APOLLONIO di Tiro, romanzo di

Enciclopedia Italiana (1929)

APOLLONIO di Tiro, romanzo di

Vincenzo Ussani

È una delle più celebri creazioni della letteratura narrativa nell'antichità. Il racconto si svolge press'a poco così. Il re Antioco, onde ebbe nome la città di Antiochia, s'innamorò di una figliuola che aveva, bellissima, e la violò. E per goder sempre di quell'empio amore, ai pretendenti che si presentavano numerosi a chiedere la mano della ragazza, proponeva a risolvere enigmi, mettendoli poi a morte con la ragione vera o mentita che non li avessero risolti. Capita un giovine tirio, Apollonio, di stirpe regia, il quale in realtà risolve l'enigma propostogli, ma, poiché il re nega che egli abbia colto nel vero, sicuro della morte che lo minaccia, risolve di fuggire. Nelle sue avventurose peregrinazioni, giunge a Cirene, vi guadagna con le sue straordinarie abilità, e con dei miracoli, il favore del re Archestrato e la mano di sua figlia. Sposato, riceve l'annunzio che il re Antioco è stato colpito dal fulmine celeste nel letto della figliuola e ad Antiochia hanno nominato re lui. Mentre egli viaggia con la moglie verso il trono offertogli, questa si sgrava di una bimba e sembra morire, sicché si deve in una ricca bara calarla in mare e il mare la porta ad Efeso, dove la bella sconsolata si rinchiude fra le sacerdotesse di Diana. Il protagonista da parte sua approda a Tarso, dove lascia, affidandola alle cure di un suo ospite, la bimba che si chiama Tarsia. Questa vien rapita da corsari e venduta ad un ruffiano di Mitilene; ma riesce a mantenersi pura e a guadagnarsi l'affetto di Atenagora, il sovrano del luogo. Dopo quattordici anni Apollonio, che aveva invano cercato la figlia a Tarso, è costretto da una tempesta a riparare a Mitilene. È la festa di Nettuno. Atenagora passeggiando sul lido scorge la bella nave, vi sale e, a consolare il disperato Apollonio, manda a chiamare dalla casa di piacere la bella Tarsia che il padre riconosce e dà, come principessa, in isposa ad Atenagora. Mentre poi sta per far vela alla volta di Tarso e di Tiro, gli appare in sogno un angelo che lo manda ad Efeso, dove ha luogo il riconoscimento della moglie. Indi a Tarso punisce i mali tutori della figliuola. Infine torna a Cirene, dove il vecchio Archestrato vive ancora. Sul trono di Cirene salirà un secondo figlio di Apollonio; questi conserverà i troni di Antiochia e di Tiro.

La data del romanzo, che ci è giunto anonimo, non può discendere più giù del sec. VI, giacché le avventure di Apollonio sono ricordate da Venanzio Fortunato (VI, 8, 5). Ma il conteggio del danaro in sesterzî e la denominazione di aureus per la moneta d' oro cessano nel sec. IV. Così è da credere che la composizione risalga al sec. III. Gl'influssi cristiani sono almeno dubbî, e non meno gl'influssi grammaticali e lessicali della Bibbia Vulgata. Il nome di angelus a indicare il messo divino è già nell'Asclepio dello pseudo-Apuleio (cap. 23). Anche i grecismi sono infida scorta a supporre un originale greco, giacché in quella tarda età una penetrazione di elementi greci, sia pure abbondanti, non può far meraviglia neppure in un'opera originale. I motivi fondamentali del racconto e i loro sviluppi facilmente si riducono ai tradizionali della novellistica. Quello fondamentale della ragazza che serba la sua purità nella casa di piacere, è pur nelle Controversie di Seneca (I, 2).

Il libro formò le delizie dell'età media. Ce n'è giunto un rifacimento in versi leonini del sec. XI, stampato dal Dümmler, in Mon. Germ. Hist., Poetae aevi carolini, 2, p. 483 seg. Segue il rifacimento poetico nel Pantheon di Goffredo da Viterbo (sec. XII), rifacimento che nelle diverse edizioni presenta diverse forme. Nel sec. XIV il racconto di Apollonio appare al n. 153 dei Gesta Romanorum. La prima versione volgare è in antico inglese (secoli X-XI). Segue nella prima metà del sec. XIII una versione in antico spagnolo; nel sec. XIV più versioni italiane e francesi. Nel 1300 all'incirca si ha un rifacimento tedesco in versi di Enrico di Neustadt e d'allora in poi si seguono versioni e rifacimenti in tutte le lingue fino al dramma Pericles prince of Tyre che si trova tra le opere dello Shakespeare, sebbene sembri in parte soltanto scritto da lui. Dal testo latino discendono anche le versioni neogreche.

I manoscritti più antichi sono del sec. X: il Laurenziano LXVI, 40 e il Vossiano 113, che rappresentano due diverse redazioni piuttosto che classi di manoscritti. L'edizione più consigliabile è la seconda del Riese (Lipsia 1893).

Bibl.: Lo studio più completo sull'argomento è quello di E. Klebs, Die Erzählung von Apollonius aus Tyrus, Berlino 1899. V. anche Rohde Der griech. Roman, 2ª ed., Lipsia 1900, p. 436 segg. Ricca bibl. presso M. Schanz, Römische Litteraturgesch., IV, ii, § 1043. Della versione spagnola si ha un'edizione eccellente di C. Caroll Marden in due volumi (Parigi 1917-1922) dei quali il secondo contiene studî sulla grammatica e il vocabolario del tseto volgare. Per le antiche versioni francesi in prosa è da vedere l'ampia trattazione di Ch. B. Lewis, in Romanische Forschungen, XXXIV (1913), p. 1-277. Estratti di una versione italiana (tosco-veneziana) pubblicò C. Salvioni da un manoscritto della Biblioteca reale di Torino (Bellinzona 1899).

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