MORDINI, Antonio

Enciclopedia Italiana (1934)

MORDINI, Antonio

Mario Menghini

Uomo politico, nato a Barga il 1° giugno 1819, morto a Montecatini (Valdinievole) il 14 luglio 1902. Laureatosi il 26 giugno 1837 in giurisprudenza all'università di Pisa, andò a Firenze (gennaio 1844), dove ben presto si schierò in quel gruppo repubblicano formatosi nel 1845, del quale facevano parte i due fratelli Carlo e Sebastiano Fenzi, Leopoldo Cempini e altri che si fecero promotori di tutte quelle dimostrazioni svoltesi a Firenze dopo l'elezione di Pio IX, tendenti a ottenere specialmente l'istituzione della guardia civica, libertà di stampa e costituzione. Sopraggiunta la rivoluzione milanese delle Cinque Giornate, il M. andò a Ferrara, poi a Bologna, dove s'incontrò col d'Azeglio che lo consigliò di partire per il Veneto. Il 1° aprile entrò nella legione padovana, nella quale ottenne (25 aprile) il grado di capitano istruttore, quindi, incorporato (3 maggio) nel battaglione dei Cacciatori del Reno, fu addetto a Vicenza allo Stato maggiore del colonnello Zambeccari. Fu poi a Venezia e mosse alla difesa di Treviso. Caduta quella città, tornò a Venezia, prendendo parte alla difesa della Laguna, e, a un tempo, alle lotte politiche tra i due partiti, uno favorevole, l'altro contrario a un'intesa col Piemonte, quest'ultimo accampato nel Circolo italiano, di cui il M. era stato uno dei fondatori. Arrestato il 1° ottobre 1848 per ordine di D. Manin, e fatto uscire da Venezia, fu per qualche giorno a Barga, poi andò a Firenze, dove stava per assumere il potere il partito democratico col Guerrazzi e col Montanelli, gran fautore quest'ultimo della Costituente, voluta pure dal M., che il 23 dicembre fu direttore d'un giornale intitolato appunto La Costituente. Quando il granduca abbandonò Firenze, e poco dopo partì per Gaeta, il governo provvisorio del Guerrazzi creò il M. ministro degli Affari esteri, e per la rinunzia di M. d'Ayala, gli affidò l'interim del portafoglio della Guerra. Nonostante nel Circolo popolare fiorentino, del quale aveva fatto parte nei mesi precedenti, avesse propugnato l'unione della Toscana con Roma, come ministro si schierò col Guerrazzi nell'ostacolarla; ma del resto, l'opera sua in quei mesi di potere ebbe scarsi risultati. Restaurata la sovranità granducale, il M. andò in esilio, dapprima in Corsica, dove rimase fino al settembre del 1849, poi a Genova e, cacciato di là, a Nizza (23 febbraio 1850). Accettò l'offerta del Mazzini di fare parte del Comitato nazionale italiano costituitosi a Londra l'8 settembre 1850, al quale proposito nella seconda metà del 1851 fece un viaggio a Londra. Rimase però estraneo al moto del 6 febbraio 1853; e sia pure mantenendosi repubblicano e negando di accedere al programma del Manin, si staccò gradatamente dall'apostolo dell'unità italiana, da cui si divise dopo il tentativo rivoluzionario di Genova del 29 giugno 1857, che egli aveva condannato, sebbene proprio in conseguenza di quello gli fosse intimato di lasciare Genova e d'andare in relegazione a San Remo (20 gennaio 1858). Poté tornare in Piemonte nell'aprile del 1859; e scoppiata la guerra contro l'Austria, corse a combattere tra i Cacciatori delle Alpi, sotto gli ordini di G. Medici. Dopo Villafranca, eletto deputato all'assemblea toscana, egli che oramai aveva accettato il programma garibaldino: Italia e Vittorio Emanuele, ebbe missione di recarsi da Firenze a Torino per sollecitare l'unione della Toscana col Piemonte, ed ebbe frequenti colloquî col Rattazzi. Accettata l'annessione al Piemonte delle provincie dell'Italia centrale, il M. fu eletto deputato al parlamento subalpino per il collegio di Borgo a Mozzano; non partecipò alla spedizione dei Mille, ma nel giugno 1860 andò a Palermo, dove Garibaldi lo nominò colonnello e presidente del consiglio di guerra. Succedette il 17 settembre ad A. Depretis nella dittatura di Sicilia, che per un trimestre governò con accortezza, procedendo al plebiscito (4 novembre) e recandone i risultati a Vittorio Emanuele. Si tenne sempre in intima relazione con Garibaldi; e poco prima di Aspromonte si recò in Sicilia, per sconsigliarlo dalla spedizione in Calabria, insieme con i deputati N. Fabrizi e S. Calvino. Tornato sul continente insieme con quei due suoi colleghi, fu arrestato a Napoli e internato in Castel dell'Ovo, donde uscì per effetto dell'amnistia del 5 ottobre. Appena libero, visitò Garibaldi al Varignano e più tardi interpellò alla camera il governo sul fatto d'Aspromonte, causandone la caduta. Intanto, la sua evoluzione politica si andava sempre più delineando. Nel 1866 fu ventilata la proposta d'una sua accettazione di far parte del gabinetto Ricasoli, ma andò fallita; tuttavia accettò d'andare commissario presso il re a Vicenza e si dimise il 5 settembre. Come per Aspromonte, tentò invano di persuadere Garibaldi a non intraprendere la campagna dell'Agro Romano. Il 13 maggio 1867, in un rimaneggiamento del gabinetto Menabrea, fu nominato ministro dei Lavori pubblici, e rimase in carica fino al 14 dicembre 1869. Prefetto di Napoli l'11 agosto 1872, vi durò fino alla caduta dal potere (marzo 1876) della Destra, alla quale si era definitivamente unito. Da allora in poi prese parte ai lavori parlamentari. Il 25 ottobre 1896 fu nominato senatore del regno.

Bibl.: M. Rosi, Il Risorgimento italiano e l'azione d'un patriota cospiratore e soldato, Torino 1906; id., Due amici di Val di Serchio, A. M. e G. Giorgi, in Boll. stor. lucchese, 1931, n. 1.