Appello. L'impugnazione incidentale tardiva

Libro dell'anno del Diritto 2012

Appello. L'impugnazione incidentale tardiva

Claudio Contessa

Appello.
L'impugnazione incidentale tardiva

L’art. 96, co. 4, c.p.a. supera la giurisprudenza del Consiglio di Stato – secondo cui nel processo amministrativo non si applica l’istituto dell’appello incidentale tardivo di cui all’art. 334 c.p.c. – e ammette l’appello incidentale tardivo anche in relazione a «capi autonomi della sentenza». La giurisprudenza del Consiglio di Stato del 2011 (sez. VI, n. 4122/2011) ha ritenuto che, per ragioni sistematiche, il principio da ultimo trasfuso nel citato art. 96 debba trovare applicazione anche in relazione alle controversie anteriori all’entrata in vigore del codice.

La ricognizione

Dopo decenni di dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, l’art. 96 c.p.a. ha sancito la proponibilità dell’appello incidentale tardivo (art. 334 c.p.c.) anche al fine di censurare capi della sentenza autonomi rispetto a quelli impugnati in via principale. In tal modo è stata superata la costruzione giurisprudenziale che, prendendo le mosse dalla previsione di cui all’art. 37 del t.u. Cons. St. (e di cui all’art. 29 l. TAR) aveva – per un verso – generalizzato la figura dell’appello incidentale, ma aveva – per altro verso – scisso la figura unitaria nelle due ipotesi del cd. appello incidentale in senso proprio e in senso improprio, giungendo a conclusioni diverse per ciò che attiene i relativi termini processuali. Nonostante la prevalente giurisprudenza amministrativa avesse fino a tempi recenti affermato che l’appello incidentale tardivo di cui all’art. 37 c.p.c. fosse possibile solo se proposto avverso gli stessi capi della decisione impugnati principaliter ovvero avverso capi dipendenti o connessi con i primi (dovendosi in ogni altro caso rispettare il termine per la proposizione dell’appello in via principale), gli estensori del codice hanno deciso di imprimere alla questione una decisa innovazione, sostanzialmente conforme all’acquis giurisprudenziale formatosi sulla previsione di cui all’art. 334 c.p.c. sin dal revirement di cui alla sentenza, S.U., 7.11.1989, n. 46401. Dalla relazione governativa al codice emerge che l’approccio in questione è stato seguito «allo scopo di risolvere contrasti di giurisprudenza », nonché in considerazione del dato sistematico che annette all’appello incidentale (anche in senso improprio) la natura di ritorsione in senso processuale. In tal modo viene giustificata la scelta di prevedere conseguenze processuali (come la perdita di efficacia dell’impugnazione incidentale in caso di declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale) che la pregressa giurisprudenza riteneva riferibili soltanto a un’impugnazione di carattere subordinato e dipendente come l’appello incidentale ‘in senso proprio’. Si è posta, a questo punto, la questione relativa al se applicare il nuovo approccio anche alle controversie instaurate prima dell’entrata in vigore del codice (in particolare: agli appelli incidentali ‘in senso improprio’ incardinati prima del 16 settembre 2010). Con la sentenza 8.7.2011, n. 41222, la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha risolto la questione in senso affermativo, sancendo l’applicabilità delle disposizioni in tema di impugnazione tardiva di cui all’art. 37, co. 1, t.u. Cons. St. anche agli appelli incidentali in senso improprio anteriori all’entrata in vigore del codice.

La focalizzazione

Prima di soffermarsi sulle novità introdotte dal c.p.a. in tema di impugnazione incidentale tardiva (si tratta del co. 4 dell’art. 96, il quale opera espresso rinvio all’art. 334 c.p.c.) e sui primi orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto, appare opportuno operare una breve ricostruzione del panorama normativo e giurisprudenziale formatosi sulla previsione (invero, di non agevole lettura) di cui ai co. 1 e 4 dell’art. 37 t.u. Cons. St. in relazione alla previsione di cui all’art. 29 l. TAR.

2.1 La tradizionale distinzione fra appello incidentale cd. ‘proprio’ ed ‘improprio’: le distinzioni in tema di termini processuali

All’indomani dell’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali (l. 6.12.1971, n. 1034) e della tendenziale trasformazione del giudizio innanzi al Consiglio di Stato in giudizio di appello ci si interrogò circa il se la previsione di cui all’art. 37 cit. (inizialmente dettata al fine di ammettere il ricorso incidentale nell’ambito di un giudizio articolato in unico grado) fosse altresì idonea a supportare l’esperibilità di un appello incidentale secondo modalità peculiari rispetto a quelle di cui agli artt. 333 e 334 c.p.c.3 La dottrina e la giurisprudenza conclusero in senso affermativo, rilevando tuttavia che la previsione di cui all’art. 37, co. 6, t.u. Cons. St. (secondo cui «il ricorso incidentale non è efficace, se venga proposto dopo che siasi rinunziato al ricorso principale, o se questo venga dichiarato inammissibile, per essere stato proposto fuori termine») delineasse l’appello incidentale come rimedio di carattere subordinato e dipendente rispetto all’appello proposto in via principale4. Tuttavia, l’approccio in questione sembrava effettivamente convincente solo per l’ipotesi in cui l’interesse ad appellare sorgesse per effetto della proposizione del gravame in via principale (e si riferisse, in definitiva, ai medesimi capi della sentenza impugnati principaliter, in tal modo giustificando il carattere subordinato di tale impugnativa). Al contrario, il medesimo approccio risultava meno persuasivo per l’ipotesi in cui l’interesse ad impugnare sorgesse in capo all’appellante incidentale in modo autonomo (ossia, in relazione a capi della sentenza diversi rispetto a quelli impugnati in via principale). In tali ipotesi, l’onere di proporre l’impugnativa nella forma dell’appello incidentale rispondeva – a ben vedere – a mere ragioni di concentrazione processuale (simili a quelle che hanno ispirato la stesura dell’art. 333 c.p.c.), dovendosi riconoscere che, sotto il profilo sostanziale, l’appello in questione in nulla si distingueva da un gravame autonomo, rinvenendo l’ubi consistam direttamente nel contenuto della sentenza impugnata e non nella proposizione del gravame in via principale. Per le medesime ragioni si era fatta largo nel corso degli anni la consapevolezza per cui in tali ipotesi (che in seguito sarebbero state compendiate nella formula dell’appello incidentale in senso improprio) non trovasse un’effettiva giustificazione la previsione di cui all’art. 37, co. 1, t.u. Cons. St. il quale consente la proposizione dell’appello incidentale secondo una tempistica più dilazionata rispetto a quella prevista per il ricorso principale (in base alla disposizione in questione, l’appello incidentale può essere proposto nel termine di trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso principale). Per queste ragioni la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., A.P., 18.7.1983, n. 20)5 affermò la tardività dell’appello incidentale proposto dal ricorrente (parzialmente soccombente in primo grado) oltre il termine decorrente dalla notificazione della sentenza appellata da esso stesso effettuata, se il suo interesse derivasse direttamente da questa, e non dalla proposizione dell’appello principale. In questo modo, la giurisprudenza amministrativa delineò la distinzione (in seguito largamente invalsa) fra:

a) (da un lato) il cd. ‘appello incidentale in senso proprio’ (inteso come rimedio subordinato e dipendente rispetto a quello principale, proposto da chi abbia tratto beneficio dalla sentenza di primo grado avverso il medesimo capo della sentenza gravato in via principale, oppure avverso un capo connesso o dipendente) e

b) (dall’altro) il cd. ‘appello incidentale in senso improprio’ (inteso come rimedio di carattere autonomo, proposto da un soggetto risultato – sia pure parzialmente – soccombente in primo grado avverso capi della sentenza distinti e diversi rispetto a quelli impugnati in via principale)6. Ebbene, per ciò che attiene la disciplina dei termini, la giurisprudenza amministrativa aveva chiarito che il regime processuale di cui all’art. 37 cit. fosse applicabile alle sole ipotesi di appello incidentale in senso proprio, mentre occorresse osservare gli ordinari termini di cui all’art. 28, co. 2, l. TAR nell’ipotesi di appello che, sebbene qualificato come incidentale, fosse rivolto avverso un capo autonomo della sentenza già appellata ovvero a far valere un interesse autonomo (in tal senso – ex multis – : Cons. St., sez. V, 29.11.1994, n. 1424; Id., sez. VI, 11.9.1999, n. 1179, ma anche – in tempi più recenti7: Id., sez. V, 4.5.2011, n. 2659; Id., sez. IV, 8.3.2011, n. 1423; Id., sez. VI, 28.1.2011, n. 642)8. Nel secondo novero di ipotesi, quindi, l’obbligo di proporre l’appello incidentale nell’ambito della medesima vicenda processuale non derivava dal carattere subordinato dell’impugnativa, bensì (ai sensi dell’art. 333 c.p.c. e nell’ottica della concentrazione dei rimedi processuali e del simultaneus processus) dal solo fatto di essere proposto successivamente al ricorso principale9.

2.2 I rapporti fra l’art. 37 t.u. Cons. St. e l’art. 334 c.p.c.

L’orientamento giurisprudenziale richiamato nella parte finale del precedente paragrafo (e rimasto largamente prevalente sino all’entrata in vigore del codice del processo), se per un verso aveva il merito di aver declinato la figura dell’appello principale secondo le peculiarità del processo amministrativo (e tenendo in adeguata considerazione la ratio originaria dell’art. 37 t.u. Cons. St., evidentemente volto a plasmare un rimedio di carattere dipendente e subordinato), per altro verso aveva determinato una divaricazione solo in parte giustificata rispetto al modello processualcivilistico di riferimento (l’art. 334 c.p.c. in tema di impugnazioni incidentali tardive). Ed infatti: – mentre l’art. 334 c.p.c. consente l’impugnazione incidentale tardiva a prescindere dal se essa riguardi gli stessi capi della sentenza impugnati in via principale10 e riconosce in ogni caso il carattere subordinato dell’impugnazione incidentale11; – al contrario, nel modello giurisprudenziale delineato dal Consiglio di Stato, la particolare forma di impugnazione incidentale tardiva di cui all’art. 37, co. 1, t.u. Cons. St. risultava possibile solo nel caso di impugnativa avverso i medesimi capi della sentenza impugnati principaliter (ovvero avverso capi dipendenti o connessi) e riconosceva il carattere subordinato dell’impugnazione incidentale solo nell’ipotesi del cd. ‘appello incidentale in senso proprio’. Come si avrà modo di osservare nei prossimi paragrafi, mentre la giurisprudenza della Cassazione civile ha superato già da oltre due decenni i limiti oggettivi all’ammissibilità dell’appello incidentale tardivo, al contrario, la giurisprudenza amministrativa di appello ha operato tale superamento solo in tempi recentissimi e sulla spinta della novella normativa del 2010.

2.3 La Cassazione supera il principio dell’inapplicabilità dell’art. 334 c.p.c. all’appello incidentale relativo a capi autonomi della sentenza

Invero, fino al 1989 anche la giurisprudenza civile affermava (con orientamento piuttosto consolidato) che la previsione di cui all’art. 334 c.p.c. in tema di impugnazioni incidentali tardive non trovasse applicazione a fronte di qualunque ipotesi di appello incidentale, ma solo nelle ipotesi in cui il gravame fosse rivolto avverso i medesimi capi dalle sentenze gravati in via principale, ovvero avverso capi dipendenti o connessi con i primi. Tuttavia, l’approccio in questione conobbe un netto revirement con la sentenza, S.U., 7.11.1989, n. 464012 la quale determinò un ampliamento dell’ambito di effettiva applicazione della richiamata previsione codicistica, svincolandone l’operatività dal riferimento ai capi della sentenza oggetto dell’impugnativa. Secondo la S.C. tale approccio viene suggerito dall’osservazione della concreta dinamica dei rapporti processuali, atteso che «nella visione pratica delle parti l’unicità del processo assorbe e fonde, come elementi di un tutto, le varie domande proposte, senza che si possa distinguere tra domande autonome e domande connesse». Pertanto, poiché l’art. 334 c.p.c. ha lo scopo di rendere possibile alla parte parzialmente soccombente di accettare la sentenza soltanto se la medesima venga accettata anche dalla controparte, senza dover subire gli effetti dello spirare del termine o della propria acquiescenza, le parti contro le quali sia stata proposta impugnazione (o quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.) possono proporre impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza, non esistendo alcun limite oggettivo all’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva medesima.

2.4 La giurisprudenza del Consiglio di Stato conferma, invece, l’orientamento tradizionale

Nonostante la notevole importanza sistematica del revirement delle S.U. del 1989 in tema di impugnazioni incidentali tardive, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è rimasta per molti anni (di fatto, fino all’entrata in vigore del codice) ancorata al tradizionale approccio negatorio della possibilità di proporre appello incidentale tardivo nelle ipotesi dinanzi compendiate nella formula del cd. ‘appello incidentale in senso improprio’. In realtà, non erano mancati (in specie, nel corso dei primi anni duemila) taluni tentativi di estendere anche nel settore del processo amministrativo l’acquis giurisprudenziale della S.C. in subjecta materia, ma tali tentativi erano rimasti piuttosto isolati nell’ambito dell’adesione al tradizionale orientamento dinanzi richiamato al § 2.1. In particolare, il C.g.a. con sentenza 19.10.2005, n. 69113 (e, in seguito, con sentenza 23.9.2008, n. 78214), aveva ritenuto possibile operare anche nell’ambito del processo amministrativo un revirement simile a quello operato dalle Sezioni Unite nel 1989, «[considerando] tendenzialmente applicabili al processo amministrativo tutte le norme del codice di procedura civile che non sono derogate dalla specifica disciplina del processo amministrativo [in particolare, l’art. 334] né incompatibili con le specificità delle situazioni giuridiche soggettive tipicamente in esso tutelate». Tuttavia, l’approccio in questione non ha trovato adeguato seguito nell’ambito della giurisprudenza amministrativa in grado di appello ed è rimasto nel prosieguo sostanzialmente isolato. In particolare, il Consiglio di Stato (sez. V, 24.4.2009, n. 258815) non solo ha ribadito la perdurante validità del tradizionale approccio negatorio della possibilità di proporre appello incidentale tardivo (nelle forme dell’art. 37 t.u. Cons. St., ovvero dell’art. 334 c.p.c.) nel caso di appello relativo a capi della sentenza autonomi rispetto a quelli impugnati in via principale; ma ha anche motivato tale diversità rispetto al modello processualcivilistico rivendicandone la piena compatibilità con le peculiarità del modello tipicamente impugnatorio del processo amministrativo. In particolare, il Giudice amministrativo di appello ha affermato che la richiamata tesi negatoria risponde ad esigenze funzionali specifiche del processo impugnatorio, correlate alla necessità di «consolidare l’interesse pubblico cristallizzato nel provvedimento impugnato accelerando la formazione, anche progressiva, del giudicato sui singoli vizi di legittimità dedotti»16. Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, la perdurante validità del richiamato approccio discende altresì da ragioni strutturali, ancora una volta tipiche del modello impugnatorio plasmato sulla tutela degli interessi legittimi («dato che non si rinviene in capo all’appellante incidentale autonomo, a differenza di quanto accade nel processo civile avente ad oggetto diritti soggettivi, un interesse ulteriore che scaturisca dalla proposizione del gravame principale»).

2.5 L’art. 96 c.p.a. estende il ricorso all’appello incidentale tardivo anche all’impugnativa di capi autonomi della sentenza

Il codice del processo amministrativo è intervenuto con valenza decisamente innovativa sull’assetto giurisprudenziale delineato nei paragrafi precedenti, ammettendo l’appello incidentale cd. improprio tardivo secondo modalità in tutto simili a quelle tipiche dell’omologo modello processualcivilistico. In particolare il co. 4 dell’art. 96 (articolo rubricato Impugnazioni avverso la medesima sentenza) stabilisce ora che «con l’impugnazione incidentale proposta ai sensi dell’art. 334 c.p.c. possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia». La relazione governativa al codice chiarisce sul punto che la nuova disciplina è stata ispirata dall’intenzione di adeguare i principi ispiratori del codice agli omologhi istituti processualcivilistici (nonché alla giurisprudenza della S.C.), nonché allo scopo di risolvere contrasti in sede giurisprudenziale17. Dal punto di vista sistematico si osserva che la decisa volontà del legislatore del 2010 di estendere la proponibilità dell’impugnazione incidentale tardiva alle ipotesi di cd. ‘appello incidentale in senso improprio’ viene confermata dall’espressa previsione (invero, assente nell’ambito dell’art. 334 c.p.c.) secondo cui con il rimedio processuale in parola possono essere impugnati «anche capi autonomi della sentenza». Con il che, viene resa palese anche sotto il profilo testuale la voluntas legis tesa a superare i limiti oggettivi all’ammissibilità dell’appello incidentale tardivo enucleati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato sin dall’A.P. n. 20/198318.

I profili problematici

All’indomani dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (il quale, come osservato al paragrafo precedente, ha superato l’orientamento che negava nel rito amministrativo l’ammissibilità dell’appello incidentale improprio tardivo), la giurisprudenza ha dovuto affrontare la questione dell’applicabilità del principio in questione ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del codice. Ebbene, secondo un primo orientamento (invero conforme a quello largamente invalso prima dell’entrata in vigore del codice), dovrebbe in via tendenziale negarsi per il contenzioso pregresso la possibilità di ammettere l’appello incidentale improprio tardivo. La giurisprudenza in questione motiva sul punto con il tradizionale argomento secondo cui nel processo amministrativo l’appello incidentale autonomo o improprio, in quanto sostenuto da un interesse non dipendente dall’impugnativa principale, assume la veste formale del gravame incidentale al solo fine di realizzare il simultaneus processus, con la conseguenza che esso va proposto nei termini stabiliti per quello principale e, quindi, è assoggettato alla disciplina generale dettata dall’art. 28, l. 6.12.1971, n. 1034 e dall’art. 327 c.p.c. (in tal senso: Cons. St., sez. VI, 8.3.2011, n. 1423, ma anche: Id., sez. V, 12.5.2011, n. 2823; Id., 4.5.2011, n. 2659; Id., sez. VI, 24.2.2011, n. 1166 e Id., 28.1.2011, n. 642)19. In definitiva, seguendo l’approccio in questione dovrebbe affermarsi che l’ammissibilità dell’appello incidentale improprio tardivo sia limitata alle controversie sorte successivamente all’entrata in vigore del codice. L’orientamento in questione non è tuttavia pacifico. Al contrario, secondo una recente pronuncia della sesta Sezione del Consiglio di Stato (sez. VI, 8.7.2011, n. 4122)20, prevalenti ragioni sistematiche indurrebbero ad ammettere l’esperibilità del rimedio in questione anche per i ricorsi pendenti alla data di entrata in vigore del codice. Secondo i Giudici di Palazzo Spada (i quali, pure, riconoscono il carattere maggioritario della tesi che nega siffatta esperibilità), l’evoluzione in primis normativa degli anni più recenti induce a propendere per la diversa tesi secondo cui l’istituto dell’impugnazione incidentale tardiva nel processo amministrativo (art. 334 c.p.c.; ora: art. 96, co. 4, c.p.a.) assume valenza generale e non può essere limitato alle sole ipotesi di appello incidentale cd. ‘proprio’. Si ritiene opportuno riportare de extenso la parte centrale della decisione: «[è noto] che l’approccio in questione, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, prendeva le mosse dalla tendenziale applicabilità al processo amministrativo delle norme e dei princìpi del codice di procedura civile non espressamente derogate dalla disciplina specifica del rito amministrativo. Tale rinvio, nella materia qui in esame, si riempiva di contenuti a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione la quale, con la pronuncia n. 4640/1989, aveva superato i limiti oggettivi in tema di ammissibilità dell’appello incidentale tardivo (in tal modo operando un netto revirement rispetto al passato). Ebbene, è appena il caso di rilevare che l’approccio sistematico in questione ha segnato la più recente evoluzione anche del processo amministrativo. Ed infatti, il legislatore del 2010 ha ritenuto di recepire per intero la ratio sottesa alla formulazione dell’art. 334 c.p.c., consentendo in modo espresso nel rito amministrativo la proposizione tardiva anche dell’appello incidentale improprio, pur se ne ha contestualmente affermato la dipendenza dagli esiti dell’impugnazione principale («con l’impugnazione incidentale proposta ai sensi dell’articolo 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia »). La relazione governativa al codice riferisce al riguardo che «allo scopo di risolvere contrasti di giurisprudenza, l’impugnazione incidentale tardiva, conformemente alla sua natura di ‘ritorsione’, viene ammessa anche contro capi autonomi della sentenza: essa però, secondo la disciplina propria dell’impugnazione incidentale tardiva, perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile». Ad avviso del Collegio, quindi, la complessiva persuasività concettuale (anche in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice) della tesi che ammetteva in via generale l’impugnazione incidentale tardiva (senza precluderla nel caso dell’appello incidentale cd. ‘improprio’), nonché gli spunti sistematici rinvenibili dalla più recente evoluzione normativa inducono a propendere per la tempestività dell’appello incidentale [improprio tardivamente proposto anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a.]».

Note

1 In Foro it., 1989, I, 3405.

2 In www.giustizia-amministrativa.it.

3 Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, 920 ss.

4 Mastrandrea, Le impugnazioni ordinarie, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2005, 868.

5 In Foro amm., 1983, I, 1564.

6 Secondo Caianiello, Manuale, cit., Torino, 2003, 923, ss., l’appello incidentale in senso improprio può essere proposto in ipotesi di soccombenza sostanziale e risulta quindi sorretto da un autonomo interesse ad appellare.

7 Tutte in www.giustizia-amministrativa. it.

8 Caianiello, Manuale, cit., Torino, 2003, 925.

9Mercati, Commento all’art. 96, in Garofoli- Ferrari (a cura di), Codice del processo amministrativo, III, Roma, 2011, 1373 s.

10 «Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza» (co. 1).

11 «[Se] l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia» (co. 2).

12 In Foro it., 1989, I, 3405.

13 In Dir. giust., 2006, 84.

14 In Foro amm. - Cons. St., 2008, 2526.

15 In Foro it., 2010, I, 8.

16 Mercati, Commento all’art. 96, cit., 1376.

17 «Allo scopo di risolvere contrasti di giurisprudenza, l’impugnazione incidentale tardiva, conformemente alla sua natura di ‘ritorsione’, viene ammessa anche contro capi autonomi della sentenza: essa però, secondo la disciplina propria dell’impugnazione incidentale tardiva, perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile ».

18 In Foro amm., 1983, I, 1564.

19 Tutte in www.giustizia-amministrativa. it.

20 In www.giustizia-amministrativa.it.

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