PUCCI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PUCCI, Antonio

Anna Bettarini Bruni

PUCCI, Antonio. – Il patronimico lo dice figlio di Puccio, ma è certo che non appartiene all’importante famiglia Pucci del cardinale Antonio con il quale è stato anche confuso. La rettifica è già di Domenico Maria Manni nelle sue Notizie (1772-1775, pp. IV-VII), che identifica il genitore con un Puccio fonditore di campane, attivo dal 1296, ma a oggi non è dimostrato tale rapporto parentale e neppure la pratica della professione artigiana di Pucci, le cui origini familiari non sono al momento ricostruibili. La data di nascita si può fissare entro il primo decennio del XIV secolo, anche se è stata proposta un’ulteriore determinazione al 1309 (Mc Kenzie, 1940, p. 175); fanno testo le dichiarazioni dello stesso Pucci che si dice testimone oculare di eventi riportati nel Centiloquio, in particolare il primo tra questi, del gennaio 1316 (Centiloquio, LI, 91-93), comporta che a tale data l’autore avesse un’età consapevole.

In una petizione presentata al Consiglio dei signori del 14 giugno 1369 (Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, 57) Pucci fissa i termini cronologici dei suoi impieghi pubblici. La sua carriera durò trentacinque anni, iniziò quindi nel 1334, per diciotto anni in qualità di campanaro di Palazzo e per diciassette banditore e approvatore dello stesso Consiglio. La richiesta, che fu accolta, era di essere sollevato dal doppio incarico conservando solo la seconda funzione. Pucci restò quindi come approvatore fino al novembre dello stesso 1369, non è più in elenco nel contratto del febbraio 1370 (1369 stile fiorentino, Provvisioni, 57). La durata degli impieghi da lui dichiarata, come ebbe a notare Salomone Morpurgo (1881, pp. 10 s.) nell’edizione dell’atto, non coincide con i documenti disponibili né si riesce a spiegare l’inconguenza: il primo contratto come campanaro è del 14 novembre 1346 (Provvisioni, 34) e Pucci risulta in attività di banditore e approvatore già nel febbraio del 1349 (36-57). Non si hanno attestazioni precise di altri incarichi che avrebbe ricoperto in rapporto con pubbliche istituzioni negli anni fin qui considerati.

Nel 1371 Pucci figura come uno dei due guardiani degli atti al tribunale della Mercanzia (Archivio di Stato di Firenze, Mercanzia, 187); la funzione prevedeva la custodia dei registri, la gestione delle spese correnti e l’organizzazione delle sedute. Gli fu affidata soprattutto la cura dei libri, come è evidente per le scritte di sua mano sulle sovraccoperte della quasi totalità dei documenti prodotti nel periodo dell’impiego. La sua scrittura si riconosce anche nell’estensione parziale di singoli regesti (10828, 11770, 14150, 14159). Sull’ultimo di questi libri Pucci lascia tracce di natura personale, tra cui un suo blasone fittizio nel quale disegna sotto il suo nome la testa di tre galletti. Si può avanzare l’ipotesi che in tale rappresentazione si richiamino i figli Luca, Paolo e Matteo, dei quali si ha notizia nel registro delle Emancipazioni il 19 agosto 1377 (10819 bis) e, in seguito, nella documentazione di un processo contro Luca e Paolo, dichiarati «cessanti e fugitivi», secondo una formula che segnala l’insolvenza dei debiti e la responsabilità civile con la conseguente cancellazione dagli atti pubblici (dal 1378 al 1381, Provvisioni, 197, 198, 201 e 67, 29 gennaio 1379).

Con la parziale estinzione del debito registrata in un atto notarile (Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 214, notaio Albizzo di Filippo) Pucci e l’altro figlio, Matteo, evitarono di essere coinvolti nel fallimento. L’ultimo salario percepito da Pucci presso la Mercanzia è del settembre del 1382 (203). Resta dubbia la sua identificazione nell’Antonio Pucci tra gli scrutinati per il consolato dell’Arte delle pietre e legnami nel dicembre del 1381 (202).

«Antonio Pucci della mercatantia» fu tra i capitani della Compagnia dei laudesi di san Zanobi nel 1377; i Libri d’entrate di quella Compagnia, frammentari, lo certificano iscritto nel 1362 e nel 1368 e alternativamente con la carica di capitano e di consigliere fino al 1384; risulta ancora tra i confratelli paganti ancora il 26 gennaio 1388 (Archivio di Stato di Firenze, Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, 2171; 2182 inserto 3°).

Si sa dalla novella di Franco Sacchetti (Le Trecentonovelle, CLXXV) che Pucci viveva in una casa di sua proprietà in via Ghibellina: la localizzazione è confermata dai registri delle Prestanze, nei quali risulta contribuente del quartiere di S. Croce, gonfalone Ruote, fin dall’agosto 1362 (Archivio di Stato di Firenze, Prestanze, 14, citato come banditore); dal 1379 è associato genericamente ai figli, dei quali è nominato solo Matteo, che più volte paga la tassa a nome del padre; mai citati, forse per la loro interdizione, Luca e Paolo. «Antonio di Puccio et figliuoli» è presente nei registri fino al 1390 (1230 e 1246, pagate nel luglio 1393); nel corso dello stesso anno la titolarità della tassa è trasferita a Matteo e fratelli (1257), ma non c’è nota di pagamento: in seguito a questa omissione gli stessi sono segnati tra i debitori (1303, 1304), dopodiché non si trovano più nei registri tributari.

La registrazione fiscale contrasta con la data di morte finora riconosciuta (Lazzeri, 1909, p. 89) in base alla scrittura di un becchino che registra il 13 ottobre 1388 il decesso di un Antonio Pucci del popolo di S. Pier Maggiore del quartiere di S. Giovanni (Archivio di Stato di Firenze, Ufficiali poi Magistrato della Grascia, 186). L’improprietà dei dati, giusto il popolo ma errato il quartiere, è un ulteriore elemento per incrinare l’attendibilità della nota come riferita a Pucci e non a uno dei numerosi omonimi che risultano a Firenze in quegli anni.

Il fatto che il registro del magistrato della Grascia, per il periodo che qui interessa, offra registrazione parziale dei morti può giustificare l’assenza di una rubrica che si riferisca a Pucci scrittore, la cui morte si può dunque fissare con il termine ante quem della cassazione del suo nome dai registri dei prestiti, ovvero prima della metà del 1390.

Di formazione autodidatta, Pucci è rappresentante di una cultura di livello medio-basso, ma non marginale, come mostrano gli scambi di rime con Franco Sacchetti e con Giovanni Boccaccio. Egli orienta la maggior parte delle sue opere a una finalità didascalica per nutrire la memoria popolare, soprattutto riguardo ai fatti relativi a Firenze. Lo fa fin dagli esordi con i suoi serventesi storici e cronachistici (1333-1347, contenuti nel manoscritto N.A. 333 della Biblioteca nazionale di Firenze, già codice Kirkup), con i sette Cantari sulla guerra tra Firenze e Pisa (1362-65) e soprattutto trasponendo in terzine la Nuova Cronica di Giovanni Villani nel Centiloquio, cosiddetto perché progettato in cento canti, chiuso però al novantesimo con i fatti del 1336, con l’aggiunta di un canto dedicato alle bellezze di Firenze, il quale, iniziando «Settatré mille trecen correndo», consente di datare almeno la fase finale del lavoro.

Pucci è autore di cantari di argomento novellistico-leggendario: cinque quelli sicuramente suoi: il Bruto di Bertagna, i Cantari della Reina d’Oriente, l’Apollonio di Tiro, Madonna Lionessa, il Gismirante. La produzione canterina pucciana non è databile con sicurezza anche se si ipotizza sia stata praticata negli anni Cinquanta del Trecento.

Alcune rime hanno goduto di particolare fortuna, tra queste i ternari del Mercato vecchio e delle Noie (elenco delle cose fastidiose anticipate dalla formula anaforica «A noia m’è…»), il serventese sulla vecchiaia, le ottave del cosiddetto Contrasto delle donne, nel quale su figure esemplari viene espresso alternativamente un giudizio contrario e uno a favore del genere femminile. Resta da fissare il corpus delle poesie autentiche, mentre sono ancora inedite poesie di argomento religioso già attribuite a Pucci.

L’opera in prosa Libro di varie storie è contenuta nel manoscritto autografo in Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Tempi, 2. Il libro risponde a un progetto di impianto enciclopedico, destinato alla copia e alla diffusione; le fonti (Il Milione, la Leggenda d’Alessandro, Della miseria dell’uomo di Bono Giamboni, il Fiore d’Italia ecc., molte citazioni della Commedia) corrispondono alle opere sulle quali l’autore ha costruito la sua cultura di base, unicamente volgare. Una data, 1362, orienta sui tempi di composizione.

La personalità di Pucci ha avuto un effetto attrattivo per testi anonimi dei generi da lui praticati con molte attribuzioni non convalidate; gli è stata attribuita anche un’opera controversa come il Fiore (Fasani, 1971), ma l’ipotesi è stata smentita dallo stesso promotore (Fasani, 1983). Di altre scritture poetiche, già in passato riferite a Pucci (il Serventese della morte del duca Carlo e il Cantare degli Otto Santi), è stata riproposta la possibile paternità.

Si conoscono diversi manoscritti autografi di Pucci: oltre al Laur. Tempi, 2; Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc., 1050: Vita di Dante del Boccaccio, Dante della Vita Nuova, antologia di testi poetici; Biblioteca nazionale, Magl., VII.1052: Tesoretto e Favolello di Brunetto Latini; Roma, Biblioteca Corsiniana, 44.F.26: Dante Commedia con alcuni sunti prosastici.

Edizioni. Delle poesie di Antonio Pucci celebre versificatore fiorentino del MCCC…, a cura di Ildefonso di San Luigi [Benedetto Frediani], in Delizie degli eruditi Toscani, III-VI, Firenze, 1772-75 (introduzione di D.M. Manni, Notizie istoriche intorno ad Antonio Pucci antico versificatore fiorentino, III, pp. III-XXII); F. Ferri, La poesia popolare di Antonio Pucci, Bologna 1909 (recensione di G. Lazzeri, in Rassegna bibliografica della letteratura italiana, XVII (1909), pp. 81-106); Le Noie, a cura di K. McKenzie, Princenton-Paris 1931; K. McKenzie, Antonio Pucci on old age, in Speculum, XV (1940), pp. 160-186; Il contrasto delle donne, a cura di A. Pace, Menasha (Wis.) 1944; Libro di varie storie, a cura di A. Varvaro, Palermo 1957; Cantari di Apollonio di Tiro, a cura di R. Rabboni, Bologna 1996; Cantari novellistici dal Tre al Cinquecento, a cura di E. Benucci et al., I, Roma 2002, pp. 85-164; Cantari della Reina d’Oriente, a cura di A. Motta - W. Robins, Bologna 2007.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, 34, c. 112v, 36, c. 68v, 57, cc. 22rv, 33v, 117v, 168r, 67, cc. 138r-140r, 147v; Mercanzia, 187, c. 8r, 194, c. 29r, 197, 198, 201, 202, c. 25v, 203, c. 5v, 10819 bis, c. 214v, 10828, 11770, 14150, 14159; Notarile antecosimiano, 214, cc. 54r-55r, 66r-67v; Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, 2171, cc. 33r, 34v, 40v, 42r, 162v, 168v; 2182, inserto 3°, cc. 42r, 72v, 124v, 127v; Prestanze, 14, c. 29r; 1181, c. 31v; 1230, c. 31v; 1246, c. 31v; 1257, c. 82r; Ufficiali poi Magistrato della Grascia, 186, c. 187r.

Per i titoli ottocenteschi si rinvia ai repertori più recenti e per la bibliografia sulle singole opere alle relative edizioni; non si citano singolarmente i lavori in opere collettanee. S. Morpurgo, A. P. e Vito Biagi, banditori fiorentini del secolo XIV, Nozze Biagi-Piroli, Roma 1881, pp. 9-19; Id., L’apografo delle rime di A. P. donato dal Collegio di Wellesley alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, in Bullettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa, CXXXIII (1912), pp. II-VIII; R. Fasani, Il poeta del “Fiore”, Milano 1971; Id., Ancora per l’attribuzione del “Fiore” al P., in Studi e problemi di critica testuale, 6 (1973), pp. 22-66; Id., Il “Fiore” e la poesia del P., in Deutsches Dante-Jahrbuch, XLIX-L (1974-1975), pp. 81-141; A.E. Quaglio, A. P. primo lettore-copista-interprete di Giovanni Boccaccio, in Filologia e critica, I (1976), pp. 15-79; A. Bettarini Bruni, Notizia di un autografo di A. P., in Studi di filologia italiana, XXXVI (1978), pp. 187-95; R. Fasani, intervista, in Uomini e libri, XCII (1983); R. Abardo, Il Dante di A. P., in Studi offerti a Gianfranco Contini dagli allievi pisani, Firenze 1984, pp. 3-31; I Cantari. Struttura e tradizione. Atti del Convegno internazionale di Montreal... 1981, a cura di M. Picone - M. Bendinelli Predelli, Firenze 1984, ad ind.; G. Cherubini, Rileggendo A. P.: il ‘Mercato vecchio’ di Firenze, in Id., Scritti toscani. L’urbanesimo medievale e la mezzadria, Firenze 1991, pp. 53-69; W. Robins, A. P., Guardiano degli Atti della Mercanzia, in Studi e problemi di critica testuale, LXI (2000), pp. 29-70; Id., A. P.’s “Contrasto delle donne” and circulation of fourteenth-century Florentine dramatic poetry, in The papers of the bibliographical society of America, XCV (2001), pp. 5-19; M.C. Cabani, Sul “Centiloquio” di A. P., in Stilistica e metrica, VI (2006), pp. 21-81; Firenze alla vigilia del Rinascimento. Atti del Convegno di Montreal... 2004, a cura di M. Bendinelli Predelli, Fiesole 2006, ad ind.; U. Limacher-Riebold, Il serventese inedito Onnipotente re di somma gloria di A. P., in Studi e problemi di critica testuale, LXXIV (2007), pp. 81-116; Il Cantare Italiano fra folclore e letteratura. Atti del Convegno internazionale di Zurigo Landesmuseum... 2005, a cura di M. Picone - L. Rubini, Firenze 2007, ad ind.; A. Bettarini Bruni - P. Trovato, Dittico per A. P., in Filologia italiana, VI (2009), pp. 81-129; M. Cursi, Un nuovo manoscritto autografo di A. P. (Firenze, BNCF, Magl. VII 1052), in Studi di filologia italiana, LXVIII (2010), pp. 171-173; S.M. Vatteroni, Un serventese in morte di Carlo di Calabria, in Studi linguistici italiani, XXXVII (2011), pp. 170-231; A. Bettarini Bruni, Un cantare da attribuire ad A. P., in L’entusiasmo delle opere. Studi in memoria di Domenico De Robertis, Lecce 2012, pp. 115-153; G. Crimi - M. Cursi, A. P., in Autografi di letterati italiani, I, Le origini e il Trecento, a cura di G. Brunetti et al., Roma 2013, pp. 265-275; M. Cursi, Un codice della Commedia di mano di A. P., in Scripta, VII (2014), pp. 65-76.

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