SARTORIO, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SARTORIO (Sertorio), Antonio

Andrea Garavaglia

SARTORIO (Sertorio), Antonio. – Nacque a Venezia attorno al 1630 (il necrologio del 1680 gli dà 50 anni circa), figlio di Giovanni, sposato a Pasquetta Tiboni attorno al 1654 (Vavoulis, 2004, p. 5), fratello di Gasparo (Gaspare), Girolamo (Geronimo, Hieronymo), Vettor, Francesco e Angela (questi i fratelli ancora vivi il 6 settembre 1680, quando Gasparo fece testamento; Vio, 1988, pp. 692 s.).

Nulla è noto circa la sua formazione. La prima notizia su Sartorio riguarda il dramma Gl’amori infrutuosi di Pirro (libretto di Aurelio Aureli) rappresentato a gennaio 1661 nel teatro Grimani dei Ss. Giovanni e Paolo, gestito in quegli anni da Marco Faustini. L’opera, per la cui composizione Sartorio ricevette solo 102 ducati (B. Glixon - J. Glixon, 2006, pp. 159 s.; vent’anni dopo sarebbero stati 300, ibid.), sembra avesse «poco incontrato il gusto della città» (Monaldini, 2000, p. 153).

Nell’ottobre 1665, interrogato con il fratello Gasparo in un processo per concerti notturni a inizio agosto nei pressi del convento di S. Giuseppe in Castello, si limitò a dichiarare di aver fatto cantare a una sua nipote (non nominata) brani devoti (Vio, 1988, p. 700). Nella seguente stagione di Carnevale, gennaio 1666, con il dramma Seleuco (Nicolò Minato) iniziò la collaborazione con il teatro Vendramin di S. Salvatore (o S. Luca): la ripresa dell’opera, nel medesimo teatro, nel Carnevale 1668 fa presumere che piacque. Il libretto attribuisce la musica ad «Antonio Sertorio», maestro di cappella del duca Giovanni Federico di Brunswick-Lüneburg; due documenti (una licenza di viaggio di metà luglio e un atto notarile dello stesso mese) attestano però che il musicista non si avviò alla volta di Hannover prima di luglio (Vavoulis, 2004, p. 5), e da una nota di pagamento presso la corte tedesca, del 29 settembre 1666, si evince che da almeno sei mesi riceveva un salario mensile. È dunque assai probabile che Sartorio fosse al servizio del duca già a inizio 1666 e che nei mesi prima di recarsi a Hannover si fosse occupato di reclutare a Venezia strumentisti e cantanti per la cappella ducale (Emans, 2016, p. 277; Vavoulis, 2016, pp. 122 s.).

A luglio, in una lettera da Vienna, il compositore Pietro Andrea Ziani rinfacciò all’impresario Faustini un apprezzamento sviscerato per Sartorio, nonostante i problemi che costui gli aveva creato: alludeva forse allo scarso successo degli Amori infrutuosi e al fatto di aver favorito l’impresa concorrente con il successo del Seleuco: «da lei indorato, adorato, portato alle stelle, causa di tanti disturbi, pietra dello scandalo, che doveva giustamente esser la di lei rovina» (Vavoulis, 2004, p. 2).

Nel Carnevale 1667 Sartorio proseguì la collaborazione con Minato al S. Salvatore con un doppio dramma, La prosperità di Elio Seiano (che ebbe fortuna, come attestano le numerose riprese fuori di Venezia) e La caduta di Elio Seiano: il primo dramma era dedicato al nuovo patrono, il duca Giovanni Federico, che lo autorizzava a lavorare per i teatri veneziani, l’altro alla di lui sorella, Sofia Amalia regina di Danimarca. Probabilmente ritornò a Hannover a inizio giugno del 1667, come attesta una licenza di viaggio (ibid., p. 7).

Dopo due anni abbondanti di assenza dalle scene veneziane, a fine dicembre 1669 al Ss. Giovanni e Paolo andò in scena Ermengarda regina de’ Longobardi, che avviava la nuova collaborazione con il poeta veneziano Pietro Dolfin, corrispondente del duca Giovanni Federico. A maggio del 1671 doveva essere a Hannover, visto che vi fu eseguita la «composizione per musica» Le gare degl’elementi (Minato). A fine anno fu probabilmente di nuovo a Venezia per l’Adelaide (Dolfin), allestita a febbraio 1672 come seconda opera nel teatro di S. Salvatore, ma forse già in lavorazione a dicembre 1670 (Vavoulis, 2010, nn. 48 e 51), ancora dedicata a Giovanni Federico, a Venezia per Carnevale (facsimile della partitura conservata a Venezia, Biblioteca Marciana, It. IV 380, a cura di H.M. Brown, New York 1978).

A inizio giugno del 1672, in procinto di ritornare al Nord, si ammalò e dunque si trattenne a Venezia, in un soggiorno che dovette protrarsi fino a febbraio 1673. Durante tale periodo vari committenti veneziani, fra cui i Vendramin e i Grimani, avrebbero voluto profittare della sua presenza per commissionargli opere per la stagione 1673, ma Sartorio declinò gli inviti sia per i problemi di salute sia per l’esclusività dovuta al duca di Hannover (Vavoulis, 2010, nn. 114 e 131) e si lamentò di aver già dovuto comporre, a settembre 1672, una serenata per Dolfin (ibid., n. 133). Grazie tuttavia all’intercessione del nobile veneziano Bertucci Contarini presso il duca, i Vendramin gli poterono commissionare due opere per il Carnevale imminente, Orfeo (Aureli; facsimile a cura di E. Rosand, Milano 1983) e la riscrittura del Massenzio (Giacomo Francesco Bussani), già musicato da Francesco Cavalli, ma giudicato durante le prove troppo carente di «briose ariette» (a detta di Dolfin; Vavoulis, 2010, n. 156). A fine Carnevale (febbraio 1673), come promesso al duca, ritornò a Hannover. L’assenza di sue opere nelle successive stagioni veneziane fa supporre che non ebbe più permessi di allontanarsi da corte. Nel marzo del 1674 Dolfin invano implorò il duca che consentisse a Sartorio di musicare il suo ultimo dramma, Alcina, per la stagione del 1675 (ibid., n. 208). A giugno, da uno scambio epistolare fra il duca e il suo agente romano, Michele Colomera, risulta che il sovrano era in cerca di un sostituto di Sartorio, in procinto di rientrare definitivamente a Venezia (Vavoulis, 2016, pp. 127, 151 s.).

A metà febbraio del 1675 il compositore era infatti a Venezia, visto di notte nel parlatorio del convento di S. Caterina accompagnare alla spinetta una cantante in arie d’opera (Glixon, 2001, p. 433); la sua presenza è attestata di nuovo a giugno da una lettera di Dolfin (Vavoulis, 2010, n. 236). Il 7 maggio dell’anno dopo ottenne il posto di vicemaestro della cappella di S. Marco (per 120 ducati all’anno), a capo della quale era appena stato nominato Natale Monferrato; e a fine anno – dopo essere stato a ottobre a Hannover, con il fratello Gasparo, per il battesimo del nipote Gasparo Antonio, figlio di Girolamo – riprese con intensità la collaborazione con il S. Salvatore, assicurando due opere a stagione, tutte su libretti di Bussani: Giulio Cesare in Egitto (edizione moderna a cura di C. Monson, Madison, Wis., 1991) e Antonino e Pompeiano per il Carnevale 1677, Anacreonte tiranno ed Ercole sul Termodonte per il successivo, 1678. Nelle prefazioni di questi ultimi due drammi Sartorio è ancora definito, oltre che co il nuovo incarico marciano, come maestro di cappella dei duchi di Brunswick-Lüneburg (dedicatari di Antonino e Pompeiano): forse al rientro in Venezia aveva assunto la funzione di segretario diplomatico tenuta in precedenza dall’agente Francesco Maria Massi (morto nel 1676). Per la stagione seguente, 1679, scrisse una sola opera, l’ultima, I duo tiranni al soglio (Matteo Noris), a lui attribuita sulla base di una notizia nel Mercure galant dell’aprile 1679 (Nestola, 2002, p. 126). Il 19 settembre morì sua moglie (Vio, 1988, p. 692 n.).

Antonio Sartorio morì nel dicembre 1680; dal necrologio del 30 dicembre si apprende che viveva nei pressi di S. Giovanni Grisostomo.

Nello stesso anno aveva pubblicato a Venezia un volume di Salmi a otto voci a due cori, dedicato ai Procuratori di Supra, amministratori della basilica di S. Marco. Furono probabilmente le cattive condizioni di salute a impedirgli, il 7 ottobre, di presenziare come padrino al battesimo della figlia del violinista Giovanni Battista Vivaldi (padre del compositore Antonio; ibid., p. 692 n.). Il suo posto a S. Marco fu assunto da Giovanni Legrenzi, e il compimento dell’opera La Flora (Novello Bonis), prevista per il Carnevale in corso, fu affidato a Marco Antonio Ziani; andò in scena nel teatro di S. Angelo a inizio 1681. Qualche mese dopo, il 23 marzo, nella dimora del marchese Odoardo Maria Scotti a Vigoleno (presso Fidenza), fu eseguito il suo oratorio Oloferne, come emerge dal frontespizio del libretto di Rinaldo Cialli (Parma 1681).

Delle opere di Sartorio, eccetto Ermengarda, si conservano sia partiture manoscritte (due autografe: Massenzio, nella Biblioteca universitaria di Uppsala, Vok. mus. i hs. 165; Adelaide, nella Niedersächsische Landesbibliothek di Hannover, IV.410) sia raccolte d’arie (Vavoulis, 2004, pp. 24-69). Sartorio fu il più prolifico compositore di musica per i teatri della Serenissima degli anni Sessanta e Settanta (Selfridge-Field, 2007, p. 46); alla stregua di altri operisti attivi a Venezia in quegli anni (Legrenzi, Carlo Pallavicino, Carlo Francesco Pollarolo) concorse a procurare quel mutamento di poetica e drammaturgia musicale che a fine Seicento concentrò le risorse tecniche ed espressive nelle arie, accresciute nelle dimensioni a scapito dei recitativi.

Poche sono invece le fonti di musica da chiesa pervenute: oltre ai Salmi del 1680, soltanto un mottetto a voce sola in una collettanea bolognese del 1695, nonché alcuni brani a tre-cinque voci in un volume manoscritto (Berlino, Staatsbibliothek, Mus. ms. 19520: cinque salmi; un’antifona; un mottetto, edizione moderna Salve mi Jesu, a cura di E.H. Tarr, Stuttgart 1976; e le prime tre sezioni di una messa), probabilmente composti per la corte di Hannover (Emans, 2016, p. 285). Lo Hauptstaatsarchiv di Hannover conserva diciotto sue lettere al duca Giovanni Federico (giugno 1672 - aprile 1679; Cal. Br. 22, n. 627 e 629; tutte trascritte in Vavoulis, 2010).

Gasparo, fratello maggiore di Antonio, è figura di minor rilievo.

Nacque tra il 1626 e il 1628, stando alle (divergenti) età indicate in due documenti, il necrologio del 1680 (54 anni) e un atto giudiziario del 1643 (15 anni). Sposò Anzola (Angela) Sturina (Vio, 1988, p. 693 nota). Nel marzo 1643 fu condannato a 18 mesi di reclusione per aver suonato in balli, con altri, all’ambasciata spagnola a Venezia (Whenham, 2004, pp. 273 s.). Per il teatro dei Ss. Apostoli intonò due opere, Orithia (Maiolino Bisaccioni, stagione 1650) ed Erginda (Aureli, 1652), e forse anche, per il S. Cassiano, Armidoro (Bortolo Castoreo, 1650-51; l’attribuzione è in Ivanovich, 1688, p. 435, ma Ivanovich, 1681, l’aveva assegnata a Cavalli, p. 436). Nominato nel 1657 organista nella Scuola grande di S. Rocco per 24 ducati mensili (Glixon, 2003, p. 181), abbandonò le scene, salvo comporre ancora il terz’atto dell’Iphide greca (Minato, 1671) per un allestimento privato nel teatro accademico ai Saloni, cui concorsero Giovanni Domenico Partenio (atto I) e Domenico Freschi (atto II). Nel gennaio 1672, proposto dall’organista Giovanni Battista Volpe, insieme ad altri, per un posto analogo in S. Cassiano, fu escluso (Glixon, 2003, p. 225). Nel 1667 fu padrino al battesimo di Antonio Biffi, futuro organista e compositore, in virtù dell’amicizia con i genitori (Vio, 1986, pp. 103 s.). Morì a Padova qualche mese prima di Antonio, il 17 ottobre 1680, e fu sepolto a Venezia in S. Fosca (Vio, 1982, p. 549). Nell’inventario dei suoi beni compaiono strumenti musicali (Vio, 1988, p. 693 n.).

Girolamo, un altro fratello (ignota la data di nascita), nei primi mesi del 1667 lasciò Venezia per raggiungere Antonio a Hannover.

Nel giugno 1673 sposò Emerentia Gertrud von Wintheim (morta nel 1717), da cui nel 1676 ebbe un figlio, Gasparo Antonio. In qualità di Baumeister (capomastro) Girolamo curò l’ampliamento del castello sul fiume Leine, la progettazione della residenza di Herrenhausen (con due architetti veneziani, Lorenzo Bedogni e Giacomo Querini) e la costruzione del teatro d’opera; per quest’ultimo realizzò inoltre le scene e le macchine per almeno due opere importate da Venezia, Alceste (ossia L’Antigona delusa da Alceste di Aureli, 1679, musica Pietro Andrea Ziani rivista da Mattio Trento) e L’Elena rapita da Paride (1681, libretto di Aureli revisionato da un certo Valenti citato nella prefazione; musica in origine di Freschi, probabilmente riscritta da Pietro Antonio Fiocco, autore dichiarato di una ripresa effettuata a Bruxelles nello stesso anno; Couvreur, 2001, p. 148). Nel 1677 progettò ad Amburgo il teatro d’opera cittadino sul Gänsemarkt (descritto in N. Tessin jr., Travel notes 1673-77 and 1687-88, Stockholm 2002, pp. 136 s.) e nel 1693 – aveva lasciato Hannover nel 1685 – realizzò a Lipsia quello sul Brühl, fondato e diretto con il maestro di cappella di Dresda, Nicolaus Adam Strungk, che Sartorio aveva conosciuto a Hannover, dov’era stato primo violino e poi compositore di corte (1665-79). Dal 1696 fu nominato primus architectus a Erfurt, incarico che mantenne fino alla morte (aprile 1707), quando la gestione del teatro di Lipsia passò al figlio impresario, Giovanni Federico.

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