VENIER, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VENIER, Antonio

Marco Pozza

– Figlio di Nicolò, residente nella parrocchia di S. Giovanni Decollato, e di madre non conosciuta, nacque a Venezia presumibilmente all’inizio del secondo quarto del XIV secolo.

Non vi sono notizie certe sui suoi anni giovanili e gli unici dati che si possono ricavare sono quelli derivanti dallo status sociale della famiglia alla quale apparteneva: i primi Venier erano comparsi solo alla metà del XII secolo, ma non potevano vantare antenati prestigiosi che avessero ricoperto cariche pubbliche di rilievo e, di conseguenza, neppure alleanze politiche degne di nota. Sul piano economico poi lo stesso Venier, prima della sua elezione a doge, appariva una persona di modesta fortuna, risultando in possesso nell’estimo cittadino del 1379 di una sostanza valutata in sole 2500 lire (I prestiti..., a cura di G. Luzzatto, 1929, p. 190), somma ben lontana da quella dei suoi concittadini più eminenti.

Malgrado questa situazione iniziale non favorevole, egli riuscì a emergere grazie alle sue doti militari. Nel 1368 compare per la prima volta in qualità di ‘sopracomito’, cioè comandante di una galea, in quel momento ormeggiata a Candia, capitale dell’isola di Creta. Ma fu otto anni più tardi, nel 1376-77, che Venier ebbe un’occasione favorevole per mettersi in luce.

Nella primavera del 1376 l’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo concesse ai veneziani la proprietà dell’isola di Tenedo nel mar Egeo, di grande importanza strategica in quanto situata a breve distanza dall’imboccatura dello stretto dei Dardanelli sulla rotta obbligata per raggiungere Costantinopoli e il mar Nero. Subito dopo però il figlio del sovrano Andronico IV, in contrasto con il padre, provvide a un’analoga concessione a favore del comune di Genova, fornendo così il casus belli per un nuovo conflitto, la cosiddetta guerra di Chioggia, che avrebbe visto contrapposte le due grandi città marittime con i loro rispettivi alleati fino al 1381.

Venier nel gennaio del 1377 si trovava a Tenedo in qualità di bailo e capitano, responsabile quindi sia dell’amministrazione civile sia di quella militare dell’isola, che procedette a fortificare in maniera adeguata, tanto da respingere con successo, assieme a una flotta comandata da Carlo Zeno, un tentativo di conquista operato dai genovesi nel corso di quell’anno. Negli anni successivi si distinse ulteriormente nella guerra contro Genova, sia pure senza ricoprire incarichi importanti. Nel 1381, un anno prima della sua elezione a doge, fu comunque inviato al comando di una squadra navale di nuovo a Creta.

Alla morte del doge Michele Morosini, avvenuta nell’ottobre del 1382, Venezia sembrava allo sbando: era appena uscita da una guerra sanguinosa (con molte perdite umane); aveva visto il nemico arrivare ai margini della laguna, ciò che aveva comportato la rovina di molti cittadini. Il conflitto inoltre aveva interrotto le vie commerciali e provocato il dissesto dell’erario; e, come se non bastasse, infuriava anche un’epidemia di peste. In questa tragica situazione ben cinque nobili concorsero per ottenere il dogado. Il numero eccessivo di candidati impedì tuttavia che venisse raggiunta la maggioranza dei voti necessari per l’elezione. Pertanto, per uscire dalla situazione di stallo, il candidato più forte, Leonardo Dandolo, appoggiò la scelta di una persona esterna alla rosa dei candidati. Fu così che, nella sorpresa generale, Venier fu eletto doge con l’appoggio di venticinque dei quarantuno grandi elettori il 21 novembre 1382, venendo a conoscenza della nomina mentre si trovava ancora a Creta, per cui entrò in carica solo al suo rientro avvenuto il 13 gennaio 1383, secondo quanto scrive il cronista contemporaneo Raffaino Caresini (Chronica, a cura di E. Pastorello, 1923, p. 61).

Nei primi anni dopo l’elezione di Venier, Venezia visse ancora un periodo di grandi difficoltà, nelle quali tuttavia il nuovo doge e il suo governo seppero destreggiarsi stringendo e rompendo alleanze secondo le circostanze e le convenienze del momento con le più potenti signorie dell’entroterra. Dopo la pace conclusa a Torino l’8 agosto 1381 con la mediazione di Amedeo VI conte di Savoia che aveva posto fine alla guerra di Chioggia, i Carraresi signori di Padova erano rientrati in possesso di alcuni diritti concessi a Venezia nel 1373 al termine di un conflitto scoppiato per discordie territoriali e avevano ottenuto il permesso di fortificare i confini del dogado. Nel 1383 essi comprarono inoltre dal duca d’Austria Leopoldo III le città di Feltre, Belluno, Ceneda e soprattutto Treviso che il 5 aprile 1381, con le ostilità ormai in fase di conclusione, i veneziani avevano ceduto agli Asburgo per evitare che cadesse in mano ai padovani.

La situazione per Venezia peggiorò quando Francesco il Vecchio da Carrara intervenne nella guerra scoppiata per la contrastata successione al patriarcato di Aquileia al fianco di Filippo d’Alençon, sostenuto anche dal Regno d’Ungheria, attaccando ai primi del 1385 i ribelli di Udine e i nobili friulani contrari al nuovo patriarca, che l’8 febbraio di quell’anno ottennero l’appoggio di Venezia e in maggio anche quello di Antonio della Scala signore di Verona.

Le due città vedevano con preoccupazione l’espansione padovana, in particolare Venezia che, con la formazione di una vasta entità territoriale nell’entroterra veneto-friulano estesa dall’Adige fin quasi a Trieste, vedeva minacciati i transiti e i commerci con il Nord. L’intervento scaligero costrinse i Carraresi nell’agosto di quello stesso 1385 ad allearsi con il signore di Milano Gian Galeazzo Visconti, aprendo un nuovo fronte, mentre nel Friuli furono combattute diverse battaglie dall’esito incerto che non alterarono gli equilibri tra le forze coinvolte.

Il conflitto tra veronesi e padovani riprese all’inizio del 1387 e culminò nella battaglia di Castagnaro dell’11 marzo vinta dalle truppe carraresi guidate dal condottiero inglese John Hawkwood (conosciuto in Italia con il nome di Giovanni Acuto). La sconfitta di Castagnaro segnò la fine dell’egemonia degli Scaligeri ma anche i Carraresi uscirono indeboliti dal conflitto: essi riuscirono a concordare la spartizione dei territori veronesi con i Visconti, ma questi ultimi non mantennero le promesse fatte e, oltre a conquistare Verona nell’ottobre del 1387, occuparono anche Vicenza, facente parte del dominio veronese e promessa a Francesco I.

Il doge Venier, anziché accettare il patto proposto da Padova, preferì firmare un trattato di alleanza con i Visconti il 29 maggio 1388, in base al quale le operazioni militari dei milanesi contro Padova furono finanziate dai veneziani che però non vi concorsero con propri uomini.

Nei mesi successivi, mentre le forze viscontee travolgevano le difese padovane (e costringevano Francesco Novello, succeduto al padre, a cedere nel novembre del 1388 Padova, Treviso, Ceneda, Feltre, Belluno e tutti i territori a esse subordinati), il governo veneziano ottenne dai vincitori il possesso di Treviso, Ceneda e alcune zone di confine (5 dicembre 1388).

Successivamente Venier e la classe dirigente lagunare, preoccupati ora per l’eccessiva espansione viscontea, acconsentirono (senza partecipare direttamente) a una lega antiviscontea che vide a protagonisti Firenze e Francesco Novello da Carrara che, fuggito dal confino, nel 1390 recuperò la signoria su Padova.

Dopo alcuni anni di relativa estraneità agli eventi della politica padana, nel 1397 Venezia mandò una flotta sul Po a sostegno di Francesco I Gonzaga signore di Mantova in contrasto con Milano, e nel 1398 aderì a una nuova lega antiviscontea, ma mantenne un atteggiamento prudenziale circa la continuazione del conflitto al punto di firmare con i Visconti una tregua a nome degli alleati (maggio del 1398). L’anno dopo il governo veneziano convinse Francesco Novello a rinnovare la subordinazione di Padova a Venezia; nel marzo del 1400 la Serenissima siglò la pace tra la lega antiviscontea e Milano, accordo con il quale i partecipanti alla lega venivano posti sotto la protezione di Venezia. Alcuni anni prima la città lagunare aveva allargato inoltre i propri domini nel Veneto meridionale assicurandosi il controllo del Polesine di Rovigo cedutogli in pegno nel 1395 da Nicolò III d’Este signore di Ferrara in cambio di una cospicua somma di denaro.

Se sul versante italiano la Venezia di Antonio Venier mantenne dunque, nell’insieme, una posizione di grande prudenza, evitando interventi diretti e affidandosi piuttosto a mezzi diplomatici per evitare l’eccessivo rafforzamento delle signorie presenti nell’entroterra, sostenendo ora l’una ora l’altra, in parte diverso fu l’atteggiamento assunto nel settore marittimo.

Nell’Adriatico, perduta la Dalmazia a favore del Regno d’Ungheria nel 1358, Venezia assistette con grande cautela alle lotte per la successione al trono magiaro che si accesero dopo la scomparsa di Ludovico I il Grande nel 1382. Essendo appena uscita da una guerra estenuante e costosa, non intendeva essere coinvolta in altre situazioni pericolose. Venier assecondò pertanto la linea di non portare avanti alcuna azione per riconquistare la regione; e il governo veneziano respinse proposte di alleanza avanzate sia da Sigismondo di Lussemburgo divenuto re di Ungheria nel marzo del 1387 sia da Tvrtko I re di Bosnia, il quale, non riconoscendo il nuovo sovrano, cercò di procedere alla conquista delle città dalmate fino alla sua morte avvenuta nel 1391. Non intervenne neppure quando, negli anni successivi, si riaccesero i contrasti interni nel Regno ungherese.

Assai diverso fu all’atteggiamento di Venezia, durante il dogado di Venier, nei confronti della Romània. Avendo constatato il declino dei traffici commerciali nel mar Nero e la costante minaccia dei turchi ottomani contro Costantinopoli, la dirigenza veneziana rivolse le proprie attenzioni al mondo balcanico e all’Egeo con un’attività politica di annessioni territoriali, basata più su acquisti onerosi che su conquiste armate.

Nel 1386 furono occupate l’isola di Corfù e Butrinto sulla costa albanese, già in possesso degli Angioini; nel 1388 furono acquistate Nauplia e Argo sulla costa orientale del Peloponneso da Maria, figlia di Guglielmo d’Enghien, alla morte del marito veneziano Pietro Corner; nel 1390 fu estesa la sovranità sull’intera Negroponte alla morte dell’ultimo signore dell’isola; nello stesso anno fu assicurato il dominio su Tino e Mykonos nell’arcipelago delle Cicladi; nel 1392 fu occupata Durazzo in Albania; nel 1394 venne acquisito parzialmente il ducato di Atene alla morte di Neri Acciaiuoli; infine nel 1396 fu ottenuta Scutari, ancora in Albania.

Nel Mediterraneo orientale già nel 1382 Venezia aveva inviato con successo un buon numero di ambascerie al Cairo presso i Mamelucchi per favorire i propri mercanti, con il risultato di riuscire a controllare la maggior parte del commercio con la Siria e l’Egitto.

Nel Maghreb, nel 1392 stipulò un trattato con Abu l-‘Abbas Ahmad II, sovrano hafsida di Tunisi, che la pose sullo stesso piano delle altre potenze marittime che operavano nel Mediterraneo occidentale. Nella penisola iberica navi veneziane frequentavano i porti dei regni di Aragona, Castiglia e Granada, mentre nell’Atlantico già nel 1384 fu riaperta la rotta che portava alle Fiandre toccando anche l’Inghilterra.

Durante gli ultimi anni del dogado di Venier, l’espansione apparentemente inarrestabile dell’Impero ottomano rappresentò una seria minaccia per i possedimenti in Grecia di Venezia, costringendola a importanti opere di fortificazione delle città che erano sotto il suo controllo.

L’avanzata turca in Europa costituiva però un grave problema per l’intera cristianità, al punto che nel 1394 papa Bonifacio IX proclamò una crociata contro gli infedeli. Antonio Venier inviò propri emissari nelle principali corti europee per sondarne la disponibilità. La crociata fu organizzata nel 1396 dal re d’Ungheria Sigismondo e vi aderirono l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, che l’aveva sollecitata espressamente, e, sia pure con scarso entusiasmo, la Francia, oltre a Genova e Venezia, che misero a disposizione proprie flotte ma non contingenti di terra.

Le truppe ungheresi e francesi furono però pesantemente sconfitte dai turchi guidati dal sultano Bayezid I nella battaglia di Nicopoli del 25 settembre 1396 e lo stesso Sigismondo si salvò a stento fuggendo su una nave veneziana che, attraversato il mar Nero, l’Egeo, lo Ionio e l’Adriatico, lo riportò in patria. L’anno dopo, gli ottomani attaccarono per la prima volta i possedimenti veneziani, con la conquista di Argo, cui fece seguito un trattato che restituì di lì a poco la città ai veneziani.

Dopo diciotto anni di dogado, e dopo vicende politiche complesse e alterne, gestite in linea di massima con prudenza e tenendo un profilo alquanto dimesso, il 23 novembre 1400 Antonio Venier morì. Fu sepolto nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo dove tuttora riposa.

Aveva sposato Agnese figlia di Francesco da Mosto, scomparsa nel 1410 e sepolta anch’essa nella chiesa dove riposano le spoglie del marito. Dal matrimonio, come risulta dai testamenti dei due coniugi (quello di Venier fu redatto un mese prima della morte, il 24 ottobre 1400), nacquero numerosi figli: Alvise, Giacomo, Nicolò, Alessandro, Chiara, Franceschina e Valvina. Il primogenito, Alvise, morì nel 1388 in prigione, dove era stato rinchiuso a seguito di una condanna per gravi offese nei confronti del patrizio Giovanni dalle Boccole; durante la detenzione si ammalò gravemente, ma Venier si rifiutò di concedere la grazia che gli era stata sollecitata da più parti, compresi gli stessi giudici che avevano emesso la sentenza, e lasciò morire il figlio in carcere. Giacomo sposò una figlia di Bartolomeo Loredan del ramo di S. Cassiano; Nicolò si unì in matrimonio con Petronilla figlia di Leonardo I Tocco conte di Cefalonia e duca di Leucade, nonché vedova di Nicolò III dalle Carceri duca di Nasso; Chiara sposò Franceschino Leone abitante nella parrocchia di S. Giovanni Crisostomo; Franceschina si maritò con un appartenente alla famiglia Gabriele; e, infine, Valvina divenne monaca nel monastero benedettino di S. Zaccaria.

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