APPROSSIMAZIONE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

APPROSSIMAZIONE (III, p. 767)

Enzo Aparo

Si abbia un insieme E di elementi, di natura qualsiasi, e sia x un suo elemento. È frequente l'uso nel linguaggio comune di affermazioni, quali "y approssima x", "y è abbastanza vicino a x", "y assomiglia a x". Tali affermazioni, spesso vaghe e basate su valutazioni soggettive, divengono corrette e verificabili, e riferibili a ogni elemento di E, se si dispone di un criterio oggettivo in base al quale viene associato a ogni coppia x, y di elementi di E, un numero reale d(x,y) da chiamarsi "distanza di x da y".

D'accordo con l'intuizione, si richiede che valgano le seguenti relazioni: (1) d(x, y) = d(y, x) (x dista da y tanto quanto y da x); (2) d(x, y) ≥ 0 per ogni coppia x, y; (3) d(x, y) = 0 se e solo se x coincide con y; (4) per ogni terna x,y,z di elementi di E, d(x,z) ≤ d(x,y) + d(y,z); (quest'ultima proprietà corrispondente a quella, ben nota, che la somma della lunghezza di due lati di un triangolo non è inferiore alla lunghezza del terzo lato). Gl'insiemi per i quali sia stata introdotta una nozione di "distanza" vengono chiamati "spazi metrici". Con riferimento a uno spazio metrico, diremo che y approssima x a meno di ε, se d(x,y) 〈 ε. Se y e z approssimano x e d(x,y) 〈 d(x,z) diremo che y approssima x meglio di quanto lo approssimi z.

Esempi. 1) Sia E l'insieme dei numeri reali; si ponga d(x,y) = ∣ x y ∣. Risulta ∣ √2 − 1,4142 ∣ 〈 10-4; il numero 1,4142 approssima √2 a meno di ε, per qualsiasi ε ≥ 10-4.

Nel caso di numeri reali, se a approssima x a meno di ε ed è 〈 x, si dice che a è un'a. di x per difetto; se è > x, che è un'a. di x per eccesso. Il numero ε si chiama "errore assoluto"; si parla invece di "errore relativo" per il rapporto ε/x (con x ≠ 0).

2) Sia l'insieme della n-ple ordinate di numeri reali. Indichiamo con x la n-pla x1,...,xn, con y la n-pla y1,...,yn. Ponendo d(x,y) = [(x1y1)2 + ... + (xnyn)2]½, E diviene uno spazio metrico, il cosiddetto spazio reale euclideo a n dimensioni.

3) Se E è l'insieme delle funzioni reali continue sull'intervallo (a,b) dell'asse reale, si può assumere come distanza d(f,g) fra due funzioni di E:

cioè la massima distanza fra punti di uguale ascissa sui due grafici di f e g.

4) Sia E l'insieme delle funzioni reali, tali che il loro quadrato sia integrabile secorido Lebesgue nell'intervallo [a,b]; si ponga:

5) Sia E l'insieme delle funzioni reali, tali che il modulo della potenza p-esima sia integrabile secondo Lebesgue in [a,b] e:

Se esiste un sottoinsieme E′ di infiniti elementi di uno spazio metrico E, tale che per ogni ε > 0 vi è qualche x′ ∈ E′ per cui d(x,x′) 〈 ε, si dice che x è approssimabile mediante gli elementi di E′. Per es., se E è lo spazio dell'esempio 3, con la distanza [1], e E′ è la classe dei polinomi p(x), si dimostra che ogni elemento di E è approssimabile con gli elementi di E′ (teorema di Weierstrass). Si parla, nel caso della metrica definita da [1], di "a. uniforme".

Lo stesso risultato vale quando E è l'insieme delle funzioni continue e periodiche di periodo

ed E è la classe dei polinomi trigonometrici in x, cioè della forma

con n intero arbitrario (teorema di L. Fejèr).

Sia E lo spazio metrico delle funzioni reali di quadrato integrabile secondo Lebesgue in [a,b], con la distanza [2]; E′ l'insieme delle funzioni reali g(x) tali che esse e tutte le loro derivate g(h) (x) (h = 1,2,... ) siano continue in [a,b] e nulle agli estremi. Ogni elemento di E è approssimabile mediante elementi di E′. Si parla, nel caso della metrica definita da [2], di "a. in media".

Dato uno spazio metrico E, un suo elemento x e un suo sottoinsieme E′, si dirà che l'elemento y di E′ è la "migliore a." di x in E′, se per ogni z di E′ si ha d(x,y) ≤ d(x,z). Naturalmente, non è detto che un tale y, di minima distanza da x, esista.

Risultati particolarmente importanti, anche per le applicazioni, relativi al tema della migliore a., si ottengono quando s'introducono le nozioni di "spazio lineare" e di "norma". Per definirle, richiamiamo in primo luogo la nozione di "gruppo additivo". L'insieme G, di elementi quali si vogliano, è un gruppo additivo se è data una legge che a ogni coppia ordinata a, b di elementi di G associa un elemento c, anch'esso di G, da indicarsi con a + b, e inoltre: (I) vi è un elemento 0 di G, tale che a + 0 = 0+ a = a per ogni a di G; (II) per ogni a di G vi è un elemento b di G tale che a + b = b + a = 0 (quest'ultimo si suole indicare con −a); (III) per ogni terna a,b,c di G si ha a + (b + c) = (a + b) + c. Un gruppo additivo G è uno "spazio lineare reale" se è definita una legge che a ogni coppia (α,g) con α reale e g G associa un elemento di G, denotato con αg, e risulta:

"Norma" su uno spazio lineare reale E è una legge che a ogni suo elemento x associa un numero reale non negativo, denotato con ∥ x ∥, tale che: 1) ∥ x ∥ = 0 se e solo se x = 0; 2) ∥ αx ∥ = ∣ α ∣ ∥ x ∥ per ogni reale α; 3) ∥ x + y ∥ ≤ ∥ x ∥ + ∥ y ∥ per ogni coppia x, y di elementi di E. Uno spazio lineare, con l'introduzione di una norma, diviene uno "spazio normato". Esso risulta anche uno spazio metrico, se si assume come distanza d(x,y) il numero ∥ x y ∥.

Gli spazi menzionati in precedenza come esempi sono spazi normati, con norme, rispettivamente:

È necessario, per il seguito, ricordare la nozione di "dipendenza lineare". Gli elementi x1,x2,... ,xn di uno spazio lineare reale E si dicono "linearmente indipendenti", se la relazione α1x1 + α2x2 ... + αnxn = 0 implica α1 = α2 = ... = αn = 0.

Uno spazio lineare reale ha "dimensione" n, se non esistono n + 1 suoi elementi linearmente indipendenti, ed esistono invece n suoi elementi x1,x2,...,xn linearmente indipendenti (si dirà che questi ultimi costituiscono una ("base" per lo spazio). Nelle applicazioni risulta di grande importanza l'approssimare quanto meglio è possibile elementi di uno spazio normato E mediante elementi di uno spazio En di dimensione finita. Si dimostra che, per ogni scelta di n elementi x1,...,xn linearmente indipendenti di uno spazio normato E, dato un x E, fra tutte le n-ple di reali α1,...,αn ve n'è qualcuna per cui la norma ∥ x − α1x1 ... − αnxn ∥ risulta minima. L'insieme delle n-ple che forniscono tale minimo è convesso, e si riduce a un punto se la norma in E soddisfa la seguente proprietà: ∥ x + y ∥ = ∥ x ∥ + ∥ y ∥ se e solo se x = αy per qualche α ≠ 0, oppure uno almeno dei due elementi x, y è nullo.

Nel caso che E sia l'insieme delle funzioni continue in [a,b], con norma

si parla di "a. secondo P. L. Čebyšev"; se, viceversa, la norma è ∥ f ∥ =

si parla di "a. in media".

Sembra naturale che la migliore a. di un elemento x di E mediante elementi di uno spazio di dimensione finita, En, approssimi x tanto meglio quanto più grande è n. Denotando con xn(n = 1, 2, ...) la migliore a. (supposta unica) di x in En, si dirà che la successione {xn} approssima x nella norma di E, con ordine α (dove α denota un reale positivo) se esiste una costante k > 0 tale che ∥ x − xn ∥ ≤ kn. Una relazione di questo genere è utile per una valutazione della complessità di calcolo.

Esempio. Denotiamo con Tn-1 (x) la classe delle somme trigonometriche del tipo:

sia f (x) continua e periodica assieme alla sua derivata prima f ′(x) in [0, 2π]. Posto

esiste una costante positiva k tale che

Tale risultato è un caso particolare di un teorema dovuto a D. Jackson.

Dati due spazi normati X, Y, con norme rispettive ∥ ∥X, ∥ ∥Y, si definisce "trasformazione lineare" di X in Y una legge T la quale a ogni x X associa uno e un solo elemento y Y (che indicheremo con Tx) in modo tale che T1x1 + λ2x2) = λ1Tx1 + λ2Tx2 per ogni coppia di reali λ1λ2. Una trasformazione lineare è "continua", se esiste una costante N tale che ∥ Tx Y N x X. Definendo la somma di due trasformazioni e il prodotto per un numero reale come nel caso delle funzioni reali, lo spazio delle trasformazioni lineari e continue risulta uno spazio lineare. Lo si può trattare come spazio normato, ponendo

Se Y è lo spazio dei reali con ∥ α ∥Y = ∣ α ∣ e X è un qualsiasi spazio normato, la T viene chiamata funzione lineare.

Molti problemi che si presentano nelle applicazioni dell'Analisi possono essere così formulati: dati T e un y Y, trovare un x X tale che Tx = y. Oppure, nel caso che T sia un funzionale, fornire un'approssimazione di T(x), in corrispondenza a un dato x, nel senso già precisato. In assenza di una formula risolutiva del problema in termini espliciti, si ricorre spesso a procedimenti di a. basati sui seguenti principi. S'introducono: una successione {Tn} di trasformazioni lineari, e due successioni di trasformazioni lineari

che a X e Y, rispettivamente, associano spazi di dimensione finita Xn, Yn, in modo che, per n + ∞, si abbia

Le Tn risultano così "approssimazioni" della T. Sotto opportune condizioni, ogni soluzione di Tx = y (se esiste) è approssimabile mediante le soluzioni delle equazioni Tnxn = yn.

Esempio. Consideriamo l'intervallo reale [0,1] e sia X = {u(x) ∈ C°[0,1]} con ∥ uX =

Per ogni intero positivo N indichiamo con XN lo spazio dei vettori uN ad N componenti in cui:

In X definiamo il funzionale lineare e continuo:

In XN definiamo il funzionale lineare e continuo:

Poniamo ancora:

Si verifica immediatamente che sono verificate le condizioni richieste perché Tn costituisca una a. di T.

Quanto si è detto trova vasto impiego nella risoluzione numerica di sistemi di equazioni differenziali, ordinarie o a derivate parziali. L'introduzione della

corrisponde alla "discretizzazione" del problema. Le trasformazioni Tn, nei metodi di "differenze finite", si presentano allorché si sostituiscono le derivate, ordinarie o parziali, con opportuni rapporti incrementali di vari ordini. Per queste ultime definizioni e metodi, v. numerici, calcoli in App. III, 11, p. 286.

Bibl.: N. I. Achieser, Theory of approximation, New York 1956; P. J. Davis, Interpolation and approximation, ivi 1963; E. W. Cheney, Introduction to approximation theory, New York e Londra 1966; D. C. Handscomb, Methods of numerical approximation, Londra 1966; G. Meinardus, Approximation of functions. Theory and numerical methods, Berlino 1967; J. R. Rice, The approximation of functions, Reading. Mass., 1969; Approximate solution of operator equations (a cura di Autori vari), Groninga 1970.

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