Pucci, Antonio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pucci, Antonio

Michele Messina

Poeta (Firenze 1310 circa - ivi 1388). Campanaio del comune dal 1334 e dal 1349 approvatore e banditore. Ebbe per D. viva deferenza e culto profondo. Appassionato ammiratore della poesia della Commedia, l'intese quale la poteva intendere un fiorentino non incolto del Trecento. Le citazioni frequenti dalle tre cantiche nel Libro di varie storie, il più alto prodotto della cultura pucciana (più fitte quelle dell'Inferno, anche per la materia trattata, meno fitte quelle del Purgatorio e del Paradiso), indicano una conoscenza non superficiale dell'opera, una lettura attenta e meditata, senza soluzione di continuità.

Nel canto LV del Centiloquio (vv. 19-301) il P., intessendo le lodi di D., narra della sua vita e delle sue opere. Introduce le sette arti liberali che piangendo sul poeta morto ne rievocano la figura di uomo dotto, di sapiente universale: " Dante fu uom de' più universali / che a suo tempo avesse l'universo / tra gli scienziati e i naturali " (vv. 283-285); di maestro di filosofia e teologia: " per lettera solenne dettatore... / in aringhiera sommo dicitore / versificar sapeva sanza stima / ottimamente sovra ogni dottore " (vv. 173-177); e conclude dicendo che D. " par che cercasse tutto 'l mondo / e l'aria e 'l ciel, ché quanto dir sen possa / esso ne disse con parlar profondo " (vv. 214-216).

La biografia di D. tracciata dal P., fondata su notizie storicamente attendibili, si caratterizza per l'intento encomiastico nei confronti del poeta, per la costante celebrazione del letterato che tolse la fama ai classici antichi con la potenza della sua poesia. Vi si accompagna onnipresente l'amore, che è l'amore e la venerazione di tutta Firenze, e il comunale orgoglio per il grande concittadino che ha lasciato perpetua fama di sé e della città natale. Nel sonetto Questi che veste di color sanguigno, anteriore al 1380 (cfr. codice Magliabechiano VII 1145, c. 83r), il P. descrive con uguale entusiasmo il ritratto di D. nella cappella del palazzo del podestà di Firenze, attribuito a Giotto (v. ICONOGRAFIA). D. è giustamente posto dopo le " merite sante ", le degne anime sante, con aspetto quale si addice a un uomo virtuoso, tenendo con il braccio sinistro " la Scrittura, / perché signoreggiò molte scienze ".

La familiarità del P. con D. si rivela anche ne Le proprietà di Mercato Vecchio, in cui alla descrizione dei " buoni briganti " che, dopo le decembrine riunioni per feste e banchetti, tornano in gennaio, con le borse oramai vuote, alla consueta vita grama, si accompagnano le burlesche citazioni tratte dalla Commedia.

Per la paternità del sonetto Quando il consiglio tra gli uccei si tenne (Rime dubbie XXX v. sub voce.)

Bibl. - A. D'Ancona, In lode di D., capïtolo e sonetto di A.P., Pisa 1868; C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D., II, Roma 1889-1893, 216; G. Volpi, Rime di trecentisti minori, Firenze 1907, 105; U. Cosmo, Guida a D., ibid. 1967², 203; Poeti minori del Trecento, a c. di N. Sapegno, Milano-Napoli 1952, 349-350, 411-420; A.P., Libro di varie storie, a c. di A. Varvaro, estratto dagli " Atti Accad. Scienze, Lettere Arti Palermo " XVII (1957); M. Marti, Con D. tra i poeti del suo tempo, Lecce 1966, 127 ss.