ANTROPOLOGIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ANTROPOLOGIA (III, p. 580; App. I, p. 127; II, 1, p. 209)

Massimo Cresta

Notevoli progressi sono stati realizzati in questi ultimi anni dall'a., negli studi sull'origine e l'evoluzione dell'uomo (v. paleoantropologia in questa App.) e in quelli sull'identificazione e l'interpretazione delle somiglianze e delle differenze morfologiche e fisiologiche che caratterizzano gli aggruppamenti umani. Tali progressi sono stati possibili sia per l'uso di tecniche strumentali sempre più complesse nel rilevamento antropologico - per es., l'uso sistematico di metodi di datazione assoluta nella classificazione cronologica dei sempre più numerosi reperti paleontologici di Ominidi o del contatore delle radiazioni gamma nel vivente (Whoole Body Counter) per la valutazione della massa magra corporea -, sia per le metodologie sofisticate che vengono oggi utilizzate nel trattamento dei dati per mezzo degli elaboratori elettronici; sia e soprattutto per il carattere multidisciplinare che hanno assunto gli studi antropologici per cui tale disciplina si è potuta giovare, oltre che del normale sviluppo della sua matrice dottrinale, anche dello sviluppo di altre branche delle scienze biologiche e sociali, quali la genetica, la fisiologia, la scienza dell'alimentazione, l'ecologia, la demografia, l'etnologia e la sociologia. Tale multidisciplinarità ha permesso, tra l'altro, di meglio puntualizzare i principali fattori di selezione che hanno portato la specie Homo sapiens a manifestarsi nelle sue diversità attuali. Tali fattori sono in modo particolare riconoscibili nelle condizioni in cui vivono le popolazioni umane, da quelle climatiche a quelle igienico-sanitarie a quelle nutrizionali a quelle sociali e culturali.

Per quanto riguarda i fattori climatici, maggiori conoscenze sono state acquisite dall'a. sulle relazioni esistenti tra esposizione ai raggi ultravioletti a cui sono sottoposte le popolazioni - in massima parte quelle della zona equatoriale, ma in modo consistente anche quelle che abitano le alte montagne - e pigmentazione della cute. Notevoli apporti sono stati dati all'a. dagli studi di fisiologia delle popolazioni adattate ai climi caldi per quanto riguarda i meccanismi che agiscono sulla produzione e sulle perdite di calore. Consistenti sono stati ancora gli apporti forniti dalla fisiologia nell'interpretazione dei meccanismi che hanno permesso l'adattamento delle popolazioni di montagna alle basse tensioni di ossigeno nell'aria: il ruolo di un ormone renale, la eritropoietina, nello stimolare la produzione di globuli rossi per facilitare il trasporto di ossigeno; l'attività metabolica a livello tissutale che permette a queste popolazioni di svolgere un lavoro fisico con una migliore economia energetica; gli aspetti anatomici a livello dell'estensione degli alveoli polmonari per facilitare gli scambi respiratori anche in situazione di "fame d'aria".

Una migliore e più diversificata conoscenza delle condizioni alimentari delle popolazioni, dei livelli di soddisfazione dei bisogni nutrizionali, dell'evoluzione di tali condizioni nel tempo e delle conoscenze biologiche degli stati d'inadeguatezza alimentare, sono stati tanti elementi che hanno arricchito il contenuto dell'indagine antropologica. Questo ha permesso, tra l'altro, di meglio puntualizzare il ruolo dell'alimentazione sull'accrescimento corporeo, le relazioni tra alimentazione e ambiente climatico nel favorire certi tipi morfologici e le relazioni tra alimentazione e demografia nell'evoluzione dei valori di certi caratteri antropologici (tendenze secolari). Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto è stata presa per es. in seria considerazione l'ipotesi che l'aumento della statura media qual è stata registrata nel corso di questo secolo in quasi tutti i paesi europei (l'Italia è passata da una statura media per il maschio adulto di 162 cm nel 1854, a 170 cm nel 1952), sia anche da mettere in relazione ai benefici ottenuti da una migliore alimentazione, potenziati dalla maggiore ampiezza delle scelte matrimoniali conseguente ai vasti movimenti migratori interni ed esterni che hanno interessato tali paesi (condizioni di eterosi nei matrimoni). Altri studi sono tuttora in corso per stabilire fino a quale livello di diversificazione biologica delle popolazioni adulte può essere responsabile l'alta mortalità nella prima infanzia che ancora si registra nei paesi in via di sviluppo per effetto delle inadeguatezze alimentari e igienico-sanitarie.

Le ricerche di etnologia, di sociologia e di antropologia culturale hanno facilitato all'antropologo l'interpretazione dei fenomeni biologici riscontrabili nelle cosiddette "varietà locali" degli aggruppamenti umani, varietà che sono oggi interpretate sulla base della segregazione, consapevole e non consapevole, degl'incroci matrimoniali in relazione all'appartenenza ai gruppi etnici, alle categorie sociali, se non in modo più semplice in relazione ai soli caratteri morfologici (discriminazioni razziali).

Ma dove l'apporto di queste discipline è risultato ancora più notevole per l'a. biologica, è stato nel dimostrare come l'essere umano, per le particolari capacità interpretative e discriminative che gli provengono dal suo elevato potenziale cerebrale, sia capace di apportare sempre una valida risposta culturale alle esigenze dell'ambiente. Il nomade del deserto con il suo tipo di abbigliamento e di alimentazione può vivere in un ambiente estremamente caldo riducendo al minimo le complesse risposte fisiologiche per la termoregolazione. Così come il vestiario e l'abitazione dell'eschimese assicurano all'uomo un microclima sub-tropicale anche quando la temperatura esterna è di −30°C −40°C. Grazie perciò alla sua cultura, l'uomo, al contrario degli altri primati, non si è mai sottoposto passivamente alle forze ambientali, ma anzi ha sempre trovato il modo di adattare l'ambiente stesso alle sue esigenze, ciò che gli ha permesso le grandi migrazioni e con esse i grandi mescolamenti tra le popolazioni con la possibilità in definitiva di trovare "proposte" biologiche sempre più soddisfacenti ai vari ambienti.

L'apporto della genetica agli studi di a. è stato di grande rilevanza. Notevole importanza hanno assunto le indagini popolazionistiche sui gruppi sanguigni e sui polimorfismi proteici ed enzimatici per lo studio e la comparazione delle popolazioni umane dal punto di vista delle differenze delle frequenze alleliche in cui si manifestano alcuni geni dell'uomo. Tali studi permettono di mettere in evidenza le differenze e somiglianze geneticamente determinate a un livello molto approfondito della complessa struttura organica dell'individuo: il livello della molecola. Poiché è proprio a tale livello molecolare che si realizza la più stretta interazione tra l'organismo e l'ambiente, determinando la maggiore o minore idoneità dell'individuo e quindi la maggiore o minore idoneità delle popolazioni, questi studi permettono di meglio comprendere e interpretare le fasi dell'evoluzione. Merita ricordare che spesso gli studi di a. erano basati sulle caratteristiche morfologiche la cui espressione metabolica è estremamente complessa, ancora poco conosciuta e spesso solo secondaria. Ne risulta che molte caratteristiche "visibili" possono essere neutre per la selezione, mentre possono non essere tali i processi metabolici che le determinano.

Ed è sulla base di questi studi ispirati alla genetica umana, che l'assenza o la carenza di una particolare attività enzimatica delle emazie (glucoso-6-fosfato-deidrogenasi) che colpisce il 10-25% delle popolazioni africane della fascia intertropicale, ma anche alcuni gruppi della Sardegna e del bacino del Mediterraneo, si è potuta riconoscere responsabile della resistenza dell'organismo al plasmodio della malaria conferendo a quelle popolazioni una maggiore resistenza verso la malaria perniciosa. Ciò è dovuto al fatto che i globuli rossi carenti dell'enzima mal si prestano al regolare sviluppo del parassita Plasmodium falciparum. Un'analoga relazione è stata stabilita tra la malaria e gl'individui che portano nel loro corredo genico una mutazione che determina la formazione di una molecola di emoglobina anormale (emoglobina S) donde una maggiore frequenza di individui provvisti di tale emoglobina nelle popolazioni africane. Nella regione mediterranea e in particolare in Italia, è frequente, nelle popolazioni in cui la malaria era endemica, un altro gene, il gene della talassemia, che ha anch'esso funzione protettiva verso l'infezione malarica. Anche per quanto riguarda i gruppi sanguigni, le cui prime conoscenze rimontano all'inizio del secolo, ma il cui ampio valore antropologico è stato solo recentemente ben puntualizzato, sono state formulate precise ipotesi sui fattori ambientali che sono alla base delle diverse frequenze alleliche che si riscontrano nelle varie popolazioni, differenze che d'altra parte hanno permesso di concepire una vera e propria geografia ematologica dei gruppi umani. La selezione infatti anche in questo caso può attuarsi attraverso eventi patologici che colpiscono preferenzialmente i portatori di un certo gruppo determinando, per conseguenza, nei casi dove questo evento patologico è particolarmente diffuso, una minore frequenza del gruppo sanguigno verso cui l'evento stesso trova un substrato preferenziale. Già da tempo è stato messo in evidenza che alcuni antigeni ematici hanno un'affinità biochimica e immunologica con certe sostanze prodotte da batteri, protozoi ed elminti, il che spiegherebbe una delle cause di associazione con gli antigeni dei gruppi sanguigni. Per es., la maggiore frequenza del gruppo sanguigno O che si riscontra nei portatori di peste potrebbe essere dovuta all'affinità immunologica tra il bacillo Pasteurella pestis e una sostanza (sostanza H) particolarmente abbondante sulle emazie dei portatori del gruppo O. Per tale ragione gl'individui di questo gruppo non riconoscerebbero l'agente infettivo come un antigene estraneo data l'esistenza sulle proprie emazie di una sostanza affine, e di conseguenza non sarebbero capaci di produrre un tasso di anticorpi sufficientemente elevato per combattere l'agente patogeno. Merita ricordare che la minore frequenza del gruppo sanguigno O si riscontra proprio tra le popolazioni asiatiche, dove per l'appunto la peste ha da secoli un carattere endemico. Un fenomeno analogo si verificherebbe tra il virus del vaiolo e tra il bacillo del colera e i portatori del gruppo A e tra la malaria e i portatori del gruppo B. Ultimi in ordine di tempo, ma non certamente ultimi come contributi che può fornire l'indagine ematologica alle conoscenze antropologiche, sono da ricordare infine i polimorfismi attinenti le funzioni immunologiche. Trattasi in particolar modo delle immunoglobuline Gm, InV e dei cosiddetti antigeni da trapianto (HLA). Sono polimorfismi che risultano fortemente correlati con le malattie, per cui lo studio della loro distribuzione nelle popolazioni umane potrà apportare un'ulteriore valida informazione sulle relazioni esistenti tra fattori ambientali - quelli patogeni nel caso specifico - e assetto genico delle popolazioni. Accanto a questi apporti forniti dagli studi sui gruppi sanguigni e sui fattori sierici nel campo dell'interpretazione dei fenomeni microevolutivi presenti nelle popolazioni umane, altri rilevanti apporti, di natura più squisitamente macroevolutiva, sono stati dati dalle ricerche sui gruppi sanguigni riguardanti tutto l'ordine dei primati. Si è potuto rilevare, per es., che alcuni fattori (A, B, O; M, N; P) sono presenti in tutte le popolazioni umane e in tutti gli altri primati: il che fa supporre che essi siano apparsi molto precocemente nell'evoluzione, a un livello cioè ancora assai indifferenziato delle specie appartenenti a quest'ordine. Altri fattori invece, sembrano essere presenti in una forma di transizione tra l'uomo e gli altri primati, ciò che testimonia l'intervento di un certo numero di rimaneggiamenti cromosomici nel corso del processo di ominazione. Il sistema Rh corrisponderebbe, per es., a un solo sito (d) nelle scimmie catarrine; a due siti (d-D; c) nelle scimmie antropomorfe (gorilla, scimpanzé, gibbone, orango), e a tre siti (d-D; c-C; e-E) nell'uomo. Altri polimorfismi sono assenti nelle scimmie e la loro presenza anche nell'uomo è più o meno strettamente circoscritta nell'ambito dei grandi aggruppamenti umani, per cui l'epoca della loro comparsa deve farsi risalire a un periodo in cui l'umanità era già distribuita su vaste aree geografiche formando però gruppi più o meno isolati. Tale è il caso del fattore Kell, tipico degli europidi e solo recentemente introdotto nei negroidi, o del fattore Diego tipico degli asiatici.

Tutta questa enorme mole di informazioni acquisite dall'indagine antropologica sarebbe stata però ben vana nel far progredire le conoscenze di questa disciplina se in pari tempo non si fossero sviluppate metodiche più idonee nel trattamento e nell'analisi di tale informazione riferentesi spesso a centinaia e centinaia di individui della stessa popolazione esaminati per un numero assai elevato di indicatori antropologici (indicatori genetici e indicatori morfologici). L'uso del computer ha pertanto svolto un ruolo decisivo poiché ha permesso l'analisi dei dati con metodi statistici sempre più avanzati (l'analisi multivariata, le correlazioni e le regressioni multiple, l'analisi discriminante, l'analisi multi-fattoriale, ecc.). Con tali metodi si sono potute inoltre misurare in modo più sottile e integrato le somiglianze tra le varie popolazioni per un insieme di caratteri (coefficienti di distanza biologica), cosa che ha permesso anche di formulare alberi genealogici tra le popolazioni stesse il cui valore filetico può essere discutibile, ma la cui portata pratica può essere notevole nel tentativo di elaborare una nuova sistematica delle attuali popolazioni umane su base evoluzionistica.

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