Apocalisse

Enciclopedia Dantesca (1970)

Apocalisse

Raoul Manselli

. Ultimo libro del Nuovo Testamento, e unico profetico. Ne è autore, secondo un'antichissima tradizione, s. Giovanni evangelista, che lo avrebbe composto mentre si trovava in esilio nell'isola di Patmos. Nell'A., s. Giovanni, rivolgendosi alle sette Chiese dell'Asia, indica le circostanze della sua visione, riferendo come Cristo, rappresentato attraverso simboli, lo abbia incaricato di scrivere sette lettere a ognuna delle sette Chiese, e cioè Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea: di ognuna si rimproveravano le colpe e si indicavano i meriti, indirizzando loro anche avvertimenti e consigli.

La parte successiva, che è la più propriamente profetica, è variamente distinta in diverse sezioni, a seconda degli esegeti. È possibile tuttavia determinarvi una serie di visioni che per simboli e figurazioni narrano le vicende della Chiesa nel mondo fino al ritorno del Cristo. Vi hanno particolare rilievo alcune figure di grande importanza, ma assai difficili a intendersi: la donna che fugge nel deserto inseguita dal dragone (cap. 12); la bestia che sale dal mare, con sette teste e dieci corna; la bestia che si leva dalla terra; l'angelo dell'evangelo eterno e quelli che annunciano la caduta di Babilonia e delle altre bestie malvage; Babilonia, gran meretrice, e la sua rovina, seguita da quella di tutti i suoi seguaci e favoreggiatori.

Terza parte è poi quella che racconta la salvezza e la beatitudine degli eletti nella Gerusalemme celeste.

Questo libro assai complesso e oscuro, ove si avvertono spesso ripetizioni e richiami sì da indurre molti critici a supporre persino vari autori, è stato ed è oggetto di interpretazioni molteplici, anche se oggi si è generalmente disposti a ritenere l'A. una rappresentazione per immagini delle vicende della Chiesa nel suo incontro e scontro con Roma e col suo paganesimo nella prospettiva del ritorno di Cristo giudice, ritenuto imminente, e della beatitudine finale per coloro che avranno superato le terribili prove che li attendono.

Lasciando necessariamente da parte le discussioni critiche degli studiosi moderni, sarà opportuno ricordare come l'A. sia stata ben presto oggetto di commenti che si sono disposti dall'età patristica lungo tutto il Medioevo in due linee di sviluppo. La prima è attenta, in special modo, alla spiegazione letterale del testo, alle sue visioni, ai rapporti tra le visioni stesse, preoccupandosi, quanto all'interpretazione soprattutto, di curare il senso morale: è l'impostazione esegetica che ha le sue radici lontane in Vittorino di Pettau e in s. Girolamo, che fu poi ripresa e continuata da Primasio, Beda, Ambrogio Autperto e che alimentò Aimone di Auxerre, Bruno di Segni e le due glosse, l'interlinearis e l'ordinaria. Ne fu, infine, l'esponente più significativo Riccardo di San Vittore, mentre nell'esegesi scolastica del secolo XIII ha rilievo s. Alberto Magno.

Più importante, ai fini di comprendere il significato dell'A. nell'opera di D., è l'altra corrente esegetica, quella che dalle visioni di s. Giovanni cercò di ricavare lumi e indicazioni per comprendere l'andamento della storia della Chiesa nel suo sviluppo temporale e che, quindi, volle trovare nelle varie ripartizioni dell'opera le epoche e le vicende, appunto, della Chiesa. È questo il filone interpretativo che ha le sue origini in Ticonio, influendo poi anche su s. Agostino, e che si articola nel sistema cosiddetto della ricapitulatio: le sette lettere alle Chiese dell'Asia si riferiscono, in realtà, alle sette epoche della storia della Chiesa che vengono ulteriormente precisate e determinate grazie agli elementi offerti dalle visioni. Di queste ognuna, poi, ripercorre di volta in volta ancora le sette età della Chiesa, sì che chi voglia conoscere passato e presente potrà farlo riunendo i dati che offrono le lettere e le parti relative di ogni visione.

In tal modo ogni età risulterà dalla combinazione di una delle lettere e della parte corrispondente delle visioni successive: la prima, cioè, con tutte le prime parti delle sette visioni, la seconda con la seconda e così via di seguito. Ovviamente questi vari elementi potevano essere combinati solo ricorrendo all'interpretazione allegorica della scrittura. Nel secolo XII questo sistema interpretativo ebbe il suo culmine con Gioachino da Fiore, che all'A. appunto dedicò un commento, che è anche una delle sue opere di maggior rilievo.

Per Gioachino da Fiore la storia della Chiesa si articola in sette età: la prima è quella della Chiesa primitiva e degli apostoli; la seconda è quella dei martiri; la terza è quella degli eretici e dei grandi padri della Chièsa; la quarta è quella della fondazione dei grandi ordini monastici e in specie di s. Benedetto; la quinta, che è anche quella in cui Gioachino stesso scrive, è l'età culminante sia per la perfezione dei santi, sia per la cattiveria dei malvagi: si hanno perciò, l'una contro l'altra, l'Ecclesia generalis, santa, rappresentata da Gerusalemme, minacciata dalla Ecclesia malignantium, simboleggiata in Babylon.

Seguirà una sesta età in cui i malvagi saranno puniti, e una settima che segnerà l'avvento dell'età dello Spirito Santo, momento della rivelazione divina ed epoca di inebriante felice salmodia.

Senza estenderci sull'influenza profonda, ma spesso silenziosa e sotterranea, che Gioachino da Fiore esercitò su tutto il secolo XIII, diremo che egli fornì a una parte notevole del francescanesimo la possibilità di intendere la propria storia e la propria missione nella Chiesa. Di questo gioachimismo francescano fu l'esponente più grande Pietro di Giovanni Olivi, che, riprendendo le divisioni delle età della Chiesa proposte dall'Abate florense, ne accentuò il legame dialettico e la tensione drammatica. In ogni età si prepara la successiva grazie al contrasto tra forze cristiane e anticristiane: la quinta età è, perciò, il massimo di questa tensione; i malvagi, nella Chiesa, trionfano e più trionferanno nella loro avidità e cupidigia, mentre i seguaci più fedeli e poveri di s. Francesco soffrono perseguitati, anche se dall'A. possono attingere la fiducia incrollabile della loro vittoria finale; si vedrà allora la punizione della Chiesa carnale, di quella parte cioè che si è abbassata a compromessi con le ricchezze e la mondanità.

Sono questi i commenti a cui D., direttamente o indirettamente, si ispirò nella sua lettura dell'A., che, nel suo complesso, sembra aver esercitato, comunque, un'influenza ispiratrice sul poeta.

In questo ambito di idee ricordiamo, senza però poterla accettare, l'osservazione di M. Barbi, più volte ribadita, per cui D. si sarebbe ispirato direttamente all'A. senza nessuna influenza di Gioacchino da Fiore o dei gioachimiti: " La Divina Commedia è una profezia, una rivelazione; nessun dubbio. Ma Dante non ebbe bisogno perciò d'ispirarsi né ai sogni del monaco calabrese né a quelli dei seminatori di discordie nell'ordine francescano... ebbe più sincere fonti d'ispirazione nei profeti veri; gli bastarono per le sue figurazioni del paradiso terrestre gli elementi che gli eran dati dall'A.; ed anche per tuonare contro la Chiesa carnale aveva ben più alti esempi nella tradizione ecclesiastica stessa " (cfr. M. Barbi, Il gioachimismo francescano e il Veltro, in " Studi d. " XVIII [1934] 209-211, ripreso in termini quasi identici, dallo stesso Barbi: Per la genesi e l'ispirazione centrale della D. C., in Problemi fondamentali per un nuovo commento della D.C., Firenze 1956, 39-42). Basterà infatti osservare che nessuna persona colta dell'età di D. si sarebbe accostata all'A. senza il tramite di un commento, per cui è in ogni caso legittimo e necessario porsi il problema di quale commento o, almeno, quale indirizzo interpretativo D. abbia seguito.

La soluzione potrà venire solo dall'esame dei passi in cui D. parla dell'A. o utilizza figure che da questo libro derivano o sono ispirate.

Osserveremo prima di tutto che Giovanni è ricordato anche e specialmente come profeta: egli è, infatti, indicato nell'Empireo con la significativa perifrasi quei che vide tutti i tempi gravi, / pria che morisse, de la bella sposa (Pd XXXII 127-128), mentre la sua opera nella processione mistica del Paradiso terrestre viene simbolicamente rappresentata come un vecchio solo che D. vede venir, dormendo, con la faccia arguta (Pg XXIX 143-144).

Ora già solo la perifrasi del Paradiso, dopo quanto abbiam detto, basterebbe a precisare l'indirizzo generale interpretativo dell'A. seguito da Dante. Solo per Pietro di Giovanni Olivi, e gli spirituali francescani in genere, l'A., nel descrivere la storia della Chiesa, prospetta, per il futuro, le gravi sofferenze e le prove a cui gli eletti, che della Chiesa costituiscono il meglio, saranno sottoposti dai malvagi cristiani.

Questa indicazione generale è poi ribadita e confermata dall'uso di figure dell'A. e dall'interpretazione che se ne indica. È in tal senso specialmente indicativo il passo di If XIX 106-111, relativo ai pontefici colpevoli di simonia per avidità di danaro e di beni mondani, scesi a compromessi e patteggiamenti col potere politico: Di voi pastor s'accorse il Vangelista, / quando colei che siede sopra l'acque / puttaneggiar coi regi a lui fu vista; / quella che con le sette teste nacque, / e da le diece corna ebbe argomento, / fin che virtute al suo marito piacque.

Qui è evidente, e notato da tutti i commentatori antichi e moderni, il richiamo al capitolo XVII dell'A., ove si parla appunto della gran meretrice " quae sedet super aquas multas, cum qua fornicati sunt reges terrae " e poco dopo si mostra la donna che siede " super bestiam coccineam, plenam nominibus blasphemiae, habentem capita septem et cornua decem ". Ma, nello spiegare queste figure, D. non segue l'interpretazione morale che fu propria, ad esempio, dei grandi scolastici, per cui Babylon è la confusione del peccato, ma quella storica dell'Olivi e dei francescani spirituali, per cui Babylon è la Chiesa carnale, il complesso dei malvagi, il " carnalis clerus - come dice l'Olivi - in hoc quinto tempore regnans et toti ecclesiae praesidens, in quo quidem bestialis vita trascendens singulariter regnat et sedet in sua principali sede ", cioè Roma.

L'influenza qui accennata è anche più chiara e scoperta nella processione mistica alla fine del Purgatorio, ove la successione delle età della Chiesa trovano riscontro, con notevole esattezza, in quelle indicate da Gioacchino da Fiore e riprese dall'Olivi.

È opportuno in proposito avvertire che questo punto di vista, indicato tra l'altro da F. Tocco nella sua lectura Dantis, è stato vivacemente discusso da E. Proto (L'Apocalisse nella D.C., Napoli 1905), il quale con molto impegno ha cercato di mostrare, partendo dal presupposto di un rigoroso tomismo di D., che il poeta si sarebbe ispirato al commento all'A, appunto di s. Tommaso. Purtroppo ignorava che il commento su cui fondava tutta la sua argomentazione è, a unanime giudizio dei competenti, pseudoepigrafo, perché s. Tommaso, nella sua pur vastissima produzione, anche esegetica, non ha mai commentato l'Apocalisse. Tutta l'argomentazione del Proto manca quindi di fondamento anche se la sua opera è, tuttavia, utilissima a cogliere anche i minimi riecheggiamenti dell'A. nell'opera di Dante.

All'A. risalgono i sette candelabri accesi (4, 5; ma con influenza di altri candelabri, in numero di sette, ricordati nella Bibbia); i ventiquattro seniori come simboli dei libri del Vecchio Testamento (4, 4); i quattro animali che simboleggiano i quattro evangeli, per cui il poeta esplicitamente cita l'A. (4, 6-8) e si riferisce anche al profeta Ezechiele (1, 4-14 e 10, 1-22). Se sono creazioni della fantasia dantesca il carro, il grifone e la personificazione dei libri del Nuovo Testamento (e fra questi, come è già stato accennato, non manca l'A.), e poi l'albero secco che rifiorisce, rientra invece in ambito apocalittico il succedersi dei mali che colpiscono il carro: l'assalto dell'aquila che simboleggia le persecuzioni dell'Impero contro la Chiesa e i cristiani dei primi secoli; la volpe, che significa l'eresia, a cominciare dall'arianesimo; la donazione di Costantino, che corrompe la Chiesa; il drago, che porta via parte del carro (in Gioachino da Fiore e in Pietro di Giovanni Olivi compaiono, nella quarta età, i Saraceni, come strumento provvidenziale di punizione che sottrae alla Chiesa una buona parte dei suoi fedeli); infine il rivestimento del carro con le piume dell'aquila, simboleggiante la progressiva mondanizzazione della Chiesa.

Ora questa successione di mali trova la sua corrispondenza appunto nel commento dell'Olivi, ove tra l'altro si avverte che le ultime tre visioni dell'A. sottolineano proprio i mali della Chiesa.

Rientra in pieno nell'A. e nella sua interpretazione di tipo storico-gioachimitico la successiva trasformazione del carro, che inequivocabilmente si richiama al passo già ricordato del canto dei simoniaci. Esso diventa, infatti, mostruosamente la bestia dalle sette teste e dalle dieci corna, simbolo dunque del complesso dei malvagi, su cui siede la meretrice, la Chiesa carnale, che di loro si giova e a loro si appoggia. Fuori dell'A. ma ancora nell'ambito dei sentimenti delle attese degli spirituali, è la flagellazione della puttana sciolta da parte del gigante e della sua traslazione nella selva: è l'inizio della sua punizione, è l'inizio dell'attacco delle potenze mondane alla Chiesa dei poveri e degli umili, sempre più ristretta, sempre più perseguitata dalle forze del male.

Va infine detto, conclusivamente, che l'influenza di queste interpretazioni dell'A. ha avuto un'importanza che si può definire decisiva nella concezione storica e nella prospettiva profetica, tutta, della personalità e dell'opera di Dante.

Bibl. - Oltre alle opere già citate (fra cui va specialmente ricordata quella del Proto) si vedano: F. Tocco, Il c. XXXII del Purgatorio, Firenze (1902), importante per l'edizione del capitolo XVII della Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi; G. Salvadori, La mirabile visione del Paradiso terrestre di D., Torino 1915; A. D'Ancona, La visione nel Paradiso terrestre, in Scritti danteschi, Firenze (1912), 363-376 (che tuttavia non rivolge nessuna attenzione ai problemi dell'apocalittica). Per i commenti medievali all'A. si veda W.A. Kamlah, Apokalypse und Geschichtstheologie. Die mittelalterliche Auslegung der Apokalypse von Joachim von Flore, Berlino 1935. Per Gioachino da Fiore e Pietro di Giovanni Olivi (oltre alle relative voci di questa Enciclopedia) rinviamo a R. Manselli, La " Lectura super Apocalipsim " di Pietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull'escatologismo medioevale, Roma 1955; e ID., D. e l'" Ecclesia Spiritualis ", in D. e Roma, Firenze 1965, 115-135, ove si possono trovare altri numerosissimi rinvii bibliografici.

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