettendo in libertà l'argento. Lo ioduro e il bromuro vengono pure ridotti, sebbene con minore facilità; il solfuro viene attaccato molto lentamente; sui composti di arsenico e di antimonio è quasi nulla l'azione del mercurio, la quale in tutti questi casi deve venire esaltata e accelerata mediante aggiunta di reagenti varî. I minerali ai quali s'applica l'amalgamazione si distinguono in due categorie: a) minerali direttamente amalgamabili dal mercurio solo o con aggiunta di reattivi, detti minerali caldi, formati da argento nativo, cloruri e solfuri semplici; b) minerali refrattarî o ribelli o freddi, costituiti essenzialmente da arseniuri e antimoniuri complessi mescolati con solfuri metallici eterogenei; questi minerali non si possono amalgamare che dopo arrostimento e clorurazione. In genere i minerali caldi formano gli strati superficiali dei giacimenti mentre i minerali ribelli occupano le regioni più profonde.

L'antico tintín peruviano consisteva in una specie di mortaio di pietra nel quale mediante un pestello si triturava il minerale in contatto con mercurio. Al Chile e in Norvegia l'operazione era condotta entro vasche munite di agitatori (tinas). Attualmente l'amalgamazione con solo mercurio si applica soltanto ai minerali contenenti argento nativo. L'amalgamazione americana in mucchio o processo del patio fu immaginata nel 1557 da Bartolomeo di Medina: applicabile senza spesa di combustibile e con sola forza motrice animale, fu largamente usata nel Messico durante i secc. XVII e XVIII e fino alla metà del XIX; attualmente non è più applicata che in piccole aziende messicane. Il minerale polverizzato nell'arrastro (mulino primitivo, a macine strascinate, azionato da muli) insieme con acqua viene poi raccolto in mucchi (tortas) di 2 a 300 tonnellate, dell'altezza di cm. 25, su una vasta spianata (patio) pavimentata in modo da impedire quanto più possibile la penetrazione del mercurio nel terreno. Successivamente si incorpora alle tortas, facendole calpestare (repaso) dai muli, del sale marino e del magistrale, cioè calcopirite arrostita, che quindi contiene solfato di rame, e mercurio. Le reazioni che avvengono nella torta sono state spiegate in varî modi, senza che studiosi e tecnici abbiano potuto accordarsi in una teoria unica. Dopo circa un mese il processo è terminato; si aggiunge alla torta una grande quantità di mercurio per raccogliere l'amalgama, e quindi la torta viene sottoposta a lavaggio per separarne l'amalgama.

Il processo del cazo, detto anche del fondón o amalgamazione calda in caldaia, fu inventato al Chile dal prete Alonso Barba nel 1609, e si diffuse nell'America del sud e nel Messico per il trattamento dei minerali alogenati esistenti negli strati superficiali dei giacimenti. Come recipienti per l'amalgamazione si adoperarono in origine piccole caldaie dette cazos e più tardi al Messico si usarono caldaie più grandi dette fondones. Queste caldaie, costruite in muratura con rivestimento interno di rame, ricevono il minerale polverizzato insieme con acqua in quantità tale da produrre una massa fluida. S'aggiunge sale da cucina e mercurio e si agita riscaldando la caldaia. In queste condizioni il cloruro d'argento viene decomposto dal rame con formazione di bicloruro di rame e separazione d'argento che s'amalgama col mercurio. Il bicloruro di rame a contatto col rame si trasforma in cloruro ramoso ch'è sciolto dalla soluzione di sale.

Tanto il processo del cazo quanto quello del patio, che s'applicavano ai minerali alogenati, sono quasi spariti in seguito all'esaurimento dei giacimenti superiori e alla comparsa dei minerali solforati che esigono altri trattamenti. Uno di questi è il processo, che porta il nome del suo autore, B. Kröhnke, console tedesco al Chile intorno al 1860. Consiste nel trattare i minerali contenenti solfuro, arseniuro e antimoniuro d'argento entro tini rotanti con una soluzione bollente di cloruro ramoso in cloruro di sodio e in presenza di un'amalgama di zinco e di piombo nel mercurio. Il cloruro ramoso trasforma il solfuro d'argento in cloruro formando contemporaneamente solfuro ramoso. Il cloruro d'argento viene ridotto dall'amalgama in argento con formazione di cloruro di zinco o di piombo. Analoga azione esercitano lo zinco e il piombo sull'arseniuro e sull'antimoniuro d'argento. Con questo processo si riesce a estrarre la quasi totalità dell'argento, che si concentra nel mercurio. Il metodo è conveniente per i minerali dai quali si vuole estrarre soltanto l'argento che contengono, ma non si applica né alla galena né alla blenda argentifera.

L'amalgama ottenuta con l'uno o con l'altro dei suddescritti procedimenti viene purificata per addizione di mercurio, quindi filtrata entro sacchi di tela da vele e poi distillata entro storte cilindriche di ferro. L'argento che rimane nella storta dopo la distillazione del mercurio viene raffinato entro forni a riverbero o entro crogioli e lo si ottiene a seconda dei casi al titolo da 990 a 997 millesimi. La stessa raffinazione dev'essere applicata all'argento ottenuto per coppellazione. L'argento può venire estratto dai suoi minerali per soluzione in reattivi diversi: tra questi gl'iposolfiti di sodio e di calcio e il cianuro di potassio.

Produzione. - L'argento è essenzialmente un prodotto americano. Il versante occidentale delle Montagne Rocciose e delle Ande racchiude le regioni del globo più ricche d'argento, e la produzione totale dell'America raggiunge i quattro quinti di quella del mondo intero. Per es., nel 1920, sopra un totale mondiale di kg. 5.420.900 gli Stati Uniti produssero kg. 1.722.000, il Messico, terra classica dell'argento, kg. 2.073.000, il Canadà kg. 398.000, il Perù kg. 286.000, la Bolivia ed il Chile kg. 125.000. Nello stesso anno l'Australia produsse kg. 232.000, l'Asia kg. 285.000, l'Africa kg. 38.200, e l'Europa kg. 159.300. In Europa i produttori maggiori sono la Germania e la Spagna. La produzione italiana, localizzata quasi esclusivamente in Sardegna, fu nel 1925 di kg. 9.977 e nel 1926 di kg. 16.154, d'argento in verghe.

Non si hanno notizie esatte sulla quantità di argento prodotta dal mondo antico; si suppone che sia stata all'incirca di kg. 60.000.000. La produzione del Medioevo fu molto scarsa. Si hanno dati più sicuri a partire dal 1493. Da questa data fino al 1850 si valuta la produzione totale del globo a kg. 141.056.000, di cui il Messico avrebbe prodotto la metà e il Perù la quarta parte. A partire dal 1850, in cui incomincia la forte produzione degli Stati Uniti, fino al 1920 si calcola una produzione totale di kg. 248.000.000. Sommando queste cifre si arriva ad un totale di kg. 450.000.000, cioè quindici volte la produzione di oro corrispondente. Il valore del chilogrammo di argento che nel 1860 era di franchi oro 226 è diminuito fino a toccare franchi 80 nel 1908, è risalito durante e dopo la guerra fino ad oltre franchi 300, ed è attualmente di franchi oro 100 circa. Tra i paesi consumatori di argento l'India è uno dei più importanti; si calcola che dal 1850 al 1923 siano entrati in India 6 a 8 miliardi di franchi d'argento, di cui una piccola parte sotto forma di monete e il resto in forma di lingotti, parte dei quali vengono convertiti in oggetti di ogni genere.

Leghe. - Per la fabbricazione sia delle monete sia degli oggetti l'argento non viene mai adoperato puro, bensì allegato ad altri metalli. Esso si allega con quasi tutti i metalli ma le leghe che trovano impiego nella pratica sono quelle con l'oro, col platino, col palladio, col rame, con lo zinco, col mercurio, con lo stagno e col piombo. Le leghe coi metalli preziosi, col rame, con lo zinco e con lo stagno vengono preparate per fusione diretta dei componenti entro un crogiolo. La lega di mercurio e argento (amalgama d'argento) si prepara facilmente per soluzione dell'argento metallico suddiviso in piccole particelle nel mercurio; la soluzione avviene più facilmente a caldo. L'amalgama contenente molto mercurio è liquida e molle; filtrandola attraverso una pelle di camoscio passa il mercurio quasi puro lasciando sul filtro un'amalgama solida contenente 1 parte d'argento su 6 0 7 parti di mercurio. L'amalgama d'argento era anticamente adoperata per argentare gli oggetti di bronzo e di rame, spalmandoli con l'amalgama e svaporando il mercurio al fuoco. Ancora oggi i dentisti utilizzano come cemento per otturare le cavità dei denti leghe diverse d'argento con stagno, o con stagno e oro, polverizzate e amalgamate con mercurio al momento di usarle. Queste amalgame, che al momento di essere introdotte nel dente sono pastose, hanno la singolare proprietà d'indurire fortemente col tempo. Delle leghe argento-piombo e delle loro proprietà abbiamo già detto. Le leghe d'argento che trovano maggiori applicazioni sono quelle col rame, il quale aumenta la durezza, la tenacità e la sonorità dell'argento. Il colore è bianco fino al 50% di rame, roseo fino al 70%, rosso al disopra. Le leghe d'argento e rame si lavorano perfettamente sia al martello, sia al laminatoio, alla trafila, al bilanciere e alla pressa. Le leghe monetarie adoperate prima della guerra mondiale variavano fra i 750 e i 925 millesimi d'argento; dopo la guerra alcuni stati abbassarono il titolo delle loro monete fino a 500 millesimi. La lega che trova maggiore impiego nella fabbricazione dell'argenteria ha il titolo di 800 millesimi. L'argento forma con l'oro una serie di leghe di colore variabile dal giallo al verde, le quali trovano applicazione nell'oreficeria in forma di leghe ternarie col rame, fra le quali la più comune, detta oro a 18 carati, contiene: oro 750, argento 125, rame 125. Aumentando la proporzione dell'argento e diminuendo quella del rame si ottiene l'oro bianco a diciotto carati; attualmente al rame è sostituito il palladio e si ottiene così una lega a diciotto carati che sostituisce il platino. Col platino l'argento forma leghe che si lavorano bene e trovano largo impiego nella gioielleria. Le leghe contenenti da 15 a 35% di platino e specialmente il platinoide (platino 1, argento 2) sono adoperate dai dentisti. Le leghe d'argento, rame e zinco trovano largo uso nella saldatura degli oggetti d'argenteria.

La lavorazione dei detti oggetti si è sempre praticata essenzialmente col martello, che permette sia di tirare il metallo nella forma che si desidera, sia di sbalzarlo per creare i rilievi. Oggi si fa una grande fabbricazione di vassoi, piatti, coppe, ecc. stampati col bilanciere. Anche la fabbricazione in serie delle posaterie d'argento si eseguisce mediante stampaggio a macchina. L'argento placcato che si ottiene laminando a caldo una lastra di rame ricoperta d'una foglia d'argento ha avuto gran voga nel passato, oggi è quasi scomparso davanti alla concorrenza dell'argenteria galvanica. L'argento puro può essere laminato fino a uno spessore di tre centesimi di millimetro. Per ottenere uno spessore minore occorre batterlo col martello; in questo modo si riduce la foglia d'argento senza romperla fino allo spessore di tre millesimi di millimetro. Le foglie sottili d'argento servivano anticamente per l'argentatura dei metalli; oggi non si adoperano che per l'argentatura delle cornici.

Composti. - Il sale industriale d'argento che forma la base per tutti gli altri derivati è il nitrato, solubilissimo nell'acqua. Si ottiene sciogliendo l'argento in grana con acido nitrico a 36° Be entro capsule di porcellana a bagno di sabbia. La soluzione concentrata per evaporazione a caldo lascia deporre i cristalli di nitrato d'argento che vengono separati per filtrazione. Questi cristalli vengono fusi per distruggere il nitrato di rame trasformandolo in ossido, mentre il nitrato d'argento resiste alla fusione. La massa solidificata viene ripresa con poca acqua calda, filtrata e messa a cristallizzare. I cristalli trasparenti e incolori separati per filtrazione vengono asciugati al buio. Per gli usi terapeutici ecc. (v. appresso) il nitrato d'argento fuso viene colato in bacchettine entro lingottiere di ferro. Per l'argentatura degli specchi s'adopera una soluzione di nitrato d'argento ammoniacale a cui s'aggiunge una quantità determinata di sale di Seignette (tartrato sodico-potassico). La soluzione viene spalmata sulla superficie del cristallo collocato sopra una piastra calda; a 30° C. in venti minuti il cristallo si ricopre di uno strato brillante e aderente d'argento. Il nitrato d'argento si adopra anche come inchiostro simpatico

Il cianuro, unico sale d'argento adoperato nella galvanostegia e nella galvanoplastica dell'argento, si ottiene precipitando la soluzione di nitrato con una quantità determinata di cianuro di potassio. È un sale bianco che si purifica facilmente per lavaggi con acqua, nella quale è insolubile. Per i bagni galvanici il cianuro d'argento viene sciolto in soluzione di cianuro di potassio col quale si combina formando un sale complesso.

Il cloruro d'argento si ottiene aggiungendo alla soluzione di nitrato acido cloridrico o soluzione di cloruro di sodio. È un sale bianco, caseoso, insolubile nell'acqua, solubile nel cianuro di potassio, nell'iposolfito di sodio e nell'ammoniaca. In modo analogo si preparano il bromuro d'argento, di color giallo pallido, e lo ioduro d'argento, di color giallo più vivo. Questi sali, esposti alla luce, dopo alcuni minuti anneriscono: esposti per qualche secondo soltanto dànno luogo alla formazione dell'immagine latente, che può venire rivelata mediante i noti processi fotografici. Le lastre fotografiche al gelatino-bromuro, universalmente oggi usate, si fabbricano industrialmente aggiungendo a una soluzione calda di gelatina contenente bromuro di ammonio una certa quantità di nitrato d'argento sciolto in acqua. La massa lasciata in riposo si rapprende in una emulsione, che si sottopone ad energico lavaggio, e che in questo stato è poco sensibile alla luce perché i granuli di bromuro d'argento sono troppo fini. Deve perciò essere sottoposta a un processo di maturazione o ingrossamento dei granuli per mezzo di una lunga esposizione a temperatura moderata. Quando l'emulsione è matura, viene liquefatta e versata sia su lastre di vetro sia su pellicole di celluloide.

Il fluoruro d'argento è facilmente solubile nell'acqua e fu proposto come energico antisettico per sterilizzare le acque e per la disinfezione delle foglie di gelso come preventivo contro certe malattie dei bachi.

Il solfuro d'argento si ottiene precipitando qualsiasi soluzione d'argento, anche quelle dei sali complessi come l'iposolfito, con solfuri alcalini, ed è solubile nell'acido nitrico e solforico concentrato caldo che lo trasforma in solfato. Si adopera nella vetreria e nella ceramica come colorante.

Il solfocianuro d'argento si forma per azione del solfocianuro di potassio sulla soluzione del nitrato di argento e si ottiene nell'analisi volumetrica dell'argento col metodo Volhard.

Il solfato d'argento si ottiene sciogliendo l'argento nell'acido solforico concentrato caldo. È solubile in questo ma poco nell'acido freddo e nell'acqua. Si ottiene nell'industria in grandi quantità nel trattamento delle leghe d'oro e d'argento con acido solforico per separare i due metalli.

Il fulminato d'argento è più esplosivo dell'analogo sale di mercurio. L'albuminato e altri sali organici d'argento trovano impiego abbastanza esteso in medicina. Così pure l'argento colloidale o sospensione di particelle finissime di argento nell'acqua, che rimangono sospese senza depositarsi, producendo una pseudo-soluzione di colore rosso intenso.

Saggi ed analisi. - Si riconosce se un oggetto di metallo bianco è d'argento strofinandolo sopra la pietra di paragone, sulla cui superficie nera e lucida rimane una striscia metallica lucente. Versandovi sopra una goccia di un miscuglio di acido nitrico e cloridrico, l'argento si trasforma in cloruro bianco caseoso, il metallo bianco scompare.

Il vastissimo commercio dell'argento si fonda sul riconoscimento esatto del titolo del metallo venduto, che viene espresso in millesimi di argento. All'uopo la lega viene analizzata chimicamente con due metodi. Secondo il primo, un determinato peso d'argento viene fuso con una certa quantità di piombo dentro una piccola coppella di cenere d'ossa in un forno a muffola. Avvengono qui le stesse reazioni già descritte nella metallurgia dell'argento. Il piombo si ossida, l'ossido fonde e penetra nella coppella trascinando con sé gli ossidi dei metalli ignobili. Rimane nella coppella un bottoncino di argento puro che viene pesato.

Il secondo metodo, molto più esatto del primo, venne proposto da Gay-Lussac e porta il suo nome. Per applicare questo metodo occorre già conoscere il titolo approssimativo della lega e allora si pesa una quantità di questa che contenga poco più di un grammo di argento, e si scioglie con acido nitrico. Si aggiungono alla soluzione cento centimetri cubici di una soluzione di cloruro di sodio, preparata in modo che detto volume precipiti appunto un grammo d'argento. Si vede infatti formarsi il precipitato denso caseoso di cloruro di argento, che si fa depositare sul fondo della boccetta agitandola per qualche minuto. Alla soluzione limpida che sovrasta ora al precipitato si aggiunge con precauzione un centimetro cubico di soluzione di cloruro di sodio, preparata in modo che detto volume precipiti un milligrammo esatto di argento. Aggiungendo tanti centimetri cubici e agitando ogni volta per riottenere una soluzione limpida, si giunge ad ottenere soltanto in più un leggiero precipitato in forma di nubecola. L'analisi è finita e la lega pesata contiene un grammo di argento più tanti milligrammi quanti centimetri cubici si sono dovuti aggiungere.

L'argento in medicina. - Molti sono i composti d'argento usati in terapia, e le loro azioni sono quasi esclusivamente disinfettanti e astringenti. I composti d'argento introdotti per via orale vengono scarsamente assorbiti, e si riducono nell'organismo ad argento metallico, che come tale va a depositarsi nel fegato, nei reni, nelle ghiandole mesenteriche e in quelle della cute. Questi tessuti assumono perciò una colorazione bruno-ardesia caratteristica, nota sotto il nome di argirismo. Tale colorazione, che in casi gravi si rende manifesta anche al collo e alla faccia, permane per tutta la vita e resiste a tutte le cure fino a oggi tentate.

Il nitrato d'argento è il composto più importante e più largamente usato. Si presenta in cristalli incolori, molto solubili in acqua, le cui soluzioni esposte alla luce anneriscono. Queste soluzioni macchiano di nero la pelle e la biancheria e mescolate al pirogallolo servono alla preparazione di tinture per capelli.

Il nitrato d'argento è incompatibile con le sostanze organiche che lo riducono o che lo precipitano, quindi con i cloruri. Si combina facilmente con le proteine e a ciò è dovuta la sua forte azione caustica, per la quale si usa sotto forma di bastoncini, sia puro sia mescolato con nitrato di potassio (pietra infernale) per cauterizzare ulcerazioni cutanee torpide, fistole, ulceri molli, ecc. Come astringente e disinfettante si usa nella congiuntivite blenorragica (soluzione 0,5-1%), nei processi infiammatorî delle mucose della bocca, del naso, della faringe, ecc. (soluzione 0,5-1%). Si adopera per irrigazioni nell'uretrite blenorragica (soluzione 0,2-0,8%), nei catarri della vescica, della vagina e del collo dell'utero (0,02-0,04%).

Per uso interno è stato adoperato nella cura dell'ulcera gastrica, dell'epilessia e dell'atassia locomotrice da tabe dorsale. Altri composti d'argento sono il protargolo (combinazione proteica priva di azione irritante, specialmente usata per iniezioni uretrali nella blenorragia), l'argento colloidale, il citrato d'argento (itrolo), il fluoruro d'argento (disinfettante attivissimo), l'albargina (combinazione di argento con gelatina neutra dializzata), l'argentamina (miscela di 10 gr. di etilendiamina con 10 gr. di nitrato d'argento), l'argonina (caseinato d'argento), il novargano (proteinato d'argento), ecc.

Avvelenamento da nitrato d'argento. - Non è frequente essendo comunemente molto diluite le soluzioni prescritte a scopo medicamentoso. Introdotto per via orale in contcentrazioni superiori al 2-5% esplica sulle mucose la sua azione caustica. Questa è dovuta al suo combinarsi elettivo con le sostanze proteiche formando una specie di albuminato d'argento con messa in libertà di acido nitrico, il quale possiede pure un potere caustico. Le mucose della bocca e talora dell'esofago e dello stomaco, sono ricoperte da escare biancastre, compatte, poco profonde: violenti bruciori, vomito di materiali biancastri che anneriscono alla luce, completano il quadro dell'avvelenamento acuto. Per dosi elevatissime o per introduzione diretta in circolo si hanno paralisi periferiche, del centro vasomotore con edema pulmonare, o dei centri cardiorespiratorî bulbari. L'avvelenamento cronico da nitrato d'argento, un tempo frequente per il largo uso di esso nella cura delle nevrosi, si manifestava soprattutto con annerimento indelebile della cute del volto; non rare le ulceri gastriche, da riferirsi all'azione vasocostrittrice del sale, più energica anche di quella dei preparati di piombo.

Cura: somministrazione di cloruro sodico, con il quale si forma cloruro d'argento innocuo; d'acqua albuminosa, di latte. Lavaggio gastrico.

L'Argento nell'arte.

L'arte antica. - Per le qualità intrinseche di facile lavorazione l'argento, nei paesi dove si trovano giacimenti di questo metallo, incomincia ad apparire assai presto nel quadro dell'incivilimento umano, trovandosi spesso in natura associato al rame, che è il primo tra i metalli lavorati dall'uomo. Già dai più profondi strati della città di Troia (Hissarlik), di età eneolitica, Enrico Schliemann raccoglieva resti di suppellettili d'argento. I successivi scavi di Creta hanno portato alla scoperta di lame di pugnali triangolari, a nervatura centrale, fuse in argento, della stessa forma cioè dei pugnali di rame contemporanei. Nel periodo minoico la familiarità con questo metallo è tale che se ne fabbricano vasi di lamina elegantissimi, le cui forme sono poi imitate in terracotta. Nel terzo periodo minoico (età micenea) l'argento laminato serve a fabbricare vasi rituali e vasi da convito, adorni di figure e di altri ornamenti a sbalzo o repoussé, nella stessa maniera dell'oro, di cui si conoscono autentici capolavori contemporanei. La facile deperibilità dell'argento a contatto degli agenti chimici del terreno, ha indubbiamente determinato la perdita di testimonianze archeologiche preziose in questo campo.

Importanti esemplari di vasellame d'argento sono tornati alla luce dagli scavi di Micene: come un bellissimo rhyton, forse votivo, a testa taurina (v. figura), e un frammento di vaso argenteo finemente sbalzato, con la rappresentazione vivace di una sortita dei difensori di una città assediata contro assalitori che vengono ributtati in mare (secondo un altro frammento di recente identificato). Con la fine della civiltà minoico-micenea viene meno, insieme col segreto del trattamento artistico di questo metallo, l'uso stesso di oggetti di un gusto così raffinato. Passeranno dei secoli prima che i toreuti greci rinnovino, per altre vie, la perduta tradizione.

Raro apparisce l'argento lavorato in età preellenica nelle isole Cicladi e a Cipro. Nel periodo successivo all'invasione dorica e durante la colonizzazione greca l'industria dei metalli preziosi (in grazia anche del fatto che questi si traevano in maggior quantità dal retroterra asiatico) passa in dominio d'ingegnose e intraprendenti popolazioni del Mediterraneo orientale: i Fenici. Di che abbiamo precise testimonianze letterarie e monumentali. Nei poemi omerici ripetutamente si parla di crateri d'argento di fabbrica sidonia come premî per giuochi e come ornamento (Il., XXIII, 741 segg.; Od., IV, 615 segg.; XV, 115 segg.); dobbiamo concluderne che l'industria dei metalli preziosi esorbita completamente dal campo della civiltà omerica. Contraddirebbe a ciò la menzione del letto maraviglioso di Ulisse e Penelope (Od., XIX, 57), se non si trattasse di una semplice finzione poetica.

Coppe e crateri o lebeti di argento si sono rinvenuti in copia dentro tombe lussuose dell'Italia centrale, del periodo etrusco detto orientalizzante. Sono lebeti e tazze profonde, ma per lo più phialai o patere di lieve concavità, dove di regola il valore dell'oggetto è dato soprattutto dalla decorazione figurata consistente in lavori d'incisione a bulino o a pointillé, più spesso in delicatissimi lavori a sbalzo, con un'infinità di particolari minuti. Prodotti questi di officine fenicie, il cui maggior centro, fino a tutto il sec. VII a. C., sembra essere stata l'isola di Cipro.

Quanto all'Italia, non vi si trova traccia di metallo prezioso, argento od oro, attraverso tutta la prima età dei metalli. Argento e oro arrivano in Italia insieme con tutto il vasto e inestimabile patrimonio culturale di origine etrusco-orientale: importatore e comunque consumatore d'una tale produzione di lusso il popolo etrusco. L'industriosità e il potente ingegno del quale si manifestano anche nella familiarità che rapidamente esso prende con la tecnica dei metalli preziosi. Dalla Tomba del duce trovata a Vetulonia e conservata nel Museo etrusco di Firenze proviene un'arca o cassettina cineraria eseguita in bronzo e rivestita di lamina d'argento cesellato a motivi figurati (animaleschi) di stile orientalizzante; insieme con una coppa d'argento dorato, lavorata nel medesimo stile. Di fabbricazione etrusca sono anche le originali situle cilindriche in argento sbalzato o traforato, provenienti da Preneste o da Chiusi. In tutto il resto d'Italia, ancora per lunghi secoli, l'argento si trova raramente adoperato, e principalmente nella confezione di fibule di varia forma e grandezza, la maggior parte appartenenti all'età avanzata del ferro.

Nel mondo greco classico (sec. VI e V a. C.) l'argento trova un impiego limitato, consistente più che altro in lavori d'incrostazione d'ageminatura (v. agemina) e rifinitura d'opere di scultura in bronzo. In omaggio al senso della policromia, spesso le statue di bronzo dorato portavano incrostati d'argento così il bulbo degli occhi, come le unghie. Il celebre Auriga di Delfi porta ageminata in argento la decorazione a meandro della benda intorno alla testa. Talvolta veniva argentata per intero nelle figure femminili la faccia, e così verisimilmente tutte le parti scoperte delle figure medesime. La tecnica dell'ageminatura o incrostazione non è sconosciuta nel mondo etrusco, dove il celebre elmo aulopide in bronzo della necropoli di Todi ha in argento le sopracciglia e altre parti della calotta lavorata.

Le miniere d'argento del Laurion presso Atene, incominciate a sfruttare nel sec. V a. C. e già esaurite in età romana, dànno un certo impulso all'utilizzazione di questo metallo; il cui uso rimane però limitato poco meno che alla monetazione. Un largo impiego dell'argento dal punto di vista degli oggetti di oreficeria, troviamo fatto, a partire da lontani tempi preistorici, nella Scizia (Russia meridionale) lungo le coste del Mar Nero. Di una finezza insuperabile le coppe d'argento sbalzate provenienti dalle necropoli russe o scite del sec. IV a. C., certo di fabbricazione locale greca.

Il lusso delle corti orientali a partire da Alessandro Magno rimette in onore le suppellettili d'argento, di cui anche in conseguenza dell'aumentata produzione (effetto a sua volta di migliorate relazioni commerciali) si torna a fare il più largo uso nella vita quotidiana. Oggetti d'oreficeria argentei sono frequenti per questo periodo. D'età ellenistica era la coppa d'argento trovata a Taranto, con lavori finissimi di rilievi applicati sulle due facce, conservata già nel Museo provinciale di Bari, donde fu rubata nel 1923. Anche a Taranto si rinvenne, nel 1896, un prezioso tesoretto d'oggetti artistici d'argento con patere a rilievi, una pisside o teca di specchio, vasi di forma originale ed elegantissima, ed altro; del quale tesoretto si è perduta ogni traccia. Un rhyton a testa d'animale, d'argento, trovato a Taranto è al Museo di Trieste.

L'uso dell'argento si fa ancora più frequente e comune in età romana. Tutte le più svariate tecniche del metallo trovano nel mondo romano la loro applicazione. D'età ellenistica o ellenistico-romana, i tesoretti di oggetti preziosi, in argento, rinvenuti in territorio pompeiano consistenti per lo più in piatti, coppe e altra suppellettile per convito. Notissimo fra tutti il tesoro di Boscoreale, che si conserva oggi al Museo del Louvre. Proviene da Ercolano la celebre coppa argentea con l'apoteosi di Omero (v. figura), insieme con altri oggetti dello stesso metallo. Molto noti sono anche il tesoro di Hildesheim (Hannover), il più bel servizio da tavola che si conosca, d'età imperiale augustea (Museo di Berlino), il tesoro di Berthouville, del sec. II, attinente ad un tempio a Mercurio (Museo del Louvre), il tesoretto di vasi d'argento offerti in dono alle divinità delle Aquae Apollinares presso Vicarello nel Museo Nazionale Romano, ecc.

Come è attestato da documenti epigrafici, erano abbastanza comuni in età romana, le statue di divinità eseguite in argento. Anche ad Augusto e ai successivi imperatori si usò innalzare statue d'argento, oltre che di bronzo dorato. Recentemente a Bosco Marengo (Alessandria) si sono trovati i resti di una magnifica edicola d'argento per il culto imperiale privato, con un busto probabilmente di Settimio Severo. Suppellettili d'argento, d'uso corrente e di parata, si continuano poi a fabbricare per tutta l'età imperiale.

Infatti le conquiste d'Oriente e il possesso delle miniere argentifere di Spagna fecero sì che in Roma, parallelamente al trasformarsi di tutta la vita pubblica e privata, si facesse vivo, negli ultimi tempi della repubblica, il gusto per gli oggetti d'argento: la vecchia suppellettile d'argilla indigena o greca venne sostituita dal vaso, dalla coppa, dal piatto di Corinto o di Roma stessa. Si distinguevano i servizî da tavola (vasa escaria) da quelli per bere (vasa potoria). L'oro fu usato, ma specialmente per la decorazione: del resto Tiberio proibì ai privati l'uso del vasellame d'oro, e vasi d'oro furono sempre a Roma eccezioni di gran lusso, più ammirate che amate. Sono stati ricordati i celebri tesori di Boscoreale e di Hildesheim; ma, oltre ai cimelî archeologici, anche le fonti letterarie testimoniano della grande passione dei Romani per il vasellame d'argento. Secondo Petronio, l'arricchito grossolano (quale Trimalcione) faceva cuocere il pesce in un fornello d'argento. Nell'ultimo secolo della Repubblica e sotto l'Impero v'erano a Roma numerosi collezionisti d'argenterie: così Silla, Lucullo, Attico, Cesare, e il rapacissimo Verre. Specialmente ricercati erano gli oggetti d'autori famosi e muniti di firma. Il lusso portò anche, sotto l'Impero, a usare l'argento nella costruzione dei letti, ch'ebbero colonne e piedi d'argento massiccio, o almeno delle incrostazioni: ne parla con sdegno Clemente Alessandrino. Così Giovenale e altri ci dicono delle tavole d'argento o di legno prezioso con piedi d'argento, e dei letti da tavola incrostati d'argento, alcuni dei quali sono nel Museo di Napoli e in quelli delle Terme e del Campidoglio.

Il Medioevo e l'età moderna. - A partire dal sec. IV si conoscono oggetti di argenteria cristiana a cesello e a graffito, la cui produzione era naturalmente favorita, soprattutto in Italia e a Roma, dal diffondersi delle pratiche religiose e dalle necessità del culto: il Liber pontificalis ci parla dei doni papali alle basiliche di Roma, dall'epoca di Costantino in poi, doni che dovevano consistere in archi d'argento composti sui ciborî (quale è quello che ci appare in un cofanetto eburneo di Pola), in candelabri talvolta anche dorati, ecc., ora per la maggior parte distrutti. La capsella della chiesa di San Nazaro in Milano, della fine del sec. IV, è ancora ellenistica nelle forme; e ancora riflettono, sebbene malamente, lo stile pittorico antico nella mistione di rappresentazioni classiche e cristiane, non senza influssi orientali, il cofano con dorature, e i molti altri oggetti (custodie di ampolle, piatti, cucchiai, statuette ornamentali per mobili, fibule, aghi crinali) che dovevano costituire il dono nuziale d'una patrizia cristiana di Roma, Proiecta, andata sposa a un Secondo della famiglia degli Asterî, alla metà del secolo IV, e che furono rinvenuti nel 1793 in scavi sull'Esquilino (Londra, British Museum). L'argento, facile a lavorare anche a traforo, dovette essere una delle materie in cui si manifestò più precocemente il trapasso dalla maniera plastica classica a quella piatta, come mostra il discusso calice di Antiochia e il cestello per lampada di S. Martino ai Monti a Roma (Toesca). La dipendenza dall'arte orientale e bizantina - cui si collega quella mutazione dello stile - si fa sentire sempre maggiormente alla fine del sec. IV: né è sempre facile discernere se si tratti di prodotti di officine romane, come quelli del tesoro dell'Esquilino, o di oggetti importati dall'Oriente o dalle regioni barbariche; così dicasi anche dei clipei, grandi dischi usati come donativi imperiali o consolari, come quello di Flavio Ardaburi Aspare console nel 434 (Firenze, Museo archeologico). I prodotti orientali prevalgono nel sec. VI, bizantini o siriaci con riflessi dell'oreficeria sassanide: e son patene e calici come quelli niellati del tesoro di Cipro (Londra, British Museum) o la patena sbalzata con due arcangioli ai lati di una croce, già nella collezione Stroganoff. Nell'Impero d'Oriente era stabilito il marchio ufficiale per l'argento, indizio di un'estesa produzione. Del tempo di papa Onorio I era la porta della basilica vaticana con le figure dei due principi degli apostoli: di poco anteriori sono i reliquiarî del Sancta Sanctorum, di Brivio (Parigi, Museo del Louvre) e di Cartagine (Vaticano, Museo sacro), di fattura orientale, la capsella e un reliquiario del duomo di Grado, più incerti nel modellato, forse perché opera di artisti occidentali. Tecniche diverse da quelle classiche usuali passarono all'oreficeria medievale dalla tarda antichità: quella dello straforo, che ritaglia gli ornamenti nel metallo, comune nell'Oriente cristiano (ne è esempio la lampada di S. Martino ai Monti, già ricordata, di fattura romana); l'incrostazione di gemme, dall'Oriente bizantino e dall'oreficeria barbarica; l'ageminatura d'argento sul bronzo, praticata anch'essa dai barbari e nell'Oriente bizantino, come nelle porte di papa Ilario (461-468) per il battistero lateranense. Nelle tombe barbariche non sono infrequenti gli ornamenti d'argento relativi al vestiario (applicazioni, fibbie di cinture, ecc.) gettati o intagliati, decorati col consueto motivo a treccia, in rilievo piatto, che frequentemente ricorre anche ageminato. L'Oriente romano ha restituito alcuni tesori, tra cui si può citare il secondo dei due provenienti da Szilágy Somlyó, del sec. V, rinvenuto nel 1889 (Budapest, Museo Nazionale Ungherese), che comprende fra l'altro una ventina di fibule coperte di lamina d'oro, sontuose per l'esecuzione e le dimensioni, con ornamenti di pietre e di vetri entro alveoli di semplice filigrana. Ma purtroppo gran parte dell'argenteria bizantina andò distrutta in seguito alla crociata del 1204. Alla corrente dei popoli germanici sono invece dovute l'ornamentazione, in lamine d'argento ribadite e a disegni niellati, del calice di Tassilo, duca di Baviera, in Krems (777-788), e le guarnizioni, pure argentee, dei due candelabri regalati a quel monastero dallo stesso duca, che rivelano una tecnica derivante dall'influsso irlandese. L'età carolingia, che vide anche in Italia una grande diffusione dell'oreficeria, come si rileva dai doni papali alle basiliche romane, annovera numerosi esempî di lavorazione dell'argento, sia intagliato e in filigrana, come nella legatura del salterio di Carlo il Calvo (Parigi, Biblioteca Nazionale), fatta nella scuola del convento di Corbie tra l'846 e l'862, sia sbalzato e avvivato da vetri in alveoli, come nel reliquiario della cattedrale di Astorga, dono del re Alfonso III di Oviedo (866-910) e di sua moglie Ximene. Anche Carlo Magno fu raccoglitore di argenterie; dal suo testamento sappiamo che aveva due tavole d'argento e una d'oro, con le piante di Costantinopoli e di Roma e la descrizione del mondo. Il monumento più pregevole è l'altare d'oro della chiesa milanese di Sant'Ambrogio, che ha le facce laterali e quella posteriore in lamina d'argento dorato, lavorata a rilievo, incorniciata da ampie fascie recanti smalti e pietre preziose incastonate in cornici di filigrana: sui lati, croci adorate da santi e circondate da angeli; dietro, fatti della vita del Santo. L'altare fu eseguito, come si rileva dall'iscrizione sul rovescio, prima dell'835, da Vuolvinio, artista forse italiano che ha molti contatti con la scuola franca di Reims e che è effigiato sul rovescio insieme con l'arcivescovo Angilberto II (v. tav. a colori sotto la voce altare). Di molti altri lavori francesi, orientali o italiani eseguiti in quell'epoca per chiese italiane si hanno solo notizie dalla tradizione. Gregorio III fa eseguire (740) figure d'argento a rilievo per San Pietro; Leone III ne ordina di simili per San Paolo (circa 800); al principio del sec. IX l'abate Isulfo VIlI di Montecassino commette un ciborio d'argento con smalti per l'altare maggiore del convento; il patriarca Fortunato (803-826) dona alla chiesa di Grado cofani, lumiere e archi d'oro e d'argento, e anche le piccole chiese di campagna dovevano esser ricche di calici, lumiere, corone d'argento cui erano appese croci montate pure in argento. Poco ci rimane di tutto questo: si possono citare per il sec. IX le capselle di Pasquale I ritrovate nel tesoro del Sancta Sanctorum (Roma, Museo sacro vaticano) e una lamina con San Leopardo della cattedrale di Osimo (Toesca).

Nei secoli X e XI anche l'argenteria artistica è rappresentata da una produzione prevalentemente monastica, abbondante soprattutto in terra germanica dove si possono distinguere diverse scuole nelle varie città maggiori: Aquisgrana (pulpito regalato al Duomo da Enrico II re, prima del 1014, di cui resta il rilievo con l'evangelista Matteo); in Baviera, Ratisbona, a Bamberga (legatura del sacramentario offerto da Enrico II re, tra il 1002 e il 1014; ne è conservato il rovescio con la figura di san Gregorio che scrive, a Monaco); nella Germania del nord, a Essen, dove operò Ruggero di Helmershausen, che sembra esser stato lo stesso Teofilo, autore della Schedula diversarum artium (di lui si conservano un altare portatile rivestito d'argento fatto nel 1100 per Enrico di Werl, vescovo di Paderborn, 1085-1127, con le effigie niellate del vescovo Meinwerk e del committente, a Paderborn, nel tesoro del Duomo; e una legatura di un suo manoscritto con i simboli degli evangelisti nel tesoro del duomo di Treviri), artista di grande accuratezza e nettezza nell'esecuzione, e di estrema sicurezza nel disegno inciso, rialzato spesso da smalto con niello di un nero splendente; Hildesheim, dove gl'influssi bizantini si uniscono ai richiami dell'ornamentazione germanica del primo Medioevo, per dar luogo poi allo stile romanico puro. Ma il piatto in argento dorato del sec. XII nel tesoro del duomo di Halberstadt, con la Crocifissione (v. fig.), è un capolavoro dell'oreficeria bizantina.

Lo stesso indirizzo bizantineggiante è nella Francia del nord e dell'est, accanto a perduranti riflessi carolingi (trono della Santa Fede a Conques, del sec. X; tre reliquiarî della stessa chiesa, della fine del secolo). Anche in Italia, soprattutto a Venezia, prevale prima l'indirizzo bizantino nelle numerose argenterie ornamentali, gioielli, suppellettili sacre: l'abate Desiderio di Montecassino acquistò argenterie a Costantinopoli e chiamò nel 1006 artisti greci, perché insegnassero l'arte ai suoi monaci. È del sec. X una rozza legatura d'argento a sbalzo con la figura del vescovo Eusebio, in cui agli intrecci longobardi sono accostati i viticci bizantini (Vercelli, Archivio capitolare); del principio dell'XI quella di un evangelario romano (Roma, Biblioteca Vaticana) che ripete modelli antichi, come il reliquiario bizantineggiante del duomo di Zara, l'urnetta argentea di Arbe, a rilievi ammaccati, che ricordano quelli del cofanetto dugentesco, forse veneziano, del duomo di Anagni formati su stampi bizantini (Toesca). Col sec. XII si afferma la tendenza romanica all'effetto plastico, tendenza che nel cesello par quasi precedere il rinnovamento della scultura, pur mantenendone le tradizioni decorative: l'attestano l'altare di Città di Castello (prima del 1144), e la pala veneziana in argento dorato con ornati in filigrana, donata al duomo di Cividale dal patriarca Pellegrino II (1195-1204). Non mancano però nel contempo di esercitarsi influssi d'oltralpe, come in una legatura del tesoro di San Marco, a fregi battuti su stampi, di qualche seguace di Nicola da Verdun (Toesca). I centri più importanti sono, come anche nel periodo successivo, Roma, Venezia e Siena: veneziane sono soprattutto le filigrane, apprese dall'arte dell'Oriente bizantino e musulmano. Al pari dell'agemina, tecniche del resto già note in Occidente. Una delle regioni ove maggiormente fiorì l'oreficeria romanica fu la valle della Mosa: e son famosi i nomi di Godefroid de Claire, vero scultore in argento nelle teste sbalzate dei suoi reliquiarî, adorni di smalti di vivi effetti pittorici, e di tanti altri oggetti del culto, cui collaborarono anche i suoi scolari (arche d'argento dei santi Domiziano e Mangoldo per la collegiata di Huy 1173; reliquiario di Alessandro per l'abate Vibaldo di Stavelot e Corvey 1145 al Museo di Bruxelles; arca di sant'Eriberto in Deutz sul Reno); di Nicola di Verdun autore dell'arca dei re Magi (tesoro del duomo di Colonia, circa 1200), a foggia di basilica con ventiquattro figure a sbalzo di profeti e di apostoli, monumentali e vivaci insieme negli atteggiamenti, e con motivi vegetali che già presentono il gotico; di frate Ugo di Oignies che fece una coperta di libro con la Crocifissione (1230 circa) per il convento di Notre-Dame a Namur. Tanto Godefroid de Claire quanto Nicola di Verdun lavorarono in Germania e in Francia: e l'arte loro dimostra un notevolissimo progresso rispetto a quella monastica precedente, anche nelle opere dei loro seguaci, come quel discepolo di Nicola che fece il reliquiario della croce pel convento di San Mattia a Treviri, con nielli e ornati stampati che prendono il posto delle filigrane. Sotto l'influsso di quella scuola e di quella di Colonia stanno anche gli artisti di Aquisgrana, tra cui Viberto e il maestro dell'arca di san Benigno a Siegburg, che per Aquisgrana fece l'arca di Carlomagno (1200-1215), imitata da quella dei re Magi, e quella di Maria dello stesso duomo, il cui modello si arricchisce di nuovi elementi derivanti dallo svolgimento dell'architettura contemporanea. Di oggetti d'uso abituale nelle pratiche del culto poco ci è rimasto sia in Germania sia in Francia. Si usò anche montare in argento vasi antichi di pietre fini per trasformarli in boccali, come quello egiziano di porfido, ridotto a grandiosa aquila romanica per l'abate Sugerio di Saint-Denis.

Il basso Medioevo vede un affluire maggiore d'argento sui mercati europei e per conseguenza le argenterie domestiche si arricchiscono di grande quantità di vasi, anfore, piatti, bacini d'argento bianco o d'argento dorato, da sfoggiare nelle solennità. Così anche le chiese traggono nuovo ornamento da calici, ostensorî, candelieri, pastorali, paliotti argentei.

Nel periodo gotico anche il senso plastico aveva nuovi svolgimenti. Dalla Francia si diffondono gli ornati fusi, accanto a quelli sbalzati, anche in Fiandra e in Germania. I reliquiarî imitano le chiese gotiche, con figure nelle nicchie, come quello di Santa Geltrude di Nivelles, della fine del sec. XIII. La plastica prevale sempre maggiormente nelle Fiandre, specialmente con i reliquiarî in forma di testa o di figura. La penisola iberica ci dà il trittico di Nossa Senhora da Oliveira di Guimarães (Portogallo) che proverrebbe dal bottino fatto dopo la battaglia di Aljubarrota (1385). In Germania si seguono i lavori francesi, complicandone talvolta le forme (reliquiarî a cappella con più torri): si usa molto lo smalto, un po' meno l'ornamentazione vegetale, e si ripetono anche i motivi architettonici delle arche in forma di chiesa gotica, o di baldacchini gotici sulle coperte di libri. Le forme degli oggetti profani si sviluppano da quelle sacre: dal calice e dal ciborio si passa al boccale, alle coppe e ai bicchieri; si fanno anche centri da tavola a forma di navicella.

Anche in Italia alle forme architettoniche romaniche tuttora persistenti si uniscono le fogge e le ornamentazioni gotiche. Già nel 1290 troviamo a Siena il calice gotico a basso cono, su fusto corto esagonale, con nodo appiattito e piede polilobato ornati di smalti (calice di Niccolò IV, di Guccio di Mannaia, nel tesoro di San Francesco). Il monumento più insigne è l'altare di Sant'Iacopo a Pistoia del 1287, rimaneggiato più volte, che già nelle parti con tavole a rilievo più antiche ha risalto statuario, opera, forse, di orafi senesi, cui si aggiunse nel 1316 Andrea d'Ognabene che cesellò il paliotto, compiuta da orafi fiorentini nel 1399 e poi ancora arricchita di figure dal Brunellesco. Forme gotiche troviamo anche in reliquiarî smaltati come quello del capo di S. Galgano (Siena, Museo dell'Opera del Duomo), con rilievi di carattere vario e complicate filigrane. Tra il 1350 e il 1357 fu lavorato il paliotto dell'altar maggiore del duomo di Monza dall'orefice milanese Borgino del Pozzo; tra il 1366 e il 1402 la fronte dell'altare fiorentino di S. Giovanni da Betto di Geri, Leonardo di ser Giovanni, Cristofano di Paolo e Michele di Monte, con arditissimo rilievo delle figure che ci prepara alla perizia degli orafi fiorentini che poi compirono i fianchi dello stesso altare. Le forme sono più pesanti e più cariche (croci, reliquiarî a torre e a cappella) anche nella Spagna che in questo periodo dipende dall'Italia.

Nel tardo periodo gotico restano più numerosi gli oggetti d'uso profano accanto agli ostensorî, ai calici, alle croci, in cui prevale soprattutto l'ornamento a fogliami e la rappresentazione realistica delle figure e delle piante. In Italia compaiono già le forme del Rinascimento che si fondono compiutamente con le gotiche dopo la metà del sec. XV: queste ultime continuano specialmente negli Abruzzi, dove l'oreficeria fu molto feconda di oggetti sacri e profani, lasciandovi non soltanto innumerevoli croci processionali ma un lavoro monumentale come l'altare di Nicola da Guardiagrele nel duomo di Teramo. La Francia ci dà in quel tempo prodotti di un'arte aulica, realistica ma fastosa, ricchi di smalti, di pietre preziose, di perle; la Germania numerose figure per lo più sbalzate, di un realismo sorprendente (madonna del Museo diocesano di Augsburg, e S. Giorgio di Elbing nel Museo del Castello di Berlino); e non meno realistici sono i numerosi reliquiarî a busto, anche assai graziosi come quello di Santa Dorotea a Breslavia. Gli ostensorî si fanno a teca di vetro o di cristallo, in forma di disco prima, poi di cilindro, infine di torre su piede di calice con nodo. Ricca è anche la produzione del vasellame profano, in metallo battuto, di solito dorato, con ornati a sbalzo o sovrapposti: dei rari boccali d'argento, splendido è quello dei miniatori di Goslar, dedicato nel 1477, con baccellature oblique a spirale; molte coppe prima liscie, su tre o quattro piedi, poi baccellate su un piede solo. Le comunità e i privati cittadini ambivano di possedere abbondante argenteria artistica, da usare nelle solennità. In Spagna sono frequenti gli ostensorî a custodia gotica turrita, esagonale o ottagonale, poi a tabernacolo; i lavori più celebri sono però opera di un orefice tedesco venuto in Spagna negli ultimi anni del '400, Enrique de Arfe (ostensorî in argento dorato della cattedrale di Cadice e del convento di S. Benito di Sahagun). In Inghilterra invece prevalgono gli oggetti profani con forme del primo gotico su cui si fonderà lo stile nazionale.

Il Rinascimento fu assai fecondo in Italia nei lavori d'argento. Numerosissimi i nomi d'artisti di Firenze, di Siena, di Bologna, che si sanno attivi in quell'epoca. Negli oggetti sacri si conservò lungamente il tipo e la tecnica gotica, p. es. nei calici e nelle croci; ma il fusto, il nodo, le forme architettoniche a organismo centrale con cupole, lanterne, nicchie con figure, i circoli e le volute che sostituiscono gli archi rampanti sono espressioni compiute del Rinascimento che prevalgono sempre più. Nel '400 esercitano l'oreficeria i migliori artisti, soprattutto scultori, dal Ghiberti in poi. Essi applicarono nel trattare l'argento gli stessi metodi che avrebbero adoperato nelle figure in bronzo, superando ogni difficoltà di rilevare a tutto tondo, o di schiacciare il metallo.

Nell'altare del battistero fiorentino Michelozzo modellò a tutto tondo, nel 1451, la statuetta del Battista; il Cennini, il Pollaiolo, il Verrocchio e Leonardo di Giovanni apprestarono nel 1477 i rilievi con la Visitazione, la nascita e la decollazione del Battista, e il banchetto d'Erode con figure in tutto spiccate e con particolari digradanti fino agli ultimi piani. Ma più che questi lavori di plastica è significativa per l'orientamento della oreficeria quattrocentesca la gran croce, ancora un po' gotica nella forma, con smalti e figure sbalzate o gettate, fatta per lo stesso altare tra il 1456 e il 1459 da Betto di Francesco Betti. Il suo sostegno, opera di Antonio Pollaiolo e di Miliano di Domenico Dei, ha il fusto a forma di edificio a nicchie coronato da cupola, su base curva, con rilievi smaltati. Originalità di forma hanno anche i lavori senesi (come il reliquiario di S. Bernardino all'Osservanza di Giovanni di Turino e Francesco d'Antonio, o quello per il braccio del Battista, in Duomo, di Francesco di Antonio, del 1466), ma quanto se ne conserva non può competere con la produzione fiorentina. Il lusso del vasellame profano nel Quattrocento lo s'intravvede dagli inventarî, anche delle argenterie della Signoria fiorentina. Esso aumentò ancora nel Cinquecento, cui appartengono boccali e piatti a rilievi sansovineschi o michelangioleschi: ma poco ci resta dell'argenteria da tavola che per i papi lavorarono Giovanni Firenzuola di Milano e Giovanni da Prato o per i Medici Lorenzo della Nera e i fratelli Poggini. Si usò anche legare in argento vasi di pietre fini o di cristallo inciso (Firenze, Museo degli argenti). Delle oreficerie del Cellini non ci resta forse che la saliera d'oro per Francesco I; nulla sicuramente di oggetti in argento. Egli ebbe moltissimi imitatori, come il Leoni, il Danti, i Poggini a Firenze; i Saracchi a Milano, e altri. Fra le opere più significative sono il bacino e l'idria con la storia di Megollo Lercaro, oggi proprietà Coccapani in Modena, della metà del sec. XVI: straordinarî per ricchezza d'ornamentazione e per eccellenza d'arte, ma probabilmente lavoro non italiano. L'argento a niello fu anche assai adoperato per paci, per manichi di coltelli e di forchette, per guarnizioni d'argenteria, per pendenti; soprattutto a Firenze (pace con l'incoronazione di Maria data al Finiguerra o a Matteo Dei, e che rivela l'influsso dell'arte di fra Filippo Lippi), a Bologna (pace del Francia), a Venezia (oggetti di toletta con nielli ornamentali). Ricchissima fu allora la produzione di argenterie artistiche anche in Germania, e ve ne sono esempî nei principali musei d'Europa. Pochi sono gli arredi sacri ancora conservati. Tra gli artisti maggiori vanno rammentati Wenzel Jamnitzer, Antonio Eisenhoit, i due Iacopo Mores. L'argento fu largamente usato anche per ornamentazioni di oggetti in legno, come nel celebre stipo di Pomerania, che contiene esso stesso numerosi pezzi d'argenteria, o gli altri simili di Upsala e palazzo Pitti, cui lavorò Mattia Wallbaum. Nello stesso indirizzo si lavorava in Olanda; e maestri tedeschi furono attivi allora a Londra.

All'incremento della produzione di oggetti d'argento nel Rinascimento diede impulso, con la maggior raffinatezza del gusto e del vivere in generale, anche la scoperta dei giacimenti americani: l'accresciuta produzione permise alle classi ricche di tutta Europa l'uso di argenterie copiose, più o meno artistiche. Tra gli artisti che lavorarono per papi, principi e mercanti ricordiamo, oltre ai nominati, Cristoforo Foppa.

Ma il sec. XVII è l'età della maggior voga del vasellame d'argento. Nei paesi più ricchi, Spagna, Inghilterra, Francia, non solo l'argento dominò la tavola e la toletta, ma gran parte della suppellettile domestica. Si ebbero di nuovo tavole d'argento, candelieri, lampadarî, cornici di specchi, sgabelli, alari, guarniture di camini, balaustre. Fu di moda regalare, in nozze fastose, il mobilio della camera nuziale tutto d'argento. L'Italia, se produsse forse meno che nel periodo precedente, seguitò a essere maestra nell'applicare a lavori d'argento quello stile ch'essa aveva creato; il suo influsso si estese non soltanto nell'Austria ma, accanto al tedesco, all'olandese, e poi al francese, nella Spagna e nel Messico. Più feconda di ogni altra regione fu la Germania che diffuse i suoi lavori in Italia e in Francia. Si accentuò allora il carattere di curiosità di alcuni oggetti: si crearono forme nuove come quelle degli antependia (paliotti) in argento sbalzato; si fecero altari per le festività (come quello della chiesa parrocchiale di Innsbruck), coperte di libri sbalzate, rare per i più grandi dopo il'500, ancor frequenti per libri di preghiera nel '600 e nel '700, e spesso in forme barocche molto sviluppate, e anche in filigrana. Ma anche in Gemmania si risentì l'influsso francese, specialmente nei piatti e nelle zuppiere, mentre rimane la forma tradizionale dei boccali da birra con manico e coperchio, comuni anche nelle altre regioni del nord e in Inghilterra, e si adottano anche nuove forme animali. Il centro maggiore di produzione era Augsburg, mentre anche altre città avevano un posto notevole come Norimberga, Monaco, Vienna, Praga, Francoforte.

Analoghe vicende segue il lavoro degli argentieri in Inghilterra durante il regno di Giacomo I, ancora in gran parte sotto l'influsso italiano. Di argenteria ecclesiastica ci rimane solamente ciò che è conservato nel tesoro della Torre di Londra: né molto di più dei grandi servizî da tavola e delle tolette d'argento che allora vennero di moda presso le grandi famiglie comitali e baronali e che durante le guerre di Carlo I andarono fusi in gran quantità, come la maggior parte delle argenterie del regno degli Stuardi.

In Francia si abbandona a poco a poco lo stile Rinascimento che aveva accolto forme e tecniche straniere, specialmente italiane; e alla metà del sec. XVII il rinnovamento avviene soprattutto per opera dei decoratori che dànno ai costruttori di mobili i loro modelli, basati ancora su elementi italiani, ma modificati secondo il gusto francese che si avvia a formare lo stile nazionale quale regnerà dopo il 1660.

Il regno di Luigi XIV, specialmente sotto il governo di Colbert, fruttò grandi incoraggiamenti e protezioni anche agli argentieri: fino dal 1608 del resto ne erano stati accolti nel Louvre, dove lavoravano sotto la guida di specialisti chiamati dall'estero raggiungendo la perfetta elaborazione di certe tecniche. Più che l'eleganza e la bellezza si cercò tuttavia l'ostentazione del peso e delle dimensioni dell'oggetto: si fecero così in proporzioni talvolta assai massicce alari d'argento, bacili, boccali, tavole, sedie, cornici da specchio, montature di stipi, servizî da toletta. Il Re Sole volle impiegata gran quantità d'argento nell'arredamento del castello di Versailles: in certe sale il legname era completamente sostituito dall'argento. Le guerre della fine del sec. XVII costrinsero tuttavia il re a far ritirare dal castello tutto il mobilio d'argento e a inviarlo alla zecca.

Tra i creatori più fecondi e originali di modelli, è soprattutto il pittore Charles Le Brun, chiamato da Colbert nel 1663 alla direzione della Manifattura reale dei mobili della Corona, nella quale ebbe a utilizzare spesso anche gli orefici: i suoi modelli si distinguono per una chiarezza di composizione e una nobiltà di linee tutte francesi: da lui può dirsi creato quello stile Luigi XIV che vediamo poco prima della sua morte, nel 1690, già avviato alla ricerca della grazia, già rivolto di nuovo alla natura, pur non distaccandosi ancora da quell'amore per la simmetria che scomparirà soltanto sotto la Reggenza, soprattutto a cagione degl'influssi esercitati dalla fantastica decorazione orientale. Appartenevano a questo periodo i numerosi mobili d'argento che arredavano gli appartamenti di Versailles aperti nel 1682, e che erano, a detta delle descrizioni che ne sono rimaste nel Mercure galant di quell'anno, delle vere meraviglie di fusione e di cesello, per la ricchezza delle storie che li decoravano, o delle serie allegoriche che alcuni gruppi venivano a formare (candelieri con la personificazione dei mesi, le fatiche di Ercole, le stagioni, ecc.): opere di Claude de Villers e dei figli, di Alexis Loir, di Pierre Germain, di Dutel, di Ballin. Ne possedevano molti anche Anna d'Austria e il Mazarino, e ve n'erano al Palais Royal e a Saint Cloud: ma furon quasi tutti fusi per necessità belliche intorno al 1689-90 e nelle altre guerre della fine del secolo, che costrinsero anche per un certo tempo a limitazioni della produzione. Questo stile, in cui accanto ai modelli di Le Brun ritroviamo anche gli arabeschi di Jean Berain, si diffonde verso la fine del secolo a poco a poco anche fuori di Francia, soppiantando quello venuto d'Italia che fin'allora vi aveva dominato: e vi dovette contribuire l'emigrazione dalla Francia di numerosi orefici, in seguito alla revoca dell'editto di Nantes. Infatti troviamo la moda francese dominante anche alla corte d'Inghilterra alla restaurazione di Carlo II. Gli appartamenti reali e quelli del seguito a Whitehall Palace erano ricchi di argenterie: servizî di toletta, cornici da specchio, bacini, ecc. Poche tavole, alari e altri oggetti d'argento sono ancora fra i mobili del castello di Windsor, poiché la maggior parte andò fusa sotto il regno di Guglielmo III, per le stesse necessità belliche che costrinsero a tali espedienti il suo nemico Luigi XIV. Molto pregiato è anche il vasellame da tavola del regno di Anna, massiccio, semplice, che reca gli ultimi riflessi dello stile decorativo che aveva dominato nei due secoli precedenti: nel tesoro di Windsor sono ancora alcuni pezzi fatti per Federico figlio di Giorgio II.

In Spagna, dove fino dal '500 la ricchezza delle ornamentazioni in argento, specialmente di stipi, cofani, forzieri, era tale da provocare nel 1574 un editto che ne interdisse l'impiego, in quel secolo e nel successivo si annovera un buon gruppo di scultori in argento: Juan de Arfe nipote di Enrique già citato, Vergara el Viejo, Cristobal de Andino, Antonio Suárez (ostensorio della cattedrale di Cadice), Juan de Benavente (ostensorio della cattedrale di Palencia). Nel sec. XVII le forme e le decorazioni diventano più gravi e pompose che in Italia: le grandi quantità d'argento venute dal Messico suscitarono un lusso sempre maggiore e nelle offerte religiose e nell'ostentazione privata: si ebbero anche là argenterie da tavola meravigliose presso le famiglie più ricche del regno: né a frenare il lusso valsero in alcun modo le leggi suntuarie, ché anzi la tendenza si diffuse anche nei paesi di dominio spagnolo come a Napoli. In Portogallo, dove nel sec. XVI, durante il periodo detto manuelino, si era avuta una buona produzione di oggetti d'argento, peraltro mancante d'originalità (ostensorio d'argento cesellato nell'Accademia di Lisbona: calice e patena d'argento dorato del palazzo d'Ajuda nel Museo di Lisbona), nel secolo XVII fu fatto molto vasellame d'argento, di disegno molto fne, seguendo più o meno l'esempio spagnolo (Lisbona, palazzo delle Necessidades); notevole soprattutto la decorazione (altare, tabernacolo, dossale) della cappella della cattedrale di Porto, opera non scevra di qualche pesantezza, ma veramente sontuosa, cui attesero per un secolo, dal 1632, esclusivamente artisti portoghesi (Bartholomeu Nunes, Manoel de Souza, Miguel Pereira, Pedro Francisco, Manoel Teixeira e Manoel Guedes).

Durante la prima metà del sec. XVIII in Europa continua a dominare il gusto francese, che prevalse anche alle corti di Germania e di Russia, e che, in Germania specialmente, degenerò talvolta in stravaganti ornamentazioni barocche, pur serbando grazia e dignità nella maggior parte dei casi. Famoso l'arredo del palazzo di Federico Guglielmo di Prussia, distrutto per le consuete necessità finanziarie procurate dalle guerre frequenti, che anche in Francia portarono alla scomparsa di numerose opere di oreficeria. Un maggiore imbarocchimento dello stile si nota nei lavori fatti per Federico Augusto elettore di Sassonia e re di Polonia.

Alla fine del regno di Luigi XV le scoperte di Ercolano e Pompei fecero rivolgere di nuovo all'antichità classica il gusto degli argentieri europei. I lavori francesi dell'epoca di Luigi XVI abbondano di reminiscenze classiche sia nelle decorazioni (festoni, medaglioni con teste umane, ecc.) sia nelle forme (gambe e supporti animali imitati da quelli di bronzi greci o romani): fra i maggiori artisti sono François Thomas Germain, Auguste, Auber, ma altri molti continuarono a lavorare mobili e altri oggetti in argento, talvolta dorato, fino al cadere della Monarchia. In Inghilterra si dedicarono a questo genere di lavori soprattutto i fratelli Adam; talora si copiò addirittura Wedgwood. La rivoluzione dopo la morte di Luigi XVI distrusse la maggior parte di questi tesori non solo in Francia, ma anche in Italia, in Spagna, a Malta. Si deve anche aggiungere che nel sec. XVIII il vasellame d'argento andò diminuendo d'importanza, di fronte alle simpatie che, presso le classi dotate di gusto più fine, si acquistavano le porcellane.

Il gusto dell'Impero fu per un classicismo arido e artificioso, cui mancava la grazia dello stile Luigi XVI; Biennais, Auguste e Thomire furono fra i migliori creatori di argenterie. Biennais fece il nécessaire da viaggio del re di Roma (Vienna, Museo Austriaco: nove pezzi dorati a superficie liscia con rilievi sull'orlo e l'arme); a Thomire, Regnet e Odiot è dovuta la toletta, pure dorata, donata da Parigi a Maria Luisa, disegnata da Prud'hon. Milano regalò a Napoleone un bacile d'argento dorato per la nascita del re di Roma, opera dei fratelli Manfredini (Vienna, raccolta dell'arciduca Ranieri), che fecero forse anche il centro da tavola, detto di Milano, in argento dorato, già proprietà dell'imperatore d'Austria. In Inghilterra Giorgio IV cercò di far lavorare i migliori artisti a creare argenterie: Flaxman disegnò il ben noto scudo Wellington, e altri vasi e vassoi: insieme con Stothard disegnò molti pezzi del tesoro di Windsor, eseguiti poi da Rundell e Bridge. A poco a poco tuttavia gli antichi disegni finirono col cadere in disuso.

Ma anche in Austria si lavorò assai: fino al 1815 fu attivo il Würth, cui molti altri si aggiunsero, eccellenti per tecnica e arte ma non insensibili ai modi inglesi e soprattutto a quelli francesi: si preferiscono le forme sottili, le grandi superficie a specchio, la sobrietà nell'ornamentazione.

Il secolo XIX non fu invece fecondo di originalità nello stile. Tra il '40 e il '60 si tornò ad imitare il barocco, il rococò e anche la Rinascenza; il gusto naturalistico si afferma pure negli oggetti piccoli; si tende a mettere in rilievo il valore dell'oggetto oltre alla sua ornamentazione; s'introducono nuove forme pompeiane e asiatiche. Comincia però la meccanizzazione della produzione, con i processi galvanici; s'introduce l'uso della placcatura fino dal 1833: gli scambî aumentati attenuano le differenze fra le varie produzioni. Tra il '60 e il '70 si ha un rifiorire dell'argenteria artistica soprattutto in Francia; si imitano le forme del Rinascimento anche nella tecnica dello sbalzo: novità di disegno e gusto originale caratterizzano i lavori francesi; solidità, bontà della materia e dell'esecuzione contraddistinguono quelli inglesi. Artisti francesi lavorano anche per case inglesi. Gran diffusione prende la filigrana, anche in Italia, soprattutto nelle imitazioni di oggetti orientali, classici, o di arte popolare; Alessandro Castellani, Emilio Forte sono fra gli artefici italiani che più promossero e secondarono quel gusto. Dopo il 1870 la meccanizzazione è completa. Solo per occasioni eccezionali si lavora ancora di sbalzo (premî di corse, donativi, centri da tavola) e talvolta si ossida l'argento e si riprendono anche ornamentazioni secentesche. Alla fine del secolo lo stile prevalente è puramente decorativo: uno stile costruttivo si afferma invece nei primi di questo secolo specialmente in Inghilterra, dove si torna a lavorare a martello: ma non si producono che piccoli oggetti d'ornamento.

Nell'arte musulmana l'argenteria non è frequente se non nelle montature di cassettine di avorio, o come elemento dell'ageminatura di bronzi mesopotamici, persiani ed egiziani, dei secoli X e XI, o del niello (cassettina del tesoro di S. Marco, sec. XIII); di lamina d'argento sbalzato è coperta una cassetta di legno nel tesoro del duomo di Gerona (961-976). Scarse pure le argenterie nell'arte dell'Estremo Oriente: ornamentazioni in argento sono in armi giapponesi dei primi secoli dopo Cristo: oggetti in argento nel tesoro di Shōsōin (710-794).

I metodi principali di lavorazione artistica dell'argento sono la fusione, lo sbalzo, l'incisione, la filigrana, il niello. Per la fusione si procede come per il bronzo, colando l'argento nel cavo del modello di creta, rifinendo poi a cesello i particolari. Lo sbalzo si ottiene tracciando prima leggermente il soggetto con la punta sulla piastra, ed applicandola poi su un controfondo malleabile di resina e di mattoni pestati: col martello, il punzone e il cesello si lavora la piastra in modo da ottenere il disegno in rilievo: poi si rivolta e si fanno rientrare le parti troppo sporgenti col cesello e col martello, e si continua così a sbalzare dall'una o dall'altra parte finché i rapporti dei piani siano perfetti: allora si rifinisce a cesello. Quando non si può sbalzare per di dietro (per es. un vaso dal collo molto stretto) ci si serve di un arnese di forma bizzarra, ricurvo all'estremità destinata a operare lo sbalzo, che si fissa per la base a una morsa; ponendo l'estremità libera dell'arnese sotto il luogo che si vuole sbalzare si colpisce col martello nel mezzo dell'utensile che agisce dal basso in alto. Un altro metodo (detto in francese coquillé) è quello di gettare in bronzo o in ferro le parti del modello e applicarvi delle piastre di metallo che si colpiscono col punzone e il martello in modo da farne loro assumere le forme: i pezzi così ottenuti si riuniscono saldandoli o ribadendoli: si riempie quindi l'oggetto di cemento e lo si rifinisce a cesello: si giunge così ad ottenere oggetti di piastra assai sottile. La doratura dell'argento è ottenuta a fuoco o con processi galvanici.

L'argento non viene di solito adoperato allo stato puro, ma legato con rame per aumentame la durezza, la malleabilità e la fusibilità e per poterne anche variare il colore. Appunto per provare la bontà dell'argento fu istituito l'uso del marchio di garanzia, che per l'Inghilterra risale fino al 1180 ed ebbe valore internazionale nel sec. XIV quest'uso fu introdotto in Francia, poi in Germania, in Spagna, in Fiandra, in Borgogna, ecc. A questo si aggiunse poi l'uso di una marca diversa per ciascun argentiere, che cominciò a Londra nel 1379 e circa la stessa epoca in altre città inglesi: poco dopo fu prescritto che esse fossero depositate alla corporazione: solo intorno al 1600 cominciò l'uso della datazione in lettere.

Dei trattati sull'argenteria ariistica va rammentata in primo luogo la Schedula diversarum artium del monaco Teofilo, già citata, che comprende parecchie nozioni di tecnica anche dell'oreficeria. La più importante è senza dubbio quello di Benvenuto Cellini (Firenze, 1857, a cura di C. Milanesi). Vanno menzionati anche la De varia commensuración para la sculptura y architectura di Juan de Arfe (Siviglia 1585) e il Promptuarium artis argentariae di Giovanni Giardini (Roma 1750).

Molti artisti fecero anche libri di modelli per argenterie, incisi in rame, specialmente dalla metà del '500 in poi; quelli del Peregrini da Cesena non è ben certo siano veri e proprî modelli o non piuttosto prove di nielli; vi sono invece certamente disegni per oreficerie di Perin del Vaga, di Polidoro da Caravaggio, di Agostino Veneziano e d'altri. Di simili libri è ricca soprattutto la Francia, con Pierre Woeriot, Étienne Delaulne, Androuet du Cerceau, Réné Boyvin; la Fiandra con i Collaert, Teodoro de Bry; la Germania con Giorgio Pencz, Hans Brosamer, l'Aldegrever. Anche Holbein fece disegni d'argenteria per Enrico VIII.

Per l'argento nella monetazione, v. moneta.

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Per l'arte medievale e moderna: J. H. Pollen, Gold and Silversmiths's Work in the South Kensington Museum, Londra 1878; E. Molinier, Histoire générale des arts appliqués à l'industrie, IV, Parigi 1896 segg.; N. Dawson, Goldsmiths' and Silversmiths' Work, Londra 1907; M. ROsenberg, Geschichte der Goldschmiedekunst auf technischer Grundlage, Francoforte sul M. 1910; G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino 1907-08; Lüer e Creutz, Metallkunst, I-II, 1909; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927; S. J. A. Churchill e C. G. E. Bunt, The goldsmiths of Italy, Londra 1926; H. Havard, Histoire de l'orfèvrerie française, Parigi 1896; Ch. Davillier, Recherches sur l'orfèvrerie en Espagne au Moyen Age et à la Renaissance, Parigi 1879; E. Redslob, Deutsche Goldschmiedeplastik, Monaco 1922; W. F. Volbach, metallarbeiten des christlichen Kultes in der Spätantike und im frühen Mittelalter, Magonza 1921.

Per i modelli di argenterie, vedi: Catalogue d'ornement dessineés et gravés etc., Parigi 1846, voll. 3; A. Bartsch, Le peintre-graveur, Vienna 1803-21; A. P. J. Robert-Dusmenils, Le peintre-graveur français, Parigi 1835-71.

Per le marche degli argentieri: M. Rosenberg, Die Goldschmiede-Merkzeichen, Francoforte sul M. 1922 segg., voll. 4.

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