DELLA PALUDE, Arduino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA PALUDE (de Palude), Arduino

Gloria Casagrande

Figlio di Guido di Gandolfo, appartenne a nobile famiglia della bassa reggiana di feudatari dei marchesi di Canossa. Il suo nome ricorre per la prima volta - a quanto ci è dato sapere - in un documento del 1073.

Da Guido da Palude, figlio di Gandolfo nacquero quattro figli: Guido, Oddone, Arduino e Gerardo. Oddone e Arduino sono nominati in un documento del 1073: "Nos Odo et Arduino frates filii quondam Guidonis de comitatu Regiensi atque Aldegarda mater ipsorurn", mentre in un altro atto dello stesso anno compaiono i tre fratelli "... Guido et Arduinus atque Odo germani filii quondam comitis Guidonis de comitatu Regiensi atque Ildegarda mater ipsorum". Il quarto fratello risulta, invece, allora già defunto: "Gerardus quondam eorum frater". Dei quattro fratelli, Arduino fu il più celebre e fu quello che diede alla famiglia il cognome "Palude": mai, infatti, in precedenza, tale appellativo, era stato associato ad un personaggio della sua stirpe in modo costante. "Dominus Arduinus Widonis filius de Castro Paludis", così il D. è nominato in una donazione da lui fatta al monastero di S. Giulia di Brescia, nel 1108. Il "castruni Paludis" menzionato assai spesso dalle fonti era situato tra Fabbrico e Reggiolo, in una zona della bassa pianura a nord di Reggio Emilia, detta appunto della "Palude". Il D. fu il maggior vassallo di Matilde di Canossa: costantemente al seguito di quest'ultima, partecipò a missioni militari e politiche di notevole rilievo, a cavallo fra i secoli XI e XII. Con lui la posizione sociale della famiglia si elevò notevolmente, fino a raggiungere uno status mai toccato in precedenza. Già vassalli di Bonifacio di Canossa, i Palude divennero i fedelissimi di sua figlia Matilde, affiancata dapprima dalla madre Beatrice di Lorena, poi sola al governo di una eredità immensa e gravida di responsabilità.

Il padre del D., Guido "de Palude", era stato protagonista, nella prima metà del sec. XI, di gravi malversazioni nei confronti della Chiesa reggiana, violenze che furono elencate dal vescovo stesso di quella città in un originale "politico" redatto intorno al 1040. Dopo la morte di Bonifacio di Canossa, assassinato il 6 maggio 1052, il padre del D. aveva già deciso di porre fine alle azioni di forza nei confronti degli enti ecclesiastici in genere, e di quelli reggiani e parmensi in particolare. Se dunque con il padre Guido si possono avvertire i segni di un incipiente mutamento di valori e di ideali nella politica familiare, dopo la sua morte (avvenuta prima del 1073, come testimoniano i documenti più sopra indicati), tale cambiamento si rende del tutto palese al tempo in cui il D. stesso e la contessa Matilde assunsero, nei rispettivi ambiti familiari e politici, una posizione di primo piano: quando, cioè, anacronistiche e del resto impossibili erano ormai divenute le malversazioni contro gli enti ecclesiastici, favoriti e difesi da Matilde fin dai primi tempi del suo governo.

La situazione economica della famiglia, inoltre, appare nell'ultimo ventennio del sec. XI assai florida e, solida: i possessi ereditari, sparsi un po' dovunque dalla bassa reggiana all'Appennino, si erano infatti ulteriormente ingranditi al tempo del marchese Bonifacio di Canossa, grazie alla protezione e al favore di quest'ultimo. La vastità - peraltro relativa - e la ricchezza del patrimonio fondiario della famiglia costituirono la base necessaria per il salto qualitativo che il D. fece compiere alla casata, riuscendo a mutarne radicalmente l'immagine. Sotto la sua guida, infatti, i Palude, da accaparratori di beni ecclesiastici, diventano, in accordo con l'esempio fornito dalla contessa Matilde, benefattori di chiese e di monasteri. In tale veste il D. viene infatti ricordato, insieme con due suoi figli ("Arduinus capitaneus cum duobus filiis suis") nella. nota, redatta fra il 1096 e il 1099, dei benefattori del monastero di San Benedetto di Polirone, il monastero più caro a Matilde, che lo beneficò largamente. Nel 1109, i monaci di San Benedetto di Polirone - che da allora ogni anno celebrarono un solenne anniversario per la salute della sua anima - dedicarono al D., ancora vivente, un magnifico elogio, in cui egli viene così ricordato: "... Arduinum. capitaneum virum sane moribus, nobilitate et devotione egregium et in Christo merito diligendum".

L'importanza della posizione ricoperta dal D. presso Matilde di Canossa fu consacrata ancor più solennemente dalle parole che Donizone, il monaco celebratore delle gesta della contessa, gli dedicò nella Vita Mathildis;ed il motivo va ricercato proprio negli avvenimenti politici più importanti del primo decennio del sec. XII ai quali partecipò il vassallo matildico. Inviato da Matilde a Roma nel 1111 per una importante missione diplomatica presso l'imperatore Enrico V, nella quale avrebbe dovuto perorare in favore della causa del papa e dei due vescovi di Reggio Emilia e di Parma, arrestati e fatti imprigionare per disposizione imperiale, il D. aveva infatti ottenuto un notevole, anche se parziale, successo.

Nei documenti rogati per Matilde di Canossa dal 1070 circa fino alla di lei morte, avvenuta nel 1115, il D. compare con maggiore frequenza solo dopo il 1100, quando la sua presenza al fianco della contessa si fece pressoché costante, tanto che durante gli ultimi anni di vita di Matilde, egli figura sempre con lei, in ogni luogo che ella toccasse attraverso i propri territori. La carica di capitaneo, di cui appare rivestito in quasi tutti i documenti nei quali è ricordato, gli dovette essere conferita solo a partire dagli ultimi anni del sec. XI. "Capitaneus" fu il D. nel senso di "miles maior": cioè di primo fra altri vassalli, con precise funzioni militari nel seguito armato della contessa. Prima della sua nomina a capitaneo, comunque, poche sono le fonti che lo indicano partecipe ad avvenimenti di un certo rilievo militare o diplomatico: ciò è dovuto, con ogni probabilità, al fatto che egli allora stava consolidando la sua posizione al seguito di Matilde. Nel 1101 le fu accanto a Guastalla; nel 1102 la seguì a Carpineti e, l'anno dopo, a Nonantola, dove le fonti lo menzionano subito dopo il conte Alberto di Sabbioneta e prima di tutti gli altri vassalli. A capo di questi ultimi, spesso insieme a fratelli, figli e nipoti, seguì Matilde attraverso i possessi feudali della contessa. Nel 1104, presenziò ad una solenne donazione fatta da Matilde a San Benedetto di Polirone, donazione poi confermata l'anno seguente, a Gonzaga, quando la contessa decise di lasciare al monastero il possesso di tutta l'isola che aveva preso il nome dal cenobio.

La località di Gonzaga, infatti, non era lontana dai beni che il D. deteneva in Fabbrico e in Reggiolo, da molto tempo, ormai, dominio incontrastato dalla famiglia. La zona cosiddetta della "Palude" giungeva infatti, verso nord, fino a Gonzaga e al Bondeno reggiano, continuando probabilmente a settentrione fino al corso del Po. La località che le fonti dell'epoca chiamavano "Bondeno Arduini" e che prese dunque il nome dal D., situata com'era al centro dei suoi possedimenti fondiari della "Palude", non è altro se non l'odierna Bondeno presso Gonzaga. Non stupisce, quindi, il fatto di ritrovare il D. in quelle zone con maggior frequenza che altrove. Tuttavia, la sua costante presenza in quei luoghi si spiega soprattutto con la primaria importanza strategica che aveva assunto quel territorio, situato a fronte dell'area mantovana da sempre la più ostile ai Canossa, ma soprattutto a Matilde.

Nel giugno del 1107, il D. si trovò a fianco della contessa all'assedio di Prato: fu - per quanto ci consta - la prima impresa militare di notevole impegno cui abbia partecipato, ed è la prima per la quale le fonti sono state un po' meno avare di notizie e di particolari. Nel marzo dell'anno seguente, a Gonzaga, accompagnato dai due figli, Guido e Gerardo, presenziò ad importanti donazioni compiute da Maffide in favore del monastero prediletto di San Benedetto di Polirone nonché alla concessione di terre in beneficio ad alcuni suoi "milites" e "fideles" in quelle stesse zone, fatta probabilmente per assicurarsi la fedeltà di vassalli reggiani nelle terre poste di fronte alla ribelle area mantovana. In seguito, dal mio al 1115, anno della morte di Matilde, il D. soggiornò prevalentemente a Bondeno di Roncore (l'attuale Bondanazzo presso Reggiolo). Del resto, anche la contessa Matilde si allontanava ormai sempre più di rado da San Benedetto, anche a causa delle sue pessime condizioni di salute.

Morto nel 1106 Enrico IV, il nuovo sovrano germanico, Enrico V poté volgersi agli affari italiani: scese in Italia nel 1110 per ricevervi la corona imperiale e per piegare la resistenza del papa Pasquale II, che aveva condannato le investiture laiche di ecclesiastici e cercato appoggi contro il partito imperiale. Durante la marcia del re attraverso l'Italia, marcia accompagnata da saccheggi di ogni genere, Matilde di Canossa si tenne prudentemente sulle montagne reggiane, a Bianello, dove, nel novembre del 1110, accolse i legati di Enrico V. A Roma, poco dopo, gli avvenimenti precipitarono fino a portare all'imprigionamento, per comando imperiale, del papa stesso e dei vescovi Buonsignore di Reggio e Bernardo di Parma, che, in seguito a pressioni della contessa, si erano recati a Roma per perorare la causa del papa.

È a questo punto che la contessa inviò a Roma il D. in sua vece. Forse Matilde non si sentiva abbastanza forte per affrontare Enrico in battaglia o, più probabilmente, l'improvviso imprigionamento del papa l'aveva colta impreparata.

Il D. ottenne la liberazione dei vescovi di Reggio e di Parma. Dopo una sessantina di giorni Pasquale II, mancando di ogni altro appoggio da parte canossana, si piegò ad un accordo col re. Il Muratori, commentando l'episodio romano e la prigionia papale, elogiò il ceppo da cui era nato il D. ed il rinnovato splendore che egli seppe donare alle generazioni future della sua famiglia: "Arduinus de Palude, filius Guidonis, a quo nobilis et antiqua comitum de Palude familia Regii propagata dudum splenduit et adhuc superet ...".

Fra il 1112 ed il 1115, il D. si allontanò di rado da Bondeno di Roncore; lo fece, ad esempio, per seguire Matilde al placito di monte Baranzone, presso Modena, nell'estate del 1114. Nel novembre, tuttavia, egli si trovava già di nuovo a Bondeno, da dove la contessa non si sarebbe in seguito più mossa fino alla morte. In quello stesso mese, però, il D. accompagnò Matilde nel breve viaggio da lei compiuto per visitare l'abate di San Benedetto, Alberico, infermo. Erano con loro pochi vassalli, quelli di sempre, i più fedeli: tutti, o quasi, reggiani, parmensi e modenesi. L'8 maggio del 1115, il D. fu per l'ultima volta accanto alla contessa. Quattro giorni prima egli aveva solennemente testimoniato all'ultima donazione di Matilde a San Benedetto, lascito che comprendeva tutti i beni da lei concessi in precedenza al monastero prediletto. Nel documento rogato per l'occasione, per la prima volta, il D. viene menzionato con il titolo cornitale: "Arduinus comes de Palude", titolo che solo suo padre aveva portato in precedenza: "Guido comes Regiensis". Forse è significativo che il D. non sia detto "comes Regiensis", ma "comes de Palude". La denominazione del luogo di provenienza, unita alla carica, sta ad indicare che l'antica definizione per mezzo del toponimo andava trasformandosi nel cognome della famiglia. L'8 maggio Il 15 è l'ultima data in cui la contessa sedette insieme col D. e con gli altri vassalli: il 24 luglio, infatti, essa morì. Anche il D. doveva essere allora in età avanzata; se nel 1073 poteva già sottoscrivere un atto notarile, nel 1115 aveva sicuramente più di sessant'anni.

Nell'aprile dell'anno seguente, partecipò al placito di Enrico V a Reggio, ins.leme con gli altri vassalli della "domus comitissae Mathildis", che si erano riuniti per accogliere il re, sceso nuovamente in Italia per la questione della eredità matildica. Il 6 maggio dello stesso anno 1116, a Governolo, sul Po, il gruppo di fedelissimi, guidati dal "capitaneus Arduinus de Palude", affiancò nuovamente l'imperatore.

Questa è, a nostro avviso, con ogni probabilità l'ultima menzione che le fonti facciano del D., la data esatta della cui morte ci rimane sconosciuta, come quella della nascita. D'ora in avanti saranno i due figli Guido e Gerardo a comparire tra i vassalli della "domus" matildica, forti dell'eredità e del prestigio paterno.

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