ARABIA

Enciclopedia Italiana (1929)

ARABIA (A. T., 105-106; in arabo Gezīrat al-‛Arab "la penisola degli Arabi")

Giuseppe STEFANINI
Pietro ROMANELLI
Gi. St.
Lino BERTAGNOLLI
Augusto BEGUINOT
Giuseppe COLOSI
Ferdinando MILONE
Renato BIASUTTI
Giorgio LEVI DELLA VIDA
Luigi GRAMATICA
Cirillo KOROLEVSKIJ

Penisola posta nella parte sud-occidentale dell'Asia fra 34° 30′ e 12° 45′ lat. Nord e 32° 30′ e 60° long. Est. Come regione naturale, l'Arabia dovrebbe includere anche il Sinai, la Siria e parte della Mesopotamia; noi però restringeremo la nostra trattazione all'Arabia propriamente detta, escludendone da un lato la Mesopotamia e la Palestina, dall'altro la penisola del Sinai, che, malgrado il suo nome di Arabia Petrea, può con almeno pari ragione ricollegarsi all'Egitto, cui politicamente appartiene. In tal caso la regione è delimitata a ponente dalla fossa del Mar Morto e del wādī el-‛Arabah, dal golfo di el-‛Aqabah, che ne è la continuazione, e dal Mar Rosso fino allo stretto di Bāb el-Mandeb; a mezzogiorno dal golfo di Aden e dall'Oceano Indiano; a levante dal golfo di ‛Omān e dal Golfo Persico, indi da una linea immaginaria, che partendo dalla foce dello Shaṭṭ el-‛Arab segue i limiti orientali della pianura mesopotamica fino quasi a Tadmur (Palmira), di qui volgendo a SO. fino all'incontro della fossa del Mar Morto, così da separare la Siria dall'‛Irāq e dalla Transgiordania. Ne risulta un vasto territorio di forma grossolanamente trapezoidale, orientato con l'asse maggiore NO-SE. e con un'area approssimativa di 3.050.000 kmq; la base, tra Perim e Rās el-Ḥadd, misurando 2000 km. e l'altezza fra il golfo di Aden (‛Adan) e il confine settentrionale, quasi 2500 km.

Il paese, nel suo complesso, si presenta come un grande tavolato, inclinato a semiellisse verso la pianura della Mesopotamia e la conca del golfo Persico, la cui scarsa profondità (non raggiungente i 200 m.) fa contrasto con la profonda e stretta fossa del Mar Rosso, che scende fino a 2359 m. Simile contrasto si nota anche nel rilievo subaereo, al lene declivio orientale facendo riscontro dagli altri tre lati una ripida scarpata: a NO. questa precipita sulla depressione del Mar Morto (m. 392 sotto il l. m.) e del wādī el-‛Arabah, ad O. e a S. su una stretta ed interrotta zona litorale, piana od ondulata, calda ed arida, cui si dà il nome di Tihāmah, mentre la parte alta della scarpata e il margine dell'altipiano ricevono, almeno nel Yemen, il nome di es-Serāh e giustificano per il clima e la fertilità il nome di Arabia Felice, attribuito loro nell'antichità. La parte centrale dell'altipiano assume, per la sua continentalità e per la natura del suolo, carattere di paese estremamente arido, e non solo è in gran parte disabitata, ma tuttora inesplorata.

Storia dell'esplorazione. - Sarà anche qui considerata solamente la parte strettamente peninsulare dell'Arabia, a S. del 30° parallelo, esclusa la penisola del Sinai.

Sebbene sia così vicina all'Europa e contigua alle grandi vie commerciali fra Occidente e Oriente, l'Arabia contiene ancora vastissime zone inesplorate. Solo una parte insignificante della grande penisola è stata rilevata sistematicamente, nelle vicinanze di Aden; pel resto abbiamo solo itinerarî di esploratori, anch'essi circoscritti alle poche vie carovaniere dell'interno. L'elenco degli esploratori europei è breve e recente.

Anche gli antichi ebbero solo conoscenza delle zone prettamente costiere, e ciò soltanto dopo Alessandro Magno. Sotto Augusto, nel 25-24 a. C., Elio Gallo, già prefetto d'Egitto, guidò il tentativo romano di conquistare il "paese degli aromi", ossia l'Arabia di SO. Il corpo di spedizione, imbarcato presso Suez, prese terra a Leuke Kome (probabilmente el-Ḥaurā) sulla parte settentrionale della costa arabica del Mar Rosso, e, dopo lunghissimi giri nell'interno della penisola, conquistò Negrana (l'attuale Naǵrān nel Yemen settentrionale) spingendosi poi molto più al SE. (probabilmente nella zona fra il Yemen e il Ḥaḍramaut settentrionale), ma abbandonando l'impresa subito dopo e ritornando sui suoi passi a causa delle malattie e dell'inclemenza dei luoghi. I navigatori greco-egiziani conoscevano il Mar Rosso in ogni particolare, e si spingevano oltre, lungo la costa araba meridionale, finché Ippalo pel primo navigò da Socotra all'Indo. È della metà del sec. I d. C. il famoso Periplo del Mar Rosso, d'autore ignoto, che rivela una buona conoscenza della costa occidentale e meridionale araba. Poi Claudio Tolomeo (alla metà del sec. II d. C.) mostra, nella sua geografia, ampia conoscenza di luoghi e di popoli nell'Arabia così costiera come interna.

Ricco materiale di conoscenze è fornito dalle relazioni dei viaggiatori e geografi arabi, così copiose nel tempo del maggior fiorire della civiltà araba medievale; ma tali relazioni cominciarono a esser note in Occidente solo alla fine del sec. XVI, e molte di esse non sono pur anco tradotte. Fra l'altro non è ancora tradotta la Descrizione della penisola araba di al-Hamdānī (morto nel 334 èg., 945-946 d. C.), pubblicata a Leida nel 1884-1891 e contenente soprattutto una preziosa e minutissima topografia del Yemen.

Solamente alla fine del sec. XV incomincia la serie dei viaggiatori europei. Sono viaggiatori che toccano generalmente soltanto qualche porto: così il portoghese Duarte Barbosa, che servì in India nei primi anni del sec. XVI, descrive Aden e le coste meridionali dell'Arabia, ove si commerciavano cavalli e incenso. Senza confronto più interessante è Ludovico de Varthema bolognese, che nel 1503, accompagnatosi con una carovana di pellegrini siriani, riuscì a penetrare a Medina e alla Mecca, poi si recò per mare da Gedda a Aden e, dopo prigionia nell'interno del Yemen meridionale e romanzesche avventure, arrivò a Ṣan‛ā donde poté proseguire il suo viaggio per la Persia e l'India. La sua relazione, pubblicata dapprima a Roma nel 1510, contiene tra altro la prima menzione dei beduini del deserto siro, e descrive la Mecca e Ṣan‛ā con particolari che furono interamente confermati dai viaggiatori posteriori.

L'occupazione portoghese di varî luoghi dell'‛Omān e di Aden nel sec. XVI non recò alcun nuovo contributo geografico; solo può ricordarsi nel 1609 un primo tentativo inglese di penetrazione nell'interno, cioè quello di John Jourdain, che si spinse fino a Ṣan‛ā. Verso quest'epoca si cominciò a diffondere in Occidente l'uso del caffè; ma della pianta e della sua coltivazione non fu data notizia precisa che nel 1712, grazie all'escursione (riferita dal La Roque) di due ufficiali francesi appartenenti a navi della Compagnia commerciale di Saint-Malo.

La prima spedizione scientifica in Arabia, promossa da Federico V di Danimarca per ispirazione dell'orientalista tedesco J. D. Michaelis, ebbe luogo nel 1761. La dirigeva Fried. Christian von Haven, filologo; ma di tutti i componenti la spedizione solo uno, il matematico e topografo Carsten Niebuhr, sopravvisse all'impresa. Dal Sinai vennero per nave a Gedda, indi ad el-Loḥeyyah nel Yemen, donde proseguirono per terra, arrivando nella primavera del 1763 a Mokhā, senza aver subito alcuna molestia. Morto a Mokhā il von Haven, fu visitata ancora Ṣan‛ā; colpiti anche gli altri, il Niebuhr solo riuscì a rivedere l'Europa. La relazione di lui, pubblicata dapprima in tedesco nel 1774, contiene un'eccellente descrizione del Yemen, mentre l'altra opera "Descrizione dell'Arabia", pubblicata pure dapprima in tedesco nel 1772, fornisce molte notizie e osservazioni preziose su altre regioni arabe.

Con l'avvento del sec. XIX, la reazione puritana dei Wahhābiti del Neǵd diede occasione a qualche maggiore indagine per opera di pochi europei avventurosi. Lo spagnuolo Domingo Badía y Leblich, sotto il nome di ‛Alī Bey al-‛Abbāsī, venuto a Gedda in veste di pellegrino principesco con numeroso seguito, poté soltanto aver accesso alla Mecca, ed assisté alla devastazione della moschea intorno alla Ka‛bah per opera dei Neǵdiani (1807). Scrisse una huona descrizione della Ka‛bah e dei riti del pellegrinaggio; determinò per la prima volta la posizione della Mecca con osservazioni astronomiche, raccolse le prime note sulla geologia, la botanica e il clima del Ḥigiāz e sulle ḥarrah, cioè campi di lava dell'Arabia Occidentale. Tre anni dopo visitò la Mecca il russo Ulrich Jaspar Seetzen, distinto arabista e botanico, che per vent'anni s'era preparato in Germania ai viaggi in Oriente; caduto in sospetto, passò a Ṣan‛ā e Aden, sotto mentito nome; salito sull'altipiano perì assassinato.

Nel 1811 cominciarono le campagne egiziane contro i Wahhābiti, alle quali presero parte anche con varî apostati ufficiali europei. Uno solo di questi ultimi, Giovanni Finati di Ferrara, lasciò memorie di sé, divertenti, ma prive d'importanza geografica. Di tutt'altro stampo è Johann Ludwig Burckhardt, di Basilea, andato in Oriente per incarico della British African Association; nel 1815 egli poté recarsi alla Mecca, protetto da Moḥammed ‛Alī (viceré d'Egitto), indi a Medina, per poi morire nel 1817 al Cairo. Abbastanza versato nella lingua araba e nella legge e nel costume islamico, le sue relazioni di Gedda e della Mecca, le note etniche e storiche sui Wahhābiti, le descrizioni della vita intima e dei costumi sociali ed economici, formano un resoconto di grande ricchezza e precisione, sebbene frutto di appena nove mesi di viaggi.

La vittoriosa campagna egiziana (1816-1819) contro i Wahhābiti offrì occasione al governo dell'India di inviare nel 1819 sui luoghi il capitano George Foster Sadlier; il quale, sbarcato a el-Qaṭīf sulla costa araba orientale, per l'oasi el-Hofhūf penetrò nel Neǵd, che attraversò da oriente ad occidente passando per el-Manfūḥah, Shaqrā, ‛Oneizah ed el-Ḥanākiyyah, finché a Bīr ‛Alī, non lungi da Medina, raggiunse il comandante egiziano vittorioso, principe Ibrāhīm pascià; infine arrivò alla costa del Mar Rosso a Yanbo‛, compiendo così, primo europeo, la traversata della penisola. La relazione del Sadlier, pubblicata per intero soltanto nel 1866, contiene la prima particolareggiata descrizione di parte del centro della penisola e un rilevamento dell'itinerario. Per 44 anni nessun viaggiatore si internò poi più nella vasta regione fra il Golfo Persico e Medina.

Le campagne egiziane contribuirono anche a far conoscere la zona compresa fra la Mecca e il Yemen, contenente il distretto dell'‛Asīr. Nel 1832 Moḥammed ‛Alī vi mandò una spedizione militare con varî ufficiali francesi; tra essi il Planat, che fece uno schizzo del territorio di guerra, il Tamisier che pubblicò un giornale di viaggio, e lo Chedufeau che pubblicò le note raccolte in otto anni di residenza in Arabia. Fondandosi su questi dati e su notizie arabe, il Jomard compilò nel 1838-1839 uno schizzo dell'‛Asīr con carta geografica.

Tra i visitatori del Yemen il più notevole è il botanico francese (d'origine italiana) Paul Émile Botta, che nel 1836-1837 riuscì a penetrare da el-Ḥodeidah sino a molto più nell'interno che la spedizione Niebuhr; egli salì pel primo la più considerevole montagna che l'altipiano spinge a O., nel Yemen meridionale: il Monte Ṣabir 3007 m.), abitato da pastori indipendenti. Assai importante dal punto di vista archeologico è il viaggio del medico-farmacista francese Thomas Joseph Arnaud, che da Ṣan‛ā si spinse alle grandi e celebri rovine di Mārib (Saba') nel 1843, rilevandole e copiando iscrizioni sabee e ḥimyarite, che furono decisive per l'interpretazione di quelle lingue antiche.

Nelle regioni meridionali ed orientali della penisola neppure le coste erano state accuratamente rilevate fin verso la metà del secolo scorso: Niebuhr, nel 1765, aveva soltanto fissato la posizione di Mascate (Maskad, Masqaṭ). Primo esploratore dell'‛Omān deve dirsi James R. Wellsted, già ufficiale della nave Palinurus nelle sue campagne idrografiche sulle coste arabe. Nel 1835 viaggiò da Mascate a Ṣūr, percorse l'estremo angolo SE dell'‛Omān, poi, internatosi verso NO., visitò insieme col tenente Whitelock la ubertosa regione pedemontana a E. del Gebel el-Akhḍar, la catena principale dell'‛Omān; poi da solo compì un'escursione all'orlo del gran deserto centrale. La relazione e le note del Wellsted sono di valore; v'è unita la prima carta dell'‛Omān. Due anni dopo, il francese Aucher Eloy seguì la via del Wellsted fino a Nizwā, poi contornò l'estremità meridionale della catena dell'‛Omān. Lasciò lettere postume concernenti specialmente la botanica. Lo stesso itinerario fu percorso dal col. S. B. Miles, residente inglese a Mascate, nel 1876 e di nuovo nel 1884. Tacendo d'altri, sir Percy Cox, fra il 1899 ed il 1904, compì varie escursioni sul lato occidentale del Gebel el-Akhḍar, e oltrepassò Bireimah, a N., fino a Rās el-Kheimah sul Golfo Persico.

Quanto al Ḥaḍramaut, lungo la costa araba meridionale, durante la campagna idrografica del Palinurus (1834-35), Wellsted e Cruttenden fecero un'escursione all'interno per una settantina di chilometri, risalendo il Wādī Maifa‛ah presso i limiti orientali del Yemen, e scoprendo le rovine di Naqb el-Hagiar e notevoli iscrizioni ḥimyarite. Dieci anni dopo, nell'estate del 1843, un bavarese, ufficiale di ventura, Adolph von Wrede, tentò di penetrare nel Ḥaḍramaut in veste di musulmano. Internatosi da el-Mukallā (od el-Makallā), risalì fino a un nudo terrazzo di arenaria detto il Gebel Tsahura (così nell'ed. del von Maltzan, invece Drôra nella relazione inglese del 1844); ricevuto amichevolmente a el-Khoraibah, poté compiere di là escursioni a O. ed a N., al Wādī ‛Amd, e fino a Sahwah, di dove visitò il margine del grande deserto (al-aḥqāf). La prima relazione di lui (1844), nella quale veniva rivelata parte della idrografia del Ḥaḍramaut, fu tacciata d'impostura dal Humboldt; ma nel 1873 il barone von Maltzan pubblicò la relazione tedesca completa del bavarese e poté riabilitare la memoria del viaggiatore.

L'Arabia settentrionale fu l'ultima ad essere esplorata. Da tempo si sapeva che, oltre il deserto sabbioso disteso a S. della steppa siriana, esiste una regione elevata, abitata dalla stirpe beduina degli Shammar, per dove passavano normalmente le vie dei pellegrini provenienti da Baghdād e da el-Baṣrah. Primo europeo a penetrare fin qui fu nel 1845 il finlandese G. A. Wallin, distinto arabista ed esploratore scientifico di prim'ordine, che a torto viene spesso rappresentato come un emissario del vicerè d'Egitto ad ‛Abd Allāh, sceicco dello Shammar. Da Ma‛ān, importante stazione di pellegrini a SE. del Mar Morto, il Wallin, attraverso il ḥamād o deserto roccioso, raggiunse la depressione del Wādī Sirḥān e l'oasi di Giauf Āl‛Amr; indi, tra l'agosto e il settembre, traversato il deserto en-Nefūd viaggiando di notte, pervenne a Ḥāil, la prosperosa capitale dello Shammar. Di qua, primo europeo, percorse la via diretta a Medina e alla Mecca. In un secondo viaggio, al principio del 1848, mosse da el-Muweiliḥ all'estremità N. del Mar Rosso; raggiunta tra monti inesplorati la via dei pellegrini siriani, per Tabūk e per le oasi di Taimā e Khaibar, non prima visitate da europei, raggiunse di nuovo Ḥāil. Un mese dopo, con una piccola carovana di mercanti, traversando verso NO. per 100 km. un angolo del Nefūd, raggiunse Meshhed ‛Alī e Baghdād. Prima del Wallin, era già sbarcato a el-Muweiliḥ Eduard Rüppel, viaggiatore africano, che fu il primo esploratore del Midyan; vi andò a sua volta nel 1877 sir Richard Francis Burton, penetrando nell'interno alla ricerca di minerale aurifero.

Più noto, sebbene meno importante geograficamente, è il viaggio precedente a Medina e alla Mecca dello stesso Burton (1854), il quale era travestito da pellegrino musulmano afghano. Tralasciando di ricordare altri viaggiatori, che, seguendo vie già note, pervennero pure nell'interno del Ḥigiāz, rammentiamo l'insigne arabista e islamista olandese C. Snouck Hurgronje, che, sbarcato a Gedda nel 1885, sotto veste di studioso musulmano poté rimanere alla Mecca per cinque mesi; egli scrisse un'opera fondamentale per la storia della Mecca e per la conoscenza dei costumi e della vita sociale moderna. Un finto pellegrino alla Mecca è il francese Gervais-Courtellemont (1894), al quale si devono alcune buone fotografie della città santa, completanti quelle dello Snouck.

A S. di eṭ-Ṭāif, per 5°, il Ḥigiāz meridionale, l'‛Asīr e le provincie settentrionali del Yemen sono tuttora in gran parte ignote. Furono meglio esplorati il Yemen meridionale, la regione di Ṣan‛ā e quella d'el-Giauf (il vecchio centro di civiltà minea) fino al distretto del Wādī Naǵrān. Viene primo, sulle tracce di Arnaud, Joseph Halévy. Dopo un primo tentativo non riuscito da Aden nel 1869, spacciandosi per un rabbino di Gerusalemme pervenne dalla costa del Yemen a Ṣan‛ā, poi a Khaulān, scoprendo nuove iscrizioni sabee e ḥimyarite; poi a N., lungo l'orlo del deserto nell'el-Giauf yemenita, ove scoprì le rovine di Ma‛īn, antica capitale del regno mineo, indi ancora a N. fino ad el-Makhlāf nel Naǵrān, dove fu accolto da una comunità ebrea. Nessun viaggiatore giunse sino a quel punto. Al ritorno percorse una via a E. di quella seguita nell'andata, per valli piene di rovine antiche, passando anche fuggevolmente per i resti di Mārib, primo studioso che investigasse con competenza i resti della civiltà minea e sabea. Una descrizione di Ṣan‛ā molto più completa di quelle di Niebuhr Cruttenden e altri diede Renzo Manzoni, nipote di Alessandro, che venne in Aden, dal Marocco, nel 1877, e nei tre anni successivi si recò tre volte a Ṣan‛ā, soggiornandovi a lungo. Spingendosi oltre nella regione, l'austriaco E. Glaser, nel 1882-84, s'inoltrò fino a Dhī Bīn, circa 1° a N. di Ṣan‛ā, facendo scoperte epigrafiche e anche rilevamenti topografici e dando la prima chiara concezione dell'altipiano del Yemen. Nel 1885 viaggiò nella regione fra ‛Aden e Ṣan‛ā; nel 1887-88 tornò nel paese, dimorò un mese a Mārib, e in questo viaggio trascrisse circa 400 iscrizioni himyarite e tracciò uno schizzo topografico alla scala 1:250.000. La massima parte degli schizzi geografici e dei giornali di viaggio del Glaser, contenenti un'infinità di materiali d'ogni genere, è ancora inedita. Dipoi alcune interessanti notizie sul Yemen si ebbero in corrispondenze inviate alla Società di esplorazione commerciale di Milano dal negoziante lombardo Giuseppe Caprotti, stabilito a Ṣan‛ā dal 1885.

Tornando al Ḥaḍramaut, non occorre rammentare il tentativo fatto nel 1870 da S. B. Miles, che, sbarcato a Bīr ‛Alī con W. M. Munzinger, ricalcò gl'itinerarî del Wellsted e, in parte, del von Wrede. Miglior successo ebbe nel 1893 Leo Hirsch, che da el-Mukallā risalì verso l'interno e per la valle del Dō‛an pervenne a Sīf, proseguendo poi sull'altipiano fino a Shibām, nel wādī Masīlah, ch'egli seguì poi a valle a Seiwūn e Tarīm, donde, tornando, risalì la valle tributaria ‛Adim e, per la depressione Giōl, ritornò a el-Mukallā. Lo stesso itinerario fu seguito nel 1897 da J. Theodore Bent, accompagnato, tra altri, da un topografo dell'Ufficio trigonometrico indiano, Imām Shārif, il quale compì un rilevamento ch'è tra i pochi ottimi che si hanno dell'Arabia.

Del territorio meridionale a E. del capo Fartak e delle tribù che vi abitano si sa pochissimo e solo per notizie indirette. Vi è solo uno studio sui Mahrah, dipendenti del sultano di Socotra, dovuto all'etnologo Wilhelm Hein, viennese, recatosi quivi nel 1899-1900; fatto prigioniero dal sultano di Qishin e liberato dagli Inglesi, riportò un ricco materiale cartografico, linguistico e antropo-geografico; ma morì mentre lo stava elaborando (1903).

Siamo ora ricondotti all'Arabia Centrale ed Orientale, dove ai due importanti viaggi del Wallin (1845 e 1848) fa seguito, nel 1862, quello di William Gifford Palgrave, strano e complesso personaggio, ben più abile e accorto narratore del Wallin. Inglese d'origine ebraica, già ufficiale dell'esercito indiano, poi padre gesuita nelle missioni del Libano, andò in Arabia a spese di Napoleone III; viaggiò in veste di siriano con finto nome, insieme con un siriano autentico. Seguendo la via del Wallin, per Ghazzah e Ma‛ān arrivarono a Ḥāil, ove furono ricevuti dall'emiro degli Shammar; di là passarono a Bereidah (Bureidah), di dove comincia la parte più originale del viaggio nel Neǵd meridionale. Accompagnatosi con una comitiva di Persiani, proseguì da ez-Zulfà (ez-Zilfī) a er-Riyāḍ, capitale dell'emiro dei Wahhābiti; così, primo europeo, traversò la regione montuosa di Sedeir e di el-‛Āriḍ e il fertile altipiano del Gebel Ṭuweiq, popolato da coltivatori industriosi e ospitali. Palgrave si fermò a er-Riyāḍ 50 giorni, e di là fece una escursione verso SO. a el-Kharfah, capoluogo allora della provincia el-Aflāǵ; ma poi, ad er-Riyāḍ, caduto in sospetto dell'emiro, fuggì alla vicina el-Manfūḥah, donde, press'a poco per la via percorsa in senso inverso dal Sadlier, attraverso la cintura desertica, pervenne a el-Hofhūf e all'isola el-Baḥrein, indi all'‛Omān. Il racconto lasciatoci dal Palgrave è assai interessante e avventuroso, se anche non molto profondo e qua e là esagerato e inaccurato; né può essere taciuto che gravi dubbi sono stati sollevati (p. es. dal Philby nel 1922) intorno alla realtà del suo viaggio nel Neǵd propriamente detto e nell'el-Ḥasā. Notevole fra gli esploratori d'Arabia per l'arditezza dei viaggi e l'accuratezza delle osservazioni è Carlo Guarmani, italiano levantino, agente consolare del re di Prussia a Gerusalemme. Nel 1851 s'era già recato a Giauf Āl ‛Amr (el-Giauf) a far acquisto di cavalli, ma senza lasciare relazione particolareggiata del viaggio. Tredici anni dopo, nel gennaio del 1864, si diresse nuovamente all'Arabia, alla ricerca di cavalli per re Vittorio Emanuele II e per Napoleone III. Seguendo un itinerario ad E. della via dei pellegrini siriani fino a Taimā, arrivò, primo europeo (ma sotto mentite spoglie), a Khaibar, abitato da negri sotto un governatore d'origine abissina dipendente dall'emiro di Shammar. Più in là, imprigionato come spia turca, fu condotto a ‛Aneizah, nel cuore della penisola, poi a Ḥāil, dove, favorevolmente ricevuto, poté visitare quasi tutte le oasi principali del Gebel Shammar, completando l'acquisto commessogli. Gl'itinerarî del Guarmani aggiungono molto alle relazioni del Wallin e del Palgrave, i quali avevano veduto dello Shammar poco più della capitale: l'orografia del Neǵd settentrionale fu da lui rilevata con la bussola, e per opera sua furono recati importanti contributi alla cartografia dell'Arabia Centrale.

Al Guarmani seguì il col. Lewis Pelly, residente inglese a Bushire (Būshehr), inviato ufficialmente nel 1865 all'Emiro del Neǵd in missione politica e passato rapidamente da el-Kuweit (all'estremità N. del Golfo Persico) a er-Riyāḍ, ritornando poi tosto al mare per la via di el-Hofhūf.

Quasi per la stessa via del Guarmani venne al Neǵd, 13 anni dopo di lui, Charles Montague Doughty. Da Damasco, unitosi al pellegrinaggio siriano, viaggiò con questo fino a Madāin Ṣāliḥ, 500 km. a S. di Ma‛ān, e rimase quivi coi Beduini, studiando i monumenti e copiando iscrizioni nabatee e minee dei dintorni. Dipoi, datosi per medico e viaggiando apertamente come cristiano e inglese, senza denari, intraprese una vita di peregrinazioni nell'Arabia Centrale per quasi due anni: esplorò il Ḥigiāz settentrionale, inclusa l'oasi di Taimā, e passò a Ḥāil, ove trascorse un anno e donde ripartì alla scoperta delle sorgenti del grande Wādī er-Rummah, confermando e chiarendo la teoria del Wetzstein sulla idrografia del medio Neǵd. Imprigionato a Khaibar e costretto a tornare a Ḥāil, ne fu espulso, ma trovò rifugio per varî mesi, sebbene sempre con gran rischio, ad ‛Aneizah. Ne uscì colla carovana annua alla Mecca, che accompagnò fino all'ultima stazione, dove venne percosso e spogliato, riuscendo poi a stento a riavere il suo ed a trascinarsi, malato e senza mezzi, fino a Gedda. Frutto del lungo e pericoloso viaggio è un libro ch'è tra i classici della letteratura geografica inglese, inimitabile per lo stile e ricco della più completa, attraente, sincera descrizione che sia mai stata fatta della terra e della vita araba.

In tutt'altro modo, con tutti i comodi di una bene equipaggiata carovana, nel 1879 si recarono a Giauf Āl ‛Amr (el-Giauf) e, attraverso il Nefūd, allo Shammar, Wilfrid Scawen Blunt, amante di viaggi e poeta, e sua moglie lady Anne Blunt, nipote di lord Byron. Viaggiarono apertamente come europei, per interesse e curiosità romantica; tuttavia il giornale della signora e le note del marito contengono importanti contributi geografici e dati etnografici. Qualche mese prima si era recato a Ḥāil Charles Huber, alsaziano, inviato dal governo francese, per la via di Damasco e di el-Giauf. Lo stesso Huber traversò di nuovo il Nefūd nel 1883; questa volta come compagno ed ospite del württemberghese Julius Euting, orientalista dell'Università di Strasburgo, che si recava alla ricerca di antiche iscrizioni semitiche. I due viaggiatori arrivarono a Ḥāil, poi passarono a Taimā, ove l'Euting, fra l'altro, prese il calco della celebre iscrizione aramaica del sec. V-VI a. C. che da quella località prende il nome e che l'Huber aveva veduta nel suo viaggio precedente (la pietra è ora al museo del Louvre, avendola il governo francese fatta portare alla costa mediante arabi, qualche anno dopo la morte dell'Huber); quindi arrivarono a Tabūk, discesero verso sud fino ad el-‛Olā, e quivi si separarono: l'Euting, primo europeo, attraversò le montagne del Ḥigiāz fino ad el-Weǵh sul Mar Rosso, mentre Huber si recava per terra a Gedda, contando poi di ritornare nell'interno movendo da questa città. In questo tentativo di ritorno fu ucciso da predoni non si sa bene se il 29 o il 30 luglio 1884

Notizie storiche sulle vicende ulteriori del regno dell'emiro dello Shammar ci dà la relazione postuma del viaggiatore tedesco Eduard Nolde, che nel 1893 traversò il Nefūd da Damasco e si spinse oltre la provincia el-Qaṣīm nel Neǵd.

Viaggiatore di singolare tenacia e persistenza fu l'orientalista austriaco Alois Musil, che fece undici viaggi in Siria, Arabia settentrionale e Mesopotamia, fra il 1897 ed il 1915; più importanti quelli del 1908-09, del 1910 e del 1914-15, nei quali compì una larga esplorazione del Ḥamād, del Sirḥān occidentale e dei territori el-Ḥágiarah ed el-Widyān, recando notevoli contributi all'etnografia, alla storia naturale e all'archeologia. È il solo europeo che sia veramente penetrato nel Ḥamād. La straordinaria, inconsueta ricchezza d'indicazioni e rilievi topografici ha, in Arabia, soltanto riscontro nei rilievi (in gran parte inediti) del Glaser per il Yemen; ormai il Musil è l'unica buona fonte per la topografia dei paesi arabi tra il 28° e il 36° lat. N., eccettuato il territorio d'el-Kuweit.

Nel 1909 Douglas Carruthers, sulla via percorsa solo dal Guarmani (1864), si recò da Jiza (Zīzā) a Taimā, poi a N., lungo il Nefūd, a el-Giauf, e di ritorno a Zīzā; era alla ricerca di una rara antilope, Oryx beatrix, ma fece anche il rilevamento della via percorsa. Il ten. col. G. E. Leachman, dopo un primo tentativo fatto nel 1910 da Kerbelā, riuscì due anni dopo, partendo da Damasco, a pervenire a er-Riyāḍ per la via (nuova agli europei) di el-Ḥazil, Līnah e Bureidah. Respinto dall'emiro del Neǵd, si diresse a oriente, completando la traversata fino a el-Ḥasā ed el-‛Oqair (el-‛Ageir) sul Golfo Persico. Fu il primo europeo a visitare i pozzi di Līnah. Nello stesso anno (1912) Barclay Raunkiaer, per la Società geografica danese, da el-Kuweit per ez-Zilfī (ez-Zulfà) e Bureidah si recò a er-Riyāḍ, ritornando alla costa del Golfo Persico per el-Hofhūf. Percorse in parte nuovo territorio.

Gli studî per la costruzione della ferrovia del Ḥigiāz e quelli per la progettata linea da el-Ḥodeidah a Ṣan‛ā diedero occasione a rilevamenti importanti nelle rispettive zone, dovuti al tedesco gen. Auler e al francese A. Beneyton, fra il 1908 e il 1909. È anche da ricordare Hermann Burchardt, tedesco, che si recò a Ṣan‛ā una prima volta nel 1902; poi fece un lungo viaggio nell'Arabia orientale, da el-Baṣrah a Mascate, nel 1905-6; ed era di nuovo a Ṣan‛ā alla fine del 1909, di dove si recò a Mokhā per la via di Ta‛izz, ripartendone in compagnia del viceconsole italiano Gaetano Benzoni. Rifatta la via fino a Ta‛izz, e pervenuti a Ibb, tentarono di raggiungere ‛Udain, non ancora visitata da Europei, e perirono a non gran distanza da essa, trucidati da alcuni predoni. A Ṣan‛ā andò nel 1911 anche A. J. Wavell, dopo aver soggiornato travestito alla Mecca, e scrisse la miglior descrizione della città dopo quella del Manzoni (del 1884). Notevoli contributi alla topografia e alle condizioni economiche del Yemen sud-orientale portò G. Wyman Bury, che nel 1911 dalla costa meridionale (Shuqrah) si spinse fino a Beiḥān, 180 km. all'interno, e l'anno successivo andò da el-Ḥodeidah a Ṣan‛ā.

Venendo agli ultimi viaggi in Arabia, un'impresa notevole fu quella di una signorina, Gertrude Lowthian Bell (nel 1913-14), già nota per importanti campagne archeologiche in Asia Minore e Mesopotamia. Sola, con guide indigene, giunta da Damasco fin presso a Taimā, si spinse poi ad oriente, per itinerario nuovo, in regioni inesplorate lungo il margine meridionale del Nefūd fino a Ḥāil; di dove si volse a en-Negef e Baghdād, per una via seguita solamente dal Wallin nel 1848, avendo tracciato l'intiero itinerario con la bussola di rilevamento. Negli stessi anni il cap. W. C. H. Shakespear, agente politico inglese a el-Kuweit (destinato a cadere poi vittima in uno scontro fra Arabi nel 1915), traversò la penisola per er-Riyāḍ, Bureidah, el-Ḥayyāniyyah e Giauf Āl ‛Amr, di dove seguì una via interamente nuova da lui diligentemente rilevata.

Il maggior esploratore dell'Arabia degli ultimi anni è H. St. J. B. Philby, che nel 1917, in occasione di una missione all'emiro del Neǵd, compì nuovamente la traversata della penisola da el-‛Oqair (el-‛Ageir) sul Golfo Persico, a Gedda sul Mar Rosso, passando per el-Hofhūf, er-Riyāḍ, eṭ-Ṭāif. Oltre er-Riyāḍ fu il primo europeo a percorrere la gran e via centrale di pellegrinaggio alla Mecca, attraversando oltre km. 100 di deserto calcare e poi l'altipiano granitico del Neǵd, spartiacque fra i versanti NE. e SE., dove sono le sorgenti del Wādī Sahbā. Nel 1918 compì un'altra interessante esplorazione del Neǵd meridionale fino a Dam (più esattamente el-Ladām, 480 km., a sud di er-Riyāḍ), per vie diverse nell'andata e nel ritorno. Determinò astronomicamente la posizione di varî luoghi, fra cui er-Riyāḍ e Dam (el-Ladām), e le altezze con l'aneroide; rivelò l'idrografia dell'altipiano Ṭuweiq, che è come la spina dorsale dell'Arabia centrale; scoprì estesi campi di rovine nell'el-Aflāǵ e nell'el-Kharǵ; scoprì, a metà distanza fra er-Riyāḍ e el-Ladām, un lago lungo circa 1200 m., largo 400, ch'è forse il più grande specchio d'acqua dell'Arabia. Questi viaggi del Philby sono forse i più ricchi di risultati geografici fra tutti quelli intrapresi in Arabia. Importanti anche i viaggi del cap. Cheesman, che nel 1921 seguì a sud la costa della baia di el-Baḥrein da el-‛Oqair (el-‛Ageir), visitando le rovine di Salwā (Selwā); esplorazione di dettaglio con rilevamenti. Nel 1923, internatosi da el-'Oqair, traversò il deserto di Giāfūrah sino all'oasi di Yabrīn, non prima vista da Europei, situata presso il Tropico del Cancro, rilevando il terreno e facendo una raccolta naturalistica. Una serie di esplorazioni lungo i margini dell'‛Omān e dell'Arabia di SE., vincendo gravi difficoltà ma senza poter penetrare nel Gebel el-Akhḍar, condusse ultimamente (1925-26) il geologo G. M. Lees insieme con A. F. Williamson, buon conoscitore delle genti arabe.

Le operazioni di guerra permisero nel 1917 di esplorare a fondo varie zone del Ḥigiāz e promossero la redazione di carte turche dei dintorni di Medina. Verso la fine del 1918, ufficiali inglesi che facevano parte delle forze arabe d'el-Idrīsī contro il Turco, raccolsero nuovo materiale topografico e notizie sociali e politiche sulla composizione e la distribuzione delle tribù principali dell'‛Asīr e del Yemen.

Tuttavia, come si è detto all'inizio di questa esposizione, vi sono ancora grandi lacune nella nostra conoscenza della penisola araba. L'‛Asīr e la zona meridionale del Ḥadramaut sono pressoché inesplorati; rimane insoluto il problema idrografico della parte SO. della penisola; non sappiamo nulla della più gran parte del Nefūd, non ancora traversato da O. a E., né della steppa pietrosa e sabbiosa fra lo Shammar e il Golfo Persico, traversata dalle carovane di cavalli che si recano a el-Kuweit per essere poi inviati al mercato di Bombay in India. È anche appena abbozzata l'esplorazione della parte meridionale dell'Arabia centrale, e del tutto ignota è la immensa vastità del deserto meridionale, Rub‛ el-Khālī (più di 1000 km. da S. a N., quasi 1400 da O. a E., superficie un milione e mezzo di kmq.). È possibile che vi siano laghi o un importante solco di drenaggio transarabo e forse tratti fertili e aggregati umani ignoti; oppure solamente una distesa sconfinata di sabbie e roccie. È probabile che la navigazione aerea possa nei prossimi anni risolvere interamente il problema.

Bibl.: D. G. Hogarth, The penetration of Arabia, Londra 1904; A. Ralli, Christians at Mecca, Londra 1909; e gli scritti di J. Jourdain (ed. da Foster, Londra 1905); del La Roque; del Carsten Niebuhr; di Ali Bey al Abbasi; di U. J. Seetzen (Reisen, ed. da Kruse, voll. 4, Berlino 1854); di G. Finati (Travels, ed. da. W. J. Bankes, Londra 1930); di J. L. Burckhardt; di M. O. Tamisier; di Chedufeau (nel Bull. de la Soc. de Géogr., s. 2ª, XIX (1843), 106-128); di P. E. Botta; di Th. J. Arnaud (in Journ. Asiatique, s. 4ª, V, Parigi 1845); di V. Maurizi (History of Seyd Said, ecc., Londra 1819); di J. R. Wellsted; di Aucher Eloy (Relations de Voyages en Orient, ed. da Jaubert, Parigi 1843); di S. B. Miles (nel Geog. Journ., VII, 1896 e XVII, 1901); di S. M. Zwemer (nel Geogr. Journal, XIX, 1902); di Sir Percy Cox (nel Geogr. Journ., LXVI, 19255); di A. von Wrede; di G. A. Wallin (v. Journ. Roy. Geographical Soc., XX, 1851, XXIV, 1854; la relazione completa fu pubblicata in svedese a Helsingfors 1864-1866, 4 voll;). di R. F. Burton; di J. F. Keane; di C. Snouck, Hurgronje (Mekka, 1888); di J. Halévy (Rapport d'une Mission Archéologique, ecc., in Journ. Asiat., 1872); di R. Manzoni (El Yemen, Tre anni nell'Arabia Felice, Roma 1884); di E. Glaser (fra cui carta e varî articoli, in Petermanns Mittheil, del 1884 e 1888). Cfr. anche la corrispondenza di Luigi e Giuseppe Caprotti, in Esplorazione commerciale, Milano, II (1887); III (1888); VI (1891) e gli scritti di S. B. Miles e W. M. Münzinger (nel Journ. Roy. Geogr. Soc., 1871, XLI, e Geogr. Journ., XXXVI, 1910); di Leo Hirsch; di J. Th. Bent & Mrs. Th. Bent; di W. Hein (in Geogr. Journal, XXIII, 1904, e nella Zeitschr. für Erdk., IV, 1902, p. 9); di W. Gifford Palgrave; di C. Guarmani (Sedici anni di studio in Siria, in Palestina, in Egitto e nei deserti dell'Arabia, Bologna 1864; e Il Neged settentrionale, ecc., pubbl. dai Francescani di Gerusalemme, 1866); di Lewis Pelly, nei Proc. Roy. Geogr. Soc., IX, 1864; e Journ. Roy. Geogr. Soc., XXXV 1865; XXXVI, 1866); di Ch. M. Doughty; di Anne Blunt; di C. Huber; di J. Euting; di E. Nolde; di Alois Musil (i soui viaggi, illustrati nei suoi 7 volumi di Itineraries, New York 1926-28, sono riassunti nel Geogr. Journ., XX, 1902; XXXV e XXXVI, 1910; XXXVIII, 1911; XL, 1912 e XLII, 1913). Vedasi ancora Douglas Carruthers (Geogr. Journ., XXXIII, 1909 e XXXV, 1910); G. E. Leachman (Geogr. Journ., XXXVII, 1911 e XLII, 1913); le due Memorie di Auler (negli Ergänzungshefte delle Petermanns Mitt., 1908); H. Burchardt (nella Zeit. d. Ges. f. Erdk., Berlino 1902, p. 593 e 1906); H. Burchardt, Letzte Reise durch Südarabien, bearb. v. E. Mittwoch, Lipsia 1926, itinerario: A. J. Wavell; G. Wyman Bury; G. L. Bell; D. G. Hogarth (Geog. Journ., LXX, 1927) e vedi Shakespear, Geogr. Journ., XLV (1915); LIX (1922); H. St. J. B. Philby, The Heart of Arabia, voll. 2, Londra 1922; Cheesman, A Journey across Arabia, Londra 1925; id., in Geogr. Jour., LXII (1923) e LXV (1925); id., In unknown Arabia, Londra 1926.

Partizione. - Nell'Arabia centrale, in gran parte desertica e disabitata, si possono distinguere cinque principali regioni: 1) il deserto settentrionale o siriano, dell'estensione di 186.000 kmq., limitato a N. dal wādī Ḥaurān, a S. dal wādī Sirḥān e dalla regione el-Widyān, che si uniscono in una depressione, ove verdeggiano diverse oasi, tra cui quella di el-Giauf, mercato principale dei beduini di quelle parti e nodo stradale sulla via Damasco-Ḥāil. Per la presenza di un po' d'acqua sotterranea questa regione assume nella sua parte marginale carattere di steppa, mentre verso sud passa a serīr e a ḥamād nudo e petroso. L'inclinazione generale è a NE. 2) Il Grande Nefūd o deserto centrale, press'a poco altrettanto vasto. Presenta una superficie convessa, declive verso i margini, ed è in gran parte coperto di sabbie rosse o giallastre accumulate in dune a ferro di cavallo dette falq (dialettalmente anche falǵ); tuttavia non è completamente sprovvisto di qualche vegetazione, forse in grazia dell'altezza, che oscilla intorno ai 700-1200 m. s. m. 3) Il Neǵd, altipiano alto da 600 a 900 m., con rilievi orientati NE.-SO., i più importanti dei quali sono la catena granitica di Shammar (circa 1400 m. s. m.) nella regione omonima e la catena del Gebel Ṭuweiq, in gran parte calcarea. Vi si alternano limitate zone di ḥamād e di serīr con steppe pasturative e zone intensamente abitate da popolazioni agricole. Centri importanti sono quelli di Ḥāil, di Dam (el-Ladām o el-Ldām), di er-Riyāḍ, di es-Suleimiyyah, ecc. In questa regione, nella sua parte centrale e meridionale (el-Yamāmah) esistono giacimenti auriferi. 4) Il Piccolo Nefūd o ed-Dahnā, striscia di deserto sabbioso, larga un centinaio di km. e lunga circa 800 km., distesa fra il Neǵd e le bassure del litorale del Golfo Persico. 5) La ed-Dahnā, vastissima plaga di deserto sabbioso, rosso, spazzato dai venti di SE., che occupa tutta la parte meridionale della penisola, dal Yemen all'‛Omān, con una altitudine media di 500-700 m. s. m.; in luogo di ed-Dahnā (vocabolo che significa "deserto sabbioso" e non è affatto un nome proprio) spesso essa viene chiamata dagli Arabi er-Rub‛ el-Khālī "il quarto vuoto [dell'Arabia]" o più comunemente er-Rimāl "le sabbie".

Quanto alle regioni, che per il clima più mite e per la posizione marginale sono più facilmente accessibili e più intensamente abitate, esse sono le seguenti: 1) Il Ḥigiāz, posto tra la regione delle Ḥarrah e il Mar Rosso settentrionale, là dove il versante occidentale è più largo; si estende dal golfo di el-‛Aqabah fino ad includere eṭ-Ṭāif, distretto meridionale che fisicamente apparterrebbe già all'altipiano yemenita. È paese povero e nudo, tanto sull'altipiano quanto nella Tihāmah, ad eccezione di alcune fertili vallate, come quelle di Khaihar, del wādī el-Ḥamd e del wādī Fāṭimah, e deve la sua importanza specialmente alle città sante di Medina e di Mecca. Nella parte settentrionale-occidentale (Madyan e Midyan) furono segnalati giacimenti minerarî. 2) L'‛Asīr e il Yemen costituiscono geograficamente una regione unica, estesa dal 20° lat. N. fino al Golfo di Aden e divisa pure in diverse zone. Di queste, l'es-Serāh o tavolato dell'altipiano, sormontato qua e là da massicci vulcanici, si eleva qui fin oltre i 3000 m. s. m. e abbraccia anche la parte alta delle valli che scendono al Mar Rosso: regione ricca e popolosa, dotata di un clima temperato e di grande fertilità. La Tihāmah si restringe invece ad una trentina di km. di larghezza e, secondo il Lamare, comprende una pianura strettamente litorale (khabt) sabbiosa e riarsa, orlata di scogliere coralligene, che insieme con formazioni vulcaniche recenti costituiscono anche le numerose isole prospicienti (Farasān, et-Teir, Zabāir, Zuqur, Hānīsh e Perim), e una zona ondulata, ciottolosa e terrazzata, che si eleva fino a 500 m. s. m. Una zona intermedia, compresa tra 500 e 1200 m., serve di raccordo tra l'es-Serāh e la Tihāmah e si presenta estremamente accidentata da picchi, burroni e gole, lungo le quali corrono le vie di comunicazione. La regione del Yemen si affaccia fin sul Golfo di Aden. La costa è qui meno frastagliata da scogli e isolette, ma ha un solo buon porto, che è appunto quello di Aden: le montagne, ancora assai alte, vanno degradando verso il Ḥaḍramaut. 3) Il Ḥaḍramaut o Ḥaḍramūt è una regione assai accidentata da catene montuose e lembi d'altipiano, tra i quali si fanno strada alcuni torrenti, come il wādī Dō‛an, il wādī ‛Amd e il wādī Masīlah (o Ḥaḍramaut), lungo il corso dei quali sono specialmente localizzati i centri abitati e le culture. 4) La Mahrah (con il distretto di Ẓafār o Ḍafār), è una regione arida e rocciosa, posta tra i confini del Ḥaḍramaut e dell'‛Omān, all'altezza di Mirbāṭ, ed è nota specialmente per la sua ricchezza in piante da incenso e da mirra. 5) L'‛Omān occupa l'angolo sud-orientale della penisola e si affaccia su tre mari: la sua parte occidentale, che guarda sull'Oceano Indiano, non differisce molto pei suoi caratteri fisici dal resto della costa aualite e specialmente dal Ẓafār; il carattere più spiccato dell'‛Omān è fornito dal Gebel el-Akhḍar, nella eẓ-Ẓāhirah (3020 m. s. m.), che forma una vera catena marginale, lungo la costa del Golfo di ‛Omān, con l'estremo meridionale a Rās el-Ḥadd e il settentrionale a Rās Musandam. Tra le montagne e il mare si stende per circa 300 km. la fertile e popolosa regione el-Bāṭinah, irrigata da frequenti wādī: anche la montagna, del resto, è ricca di acque e di coltivazioni. La costa degli el-Qawāsim (o el-Giawāsim) o dei Pirati, sul Golfo Persico, ha carattere di steppa, pur con alcune zone di grande fertilità, tra cui Bireimah e Abū Ẓaby (Abū Ḍaby); oltre questa località però la steppa, piatta e priva di centri permanentemente abitati, continua tra le saline costiere e il deserto, fino alla penisola di el-Qatar. Sul Golfo Persico si affaccia inoltre: 6) el-Ḥasā od el-Aḥsā, territorio basso e caldissimo, limitato da una spiaggia sottile e importuosa e da un retroterra desertico, ma provvisto di ricche sorgenti in corrispondenza del Golfo di el-Baḥrein, dove il territorio di el-Hofhūf (od el-Hofūf) deve a queste sorgenti appunto la sua fertilità e la notevole popolazione. 7) el-Kuweit è il nome del territorio desertico posto a N. di el-Ḥasā, attorno al porto dello stesso nome, che si trova quasi al fondo del Golfo Persico, a confine con l'‛Irāq.

8) Dell'‛Irāq solo una parte - la meno conosciuta - a ponente della pianura mesopotamica, rientra nel territorio qui considerato 9) La Transgiordania forma infine la continuazione orientale del tavolato palestinese, del quale mantiene i principali caratteri strutturali, accentuando per la maggiore continentalità il carattere arido e desolato. L'‛Irāq occidentale e la Transgiordania chiudono a N. il territorio dell'Arabia, abbracciando in certo modo il deserto settentrionale, di cui già si è detto.

Rilievo e coste.- Dati i caratteri generali del paese che abbiamo sopra indicati, si comprende facilmente come le massime elevazioni debbano riscontrarsi lungo i margini, specialmente nel gruppo montagnoso dell'‛Omān e lungo il margine occidentale. Quivi una serie di campi di lava (Ḥarrah) con la loro durezza hanno preservato dall'erosione le sottostanti arenarie e spiccano con marcato rilievo, così da formare, unitamente alle rocce cristalline antiche, i monti più elevati. Abbiamo così nel Ḥigiāz i monti fra Ma‛ān e el-‛Aqabah (1600-1700 m.), il Gebel esh-Sharāh (2300 m.) nel Midyan, l'antico vulcano del Geb. el-‛Anāz (1850 m.) nella Ḥarrat el-‛Aweiriḍ, il Geb. Raḍwà (1829 nn.) fra Medina e il mare, il Geb. Ghazwān a E.-SE. della Mecca; nel Yemen si noverano il M. Ḥaḍūr (m. 3139) a ponente di Ṣa‛nā, il Geb. Ṣabir (3006 m.), il Geb. Ḥarīr (2360 m.) a N. di Aden ecc. Sul margine meridionale sono state riscontrate elevazioni di 1706 m. al Geb. el-‛Urus, di 1609 al Geb. Hamairi, di 1158 nel Hadramaut ecc. Nell'‛Omān finalmente si citano i 3020 m. del Geb. el-Akhḍar a occidente di Mascate, che fa parte di un vero arco montuoso, appartenente al sistema iranico. Da queste massime elevazioni marginali il paese discende gradatamente verso SE. e NE. senza notevoli accidentalità orografiche, all'infuori del Geb. Ṭuweiq nel Neǵd e del Geb. Shammar tra il Neǵd e il Grande Nefūd (circa 1400 m. s. m.), ambedue con direzione press' a poco SO.-NE.

A questa semplicità di struttura corrisponde una grande regolarità di contorni: la costa del Mar Rosso corre nel suo andamento generale in linea retta da NO. a SE., o quanto meno è formata da lunghi tratti rettilinei, raccordati tra loro: qualche irregolarità di particolari è rappresentata dalle costruzioni coralligene antiche e recenti che orlano il litorale, interrompendosi qua e là davanti allo sbocco dei wādī, così da formare piccole insenature dette sherm; e, specialmente nel tratto meridionale, da edifici vulcanici, più o meno recenti, e quindi più o meno demoliti dall'erosione, i quali formano anche alcuni arcipelaghi di scogli e piccole isole: eṭ-Ṭir, ez-Zabāir, Ḥānīsh. Le isole Farasān e Kamarān sono invece coralligene. La costa del Golfo di Aden è del pari quasi rettilinea nel complesso, ma non vi mancano, soprattutto nella sua parte orientale, alcuni promontorî poco sporgenti, quali il Rās Fartak fra Macalla (el-Mukallā) e Mirbāṭ, Rās Nūs e Rās Sherbeḍāt (Sharbatat) a levante di questa località, poi Rās Mádrakah e finalmente Rās el-Ḥadd, all'estremo sud-orientale, corrispondenti spesso, al pari delle isolette prospicienti (Khūryān-Mūryān, Maṣīrah), a limitati affioramenti di dure rocce cristalline o al protendersi dei rilievi montuosi, che assumono talvolta in questo tratto un andamento leggermente obliquo rispetto alla costa. Più accidentato e vario è il contorno della costa orientale. Già l'‛Omān costituisce di per sé una penisola, di forma presso a poco quadrangolare, che si avanza verso NE. tra l'Oceano Indiano, il Golfo di ‛Omān e il Golfo Persico.

Il vertice orientale è costituito dal Rās el-Ḥadd: la costa si dirige di qui verso nord-ovest, prima rettilinea attorno a Mascate, poi lievemente incurvata, protendendosi infine lungo il distretto roccioso detto Ruūs el-Gibāl, tutta frastagliata di canali, di capi, d'isolette, fino all'estrema punta di Rās Musandam, che, sporgendo verso N. in faccia a Bender ‛Abbās, forma lo stipite meridionale dello stretto di Hormūz, e separa così il Golfo di ‛Omān dal Golfo Persico. La costa occidentale del Ruūs el-Gibāl contrasta per la sua semplicità con quella opposta, e limita da questa parte l'‛Omān, che viene ad innestarsi al resto dell'Arabia verso Mukabber. Da questo punto la costa corre in direzione nord-ovest, parallelamente cioè alla opposta sponda del Mar Rosso fino alla foce dello Shaṭṭ el-‛Arab; la regolarità della linea costiera è interrotta solo da una notevole protuberanza di origine tettonica - el-Qaṭar - e da qualche irregolarità di dettaglio, tra cui giova citare le isole el-Baḥrein in faccia ad ‛Ageir (el-‛Oqair).

Clima. - Si devono distinguere nell'Arabia tre regioni climatiche: 1) La zona costiera tanto occidentale quanto meridionale e orientale, eccettuata la regione montuosa dell'‛Omān; 2) La regione montuosa che divide la costa occidentale dall'altopiano centrale e continua per un tratto lungo la costa meridionale, e i monti dell'‛Omān; 3) L'altopiano centrale.

Il clima della zona costiera è caratterizzato da un'aria umida caldissima, senza piogge o nebbie, ma con frequente comparsa, durante l'estate, di abbondante rugiada notturna e di vapori diurni. Le scarsissime precipitazioni tanto a Gedda quanto a Mascate e ad Aden cadono durante l'inverno. Di tanto in tanto il calore umido soffocante delle coste è interrotto da un asciutto vento infuocato che viene dall'interno ed è conosciuto comunemente col nome di Samūm.

La temperatura si mantiene sempre molto alta, specialmente nella regione sud-occidentale, dove l'escursione annua è minore che nella regione montuosa o sull'altopiano. Infatti a Gedda, el-Ḥodeidah, Aden e Mascate anche i mesi invernali sono assai caldi: a el-Ḥodeidah, p. es., 26° C. all'ombra in dicembre è una temperatura insolitamente bassa, e perfino nei mesi più freddi la minima non scende mai sotto i 14°, mentre d'estate non vi è rara una temperatura diurna di 40° e notturna superiore ai 30°. Per le coste, e specialmente per la Tihāmah, la temperatura è più elevata nei mesi delle calme, nel maggio e nel settembre, quando essa raggiunge i 35° e perfino i 43°, mentre invece d'estate, e questo vale specialmente per le coste del SO., il termometro si abbassa un po', sotto l'influsso degli abbondanti acquazzoni che cadono sulla zona montuosa vicina. Perim ha medie di temperatura mensili anche più alte di quelle della Tihāmah occidentale; però l'escursione fra le massime e le minime di ciascun mese è piccola. Il mese più freddo a Perim è il gennaio, il più caldo il luglio; dallo Schmidt (Südwestl. Arabien) sappiamo che le medie dei massimi di Perim sono per il gennaio 27° 2 e per il luglio 37° 8; mentre quelle dei minimi sono per il gennaio 23° 9 e per il luglio 28° 9 (agosto e settembre 27° 8). L'escursione mensile è minore per i mesi più freddi (gennaio 3° 3); maggiore per i mesi più caldi (luglio, agosto, settembre 8° 9). La tabella seguente dà i valori medî della temperatura per le tre stazioni per le quali si hanno dati più sicuri:

Per Mascate abbiamo anche le medie mensili:

Tutta questa zona è poverissima di pioggia, che può anche mancare per 3-4 anni consecutivi e la cui quantità non oltrepassa in nessuna località i 200 mm. annui. Sulle coste meridionali si notano qua e là delle piogge invernali intermittenti. Ad Aden piove solo in novembre, gennaio, febbraio e talvolta anche in marzo, ma la quantità di pioggia ben raramente raggiunge i 150-180 mm. Nella Tihāmah occidentale le poche piogge si hanno in primavera, al tempo dell'inversione del monsone (febbraio e marzo). Nel SO. sono caratteristiche le nebbie mattutine salienti dalla Tihāmah verso E. alla regione montuosa, dove giungono verso mezzogiorno e dove per esse il sole meridiano perde di ardenza e le piante trovano l'umidità necessaria. A Gedda si hanno in media annualmente 8 cm. di pioggia e il novembre è il mese più ricco di precipitazioni (4 cm.); ad Aden 6 cm.; a Mascate 13 cm., di cui 4 cm. cadono in gennaio.

La regione montuosa. - Sul pendio occidentale dell'es-Serāh la temperatura estiva mostra poca escursione diurna e sale nel giugno fino a 31°, in agosto fino a 37°; d'inverno invece la massima è ancora, in media, di 25° circa, ma di notte si hanno temperature di 2° o 3°. In questa stagione il clima subisce l'influenza dell'aliseo asciutto di NE. Sugli alti monti d'inverno la temperatura scende fino a −5° C.; e se questa stagione non fosse anche la secca, si avrebbe ovunque la neve, che compare però spesso sulle alture maggiori del Ḥigiāz, dell'‛Asīr, del Yemen (sul Gebel Ḥaḍūr) e più dell'‛Omān. Sui terrazzi del Ḥadramaut, a 800 m. d'altitudine, il Wrede trovò non più di 12° 5 d'inverno, e più in alto, a el-Ebnā, le cisterne gelate, mentre nel giugno, sui confini del deserto arenoso di el-Aḥqāf, aveva riscontrato 46° all'omhra. Proseguendo verso il N. anche l'escursione annua va accentuandosi sempre più. Sono proverbiali p. es. i freddi invernali di Medina, posta a soli 870 m. d'altitudine, poco più a N. del Tropico del Cancro. A Ṣan‛ā (2371 m.) l'escursione annua è di solo 7° 3; la media escursione diurna per il gennaio-febbraio è di 19°; per il giugno e l'agosto di 11°. La temperatura nei mesi invernali vi oscilla da un minimo di 1° 5 a 20° e scende raramente sotto 0°. L'acqua tuttavia vi gela talvolta a 3° nelle notti del dicembre e gennaio per il vento più forte e per la grande secchezza dell'aria. Le temperature pomeridiane si mantengono uguali quasi per tutto l'anno, mentre variano assai le minime, come risulta dalla tabella a piè della pagina.

Nel Yemen si ha un periodo di piogge estive "maṭar el-kharīf", che va da metà giugno alla fine di settembre con piogge più abbondanti nei 2 primi mesi; e piogge primaverili "maṭar eŞ-Şēf", che hanno luogo nei mesi di marzo, aprile, maggio. Queste cadono sulle montagne costiere sotto forma di temporali pomeridiani che cessano prima di notte; quelle, invece, hanno forma di violenti acquazzoni e sono proprie delle alture più elevate del Yemen. L'inizio delle piogge estive non avviene nello stesso tempo per le singole località e non è neppure raro il caso ch'esse manchino in qualche luogo per 3-4 anni. Degno di nota è il vento detto ‛ummah o sukheimānī che quasi quotidianamente porta dal Mar Rosso al pendio occidentale delle montagne yemenite, verso l'ora del mezzogiorno, nebbia e umidità e così rende possibile la coltivazione del caffè. Nei monti della costa meridionale le piogge estive sono regolari; ci sono anche isolate piogge invernali locali. Nel Ḥaḍramaut d'estate la pioggia cade quasi quotidianamente sotto forma di violenti temporali, e Bethge stima che la quantità delle precipitazioni di questa regione, sino al 50° long. E., raggiunga i 1000 mm. e in qualche luogo anche più. L'inverno è secco. Nei mesi estivi appaiono spesso sui monti le nebbie, sciolte dal sole pomeridiano. Anche a Ṣan‛ā le piogge cadono regolarmente fra giugno e settembre; dai dati però di Ra'ūf Fu'ād Bey qui sotto riportati, frutto di 10 mesi d'osservazione, risulta che anche marzo, aprile e maggio sono relativamente ricchi di pioggia.

Sull'es-Serāh orientale e sull'altipiano può piovere in 2 periodi; in marzo e da luglio a settembre. Non vi sono rare le grandinate. Verso settentrione, dal 16° lat. N., le piogge diventano sempre più incerte; talvolta passano anni intieri senza piogge. Le regioni degradanti verso N. e verso NE. sono caratterizzate dalla siccità, quelle rivolte al S. invece hanno dal giugno al settembre piogge abbondanti. La parte estrema sud-orientale dell'Arabia è pure nel dominio delle piogge estive, che sono però scarsissime; la regione dell'‛Omān è già compresa fra le regioni secche.

Sull'altopiano centrale non ci sono stazioni meteorologiche; i pochi dati sporadici che abbiamo provengono da osservazioni temporanee di singoli viaggiatori. Il clima dell'altipiano centrale appare in ogni modo eminentemente continentale e secco, con forti escursioni sia annue, sia, e molto maggiori, diurne. La temperatura e più le escursioni aumentano dalla periferia all'interno e dal S. al N. Abbiamo già detto del clima di Ṣan‛ā, che, per essere situata sul versante interno della catena costiera, il Grohmann considera già città dell'auipiano centrale. Inoltrandosi ancora, già verso Mārib (1160 m.) la temperatura sale molto, e perfino nell'inverno non scende sotto i 5° o 6° C. Da qui, quanto più ci si avanza nel deserto tanto più si accentuano i freddi notturni dovuti a una più intensa irradiazione, facilitata anche dalla grande secchezza atmosferica, pur essendo le medie giornaliere assai elevate, data la forte insolazione diurna. Parecchi viaggiatori osservarono nell'interno dell'Arabia deserta in agosto una temperatura meridiana di 44°-45° all'ombra, e solo 14°-18° prima del sorger del sole. Le massime temperature si raggiungono in maggio-giugno (fino a 42° e oltre); le minime in dicembre-gennaio, all'alzata del sole (5° 5), mentre nel pomeriggio anche dei giorni più freddi il termometro può salire fino a 26°. Le precipitazioni vi possono mancare per anni intieri, causando le grandi carestie che visitano molto spesso anche l'Arabia meridionale; finché sui versanti nord-orientali delle catene montuose, nei grandi deserti più interni, non cade addirittura mai o quasi mai goccia d'acqua, l'atmosfera vi è completamente secca e le escursioni di temperatura gia diurne sia annuali sono massime: pomeriggi estivi caldissimi e inverni molto freddi: nel Nefūd, per esempio, e nel deserto pietroso del N., dove può fare la sua comparsa perfino la neve, sono state notate delle temperature di 6°-8° sotto lo zero.

Idrografia. - Se si potesse parlare di spartiacque in un paese che non ha fiumi perenni e dove per la scarsità delle precipitazioni e l'intensità dell'evaporazione gli stessi torrenti (wādī) non hanno generalmente un letto continuo, onde gran parte di essi risulta priva di regolare deflusso al mare, lo spartiacque dell'Arabia dovrebbe definirsi tipicamente asimmetrico, correndo esso, come si è accennato, lungo il ciglio occidentale dell'altipiano, per modo che la maggior parte delle acque defluisce - o dovrebbe defluire - verso il Golfo Persico, lungo solchi vallivi di lieve declivio e di notevolissimo sviluppo; mentre i torrenti che dal ciglione stesso scendono al Mar Rosso mordono la parte alta della scarpata con i loro bacini di recezione e si fanno strada con breve corso, attraverso gole orride e precipitose, verso le ardenti pianure della Tihāmah. Solo la regione costiera meridionale e la parte interna del Yemen acquapendono verso l'Oceano Indiano. Comunque, queste correnti costituiscono le maggiori risorse idriche del paese, non tanto con le loro acque superficiali, scarse e saltuarie, quanto con le acque sotterranee, che alimentano alcuni gruppi di oasi della regione centrale e forniscono in varie parti acqua d'irrigazione e di alimentaziqne a popolazioni agricole relativamente assai numerose e fiorenti, che si addensano specialmente nell'es-Serāh. Le strade carovaniere seguono, appunto per questo motivo, i solchi vallivi.

Nel versante orientale ricorderemo, come i più importanti di questi wādi, il Ḥaurān, che trae origine dalla regione omonima in Siria e corre lungo il margine del deserto settentrionale; il Sirḥān, che scende dalla stessa zona verso SE., innestandosi a el-Giauf con il gruppo degli el-Widyān, che si dirigono verso l'Eufrate senza raggiungerlo; l'er-Rumah o er-Rummah od er-Rmā, che ha principio all'oasi di Khaibar nel Ḥigiāz e, attraversato il Neǵd, scende a el-Kuweit; l'el-‛Irḍ o Ḥanīfah, che bagna le oasi di er-Riyāḍ, e di es-Sulaimiyyah e volge al golfo Persico, non si sa se a N. o a S. di el-Qaṭar; il wādī ed-Dawāsir, infine, che ha origine nell'‛Asīr, passa per l'oasi di Dām (el-Ladām) e, secondo le recenti scoperte del Philby, lambiti i contrafforti meridionali del Geb. Ṭuweiq, volge a SE. e va a perdersi nelle sabbie della Dahnā. All'‛Omān appartengono il wādī Zeilah (o Semāil), che dal Geb. el-Akhḍar scende al mare verso es-Sīb, e il w. Betha (el-Baṭḥā ?) al margine della Dahnā, con parecchi villaggi agricoli. Nel Ḥaḍramaut, oltre al w. Ḥaḍramaut o Masīlah, che drena la parte orientale del tavolato yemenita e viene a sboccare nell'Oceano Indiano a levante di el-Mukallā, è da ricordare il w. el-Lagam, che proviene da eṣ-Ṣidārah ed è fiancheggiato in varî tratti del suo lungo corso (200 km.) da villaggi e coltivazioni, le quali si fanno poi più estese e numerose sul suo vasto delta, ad O. di Macalla (el-Mukallā), dove esso prende il nome di Maifa‛ (da non confondere col più occidentale Maifa‛ah). Sbocca in mare a Rās el-Kalb, presso il villaggio di el-Ḥesī.

Finalmente tra i numerosi wādī del versante occidentale ricorderemo il w. Zabīd, che nasce presso Yarīm nel Yemen e corre con acque perenni fino al mare; il w. Gedīd, che trae origine dalle Ḥarrah tra Medina e eṣ-Ṣufeinah e alimenta fiorenti palmeti; il w. el-Ḥamḍ, il maggior torrente dell'Arabia occidentale, i cui affluenti provenienti da Khaibar e da Medina recano la fertilità attraverso il territorio sterile e nudo del Ḥigiāz. Volge al mare a S. di el-Weǵh.

Costituzione geologica. - Geologicamente l'Arabia si ricollega piuttosto all'Africa che all'Asia; da questa infatti si distingue per la sua struttura tabulare, la quale contrasta con la struttura a grandi pieghe propria delle catene montuose asiatiche che si susseguono a festoni dal Tauro e dal Caucaso attraverso l'intero continente; a quella si unisce strettamente appunto in grazia di tale struttura, formando il tavolato arabico la diretta continuazione di quel "tavolato desertico" o "tavolato sahariano", che occupa, escluse le catene dell'Atlante e del Rīf, tutta la parte settentrionale e centrale del continente africano (v. africa: Geologia). Soltanto l'estremo lembo sud-orientale della penisola - parte cioè dell'‛Omān, - appare, come un elemento estraneo: frammento dell'arco esterno del sistema montuoso di Zagros ad essa giustapposto.

Tre parti geologicamente molto diverse possono distinguersi nel nostro territorio: 1. L'imbasamento di rocce antiche, precambriche, sia metamorfiche (scisti cristallini), sia eruttive (graniti, graniti alcalini, granititi, pegmatiti, con subordinate sieniti, dioriti, porfiriti ecc.), sia sedimentari a facies normale (conglomerati, quarziti, arcose ecc.). Questo complesso forma quasi per intero la parte occidentale della penisola (Ḥigiāz, Shammar, Neǵd occidentale, ‛Asīr, Yemen settentrionale) e non è in sostanza se non la metà orientale del massiccio cristallino dell'Etbāi e del Sinai sventrato longitudinalmente dalla grande fossa eritrea. Lembi limitati spuntano fuori, di sotto alla copertura sedimentare, lungo la costa meridionale, specialmente nel Ḥaḍramaut e nel Ẓafār e nelle prospicienti isolette di Khūryān-Mūryān.

2. Il tavolato sedimentare-eruttivo, che si adagia indisturbato su questo imbasamento e lo circonda da tre parti: a nord (Transgiordania, Nefūd), a oriente (Piccolo Nefūd, el-Yamāmah), a sud (Yemen meridionale, Ḥaḍramaut, Zafār, ‛Omān occidentale). Questa parte, ch'è la più estesa, comprende naturalmente una svariatissima serie di depositi. Alla base sono arenarie rosse o brune, marne, calcari dolomitici (arenarie desertiche di Hull) del Paleozoico, con qualche orizzonte fossilifero del Cambrico (quarziti con trilobiti del wādī Saramuǵ) e del Silurico (arenarie a Diplograptus di Sahr ul Ghul, arenarie a bilobiti e Monograptus dello Shammar), costituenti una fascia attorno al margine NE. del massiccio a partire dal fianco orientale della valle di el-‛Arabah fin oltre el-‛Olā e al margine settentrionale dello Shammar verso el-Giauf. Del Mesozoico, il Trias affiora limitatamente, in Transgiordania, tra il Mar Morto e es-Salṭ, con fossili del Carnico. I calcari compatti, oolitici, marnosi ecc. del Giurassico (Dogger superiore e Malm) ricchi di ammoniti, brachiopodi, coralli ecc., costituiscono numerosi lembi disposti pure al margine orientale del massiccio a partire dalla Transgiordania, nel Neǵd meridionale (Gebel Ṭuweiq), nel retroterra di Aden e di el-Mukallā. Al Giurassico superiore e al Cretacico inferiore si riferiscono le arenarie varicolori con marne e argille talora lignitifere, note col nome di "arenarie nubiane", che invadono però non di rado anche orizzonti più antichi o più recenti, né sono sempre facili a distinguere dalle "arenarie desertiche" del Paleozoico, su cui riposano nel Ḥigiāz e nel Nefūd settentrionale. La stessa formazione si ritrova nel Yemen e in varie località del Ḥaḍramaut, dove contiene una intercalazione marina con Ostrea Couloni, del Neocomiano. Il Cretacico medio e superiore (calcari a Orbitolina, calcari ad ammoniti ed echinidi) è sviluppato con tutti i suoi membri nel tavolato della Transgiordania, che pare estendersi a levante, lungo il wādī Sirḥān, fin verso el-Giauf, e oltre, fin nel Ḥigiāz. Nel Yemen (el-Ḥodeidah) queste formazioni tornano ad affiorare largamente, e così pure nel Ḥadramaut e nel Ẓafār, dove il Cretacico riposa direttamente sulle rocce dell'imbasamento cristallino antico. Alla fine del Cretacico e al principio del Terziario si attribuiscono le immense colate basaltiche con subordinate rioliti, andesiti e peridotiti, che nel Yemen e altrove ricoprono per larghi tratti il tavolato dell'altipiano, con spessori di oltre 1000 m. L'Eocene marino (calcari nummulitici) si spinge dalla Palestina in Transgiordania; nell'Arabia meridionale forma estesissimi tavolati nella regione litorale del Golfo di Aden, nel Ḥaḍramaut, dove i calcari nummulitici sono sormontati da calcari marnosi rosei dell'Oligocene, nel Zafār, nell'‛Omān, di qui spingendosi lungo le coste del Golfo Persico nelle isole el-Baḥrein e nel deserto fra Dōḥah e el-Ḥasā. Al Miocene si attribuiscono i gessi, talora con zolfo, affioranti sulla costa orientale del Golfo di el-‛Aqabah, nell'isola Tīrān, nella Tihāmah del Ḥigiāz, e i calcari arenacei riposanti sull'Oligocene a Canina e altrove nell'Ḥaḍramaut, che ricordano molto i depositi della Farsi series in Mesopotamia. Il Pliocene è rappresentato da formazioni continentali (conglomerati ecc.) alluvionali, difficili a distinguere da quelle più antiche e più recenti. Al Pleistocene si attribuiscono infine due distinti depositi marini, sollevati come "spiagge emerse" ad altezze diverse: le argille indurite gessose, con Pecten Vasseli, che affiorano con uno spessore di 150 m. lungo le coste settentrionali del Golfo Persico e nel Golfo di el-‛Aqabah (75 m. s. m.) e sono assimilate alla Makran series dei geologi indiani; e il calcare grossolano ricco di conchiglie e coralli e noto col nome di "litoral concrete" che si estende in Mesopotamia fino a 400 km. dal mare e si riscontra sollevato sulle coste del Golfo di Aden (calcare a Miliola) e su quelle del Golfo di el-‛Aqabah (fino a 40 m. s. m.). Spiagge emerse si osservano anche nella Tihāmah yemenita, nell'isola Kamarān ecc., come sulle prospicienti coste eritree.

3) Il terzo membro dell'organismo geologico arabico è rappresentato dalla parte orientale dell'‛Omān, contrastante col resto della penisola, non solo per la sua struttura tettonica a pieghe, ma anche per la sua costituzione e la sua storia. Il Paleozoico vi è rappresentato da calcari permo-carboniferi a Orthoceras e Productus, di tipo indiano, affioranti nel wādī ‛Adī presso Mascate; il Trias, che manca pure quasi dappertutto altrove, affiora al vertice della penisola di Ruūs el-Gibāl; il Giura superiore e il Cretacico inferiore, generalmente continentali nel resto della penisola, sono qui rappresentati da marne a radiolariti di mare profondo e dalle ingenti masse del calcare di Musandam. Una potente fase di ripiegamento, seguita da intrusione di rocce verdi, corrisponde al Cretacico medio (che è invece trasgressivo sul tavolato arabico), talché i depositi del Cretacico superiore e dell'Eocene riposano in discordanza sui terreni più antichi, mantenendosi quasi indisturbati, sebbene sollevati fin oltre i 3000 m. nel Gebel el-Akhḍar. Né mancano all'‛Omān le terrazze marine e i depositi pleistocenici più o meno sollevati sul livello del mare.

Importanti e diffuse in tutt'e tre queste regioni sono le formazioni continentali pleistoceniche e recenti: alluvioni dei torrenti, travertini dei pozzi e delle sorgenti, crostoni calcarei di steppa e soprattutto sabbie e dune desertiche, che ricoprono aree estesissime, specialmente nel Nefūd, nel Piccolo Nefūd e nella Dahnā. Nel Pleistocene sembra inoltre aver culminato un secondo periodo di attività vulcanica, iniziatosi fin dal Terziario e non del tutto estinto neppur oggi, citandosi in particolare l'eruzione della Harrat en-Nār, probabilmente fra Medina e Khaibar, nel 640 d. C., quella d'una harrah presso Medina, che nel 1256 sbarrò con la lava la valle esh-Shazāh ad E. della città, quella del Gebel eṭ-Ṭeir nell'isola omonima (1834), ecc. Segni di attività diedero anche altri crateri delle isole del Mar Rosso a S. del 16° lat. N., come le isole ez-Zabāir, Hānīsh, "the Brothers", ecc. Campi di lava, sciare ed altre formazioni vulcaniche prevalentemente basiche (in parte però anche trachitiche e vetrose), con resti di edifici più o meno ben conservati, si trovano distribuiti lungo l'Arabia occidentale, specialmente nel Ḥigiāz (dove si contano numerosi campi di lava detti Ḥarrah, schierati parallelamente al Mar Rosso a partire da Tabūk per circa 1000 km. fino ad eṭ-Ṭāif)' nell'‛Asīr tra el-Qúnfudah e Gedda, nella Tihāmah del Yemen tra Mokhā e Aden, tra el-Mukallāe Rās Sharwein ecc. Aden stessa è costruita nell'interno di un duplice cratere (Geb. Shamsān, 518 m. s. m.). Piccoli apparati del tipo dei Puy, con lave prismatiche, si osservano sull'altipiano vemenita presso Ṣan‛ā. Nel Golfo Persico son vulcaniche soltanto le isole della Compagnia all'ingresso del Golfo e l'isola Dalmah a NF. di Mukabber.

Piegamenti "alpini" non esistono in Arabia che nell'‛Omān orientale: dappertutto altrove il carattere strutturale più spiccato è dato, secondo gli autori, da fratture, onde il tavolato desertico e lo stesso substrato cristallino dell'Etbāi, rimasto indisturbato dopo i remoti piegamenti algonkici, fu spezzato secondo due principali sistemi. La fossa del Golfo di el-‛Aqabah, continuazione di quella del Giordano, continua alla sua volta, con direzione leggermente mutata, nelle fratture delimitanti a levante il Mar Rosso, e rappresenta uno di questi sistemi; l'altro, presso a poco ad angolo retto col primo, corrisponde alla fossa aualite (Golfo di Aden) e incrocia il primo presso lo stretto di Bāb el-Mandeb (v. africa: Geologia). Un'area sismica di qualche importanza corrisponde alla parte meridionale e centrale della prima di queste zone, che è anche caratterizzata, come si è visto, da intenso vulcanismo, in parte ancora attivo.

Paleogeografia. - Riassumendo, il massiccio cristallino arcaico dell'Etbāi (v. africa: Geologia), ripiegato e sollevato da movimenti algonkici (accompagnati e seguiti da manifestazioni vulcaniche), fu lambito a N. e a NE. dal mare paleozoico, che lasciò sedimenti cambrici e silurici nel Ḥigiāz e nello Shammar, per ritirarsi a quanto sembra fin dal Paleozoico superiore. Il resto della penisola, ad eccezione dell'‛Omān, doveva essere rimasto emerso e saldato con l'Africa e con l'India, e tale rimase anche durante il Trias ed il Lias, che corrispondono anzi ad una fase di ulteriore marcato ritiro del mare in questa regione, mentre già il continente di Gondwana cominciava ad essere intaccato dalla sinclinale malgascia e somala. Nel Giurassico medio questo fenomeno di graduale frammentazione raggiunge l'Arabia e il mare aperto invade il cuore stesso della Penisola: contornando da levante il massiccio dell'Etbāi un largo canale sembra congiungere direttamente il bacino somalo-malgascio a quello siriaco-anatolico e alla Tethys.

Una nuova fase continentale corrisponde quasi ovunque al Giura superiore e alla Creta inferiore, salvo nell'‛Omān, dove questo periodo è invece rappresentato da depositi di mare profondo. La trasgressione cenomaniana riporta depositi francamente marini tanto a N. quanto a S. della penisola, forse riaprendo, attraverso la penisola stessa, le comunicazioni tra i bacini dell'Africa orientale e questa parte della Tethys, mentre una prima fase di ripiegamento e di emersione si verifica nell'‛Omān: ad essa seguono, alla fine del Cretacico e al principio dell'Eocene, vastissimi trabocchi lavici sul tavolato arabico, intrusioni di rocce verdi, serpentinose e dioritiche nella zona di confine fra il tavolato stesso e la regione affetta dai ripiegamenti.

L'Eocene - o quanto meno l'Eocene medio - è tuttavia esteso da un capo all'altro della penisola con una facies calcarea e nummulitica, che rivela ampiezza di comunicazioni dirette con la Tethys e coi bacini indiani, somali e malgasci. Continentale è invece dappertutto l'Oligocene, salvo forse nel Ḥaḍramaut, dove pare si estenda una propaggine di quel bacino marittimo, che occupava allora l'India occidentale e la Somalia orientale. Ma nel Miocene il mare torna ad invadere una parte del territorio, sia in corrispondenza della Mesopotamia, verso il Golfo Persico, sia nel Ḥaḍramaut, sia nel cuore stesso del massiccio dell'Etbāi. Attraverso quest'ultimo si abbozza infatti una depressione, nella quale il mare s'insinua, formando nella regione attualmente occupata dal Mar Rosso settentrionale un bacino dipendente dal Mediterraneo. Questo bacino si dissecca verso la fine del periodo, caratterizzata qui come in Europa da un regime continentale e da un clima arido e caldo, donde abbondanza di deposizioni chimiche di sale e di gesso; e i laghi salati relitti (lacus arabicus di Issel), con residui della fauna mediterranea, perdurano per tutto il Pliocene - continentale anche per il resto della penisola - finché un duplice sistema di fratture, iniziatosi forse con flessure fin dal Pliocene, ma affondatosi solo alla fine di questo periodo, apre le due grandi fosse eritrea e aualite, permettendo per breve tempo la mescolanza delle acque e delle faune del Mediterraneo con quelle dell'Oceano Indiano. Queste comunicazioni si richiudono però subito per sollevamento della soglia di Suez, e vi succedono movimenti alterni, dando luogo, nel Pleistocene antico e medio, a varî livelli di terrazze marine lungo tutto il Mar Rosso come nel Golfo di Aden e nell'‛Omān. Quest'ultima regione, il cui piegamento si era iniziato fin dal Cretacico medio, subisce nel Pliocene un nuovo, meno intenso sforzo tettonico, cui susseguono nel Pleistocene ripetute oscillazioni alterne, tra cui un marcatissimo abbassamento, che non solo determina la formazione del Golfo Persico, ma lascia penetrare il mare nel cuore della Mesopotamia, fino a 400 km. dalla costa attuale. A tali movimenti è dovuta la forma a rias, con valli sommerse, della penisola di Ruūs al-Gibāl, tra il Golfo di ‛Omān e il Golfo Persico, per la quale il Lees ammette uno sprofondamento di 400-500 m.

Delle alternanze climatiche quaternarie, che hanno lasciato tracce evidenti nelle regioni contermini, non sono stati ancora indicati segni specifici in Arabia, se tali non vogliano considerarsi gli abbondanti depositi di alluvioni grossolane e le valli inaridite, indici gli uni e le altre di una più intensa attività idrografica. Ma l'arido clima attuale tende a cancellare o a nascondere queste tracce e imprime, alla parte centrale della penisola soprattutto, un carattere tipicamente desertico-steppico.

Minerali utili.- L'oro, per il quale l'Arabia era celebre nell'antichità più remota, si trova, sia in giacimento primario (porfiriti diabasiche, filoni quarzosi), sia in giacimento alluvionale, presso Maqnā sul Golfo di el-‛Aqabah, al wādī ‛Ainūnā sulle rive del Mar Rosso, attorno a Umm el-Qurayyāt presso el-Weǵh, sempre nel Ḥigiāz. Altre indicazioni si hanno per l'‛Asīr e per il Yemen. I geografi arabi medievali ricordano giacimenti auriferi nel wādī er-Rummah, nel wādī el-‛Ird (o Ḥanīfah) e in altre parti del Neǵd.

Minerali d'argento, di piombo, di rame furono segnalati tanto nel Midyan (Ḥigiāz), nelle rocce cristalline antiche, quanto nell'‛Omān. Tracce di rame esistono anche nelle arenarie cambriche del wadī el-‛Arabah. Antiche miniere di ferro, d'origine metasomatica, si trovano nei calcari cretacei di Ragib, in Transgiordania; ematite e magnetite titanifera associate a pirite esistono nel Midyan; ematite micacea in vene entro le rocce cristalline è segnalata in varî punti del Ḥaḍramaut. Miniere di ferro sarebbero tuttora aperte nel Yemen, presso Ṣan‛ā.

Nel Yemen è segnalato anche carbone; ma è verosimile si tratti piuttosto di lignite, come quella che ad Asfal el Aini, Casai e altrove è intercalata alle arenarie "nubiane" del Ḥaḍramaut. Petrolio e altri idrocarburi, bitumi, calcari e scisti bituminosi, asfalto esistono in varî punti della Transgiordania, sulle sponde orientali del Mar Morto; petrolio è stato indicato anche nell'isola Tīrān, all'entrata del Golfo di el-‛Aqabah e nell'isola Farasān; scisti bituminosi nel Giurassico del Ḥaḍramaut.

Ancora nella Transgiordania esistono fosfati nel Cretacico superiore a oriente di es-Salṭ e lungo la ferrovia del Ḥigiāz tra ‛Ammān e Ma‛ān; parecchie isole della costa araba - e principalmente le isole Khūryān-Mūryān sulla costa meridionale - sono coperte di guano. Il gesso è diffusissimo, sia come prodotto di deposizione steppica o desertica, sia interstratificato a varî livelli del Cretacico e del Miocene specialmente. Talora è associato a zolfo. Questo è diffuso specialmente nel Midyan, lungo il Golfo di el-‛Aqabah e il Mar Rosso, dove esistono diverse località denominate Gebel el-Kibrīt (monte dello zolfo); ma si cita anche nel Yemen, nell'‛Omān e nelle isole del Golfo Persico. Sul vulcano dell'isola eṭ-Ṭeir il terreno è impregnato di zolfo di origine endogena. Il sale pure è spesso associato al gesso: è indicato specialmente a Yarīm, a el-Loheyyah, a Mārib nel Yemen, a eṣ-Ṣidārah nel Ḥaḍramaut, ecc. Nitrato di potassio si trova associato a calcari presso iuizeinab nel Ḥaḍramaut.

Calcari marmorei bianchi o rosei si scavano nei dintorni di Macalla (el-Mukallā) e si esportano a Bombay per calce. Nel Ḥaḍramaut si trova anche talco e bauxite. Onice e carniola pregiate provengono finalmente dall'Arabia, specialmente (a quanto pare) dal Yemen; turchesi dal Midyan.

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Flora. - La vastissima superficie del paese, coperta da steppa e da deserto, ha una vegetazione piuttosto uniforme, povera e ancora imperfettamente nota, che si ricollega a quella del Sáhara. Nelle oasi, l'albero più importante e caratteristico è la palma da datteri (Phoenix dactylifera), che si spinge sin verso il 30° lat. N. e sino al corso inferiore dell'Indo. La steppa comprende la penisola del Sinai, l'Arabia Petrea, il Neǵd e il versante interno del sistema di altipiani che formano una cornice attorno ai deserti. Quivi, nella stagione piovosa e subito dopo, il paesaggio è allietato da un certo numero di specie, in generale a rapido ciclo vegetativo, che forniscono ai Beduini erba sufficiente per i loro cammelli; si tratta d'erbe a fiori spesso molto aromatici, che talora impregnano l'aria del profumo celebrato nella poesia araba. Non mancano varie specie d'arbusti spinosi brucati dai cammelli e che dànno buon combustibile, come non mancano qua e là alberi veri e proprî spesso isolati, p. es. varie specie di tamarischi, di tuie e di acacie, tra le quali tipico il samur (Acacia spirocarpa) che con l'intreccio delle sue numerosissime ramificazioni, forma un'ampia corona di fronde a guisa d'ombrello. Condizioni assai più difficili si riscontrano nella zona propriamente desertica, che comprende il deserto siriaco-arabico; e ancor più povere di vegetazione sono le vaste aree note sotto il nome di en-Nefūd (cioè dune di sabbia) e ed-Dahnā, descritte con i caratteri più tetri e sotto gli aspetti più paurosi: si ritiene anzi che la seconda sia priva affatto di vita, ma è da tenere presente che essa è ancora imperfettamente esplorata.

Una terza zona, la cui vegetazione ha strette affinità con quella etiopico-somala, si trova a SO. della penisola araba, e comprende il paese montuoso del Yemen od Arabia Felice, esposto, come il corrispondente paese di ‛Omān all'ingresso del Golfo Persico, ai monsoni del SO. Questi determinano piogge estive, il cui primo segno si trova alla latitudine della Mecca e eṭ-Ṭāif, per accentuarsi sempre più verso S.; esse permettono lo sviluppo di alberi e di arbusti ed un dovizioso paesaggio colturale mirabilmente adattato ai varî climi locali: vi si coltivano infatti i cereali, il cotone, l'indaco, il banano, la senna, il sesamo, il tamarindo, la canna da zucchero, ecc. Ma la coltura più importante è senza dubbio data dall'arbusto del caffè, che, nonostante il nome (Coffea arabica L.), è di origine etiopica, ma ha trovato in questo settore dell'Arabia condizioni di ambiente favorevoli e vi si è perfezionato ed affinato. Pure di origine abissinica è la Catha edulis (qāt), che rassomiglia per le sue proprietà al tè ed alla coca, e di cui gli Arabi del Yemen masticano le foglie fresche o secche per ottenere resistenza alle fatiche e un piacevole stato di ebbrezza nelle ore di riposo. Si ricordano poi l'albero del balsamo (Commiphora opobalsamum), che cresce pure in Nubia, tra Cássala e Suakin, e in Somalia; quello della mirra (Comm. myrrha), che esiste anche in Somalia; parecchie acacie producenti gomma, anch'esse in comune con l'Africa orientale: forse questi ed altri fatti del genere stanno ad indicare antiche probabili continuità territoriali. Caratteristiche di questa zona sono parecchie piante grasse immagazzinanti acqua nei loro tessuti, dei generi Aloë, Dracaena, e il curioso arbusto della famiglia delle Apocinacee, l'Adenium obesum, il cui tronco carnoso presenta un rigonfiamento a guisa di globo, e i cui rami nudi, terminati da una rosetta di foglie, sono ornati da una cima di fiori come l'oleandro. È degno di nota che un'altra specie si trova nell'isola di Soqoṭrā, dove lo stesso rigonfiamento si riscontra in una leguminosa (Dendrosycios socotrana). Frequenti sono pure gli arbusti spinosi, afilli (Leptadenia) e le forme a Mimosa, e non mancano elementi indiani in comune con la zona dei monsoni.

Fauna. - La fauna dell'Arabia, notevolmente povera, presenta caratteri spiccatamente etiopici a sud del tropico; invece, nella parte settentrionale della penisola è nettamente circummediterranea e somiglia molto a quella del SO. dell'Asia. Elementi dell'Arabia meridionale in comune con l'Africa e spesso anche con altri continenti, ma non proprî delle regioni circummediterranee, europea e SO.-asiatica, sono i cercopiteci, i falsi vampiri (Nycteridae), tra i Mammiferi, nonché i leoni - che ora sembrano scomparsi, ma la cui presenza è attestata pel Medioevo da testi arabi -; i Ploceidae, i Nectariniidae, i Zosteropidae, gli Scopidae fra gli uccelli; i Glauconiidae fra i serpenti. Altri elementi nettamente etiopici, che si estendono per tutta la penisola, sono i Procaviidae fra i Mammiferi ungulati, e gli struzzi. Elementi circummediterranei e paleartici infiltratisi nell'Arabia sono le capre: la capra araba (Capra sinaitica) vive in tutta la regione, mentre numerose specie di vertebrati si fermano al margine settentrionale di essa. Elementì importati della fauna araba sono le iene, gli sciacalli, gli asini selvatici (Equus hemionus onager) e le numerose specie di gazzelle e di antilopi dei generi Gazella, Oryx, Addax, ecc. L'Arabia si deve inoltre ritenere la patria del dromedario (Camelus dromedarius).

Produzione. - Il carattere interno dei mari che la bagnano ad oriente e ad occidente, la sua vastità e l'orlo montuoso da cui è cinta, tolgono all'Arabia quasi del tutto i vantaggi che le dovrebbero derivare dalla sua forma peninsulare, per quanto tozza. Infatti molta parte di questo vasto tavolato non è che un immenso deserto e la vegetazione, come quella sahariana, è costituita soltanto da diverse specie di aloe, qualche euforbiacea e poche salsolacee, alimento dei cammelli. Come nel Sáhara, dovunque si trovi un po' d'acqua nel sottosuolo, e specialmente nei rari gruppi di wādī, si formano vere e proprie oasi, che presentano un forte contrasto con le interminabili distese di lava, paurosamente nude, o con le rincorrentisi file di dune.

Nell'avvicinarsi, però, all'orlo montuoso o ai rilievi centrali, il paesaggio dell'interno va perdendo i caratteri del deserto per assumere quelli della steppa, la quale ricopre due terzi circa dell'immensa penisola: si estende, cioè, su circa due milioni di chilometri quadrati, triste, selvaggia, inospitale. Anche qui, naturalmente, contrastano con la monotona uniformità del paesaggio le oasi lussureggianti o le valli meglio esposte ai venti provenienti dal mare. dove è possibile trovare persino una più o meno misera agricoltura, con produzione di frumento, orzo, datteri, fichi, albicocche, uva, poponi, cipolle.

Non meno desolata del deserto e della steppa né meno uniformemente monotona e scialha è la fascia costiera (detta Tihāmah, lungo il Mar Rosso), che si stende ai piedi dell'orlo montuoso. I wadī talora rimangono perfettamente asciutti anche per molti anni; ma dove il terreno è bagnato da qualche piccolo corso d'acqua permanente che scende alla fascia costiera dall'orlo montuoso, o dove fu possibile all'uomo creare un sistema d'irrigazione anche embrionale, là s'incontra una vera agricoltura, che, per quanto primitiva, non manca di sottili accorgimenti per vincere l'inclemenza della natura.

La regione veramente agricola, però, di tutta quanta la penisola è limitata al versante esterno dell'orlo montuoso di SO., che raccoglie la maggiore quantità di precipitazioni. Qui non solo si ha una coltura abbastanza intensiva nelle valli più aperte, ma, per trattenere il terreno ed impedire il rapido smaltimento delle acque per la troppa ripidità del pendio, sono state costruite, con immenso lavoro umano, ampie terrazze, nelle quali, dai 400 a 1300 m. circa s. m., si coltiva il caffè. La ben nota esigenza di questa pianta, che trovò condizioni tali da prosperarvi in modo che sino a non molto tempo fa essa fu ritenuta originaria dell'Arabia, dimostra quali debbano essere la feracità del suolo e il favore del clima di questo breve cantuccio dell'immensa regione. Però, malgrado la relativamente ricca produzione data dal caffè, dalla palma da dattero, dal banano e da alberi da frutto comuni all'Europa (come il fico, gli agrumi, il mandorlo, il melograno, l'albicocco, il susino, il melo), e dal sesamo, dal cotone, dalla canna da zucchero, dall'indaco, dalle cipolle ecc., e nonostante che in questa zona la durā dia persino tre prodotti in un anno ed il ricino e la senna forniscano abbondante materia di esportazione, l'agricoltura araba è in uno stadio ancora meramente primitivo. Come in tutti i paesi estremamente poveri, essa è affatto basata sul lavoro umano, ed assai scarsi sono i sussidî che riceve dai mezzi meccanici, limitati ad un assai rudimentale aratro a chiodo o addirittura di legno e ad una rozza macina per molire i cereali. Tutto lo sforzo degli agricoltori è diretto alla raccolta e conservazione dell'acqua, elemento prezioso in un paese in tanta parte desertico; e nello scavo di canali e di pozzi, come nella costruzione di cisterne e dighe, si rivela l'acume della popolazione premuta dal bisogno. La mancanza di qualsiasi dato statistico non permette alcun calcolo, sia pure solo lontanamente approssimativo, sulla produzione agricola; sembra, però, che mentre questa superi il fabbisogno nel Yemen e forse anche nell'‛Omān, così da permettere una qualche esportazione verso i paesi dell'interno, sia affatto trascurabile nelle altre regioni. Per l'alimentazione degli abitanti e dei pellegrini che si recano alla città santa, il Ḥigiāz dipende quasi del tutto dall'Egitto.

Alcune popolazioni della costa vivono soprattutto dei prodotti della pesca, ed i Beduini dell'interno di quelli della pastorizia, molto sviluppata. La regione centrale dell'Arabia è stata sempre famosa per l'allevamento dei cammelli e come paese di origine del cavallo. Il primo allevamento conserva ancora oggi grandissima importanza, e dal nolo dei cammelli alle carovane di pellegrini le popolazioni dell'interno traggono considerevoli profitti per quanto i profitti maggiori siano sempre costituiti dai tributi che le carovane pagano per non subire molestie dai predoni. L'allevamento dei cavalli, invece, pare che sia assai inferiore, per numero, di quel che la fama di questa razza lascerebbe supporre. Non, però, per qualità: si vuole, infatti, che la razza Koheilān si sia mantenuta pura per oltre duemila anni senza tralignare. Ma questo allevamento, che potrebbe costituire un forte cespite di proventi, non ha quasi importanza commerciale.

L'Arabia non ha oggi produzione mineraria; né le segnalazioni finora raccolte di giacimenti (v. sopra) sembrano giustificare l'antica fama dell'Arabia, quale produttrice di metalli nobili e di gemme, dovuta probabilmente piuttosto all'attivo commercio che gli Arabi già conducevano con l'India. Va segnalata la ricchezza d'ostriche perlifere dei banchi intorno alle vicine isole el-Bahrein (v.), che ancora oggi offrono abbondanza di tale prezioso prodotto e alimentano un vivace traffico.

Industrie e commercio. - Non si può parlare di un'industria vera e propria in questa regione, ma soltanto di manifatture eseguite da artigiani di grande abilità. L'Arabia si trova ancora nella fase industriale assai primitiva del lavoro individuale, e per di più, quantunque la mirabile lavorazione dell'oro e dell'argento raggiunga perfezione artistica, l'artigianato è oggetto di disprezzo da parte dei Beduini.

Fra le manifatture più comuni è la fabbricazione di recipienti di rame o stagno, che vengono venduti ai pellegrini perché possano riportare seco le sacre acque. Anche diffusa è la lavorazione delle armi e comunissima l'essiccazione e preparazione delle pelli, come la produzione del burro. Un più elevato grado d'industrialità si riscontra, forse, nella tessitura di tele grossolane o di panni di pelo di cammello e di lana, che presso i Beduini costituisce la maggiore occupazione industriale. Nelle città portuali si lavora anche alla costruzione di piccoli bastimenti pel commercio costiero, ma il dover importare quasi tutto il legname necessario dalla sponda opposta del Mar Rosso ostacola in maniera assai grave tale industria, che, per le necessità della pesca e pel grande sviluppo del traffico commerciale, godrebbe, invece, di condizioni favorevoli.

Agricoltura, allevamento, pesca, industria, sono, in complesso, forme di economia assai poco sviluppate nella regione, se si eccettua il Yemen.

La situazione centrale dell'Arabia fra i vecchi continenti, la natura stessa di questo popolo ardito ed intelligente, spiegano a sufficienza come sin dai tempi antichi la popolazione araba del Yemen e di parte del Ḥigiāz fosse dedita al commercio. Soprattutto la situazione della penisola, fra l'India, che a sua volta trafficava con tutti gli altri paesi dell'Oceano Indiano e con l'Estremo Oriente, ed i paesi dell'Occidente, spiega come gli Arabi delle suddette regioni dovessero logicamente assumersi il compito di accorti intermediarî per il commercio fra l'Oriente e l'Occidente. È assai probabile che a tale funzione di intermediarî sia da ascriversi la fama diffusasi in tutto il mondo antico di straordinaria ricchezza dell'Arabia. È, invero, probabile che anche taluni dei profumi pei quali questa terra andò famosa fossero importati, come le gemme ed i metalli nobili, dai paesi dell'India.

Dopo l'affermarsi dell'islamismo fuori d'Arabia, non solo il grande afflusso di pellegrini obbliga all'importazione d'ingenti quantità di derrate alimentari soprattutto dall'Egitto; ma Mecca (Makkah), Medina (el-Madīnah), Gedda (Giddah), sono dei veri mercati di scambio, e una notevole serie di affari viene regolarmente trattata ogni anno, da secoli e secoli, in questi centri religiosi e commerciali ad un tempo. Tuttavia non è possibile in alcun modo fornire alcun serio tentativo di valutazione di un tale traffico, di cui, però, non sarà mai esagerata l'importanza per un paese povero e scarsamente abitato com'è l'Arabia. Sembra che di qualche tempo lo zelo per il pellegrinaggio nel mondo musulmano si sia andato affievolendo e con esso sia anche diminuita l'intensità dei traffici, ma nulla riesce tanto difficile come il valutare simili fenomeni collettivi in un paese nel quale non esiste alcun controllo. Di solito si dà la cifra di circa 100.000 pellegrini all'anno, ma è impossibile discutere sulla sua esattezza.

Le vie per le quali i pellegrini affluiscono alla Mecca, per guadagnare il titolo di hāǵǵ, sono numerose e per lo più si limitano ad uno stretto sentiero che attraversa il deserto con pochi posti forniti di un pozzo o di una riserva di acqua per le soste. Una delle strade più importanti è quella proveniente dalla Siria, che viene percorsa in circa quaranta giorni da diverse migliaia di pellegrini ogni anno; ma essa è stata in gran parte sostituita da una ferrovia, arrestatasi ormai da molti anni a Medina, mentre, secondo il primitivo progetto, avrebbe dovuto proseguire sino alla Mecca. Del resto ormai anche molti pellegrini della Siria fanno il tragitto per mare sino a Gedda. Altra via importante è quella proveniente da Ṣan‛ā, nel Yemen, mentre un'altra attraversa tutta quanta l'Arabia centrale ed è seguita dai pellegrini provenienti dalla Mesopotamia e dalla Persia. I pellegrinaggi che giungono dall'Africa sbarcano a Gedda.

Oltre ad un assai considerevole commercio di transito e ad un forte movimento d'importazione nel Ḥigiāz, vi è anche, in altre parti d'Arabia, un traffico di esportazione, che potrà raggiungere un livello assai più alto nell'avvenire, sebbene oggi appaia quasi trascurabile. I principali prodotti esportati sono: datteri, pelli, lana, tessuti grossolani, miele, foglie di senna, gomma arabica, dall'interno; la fertile regione del Yemen è, invece, ben nota per l'esportazione del caffè, che avviene, però, in piccole proporzioni. Quasi trascurabìle, o almeno molto diminuito rispetto a quello di un tempo, è l'invio dei cavalli sul mercato di Bombay, mentre ancora oggi i beduini ne mandano in Siria ed in Egitto un discreto numero.

Popolazione e centri abitati. - Se la superficie dell'Arabia, anche per l'incertezza del suo confine settentrionale, può essere valutata in modo soltanto approssimativo, si è anche più incerti sulla stima della popolazione, che taluni fanno ascendere ad oltre 7 milioni di abitanti, mentre da altri è ritenuta soltanto di 4-5 milioni. La densità varia molto dall'uno all'altro stato: mentre si raggiungerebbe una popolazione relativa di oltre 5 abitanti per kmq. nell'imāmato del Yemen, cioè nella regione più fertile, vi sarebbe invece solo un abitante ogni due kmq. nel Neǵd, dove s'incontrano immense superficie affatto spopolate.

La popolazione è composta in grandissima prevalenza di Arabi nei luoghi di pellegrinaggio e nei porti, come in tutte le città commerciali, gl'indigeni sono frammisti a Negri, Somali, Abissini, Indiani, ecc. Gli Arabi si dividono in due gruppi: gli uni sedentarî, dedicati al commercio o all'agricoltura, che si dicono ḥaḍar se abitano nella città e villaggi, e fellāḥ se coltivano la terra; nomadi gli altri, i Beduini. I primi abitano in case con tetto piatto, in sedi sparse e circondate da oasi, che sono più fittamente distrihuite nella regione tropicale. Lungo l'orlo interno delle montagne si stende una catena di sedi, legate fra loro dalle principali vie di comunicazione.

Mecca (v.), con una popolazione valutata a circa 60-70.000 individui, è la città più fittamente abitata dell'Arabia, capitale del regno del Ḥigiāz. A non molta distanza da questa città, per numero di abitanti, vengono i porti di Aden (v.) e di el-Ḥodeidah, che, dopo l'interramento del porto di Moca (el-Mokhā), divenuto un mero villaggio, è il principale centro di esportazione di caffè; Gedda (Giddah), porto della Mecca; Ṣan‛ā, capitale del Yemen; el-Hofhūf o el-Hofūf nell'el-Ḥasā; er-Riyād nel Neǵd; Mascate (Masqaṭ o Maskad) nell'‛Omān, sono i centri più popolosi dell'Arabia, per quanto nessuno di essi oltrepassi i 50.000 abitanti.

Condizioni politiche. - L'Arabia, culla dell'islamismo, è tutta musulmana, se si eccettuano i piccolissimi gruppi ebraici esistenti nel Yemen; nella sua grande maggioranza professa l'ortodossia sunnita (alla quale appartengono anche i Wahhābiti), pur contando nel suo seno forti nuclei appartenenti a sette eretiche, come gli Ibāḍiti dell'‛Omān, gli Sciiti "duodecimani", (in alcuni punti delle coste del Golfo Persico e presso Medina), gli Sciiti zaiditi (nel Yemen interno) e gli Sciiti băṭiniti od ismā‛īliti (nel Naǵrān). Non mancano quindi gravi e sanguinosi conflitti in talune regioni a causa di queste divergenze religiose, le quali in certi momenti hanno anche portato alla formazione di nuovi stati, quali l'imāmato ibāḍita dell'‛Omān e l'imāmato zaidita del Yemen.

Particolarmente notevole a questo riguardo è oggi il movimento dei puritani sunniti del Neǵd, che gli avversarî chiamano Wahhābiti dal nome dell'iniziatore di tale movimento: Muḥmmad ibn ‛Abd al-Wahhāb, morto nel 1792. La propaganda puritana portò alla formazione d'uno stato, che diede unità politica alle località del Neǵd fino allora completamente indipendenti l'una dall'altra, ed in certi momenti estese il suo dominio anche ben lungi dal Neǵd. L'attuale sovrano, ‛Abd el-‛Azīz ibn ‛Abd er-Raḥmān ibn Faiṣal (comunemente detto Ibn Sa‛ūd), ricostituì nel 1902 il regno usurpato dagli emiri dello Shammar; nel 1913 strappò ai Turchi la provincia di el-Ḥasā od el-Aḥsā sul Golfo Persico; durante la guerra mondiale, favorito dal governo dell'India britannica, si schierò contro l'emiro dello Shammar alleato dei Turchi; nel 1921 occupò la zona orientale del Ḥigiāz e molta parte dell'‛Asīr; nell'anno seguente incorporò tutto lo Shammar e lo stesso el-Giauf (Giauf Āl ‛Amr) al proprio dominio, e nel 1925 abbatté il regno del Ḥigiāz, costituendo in tal modo un grande stato abbracciante tutta l'Arabia centrale e settentrionale dal Mar Rosso al Golfo Persico ed anche una porzione dell'‛Asir. È un grande stato arabo a base religiosa e non, come talora si afferma, nazionalista.

Politicamente l'Arabia risulta così distinta nelle principali divisioni:

1. Regno del Ḥigiāz, Neǵd e loro dipendenze, costituitosi definitivamente sotto questo nome nel 1926 e comprendente anche i distretti di el-Hasā sul Golfo Persico, il Gebel Shammar, numerosi gruppi di oasi (p. es. el-Giauf) e la regione settentrionale dell'‛Asīr. Abbraccia quindi la maggior parte della penisola e si estende dal Mar Rosso al Golfo Persico. La sua popolazione è valutata intorno ai tre milioni di abitanti. Capitale ne è er-Riyāḍ nella provincia el-‛Ariḍ (circa 20.000 abitanti).

2. Imāmato del Yemen, che comprende attualmente anche parte dell'‛Asīr. Si stende lungo la costa sud-orientale del Mar Rosso e, di fatto se non di diritto, va da el-Loḥeyyah allo stretto di Bāb el-Mandeb. La popolazione è valutata intorno ad 1½-2 milioni di abitanti. Capitale ne è Ṣan‛ā, a oltre 2.100 m. d'altezza (25.000 abitanti).

3. Emirato dell'Asīr, attualmente ristretto ad un'esile fascia costiera sul M. Rosso, dallo sbocco del wādī el Ashr fino a poco a nord di el-Loḥeyyah.

4. Protettorato britannico di Aden (‛Adan), che comprende anche l'isola di Perim (in arabo Mayyūm) nello stretto di Bāb el-Mandeb, le 5 isole Khūryān-Mūryān presso la costa meridionale dell'Arabia e l'isola di Socotra (Soqoṭrā) presso la costa africana (circa 50-60.000 abitanti). I cosiddetti "nove cantoni" nella parte del Protettorato a nord di Aden, continuano ad essere oggetto di contesa fra l'Imām del Yemen e la Gran Bretagna.

3. Territorio del Ḥaḍramaut. - Si estende lungo la costa dalla fìne del Protettorato britannico di Aden alla foce del wādī Masīlah o wādī Ḥaḍramaut. Non costituisce un'unità politica; le coste formano il sultanato di esh-Shiḥr (detto anche el-Qa‛aiṭī, dal nome della dinastia), con capoluogo esh-Shiḥr. Nell'interno le tribù beduine sono completamente indipendenti; delle città, alcune dipendono dal sultanato di esh-Shiḥr, altre (p. es. Seiwūn e Tarīm) formano il sultanato della dinastia el-Kathīrī, altre il sultanato della dinastia et-Tamīmī; altre, infine, sono singole municipalità indipendenti. Il sultanato di esh-Shiḥr riceve un annuo sussidio dal governo britannico e ne riconosce un blando protettorato. Popolazione 150.000 abitanti.

6. Sultanato di Qishin. - Comprende tutta la costa di Mahrah, dalla foce del wādī Masīlah fino al Rās Ḥāsik (poco ad est del Rās Nūs). Capitale Qishin; ne dipende anche la città di Mirbāṭ. Sussidiato dal governo hritannico.

7. Sultanato dell'Omān. - Dal sultanato di Qishin al Rās Musandam, benché in molti tratti l'autorità del sultano sia puramente nominale. Stato indipendente, che accoglie un agente politico a Mascate. Popolazione 500.000 ab. (?). Capitale Mascate (Masqaṭ o Maskad). Ufficialmente segue l'eresia ibāḍita.

8. Costa della tregua (in ingl. Trucial Coast). - È la costa meridionale del Golfo Persico, costituente parecchi piccoli sultanati sussidiati dal governo britannico e da questo protetti. È nota anche con il nome anteriore di Costa dei pirati.

9. Protettorato britannico delle isole el-Baḥrein. - Nel Golfo Persico. Capoluogo el-Manāmah.

10. Territorio di el-Kuweit. - Sul Golfo Persico, sotto protettorato britannico.

Porzioni dell'Arabia deserta fanno parte del territorio assegnato dalle ultime convenzioni internazionali al regno dell'‛Irāq e alla Transgiordania.

Bibl.: Oltre ai classici lavori del Niebuhr (Amsterdam 1774) e del Burckhardt (Londra 1829), e oltre alle numerose relazioni speciali di viaggi, si veda: A. Zehme, Arabien und die Araber seit hundert Jahren, Halle 1875; D. G. Hogarth, The penetration of Arabia, Londra 1904; S. B. Miles, The countries and tribes of the Persian Gulf, Londra 1919; Arabia: handbook prep. under the direction of the Ingellicence Division, Admiralty, Londra 1916; D. G. Hogarth, War and discovery in Arabia, in Geogr. Journ., giugno 1920; id., Arabia, Oxford 1922; A. Grohmann, Sudarabien als Wirtschaftsgebiet, Vienna 1922; P. Harrison, The Arab at home, Londra 1925; A. Musil, The northern Ḥeǧâz - Arabia Deserta - The middle Euphrates - Palmyrena - Northern Neǧd - The manners and customs of the Rewla Bedouins, in American Geographical Society, Oriental Explorations, New York 1927-28, 6 voll. (con carta separata dell'Arabia settentrionale a 1 : 1.000.000); oltre ai lavori generali sulla Turchia, pei quali v. la ricca bibliografia offerta dal Banse, Die Türkei, Brunswick 1915.

Antropologia.

L'antropologia degli Arabi d'Asia è molto mal conosciuta, sia dal lato antropometrico e osteometrico. sia da quello iconografico. Le note descrittive dei viaggiatori sono imprecise; le misure si riferiscono a pochi distretti ed alla classe più bassa della popolazione; il materiale craniologico raccolto nei musei europei è scarsissimo e male illustrato. L'antropologo incontra difficoltà insuperahili al suo lavoro sul posto. D'altra parte la composizione raziale di questo grande gruppo etnico desta un vivissimo interesse, in considerazione della parte che esso ha rappresentato nella storia e di quella che ancora rappresenta nella vita politica e spirituale del vicino Oriente.

Ma anzitutto occorre eliminare il frequente errore di considerar come arabe anche dal punto di vista antropologico le numerose popolazioni (per lo più sedentarie) che, fuori dell'Arabia, sono di lingua araba, nell'Africa settentrionale e nell'Asia anteriore; in grande maggioranza esse sono etnicamente non arabe o di sangue misto. Quasi soltanto l'elemento beduino arabofono è veramente arabo in quelle regioni; sicché il basarsi. p. es., sull'antropologia dei contadini palestinesi o mesopotamici per deduzioni intorno al tipo arabo non può non portare a gravissimi errori.

In Arabia stessa non sembra esistere una completa unità di tipo: i membri delle famiglie aristocratiche del Yemen e della Mecca hanno un aspetto ben diverso da quello degli abitanti del Neǵd; nel Yemen stesso sembrano esistere tipi di popolazione distinti fra loro secondo le varie classi sociali. Le ricerche antropologiche in Arabia sono in uno stato così rudimentale, che ben poco si può dire a questo riguardo.

I nomadi, che colpiscono il visitatore per la loro magrezza e la pelle scurita dal sole, sono presso che ignoti. Nel Ḥigiāz la statura pare di poco superiore alla media (166.5), l'indice cefalico medio (78.6) indica dolicocefalia prevalente, l'indice nasale è piuttosto alto (Mochi): quest'ultimo carattere parrebbe indizio d'influsso dell'elemento meridionale. La gente del Yemen è quella che meglio si conosce (Mugnier, Mochi, Puccioni, Leys e Joyce, Seligman) e su di essa il Cipriani ha portato recentemente, oltre a nuove misurazioni, anche belle fotografie e maschere del viso. Il tipo medio, con l'avvertenza che i rilievi si riferiscono agli strati inferiori della popolazione (ed ai soli maschi adulti), si può così definire: statura inferiore alla media (153 = m. 1.639) con proporzioni normali degli arti (indice schelico 52.1, della grande apertura 101.8), pelle assai scura (il numero 25 della scala cromatica del Luschan è il più comune), capelli spesso ondulati e ricciuti, neri o castano-scuri come gli occhi, indice cefalico indicante un assai forte contingente di brachicefali (media oscillante, nelle varie serie misurate, fra 80.6 e 82.6), naso moderatamente leptorrino (101 = 63,3) faccia larghetta (90 = 86,4) con mandibola poco alta. L'analisi delle osservazioni mostra che tale tipo medio è il risultato dell'amalgama di tre biotipi: l'armenoide (di von Luschan; alarodico, assiroide, asiatico-anteriore d'altri autori), quello detto samaritano, e un tipo caucasoide con affinità meridionali. L'elemento meridionale è responsabile del colorito scuro, dei capelli ondulato-ricciuti, della frequenza di nasi poco rilevati, anche se non molto dilatati alle nari, della statura mediocre: qualche intrusione negroide, ben riconoscibile del resto, o anche etiopica si è aggiunta dalle opposte sponde del Mar Rosso, ma non pare che abbia molta importanza. Il brachicefalo, assimilabile all'armenoide, vien subito dopo per forza numerica ed ha contribuito a dare un certo numero di profili ben rilevati associati ad una faccia alquanto larga. Il tipo samaritano, più chiaro, con faccia molto lunga e naso adunco alto e sottile, è in decisa minoranza, ma pur è presente e talora con tutti i suoi caratteri.

Nel Ḥaḍramaut la statura si fa ancora più bassa (82 = 1.619, Leys e Joyce), il colore scuro si accentua, l'indice cefalico rimane intorno a 81 (82 = 80.9, Leys e Joyce); gl'indici della faccia e del naso (Puccioni) confermano che vi si ha, rispetto al Yemen, un rinforzo dell'elemento meridionale. Nell'‛Omān (Mascate), la statura si rialza e l'indice cefalico si abbassa (31 = 1.648 e 78.2, Leys e Joyce): ma poco sappiamo dei caratteri fisionomici. Si ritiene che nell'Arabia centrale, e fra i nomadi, sia largamente rappresentato il tipo samaritano; ma è opinione poco documentata e anzi contraddetta dalle osservazioni del von Luschan sui Beduini dell'estremo Nord, che ad una forte dolicocefalia sembrano associare fattezze, in prevalenza, di meridionalis. Nelle classi elevate sembra avere rilievo l'elemento armenoide. Si vuole (Seligman, Buxton) che questo sia giunto in Arabia, almeno in parte, dalla Mesopotamia; ma il NO. sembra più indicato come luogo più immediato di provenienza. Materiale craniologico lo mostra presente anche nella penisola del Sinai (Mochi). In omaggio ad una vecchia tradizione antropologica, il titolo di tipo semitico (da non confondersi con l'ebraico) potrebbe restare a quello dei Samaritani, il quale può avere avuto in passato un'importanza maggiore dell'attuale. Lo stato fondamentale della popolazione accomuna tuttavia gli Arabi alle più vecchie popolazioni del Mediterraneo, dell'Egitto e degli altri paesi periferici meridionali dell'Asia anteriore.

Bibl.: Oltre alle fonti generali sull'antropologia dell'Asia (v. specialmente Ripley, Giuffrida-Ruggeri, Buxton), v. per la Siria e la Palestina: E. Chantre, in Bull. Soc. Anthrop. de Lyon, 1895; M. Huxley, Anthropology of Samaritans, in New Encyclop., X, pp. 674, 1905; S. Weissenberg, Die autochtone Bevölkerung Palästinas, in Zeitschr. f. Dem. u. Stat. der Juden, 1909; F. v. Luschan, The early inhabitants of western Asia, in Journal of the Anthrop. Inst., XLI (1911).

Per l'Arabia propria: A. Mochi, Sulla antropologia degli Arabi, in Arch. per l'Antrop., XXXVII (1907); C. G. Seligman, The physical characters of the Arabs, in Journ. of. the anthr. Inst., XLVII (1917); N. Puccioni, Studi sui materiali... raccolti dalla Missione Stefanini Paoli, in Arch. per l'Antrop., XLVIII (1918); R. Pöch, Hamitische und semitische Rassenmerkmale, in Veröff. d. Forschungs-Institutes f. Osten u. Orient, II (1918); id., Beitrag zur Anthropologie Südarabiens, in A. Gromann, Südarabien, Vienna 1922. I materiali del Cipriani sono ancora inediti.

Etnologia.

Gli Arabi i quali, in seguito alla straordinaria fortuna delle conquiste musulmane (v. arabi: Storia), si sono stabiliti su tanto vasta estensione di territorî di là dai limiti della loro penisola, hanno conservato in parte il tipo etnico e i costumi originarî, ma in gran parte hanno modificato il primo, e ancor più gli altri, sia per la mescolanza o il contatto con la popolazione indigena, sia per l'influenza di quel complesso insieme di fattori culturali e religiosi che ha costituito la civiltà islamica. Quelli soltanto tra gli Arabi che sono rimasti attaccati al suolo della patria presentano le caratteristiche antropologiche ed etnologiche della loro razza in forma quasi esente da alterazioni estranee (v. sopra: Antropologia); e queste caratteristiche si riscontrano in aspetto molto più puro presso i Beduini che presso i sedentarî. L'Arabia, che nella più gran parte del suo territorio presenta l'aspetto di deserto o di steppa, ha una popolazione nomade che raggiunge l'83% circa dei suoi abitanti: il rimanente è costituito da sedentarî (ḥaḍar, singolare ḥaḍarī), la minor parte dei quali sono cittadini; gli altri, i fellāhīn "contadini", esercitano l'agricoltura sparsi in villaggi, per lo più assai miseri, abbondanti soprattutto nella zona di confine tra il deserto siro-arabico e la regione siro-palestinese a nord e a ovest di esso, la Mesopotamia e l'‛Irāq a est; se ne trovano anche nelle oasi dell'interno. La delimitazione di territorio tra nomadi e sedentarî non è naturalmente netta: agglomerazioni urbane si hanno nel centro stesso dell'Arabia, e d'altra parte tribù beduine s'insinuano nelle zone a colture rade (quali sono per lo più quelle delle regioni che circondano il deserto) in mezzo alla popolazione agricola.

I Beduini sono conosciuti per lo più col nome di ‛Arab, che fin da tempi remoti designò appunto i nomadi in contrapposto ai sedentarî; anche il nome badawī, plur. badawiyyīn, propriamente: "l'abitante del deserto (badw)", è usato, benché meno frequentemente. I nomadi si suddividono a lor volta in allevatori di cammelli e allevatori di capre, questi ultimi più prossimi alla vita sedentaria di quelli. Il nomadismo, beninteso, non è assoluto: chiuso il periodo delle grandi migrazioni, le singole tribù beduine hanno conseguito sedi relativamente stabili, e sempre più raro è il caso d'invasioni che costringano l'una di esse a cedere il posto all'altra e ad andare alla ricerca di nuovi pascoli. Nell'ambito del vasto territorio che ciascuna tribù considera come sua proprietà, essa si sposta periodicamente al principio e alla fine della stagione delle piogge, ritornando regolarmente nelle medesime località, dove ha i suoi pozzi e dove si trovano le sepolture dei suoi morti. Solo il caso di prolungata siccità può indurla a mutare definitivamente la propria sede.

L'assetto sociale dei Beduini è quello della tribù (qabīlah), suddivisa in famiglie (‛āilah plur. ‛āilāt, ‛iyāl), e tale assetto si è conservato non di rado tra i sedentarî (presso i quali, particolarmente nell'Arabia settentrionale, essa è designata generalmente col nome di ḥamūlah, plur. ḥamāyil), benché tra questi ultimi esso vada perdendo alquanto del suo carattere originario. Questa forma di organismo sociale si è conservata, senza cambiamenti essenziali, quale era già nei tempi più antichi di cui la nostra conoscenza storica abbia notizia: non solo i Beduini attuali ci appaiono quasi identici, nelle manifestazioni più tipiche dei loro costumi e della loro indole, a quelli del sec. VI d. C. (età per la quale il materiale fornito dalla letteratura araba è abbondantissimo) e persino a quelli di età più antica, per quanto le scarse notizie che ne possediamo ci permettono di indovinare; ma gli stessi nomi di alcune tribù antiche si sono mantenuti fino ai nostri giorni. Tali, p. es., gli ‛Anazah, che oggi occupano quasi per intero la zona media del deserto di Siria, i Qaḥṭān (Gaḥṭān), antica denominazione complessiva delle tribù meridionali, i Balī, i Giuhainah, i Hudhail, i Murrah, i Tamīm, ecc. Soltanto è da notarsi che le sedi, le suddivisioni e i rapporti di parentela e di potenza delle singole tribù sono profondamente mutati, sicché talune tribù che una volta erano tra le più numerose e forti, sono oggi ridotte a piccoli gruppi (p. es. i Tamīm e i Hudhail citati sopra), mentre altre che nell'antichità figurano come modeste frazioni di unità più vaste, sono oggi grandi tribù indipendenti (p. es. gli Shammar, dominanti nel Neǵd settentrionale; i Ḥarb tra Mecca e Medina); inoltre sono scomparse interamente alcune tra le più importanti tribù dell'età preislamica, e altre ignote a questa sono oggi tra le più fiorenti: fluttuazioni che già si presentano nell'antichità e che le guerre, le migrazioni e altre vicende storiche spiegano facilmente. La tribù è costituita secondo il vincolo del sangue: i membri di essa si ritengono discesi da un antenato comune, e conservano con la massima cura la genealogia delle singole famiglie (in generale si può ritenere che tali genealogie corrispondano alla realtà per un periodo di almeno due o tre secoli). Le famiglie in cui si suddivide la tribù possono, alla lor volta, aumentare la loro forza numerica fino al punto di costituire una tribù indipendente, pur conservando i vincoli di consanguineità con le altre famiglie della tribù. Il regime di proprietà è comunistico soltanto per quanto riguarda il territorio di pascolo e gli armenti; per il resto, tende, utensili, armi, vige la proprietà privata. I cammelli sono contrassegnati da un marchio (wasm), che li dichiara di pertinenza della tribù e nella cui forma sembrano sopravvivere, isolati o intrecciati, segni di antichi alfabeti (un buon numero di essi sono stati raccolti, da notizie di altri viaggiatori e da osservazioni proprie, da E. Littmann, Zur Entzifferung der thamudenischen Inschriften, Berlino 1904, tav. XII, in Mitteil. der Vorderas. Gesell., IX, 1; analoghi marchi sono in uso nelle tribù della Cirenaica e della Tripolitania).

Capo della tribù è lo sheikh in cui si perpetua l'antico sayyid: come questo, lo sheikh domina sui suoi contribuli per mezzo del prestigio personale e della persuasione, e non dispone di mezzi coercitivi il ribelle all'autorità del capo può essere espulso dalla tribù, ma soltanto col consenso della maggioranza. Lo sheikh è il capitano e il giudice naturale della tribù, ma non sempre esercita direttamente tali funzioni, e spesso, in occasione di spedizioni militari, il comando è assunto dal più capace (‛aqīd); analogamente si trova in molte tribù un giudice (qāḍī) espressamente adibito all'amministrazione della giustizia, e tale ufficio è in genere ereditario, così come ereditaria è la dignità dello sheikh (in linea diretta, e solo in mancanza di questa in linea collaterale). Entrano a far parte della tribù, accanto ai membri consanguinei, anche gli estranei che vengono adottati da essa, allo stesso modo del mawlà (v.) dell'età classica.

Accanto alle tribù beduine e a quelle sedentarie esistono in Arabia altri aggregati gentilizî che non sono considerati di autentici Arabi e sono fatti segno al disprezzo di questi, come gli el-Hutaim, di cui un'importante suddivisione è costituita dagli esh-Shararāt (questi hanno la sede principale nel wādī Sirḥān); essi hanno il loro centro sulla costa orientale del golfo di el-‛Aqabah e sulle isole del Mar Rosso, donde si sono sparsi nel Ḥigiāz, nel Neǵd e in alcuni distretti del Delta egiziano (Ḥelwān, Zaqāzīq); loro caratteristiche occupazioni, nella zona costiera, sono la pesca e la navigazione, il che spiega il disprezzo che nutre per essi il beduino, al quale soltanto la pastorizia e la razzia sembrano degne di essere esercitate. Anche più in basso stanno gli -Ṣulaib (Ṣlēb, Ṣúlabah), sparsi per tutta l'Arabia settentrionale e centrale, i quali presentano anche divergenze antropologiche dal tipo arabo (colorito chiaro, capelli biondi abbastanza frequenti), esercitano la caccia e varî mestieri ritenuti disonorevoli, come quelli del fabbro e del falegname; sono reputati abili nell'arte del medico e del veterinario; non osservano le interdizioni alimentari dei Beduini. Tutto ciò fa supporre che essi rappresentino l'avanzo di una popolazione non semitica, sia essa autoctona dell'Arabia oppure vi sia penetrata in tempi preistorici, sottomessa dai Semiti arabi (v. Pieper, in Encicl. d. Islām, IV, 552-557, dove la questione dell'origine dei Ṣulaib, complicata e non ancora risolta, è ampiamente discussa). Benché presentino alcune analogie con gli Zingari (alcuni gruppi dei quali si trovano anche nell'Arabia settentrionale; v. zingari), i Ṣulaib non hanno nulla a che fare con essi. Il matrimonio degli Arabi puri con el-Hutaim e con eṣ-Ṣulaib è severamente vietato.

I Beduini abitano in tende (bait) di pelo di capra o di cammello, di forma allungata, non mai circolare; i fellāḥīn vivono in case di tipo assai semplice, quadrangolari, fabbricate con blocchi di pietra non squadrati, con tetto piatto e sprovviste di finestre. Nelle città, naturalmente, si trovano edifici più ampî e più comodi (specialmente nell'Arabia meridionale, dove la tradizione degli antichi castelli sabei e ḥimyariti non è ancora del tutto spenta). Gli utensili di fabbricazione domestica sono, tra i Beduini, quasi esclusivamente di pelle (otri, secchie); quelli di legno e di metallo (caratteristica la grande caldaia di rame, qidrah, per la bollitura del latte e della carne) sono in genere acquistati. I nomadi non si servono di focolare, ma appoggiano la caldaia su un sostegno formato di tre pietre; nelle case dei sedentarî, invece, il focolare non manca mai.

L'animale che è proverbialmente compagno del Beduino è il cammello (v.); il cavallo è molto meno frequente, e lo si trova numeroso soltanto tra le tribù guerriere, poiché esso serve piuttosto per la razzia che come mezzo di trasporto. I Beduini posseggono anche armenti di capre (v. sopra), mentre le pecore e i bovini si trovano solo fra i sedentarî.

La differenza di vita tra nomadi e sedentarî si rispecchia anche, naturalmente, nel cibo: base dell'alimentazione dei primi è il latte di cammella (rispettivamente di capra), che è spesso consumato dopo essere stato lasciato inacidire, o sotto forma di burro liquefatto e di formaggio dolce. L'uso della carne è piuttosto raro, e l'uccisione e la cottura di un cammello assume carattere di solennità festiva. I cereali, che costituiscono l'alimentazione normale dei fellāḥīn, sono usati, ma in misura assai minore, anche dai Beduini: si conosce il mulino a mano, ma più frequente è il trituramento dei grani su lastre di pietra. Molto apprezzato dai nomadi è il miele selvatico (dibs); poco usato è il caffè (che invece i fellāḥīn e i cittadini consumano abbondantemente). Naturalmente, e in ispecie negli ultimi tempi, anche alcuni prodotti dell'industria alimentare (zucchero, tè) sono penetrati nel deserto.

Il vestito dell'Arabo consiste in una lunga tunica bianca (thōb) di cotone o di lino, stretta ai fianchi con una cintura e aperta sul petto (sotto di essa molti portano una fascia avvolta a più riprese sul ventre), sopra la quale i ricchi indossano una giubba, anche bianca, a maniche ricamate, di cotone, lana o seta (kibr). Soprattutto si porta un grande mantello (‛abāyah) di lana di pecora o di pelo di cammello, di colore grigio o bianco, talvolta rigato, che avvolge tutto il corpo; esso è formato di due pezzi triangolari. cuciti in modo da lasciare due aperture per passarvi le mani, ma senza maniche. Caratteristico è il copricapo, formato da una grande pezzuola bianca rettangolare (mindīl), legata a più spire intorno alla testa con un cordone (‛áṣabah o ‛aqāl) e i cui lembi ricadono sulle spalle.

La donna porta una tunica simile a quella dell'uomo, ma di colore azzurro; una giubba (gibbah) rossa è indossata per lusso; il mantello è simile a quello dell'uomo; la testa è coperta da una cuffia colorata (per lo più rossa o verde), allacciata intorno al collo e legata sulla testa come il copricapo maschile.

Gli uomini si radono la nuca fino all'altezza delle orecchie, e lasciano crescere numerose trecce laterali (dhawāyib); la barba cresce libera sul mento e sulle guance, è rasa sotto il mento. Le donne usano largamente il tatuaggio con indaco, il hoḥl per gli occhi, la tintura di ḥennā sulla fronte, sulle guance e all'estremità delle dita, spesso disposta in disegni caratteristici; non portano velo sulla faccia.

L'Islām, come è noto, ha pochissimo modificato così le condizioni esterne di vita come la mentalità degli Arabi beduini: in modo particolare è rimasto inalterato il costume della razzia (ghazw), che pure l'Islām condanna in nome della fratellanza di tutti i credenti. Non tutti i nomadi esercitano in egual misura la razzia, e tra essi hanno trista fama di veri briganti gli el-Ḥuweiṭāt (nel Ḥigiāz settentrionale e nella penisola del Sinai) e i Ḥarb (nel Ḥigiāz meridionale, specialmente tra Mecca e Medina), la cui principale fonte di guadagno sta nell'assalire le carovane di pellegrini o nell'estorcerne tributi. Ma, in genere, le spedizioni guerresche aventi per fine il saccheggio sono praticate su larghissima scala, e le vittime designate dell'avidità beduina sono per lo più i fēllāḥin, presso i campi dei quali i Beduini vanno ad accamparsi nella stagione del raccolto, spiando l'occasione propizia per le loro incursioni. Com'è ovvio (e come è attestato fin da tempo antico), i contadini inermi e incapaci di resistere con le armi alla violenza finiscono col cercare di subirla nella forma meno dolorosa possibile, patteggiando un tributo mediante il quale si liberano dalla minaccia di un assalto. Non mancano, poi, incursioni di nomadi contro nomadi, sia che l'avversario appaia tanto debole da poter essere facilmente spogliato dei suoi averi, sia che si tratti di un caso di vendetta del sangue (thār), l'istituzione più sacra tra i beduini. Le razzie hanno il carattere di un assalto di sorpresa, compiuto in genere sul far del giorno; esse non sono mai molto cruente, e dànno all'assalitore ampio bottino di armenti, di tende, di utensili, di prigionieri (donne e fanciulli soprattutto). La tribù depredata è per lo più ridotta in assoluta miseria, e sua sola via di scampo è quella di chiedere la protezione di una tribù amica; se questa dispone di forze sufficienti, può inseguire l'assalitore o sorprenderlo a sua volta nelle sue sedi, e spesso avviene che il bottino conquistato è rapidamente ripreso. L'armamento del Beduino è stato profondamente modificato dall'introduzione delle armi da fuoco, ma queste non hanno ancora interamente sostituito le antiche armi: la lancia, lunghissima e flessibile, e la spada, larga e ricurva (se ne conservano presso alcune famiglie esemplari di grande antichità). Si vedono tuttora, benché si facciano sempre più rari, corazze a maglia metallica e scudi; interamente scomparso è l'arco.

Anche sulle istituzioni private l'Islām ha esercitato uno scarso influsso; in molti casi la legislazione musulmana ha sanzionato antiche costumanze arabe, sicché queste continuano a vigere, formalmente d'accordo con la norma religiosa, ma in realtà indipendenti da essa. Tale, p. es., la poligamia, che peraltro è in via di scomparire: la gran maggioranza degli Arabi ha una sola moglie, quasi nessuno ne ha più di due. La donna gode di maggior libertà che non nel resto del mondo musulmano, ma è costretta al lavoro assai più duramente che non l'uomo. I bambini sono trattati con dolcezza: il viaggiatore Musil afferma di non aver mai veduto genitori arabi percuotere i loro figli. La schiavitù sussiste: la maggior parte degli schiavi sono di razza negra, ma se ne trovano anche molti di pura origine araba, prigionieri o figli di prigionieri: sono ben trattati e fanno vita comune coi padroni, ma il matrimonio tra liberi e schiavi è vietato. Il diritto penale è rudimentale: lo sheikh e il qāḍī applicano varie pene per delitti di furto, ma in caso di delitti di sangue la famiglia dell'offeso ha pieno diritto al taglione, a meno che non accetti la composizione mediante il pagamento del prezzo del sangue (diyah).

La cultura è, naturalmente, assai bassa, e pochi sono, fuori delle città, coloro che sappiano leggere. Tuttavia si nota (almeno nell'Arabia settentrionale) la presenza di maestri, provenienti dai sedentarî, presso le tribù nomadi, i capi delle quali desiderano imparare a leggere e a scrivere per meglio esercitare la loro autorità. La poesia, quantunque decaduta dall'antico splendore dell'età preislamica e dei primi secoli dell'Islām, è tuttavia in onore: esistono, come in passato, poeti professionisti in seno alle tribù; i canti d'amore, di guerra, di lamento funebre non sono privi di nobiltà di espressione, e vi si possono ancora scorgere, nonostante alterazioni, gli schemi di alcuni metri antichi.

Non meno che al tempo del sorgere dell'Islām, il Beduino contemporaneo è poco religioso, e non solo la vita nomade gl'impedisce di frequentare le funzioni pubbliche, ma anche i doveri individuali dell'Islām (abluzioni, preghiera rituale, digiuno) sono trascurati, per quanto in teoria l'Islām sia accettato e anzi enfaticamente proclamato.

Oltre al patrimonio di credenze e di pratiche magiche, amuleti, indovini, ecc., comune al resto dell'Islām, e oltre alle credenze animistiche le quali, preesistenti all'Islām, sono state tollerate o addirittura sanzionate da esso, sussistono alcune forme derivate dall'antico paganesimo: la più cospicua è il culto degli antenati, che si esplica soprattutto sulla tomba del presunto capostipite della tribù, con pellegrinaggi e sacrifici cruenti; anche le tombe dei parenti prossimi sono oggetto di cerimonie religiose (sacrifici, lustrazioni) e costituiscono un punto di riunione solenne, dove si celebrano giuramenti, si rivendicano diritti, si assumono impegni, ecc. Notevole è la credenza, largamente diffusa e certamente avanzo di credenze preislamiche, che gli spiriti dei trapassati abbiano comune dimora nel mondo sotterraneo, tanto se siano dannati, quanto se siano beati.

I giudizî che i conoscitori degli Arabi nomadi dànno di essi sono talvolta discordi, ma in generale non sono molto favorevoli: mancanza di volontà di lavoro, orgoglio malinteso, diffidenza, ipocrisia, avidità sono i difetti che vengono loro rinfacciati con frequenza. Ad essi si oppongono alcune qualità non spregevoli, e specialmente la nobiltà del tratto, che si esplica soprattutto nell'esercizio dell'ospitalità, la quale ha conservato fino ai nostri giorni il carattere che le è noto fin dall'antichità.

Bibl.: In mancanza di una trattazione generale dell'argomento conviene ricorrere alle opere dei viaggiatori indicate nella sezione Esplorazione dell'Arabia. Particolarmente importante a questo riguardo sono quelle del Burckhardt, Jaussen, Musil, Doughty. Vi si possono aggiungere gli scritti che trattano dei Beduini dell'età antica, i quali contengono notizie di costumi tuttora vigenti, pur facendo il debito conto delle modificazoini prodotte dall'Islām e delle influenze europee, che pur si fanno sentire anche nel deserto. Soprattutto importanti: G. Jacob, Altarabisches Beduinenleben, 2ª ed., Berlino 1897; H. Lammens, Le berceau de l'Islām, Roma 1913: id., Le caractère religieux du "ṯār" ou vendetta chez les Arabes préiislamites, in L'Arabie occidentale avant l'hégire, Beirut 1928.

Storia.

Per la storia dell'Arabia meridionale preislamica, la quale tiene un posto tutto particolare, si veda Himyariti, Minei, Sabei; per quella dell'Arabia settentrionale prima dell'islamismo, si veda Arabi: Storia.

L'età musulmana. - Fino al sec. III dell'ègira (IX d. C.) la storia dell'Arabia s'identifica con quella degli Arabi, dapprima come sede unica, o quasi, di questi, poi, essendosi gli Arabi sparsi per tutto il vasto dominio da essi conquistato, come provincia dell'Impero arabo-musulmano. Dopo che, nel 36 èg., 656 d. C., il califfo ‛Alī ebbe trasportato la sede del califfato da Medina ad al-Kūfah, l'Arabia cessò di essere il centro politico dell'Impero; anzi già prima di allora gli elementi più energici e più intraprendenti della popolazione l'avevano abbandonata, spostando verso le regioni conquistate di recente anche il centro del successivo svolgimento economico, sociale e culturale dell'Islām. Sotto gli Omayyadi l'Arabia andò perdendo ancor più d'importanza nella vita del mondo arabo: il fallimento del tentativo dell'anticaliffo ‛Abd Allāh ibn az-Zubair (61-73 èg., 681-692 d. C.) di fare dell'Arabia il fulcro della sua azione, confermò l'irremissibile decadenza della penisola, condannata dalla sua situazione geografica e climatica e dal carattere dei Beduini a rimanere estranea al grandioso sviluppo di civiltà che da essa appunto aveva preso le mosse. Per qualche tempo, peraltro, si ebbero ancora in Arabia alcune forme di vita più progredita: le due città sante, Mecca e Medina, conservando il prestigio che veniva loro dai ricordi religiosi e storici e rimanendo sede di famiglie imparentate con gli eroi e i condottieri dell'Islām nascente, furono soggiorno di riposo e di ritiro a molti personaggi che le vicende tumultuose del sec. I dell'ègira avevano esclusi dal partecipare alla politica attiva, e divennero centri dello studio della tradizione (fondamento del rito e del diritto musulmani), che attingeva direttamente a coloro che erano stati testimoni del sorgere e dell'affermarsi del potere di Maometto e dell'organizzazione della comunità primitiva. Nel sec. I e II dell'ègira l'Arabia centrale presenta pertanto l'aspetto di un paese appartato dalla politica, ma dove da un lato si coltivano assiduamente gli studî religiosi, dall'altro si mena una vita di agiata tranquillità, tra i piaceri della poesia e della musica; arti che appunto in questo tempo vanno rinnovando alcuni dei loro motivi fondamentali (v. arabi: Letteratura). Alla Mecca, poi, il pellegrinaggio continua ad attirare ogni anno fedeli provenienti da varie parti del mondo musulmano, che imprimono alla città quel carattere di cosmopolitismo che essa ha conservato fino ad oggi (v. mecca).

Ma il decadere del califfato, cominciato sotto gli ‛Abbāsidi a partire dalla seconda metà del sec. III èg., IX d. C. provocando il frantumarsi dell'unità dell'Impero arabo, suscita anche in Arabia il sorgere di stati locali, e anzi, a causa dell'isolamento in cui essa si trova rispetto alle altre regioni e della proverbiale turbolenza dell'elemento beduino, ne fa il rifugio preferito e il miglior terreno di coltura di movimenti ereticali. Così si vede sorgere lo stato degli sciiti Zaiditi (v.) nell'Arabia meridionale, e quello dei Khārigiti ibàḍiti (v.) nell'‛Omān; poco più tardi quello di un altro ramo degli Sciiti, i Qarmaṭi (v. carmati) nel Baḥrein. Pertanto l'unità politica della stessa Arabia si spezza, né più si ricostituirà nei secoli seguenti: la storia delle singole dinastie che vi ebbero dominio è esposta sotto le voci relative, mentre qui basterà accennare rapidamente alle vicende generali subite dalla penisola. Queste sono meglio note per quello che riguarda l'Arabia meridionale (el-Yemen), dove, pur attraverso un rapido succedersi di dinastie e una continua e accanita rivalità tra esse, per cui il dominio di questa e di quella regione passa alternamente dall'una all'altra, una parvenza di organizzazione politica non viene mai meno; mentre il centro e il settentrione della penisola ritornano allo stato di anarchia in cui si trovavano prima dell'Islām, e le tribù beduine vi continuano la loro vita di nomadismo e di razzia.

Gran parte dell'Arabia meridionale e occidentale fu temporaneamente occupata dagli Ayyūbidi d'Egitto, per opera del fratello di Saladino, Tūrān Shāh (569 èg., 1173); ma già nel 625 èg., 1228 d. C. il Yemen fu occupato dalla dinastia dei Rasūlidi, che diede un lungo periodo di relativo benessere al paese (nell'850 èg., 1446 d. C., le successe la dinastia dei Ṭāhiridi), finché esso fu rioccupato per breve tempo dall'Egitto, e finalmente dagli Ottomani (923 èg., 1517 d. C.). Questi ristabilirono, per un periodo non lungo, l'unità all'Arabia occidentale, esercitandovi un'autorità effettiva; ma non seppero o non vollero distruggere completamente le dinastie locali, in particolare quella degli Zaiditi nel Yemen, i quali, ridotti all'oscurità dal sopraggiungere di nuovi signori, non avevano tuttavia cessato dal mantenersi nei recessi montuosi di quella regione, attraverso una lunga serie di secoli, e ripresero vigore alla fine del sec. X èg., XVII d. C., e nel corso del successivo, costringendo gli Ottomani a sgombrare la regione. Anche alla Mecca si era insediata, a partire dal sec. IV èg., IX d. C., una dinastia di discendenza ‛alida (Sceriffi), i Banū Qatādah, i quali tuttavia finirono, dal punto di vista religioso, con l'accettare in pratica l'ortodossia, sì da essere tollerati dagli Ottomani, rigidi sunniti; anch'essi, col sopraggiungere della decadenza ottomana, ripresero il dominio effettivo della città e dei suoi dintorni. Quasi contemporaneo all'affermarsi della sovranità ottomana sull'Arabia è l'arrivo degli Europei sulla costa meridionale di essa: i Portoghesi, giuntivi dopo la loro circumnavigazione dell'Africa, tentarono di stabilirvi punti di appoggio per la via verso l'India, riuscendo a insediarsi saldamente nel Golfo Persico; a partire dal sec. XVIII al loro dominio subentra quello degl'Inglesi, i quali, in una serie di lotte e di accordi coi sultanati locali, presero piede in numerose località della costa (‛Aden, el-Kuweit, ecc.).

Soltanto alla fine del sec. XVIII l'Arabia centrale e settentrionale riprende posto nella storia, col sorgere dello stato dei Wahhābiti, con capitale er-Riyāḍ, che riuscì a impadronirsi, oltre che dell'intero Neǵd, anche del Ḥigiāz (occupando Mecca e Medina nel 1803) e minacciò lo stesso Yemen. La spedizione egiziana, chiamata in soccorso dalla Porta, ne spezzò la potenza, sicché per qualche tempo i sovrani wahhābiti furono tributarî degli emiri della famiglia di Ibn Rashīd, capi dei Beduini Shammar con capitale Ḥāil, i quali nella seconda metà del sec. XIX ebbero l'egemonia nell'Arabia centrale. Anche in quest'epoca la Turchia riuscì a ristabilire la sua autorità su gran parte dell'Arabia, segnatamente sul Yemen e su Mecca e Medina, il possesso delle quali ultime, in conseguenza della politica panislamica di ‛Abd ul-Ḥamīd II, assumeva una particolare importanza; la costruzione della ferrovia del Ḥigiāz valse, naturalmente, a rendervi più saldo il dominio turco.

La guerra mondiale del 1914-1918 fece sgomberare definitivamente l'Arabia dai Turchi, e segnò, sotto l'influenza inglese, il risorgere dei tre stati di maggior importanza della penisola: il Ḥigiāz, sotto gli sceriffi della Mecca, il Neǵd, sotto la dinastia wahhābita degli Āl Sa‛ūd, il Yemen, sotto gli imām Zaiditi. Le recenti vicende, che hanno dato in mano ai Wahhābiti l'intero regno del Ḥigiāz, hanno rafforzato singolarmente la situazione del Neǵd, il quale non cela la sua ambizione di unificare l'Arabia intera, contrastato peraltro, oltre che dall'Inghilterra, anche dal Yemen e dall'‛Omān. L'unità dell'Arabia non è pertanto pensabile in un avvenire prossimo; tuttavia il costituirsi in essa di due stati abbastanza forti e progrediti, i quali vanno assorbendo nella loro sfera d'influenza i sultanati minori, rappresenta un passo notevole verso l'incivilimento dell'Arabia, sulla via del quale tanto il Neǵd quanto il Yemen si sono messi attivamente, sforzandosi di vincere, per quanto è possibile, le resistenze dell'elemento beduino.

La provincia romana.

La provincia Arabia era stata costituita ad oriente del Giordano e del Mar Morto ed in qualche momento comprese anche Petra. Nel tempo in cui i Romani, combattendo nella Siria e contro Mitridate, vennero primieramente a contatto con i popoli e gli stati dell'Asia anteriore, nell'estremo Nord dell'Arabia esistevano varî piccoli principati o regni situati tra la Mesopotamia, i confini otientali della Siria e della Palestina e il Nord della penisola Arabica: il più importante era il regno dei Nabatei (Nábatū), l'unico che direttamente interessi la storia della provincia romana dell'Arabia.

Nei rivolgimenti e nelle lotte derivate dalla guerra di Mitridate in tutto l'Oriente, il re dei Nabatei, Areta III (Ḥáretat, 'Αρέτας), era venuto a conflitto con il re della Giudea: intervenne in tale conflitto Pompeo, sceso in Siria dopo la vittoria sul re del Ponto, e nel 63 a. C. iniziò una campagna contro la capitale dei Nabatei, Petra; ma, per circostanze sopraggiunte, desistette presto dall'impresa, che fu invece continuata dal suo questore Marco Emilio Scauro (60); il re fu vinto e venne a patti, riconoscendo la supremazia romana e facendo del suo stato uno stato cliente di Roma. Alcune monete, nelle quali si vede il re Areta che, tenendo in una mano un ramo di ulivo e reggendo con l'altra il cammello, s'inginocchia avanti al duce romano, serbano memoria dell'avvenimento (Babelon, Monnaies de la Répub., I, p. 120). Il regno comprendeva allora la parte NO. Nella penisola arabica (ossia il Ḥigiāz settentrionale), giungendo nel Mar Rosso (Sinus arabicus) fino a Leuke Kome (probabilmente l'attuale el-Ḥaurā, od un porto più a nord); ad oriente si spingeva fino a Thema (Taimā), ai limiti del grande deserto pietroso; a nord comprendeva Damasco, che i Romani da poco tempo avevano tolta al regno dei Giudei, col quale, d'altra parte, questo regno dei Nabatei confinava nella parte ad occidente del Mar Morto.

Divenuto con Scauro uno stato cliente di Roma, il regno dei Nabatei si mantenne in tale condizione nei secoli successivi fino a Traiano. Nella guerra civile fra Antonio e Ottaviano fu, come tutto l'Oriente, col primo; Antonio lo comprese fra le terre donate a Cleopatra, e Cleopatra l'avrebbe voluto lasciare in eredità ai suoi figli: senonché quando, dopo la sconfitta, la regina pensò di poter riparare sulle coste arabe del Mar Rosso, gli Arabi le incendiarono le navi e le tolsero ogni speranza di favorevole accoglienza. Più tardi vediamo i re di Petra prestare sovente aiuto di armi ed armati ai Romani nelle guerre orientali. Al tempo di Augusto, Obodas III (‛Obodat, 'Οβόδας), mediante il suo primo ministro Silleo (Συλλαῖος), partecipò alla spedizione che l'imperatore, sotto il comando del già prefetto dell'Egitto, C. Elio Gallo, mandò contro l'Arabia meridionale; spedizione che rimase senza effetto ai fini della conquista territoriale. Un altro contingente arabo, sotto il comando del re Malichus III (Málikū), è fra i principali ausiliarî che combattono con Vespasiano contro Gerusalemme. Del resto fra i Giudei e i Nabatei, ambedue stati vassalli di Roma, la vicinanza e la rivalità diedero più volte occasione a lotte più o meno gravi, nelle quali l'imperatore interveniva di solito come arbitro.

Già come stato cliente, è probabile che il regno avesse ricevuto in qualcuna delle sue città, soprattutto in quelle che costituivano i punti di partenza o di appoggio delle carovane, funzionarî e ufficiali romani.

Nell'anno 105 Traiano, che già qualche anno prima, morto il re della Giudea, aveva riunito questa alla provincia della Siria, mettendola sotto la diretta sovranità di Roma, pensò di fare altrettanto con il regno dei Nabatei; ordinò pertanto al legato della Siria, A. Cornelio Palma, di deporre il re, e di ordinare il territorio a provincia (Cass. Dio., LXVIII, 14; Amm. Marc., XIV, 8). È probabile che tale provvedimento incontrasse l'opposizione degl'indigeni e richiedesse l'uso di forze militari, tanto più che al legato furono per essa decretati dal senato gli ornamenta triumphalia, benché non si possa parlare di vera e propria guerra di conquista.

Dalla nuova provincia fu esclusa la parte più interna e più lontana, che i re avevano posseduta verso mezzogiorno nella penisola arabica, come quella che non aveva importanza agli effetti della valorizzazione economica, e male poteva essere difesa dalle scorrerie dei popoli nomadi del deserto; d'altro lato la regione settentrionale, con Damasco, che è probabile fosse stata occupata già prima dai Romani, e con altre città, fu aggregata, almeno nel primo ordinamento della provincia stessa, alla Siria. Il governo ne fu affidato ad un legatus Augusti pro praetore, detto anche talvolta nelle iscrizioni praeses; la capitale rimase nei primi tempi a Petra, ma anche la seconda città, per importanza, della provincia, cioè Bostra, situata alquanto più a settentrione, ricevette favori da Traiano; essa divenne la sede della legione terza Cirenaica, mandata a presidiare il nuovo possesso, e più tardi anche quella del governatore; l'era di Bostra, che s'iniziava con l'equinozio di primavera dell'anno 106 d. C., fu scelta anzi come l'era di tutta la provincia. Accanto al governatore, un procurator, del quale però troviamo rara menzione nelle epigrafi, aveva la responsabilità dell'amministrazione finanziaria.

La guarnigione militare era costituita, oltre che dalla legione già detta, da un'altra legione, la quarta Marzia, e da numerosi corpi ausiliarî, sia di fanteria che di cavalleria, regolari e irregolari; la sua efficienza si appoggiava inoltre, e di esse s'integrava naturalmente, alle fortificazioni del limes che chiudeva la provincia ad Oriente, di dove soprattutto premevano contro di essa le nomadi popolazioni del deserto. Data la natura del paese, è probabile che il limes fosse costituito da soli fortilizî posti a distanza l'uno dall'altro e in collegamento fra loro mediante strade, ma non congiunti da un'opera continua, come erano il Vallo della Britannia, o il muro e le palizzate del Danubio e del Reno. Molti di questi castelli furono esplorati dal Domaszewski col Brünnow, e testimoniano la cura che alla loro costruzione e alla loro manutenzione rivolsero gl'imperatori da Traiano ai Severi e a Diocleziano.

Né minor cura fu da questi rivolta alle strade, la cui importanza era insieme militare e commerciale. Già subito dopo la costituzione del paese a provincia romana, Traiano ordinava al legato C. Claudio Severo (111 d. C.) la costruzione di una grande arteria, che, muovendo dalla Siria, giungeva fino al Mar Rosso, ad Aila (ora rovine di Ailah od Īlah a km. 1½ da el-‛Aqabah) sul golfo Elanitico: redacta in formam provinciae Arabia viam novam a finibus Syriae usque ad mare Rubrum aperuit et stravit (Corpus, III, 14149). D'altronde il valore maggiore alla nuova provincia derivava soprattutto dal suo trovarsi su una delle grandi vie commerciali, che dai paesi africani a sud del Mar Rosso o dall'India volgevano al Mediterraneo.

Nel corso del sec. III, con Settimio Severo secondo alcuni, con Diocleziano secondo altri, i confini della provincia subirono mutamenti, ampliandosi verso settentrione e verso occidente fino a comprendere alcuni distretti della Palestina sulla sinistra del Giordano, con le città di Gerasa (Gerash) e Philadelphia (‛Ammān). Più tardi, tra il sec. IV e il V, essa venne invece divisa in due parti, la settentrionale, con capitale ancora a Bostra, e la meridionale, con centro a Petra, che fu detta anche Palaestina salutaris o Palaestina tertia, forse perché già precedentemente distaccata dall'Arabia, e riunita alla vicina Palestina.

La dominazione romana, la sola che attraverso i secoli abbia potuto assicurare al paese un periodo di pace e di ordine interno, ebbe per effetto naturalmente di svilupparne al massimo grado il progresso civile e la prosperità economica. I Romani lasciarono, come di solito, alla popolazione indigena l'uso della propria lingua e la pratica dei culti e delle costumanze antiche: tuttavia è certo che con loro l'ellenismo si diffuse così ampiamente nella regione, che dopo il tempo di Traiano non si rinviene più in essa alcuna iscrizione che non sia in greco o in latino.

D'altro lato la coltura dei campi che, ostacolata o resa addirittura impossibile dalla natura sassosa del terreno sulle pendici orientali e meridionali del Ḥaurān, trova invece in alcune vallate ad occidente di questo un suolo straordinariamente felice, poté, non più insidiata come prima dalle scorrerie dei predoni, anzi agevolata da sapienti opere d'irrigazione, fiorire vigorosamente sotto il nuovo regime. Accanto all'agricoltura fu tuttavia ancora largamente praticata la pastorizia, che nelle zone montuose trovava, anche durante la stagione estiva, sufficiente e propizio campo di sviluppo.

La prova della floridezza raggiunta allora dalla regione si riflette, come sempre, nell'incremento della popolazione e dei centri agricoli e nello splendore edilizio delle città; del primo ci fa testimonianza la frequenza delle rovine in territorî oggi incolti e disabitati: rovine di edifici rustici, di muri di terrazzamento, di acquedotti; dell'altro abbiamo ancora la visione diretta nei monumenti di Bostra, alcune volte notevoli per le loro proporzioni, ma soprattutto pieni d'interesse per lo strano adattamento che i motivi dell'arte occidentale subirono al particolare gusto e alle particolari esigenze del paese. L'assoluta mancanza di legname obbligava i costruttori a servirsi unicamente della pietra, o a scavare e ricavare direttamente gli edifici nella roccia; onde Petra particolarmente ben conferma il suo nome nel bizzarro dispiegarsi e sovrapporsi dei suoi templi e delle sue tombe, dalle fronti adorne di colonne e di sculture, lungo i fianchi scoscesi di rupi, che sembran tagliate da mani di giganti. Il maggior numero di questi monumenti, come per es. le caratteristiche tombe con la fronte terminata in alto a doppia scaletta, simili a quelle di altre località della provincia, sono anteriori alla conquista romana; ma ve ne sono altri che senza dubbio vanno datati tra il II e il III sec. dell'era nostra.

Bibl.: E. De Ruggiero, in Diz. epigrafico, s. v. Arabia; Th. Mommsen, Le provincie romane da Augusto a Diocleziano (trad. di E. De Ruggiero), Roma 1888-90, p. 465 segg.; R. Brünnow e W. Domaszewski, Die Provincia Arabia, Strasburgo 1904-1909, 3 voll.; R. Paribeni, Optimus Princeps, Messina 1927, II, p. 6 segg.; Jaussen et Savignac, Mission archéologique en Arabie (marzo-maggio 1907), Parigi 1909-14, 2 voll.; G. Dalman, Petra und seine Felsheiligtümer, Lipsia 1908; id., Neue Petra-Forschungen, Lipsia 1912.

Il cristianesimo in Arabia.

Dal punto di vista della storia del cristianesimo e dell'ordinamento ecclesiastico è opportuno considerare la divisione dell'Arabia, usata all'epoca romana (sec. II d. C. e segg.), in: Arabia Deserta (ossia la Provincia Arabia), Arabia Petrea e Arabia Felice (ossia quasi tutta l'Arabia peninsulare, e in particolar modo il Yemen). La Petrea, che prese il nome dalla capitale Petra, si estendeva ad oriente del Giordano e del Mar Morto, dalla profonda spaccatura dell'Arnon fino al Golfo di el-‛Aqabah, e comprendeva inoltre l'intera penisola Sinaitica.

L'Arabia Deserta, che confinava con l'Arabia Petrea, comprendeva il paese situato a oriente della Perea oTrasgiordanica e a mezzogiorno della Fenicia Libanese, detta anche Siria di Damasco. Soggiogata insieme con l'Arabia Petrea da Traiano, venne come questa ordinata in provincia romana (v. arabia: Provincia romana).

Non esiste prova positiva della penetrazione cristiana già dall'epoca apostolica: è molto probabile che soltanto dopo l'annessione della provincia Arabia all'Impero (105), la capitale della nuova provincia, Bostra, diventata un importante nodo di comunicazioni, fosse anche un centro di propaganda cristiana. Checché ne sia, i primi cristiani d'Arabia di cui abbiamo notizia, sono eretici. Il grande dottore alessandrino, Origene (circa 185-253), ebbe più volte occasione di recarsi nella provincia d'Arabia, sia chiamato dai fedeli, sia per l'affare di Berillo vescovo di Bostra, caduto nell'eresia (prima metà del sec. III), sia per altre controversie. L'imperatore romano Filippo (244-249) era arabo di origine, forse cristiano di nascita, e rimase cristiano almeno nella sua vita privata; invece la celebre regina di Palmira, Zenobia, anche essa di razza araba, era pagana, benché abbia molto favorito, anche dopo la sua condanna come eretico, il vescovo di Antiochia Paolo Samosateno (260?-266?). Sappiamo da Eusebio che parecchi cristiani di Arabia soffrirono il martirio sotto Diocleziano, e che moltissimi altri, venuti da diverse regioni, furono condannati al lavoro delle miniere di Φαινώ, ossia l'odierna Khirbet Feinān (nella penisola del Sinai); molti altri fuggirono nei deserti della penisola arabica per evitare la persecuzione. Al concilio di Nicea (325) troviamo sei o sette vescovi della provincia di Arabia, che, secondo le antiche tradizioni sanzionate dal concilio, fece d'allora in poi parte del patriarcato di Antiochia ed è rimasta tale fino ad ora. Da quell'epoca il cristianesimo fece grandissimi progressi nella provincia romana, riuscì a contare una ventina di vescovadi raggruppati attorno alla metropoli Bostra, e così ci vien presentato dalla Notitia episcopale del patriarca di Antiochia Anastasio il Vecchio (558-569 e 593-599), alla vigilia della conquista musulmana.

A fianco degli abitanti delle città e dei villaggi della provincia romana erano numerosi nomadi di pura razza araba, mentre i primi erano o greci o ellenizzati su larga scala. Per mantenerli in pace con l'Impero, già dall'epoca degli Antonini (seconda metà del sec. II) sembra che si sia fatto ricorso all'istituzione degli etnarchi, chiamati più tardi filarchi (ϕύλαρχοι), capi indigeni subordinati ai Romani, poi ai Bizantini: ve ne era uno per tribù. Dal sec. IV alcuni furono cristiani, e presto ebbero anche vescovi proprî, spesso della loro razza. I monasteri della Palestina, così numerosi, erano pieni di Arabi, ed uno di loro, S. Elia, fu patriarca di Gerusalemme dal 494 al 518. Le discussioni dommatiche, passione del mondo bizantino già da quell'epoca, agitavano sempre i monasteri: così pian piano le tribù arabe nomadi abbracciarono il monofisismo e furono nel sec. VI tra i più forti sostenitori della nuova dottrina. La stessa organizzazione degli Arabi nomadi esisteva nel regno persiano dei Sāsānidi, ed erano ugualmente fedeli al monofisismo, mentre altri erano attaccati al nestorianismo. Tra tutte queste tribù, occorre ricordare i nomi dei Ghassān, dei Tanūkh, degli Iyād e dei Ṭayyi'.

Incerte sono le notizie intorno alla diffusione della religione cristiana nell'Arabia Felice. Si ritiene comunemente che le notizie, giunte fino a noi, di predicazioni avvenute nell'India e nell'Etiopia, si debbano riferire almeno in parte alla penisola arabica e specialmente alla parte meridionale di essa, cioè al Yemen. Là sarebbero pervenuti gli apostoli Bartolomeo e Tomaso; là Panteno (Pantaenus, Πάνταινος) di Alessandria avrebbe rinvenuto quel Vangelo ebraico che vi avrebbe lasciato san Bartolomeo. Ad ogni modo la propagazione un po' intensa del cristianesimo nel Yemen comincia solo alla fine del sec. IV, per opera di missionarî della setta monofisita, che costituirono chiese a Naǵrān, Zafār e ‛Aden (attestate al principio del sec. V), ed una prospera comunità a Naǵrān, perseguitata poi gravemente, per istigazione giudaica, nel primo ventennio del sec. VI (v. areta). La conquista abissina del Yemen nel 525 risollevò le sorti del cristianesimo monofisita; ma dopo poco più d'un secolo, nel 641, un ordine del califfo ‛Omar I espelleva tutti i cristiani dall'Arabia. Nel resto della penisola arabica esistettero fino all'età musulmana comunità cristiane senza coesione fra loro, senza organizzazione ecclesiastica e imbevute di eresie, delle quali si ha qualche riflesso in alcune dottrine del Corano od in alcuni spunti polemici in esso contenuti.

Al contrario, l'Arabia deserta (corrispondente all'incirca alla provincia romana d'Arabia) e l'Arabia Petrea ebbero per tempo una vera e propria organizzazione ecclesiastica. Di esse la prima venne aggregata al patriarcato di Antiochia; mentre la seconda fece parte del patriarcato di Gerusalemme sotto nome di Palestina III.

La provincia romana d'Arabia ebbe come metropoli Bostra, detta anche oggi Bosrà Eskī-Shām, città situata sulle estreme propaggini sud-occidentali del Gebel Haurān. A questa metropoli furono riunite molte sedi suffraganee, i cui nomi ci sono conservati dalle sottoscrizioni dei rispettivi vescovi intervenuti ai varî concilî, dai monumenti dell'epigrafia cristiana trovati in quelle regioni e da alcune liste compilate da scrittori ecclesiastici e pervenute fino a noi. Eccone un elenco in ordine alfabetico:

Bostra, metropoli.

Adraha, detta Edrai nell'A. Test., già città della Decapoli, oggi Der‛ā.

Bosana, oggi Būsān, sui pendii orientali del G. Ḥaurān.

Chrysopolis, da identificarsi con Phaena, oggi el-Mismiyyeh nell'el-Legiāh, a 24 miglia sulla via da Damasco a Bosrà.

Constantia, oggi Burāq, a sei ore circa a sud di Damasco.

Canatha, la Canatha dell'A. Test., l'attuale el-Qanawāt.

Dionysias, la stessa che Maximianopolis, oggi es-Suweidȧ.

Errha o Aere, la stessa che Hierapolis, oggi eṣ-Ṣanamein a sud di Damasco.

Esbus, l'Hesebon della Volgata, oggi Khirbet Ḥesbān, sulla via da 'Ammān a el-Kerak.

Euthymia, città d'incerta identificazione.

Gerasa, oggi Gerash, già città della Decapoli nella Trasgiordanica. Rimangono di essa importanti rovine.

Medaba, posta a 7 km. a mezzogiorno di Ḥesbān, oggi Mādabā.

Neapolis di posizione incerta.

Neila o Nilacome, oggi Khirbet en-Nīleh a 18 ore a sud di Damasco.

Neve, oggi Nawà, a un'ora a nord di Neila.

Phaene, v. Chrysopolis.

Dell'Arabia Petrea o Palestina III si può raccogliere invece la seguente lista episcopale:

Petra, metropoli, oggi Wȧdī Mūsā.

Achis, oggi er-RāŞif presso ‛Ain-Fatah.

Aela, l'antica Elath., oggi rovine di Ailah od Īlah, a 20 minuti da el-‛Aqabah, in fondo al golfo orientale del Mar Rosso.

Arad, oggi Tell ‛Arad, a sud di Ebron, nel deserto.

Areopolis, l'antica Rabbath-Moab, oggi er-Rabbah, sulla via da Dībāna el-Kerak.

Arindela, oggi el-Gharandal, a NO. di el-‛Aqabah.

Bacatha, d'incerta posizione, ma probabilmente non molto lungi da Gaza (Ghazzah).

Elusa, oggi el-Khalaṣah a mezzogiorno di Beerseba.

Charac-Moba, oggi el-Kerak.

Jotapa, oggi isola et-Tīrān, sede stabilita per i Beduini alla punta meridionale della penisola Sinaitica.

Pharan, sede celebre nella storia monastica e situata nel wādī Feirān, nella parte occidentale della penisola del Sinai. Più tardi, per sottrarre i monaci alle angherie dei Saraceni, la sede venne trasferita al Monte Sinai.

Pheno, oggi Khirbet Feinān, località ricordata anche dal Martirologio Romano come luogo di deportazione di alcuni confessori della fede ad metalla damnati.

Zoara, oggi eṣ-Ṣafiyyah nell'el-Ghōr, all'estremità meridionale del Mar Morto.

Le due provincie ecclesiastiche durarono ed ebbero una certa prosperità fino a che i Musulmani non si furono resi padroni del paese. Se da quell'epoca la vita cristiana non venne interamente a mancare, si cessò d'averne notizie sicure.

Sono ricordati nel Medioevo i vescovadi latini di Bostra, di Dionysias, di Chrysopolis, di Constantia, di Petra, ecc.; ma essi non durarono più di quanto durò il regno latino di Gerusalemme.

Oramai in tutto il territorio, occupato già dall'antica provincia d'Arabia e dalla Palestina III, non rimangono che un vescovado greco-unito stabilito a Boṣrà e un vescovado greco-ortodosso denominato da Boṣrà e Mādabā, il cui titolare però risiede a Gerusalemme. Vi sono invece, sparse qua e là nella regione, diverse missioni alimentate dal clero del patriarcato latino di Gerusalemme.

Nell'Arabia propria non esistono più cristiani al di fuori di pochi Europei. La città di Aden ha fatto parte del vicariato apostolico latino d'Egitto fino al 1851 e dopo varî cambiamenti di giurisdizione fu eretto nel 1888 un vicariato apostolico a parte con residenza in Aden, affidato ai cappuccini italiani. Vi sono soltanto due stazioni: nel 1921 la popolazione cattolica era costituita da 818 anime.

Bibl.: Monografia di R. Aigrain, in Dict. d'hist. et de géogr. eccl. III, coll. 1158-1339, con bibl.; L. Duchesne, Histoire ancienne de l'Église, 3ª ed., III, Parigi 1910, pp. 570-579; id., L'Église au VIe siècle, Parigi 1925, pp. 287-294; id., Autonomies ecclésiastiques: églises séparées, Parigi 1896, pp. 300-352. Le identificazioni delle città episcopali della Provincia Arabia proposte da S. Vailhé, in Échos d'Orient, II (1899), pp. 171-179, sono discusse dall'Aigrain, l. cit. La biografia del patriarca di Gerusalemme, Elia, in Conférence de Saint Étienne (di Gerusalemme) 1909-1910, Parigi 1910, pp. 287-320. Statistica dei cristiani melkiti in C. Korolevskij, Histoire des patriarcats melkites, III, Roma 1911, pp. 303-307, 345-347. Sul Vicariato apostolico di Aden v. Missiones catholicae, Firenze 1922, pp. 44-45.

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