MORANDI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MORANDI, Antonio

Andrea Argenio

MORANDI, Antonio. – Nacque a Modena il 16 agosto 1801, quinto di sei figli, da Vincenzo, fornaio, e da Anna Vaccari.

Nonostante la modesta condizione familiare tutti i figli poterono studiare e Antonio ebbe l’ausilio di un precettore, don Ignazio, che gli impartì lezioni di latino, storia e religione.

Cresciuto in un ambiente di idee liberali, nell’aprile 1815 fuggì di casa per andare incontro alle truppe di Gioacchino Murat impegnate contro gli austriaci nelle vicinanze di Modena. Trovatosi in mezzo alla battaglia il giovane si rifugiò in un casolare; qui rimase fino all’indomani quando si unì alle armate napoletane per entrare in città.

Nel 1819 si iscrisse alla Regia Università di Modena frequentando corsi di filosofia, diritto, etica, eloquenza e alcune materie scientifiche, ma si ritirò senza conseguire la laurea nel 1822. Il 15 maggio dello stesso anno fu coinvolto nell’uccisione del direttore della polizia provinciale, l’avvocato Giulio Besini – del quale si assunse la responsabilità, senza però essere creduto dalle autorità – aggredito e pugnalato da uno sconosciuto. Dopo questa vicenda lasciò l’Italia trovando rifugio a Londra; qui restò sino a quando, insieme ad altri compagni d’esilio, decise di partire per la Spagna per andare a combattere con le truppe liberali costituzionaliste contro i francesi intervenuti a fianco di Ferdinando VII. Conquistatosi il grado di capitano, nel settembre 1823 rimase ferito gravemente e fu fatto prigioniero a Lleida (Lérida); quindi, liberato, tornò a Londra.

Sollecitato da alcuni compagni d’esilio decise di rimettersi in viaggio per andare ad appoggiare la lotta insurrezionale della Grecia contro i turchi e partì nel luglio 1825 in qualità d’inviato del Comitato greco-inglese. Il 25 luglio sbarcò nel porto di Nauplia, si presentò al governo greco e fu assegnato al comando del colonnello Faber incaricato di formare truppe tattiche per resistere all’offensiva turca di Ibrahim Pascià. Morandi, con il grado di capitano, fu posto al comando di un corpo di Clefti e partecipò a diverse battaglie (a Tripolitza, Idra, Tebe e Atene) sino a quando, nel 1826, fu nominato comandante della guarnigione di Missolungi.

La città era da tempo sotto l’assedio dei turchi; nell’aprile 1826 gli abitanti – appoggiandosi agli uomini di Morandi – decisero di rompere l’isolamento, ma l’esito fu disastroso. Infatti non appena gli assediati provarono a uscire dalle mura cittadine, furono attaccati e massacrati e, nonostante la grande prova di valore offerta, le truppe ottomane riconquistarono la città lasciando sul terreno oltre 5000 morti. A Morandi e ai suoi non restò altro che dirigersi ad Atene dove l’italiano rimase sino al 1828.

Le azioni di carattere militare valsero a Morandi il grado di colonnello della gendarmeria e due medaglie al valore militare per le ferite riportate a Negroponte e Atene prima di essere nominato comandante militare della guarnigione di Patrasso, dove giunse in seguito a due trasferimenti subiti a causa delle riserve mostrate nei confronti delle autorità greche.

Quando Morandi venne a conoscenza dell’insurrezione di Modena organizzata da Ciro Menotti chiese ed ottenne il congedo. Giunse nella sua città natale il 1° marzo 1831 ed entrò immediatamente nei ranghi dell’esercito dei rivoltosi. Il 4 marzo, alla testa di 300 volontari, affrontò a Novi le truppe austro-estensi intervenute a sostegno del duca Francesco IV, ma dopo sei ore di cruenta battaglia furono costretti a ritirarsi; per qualche giorno resistettero ancora a Modena, poi ripiegarono verso Bologna, ma incalzati dall’avanzata delle truppe austriache il 25 marzo si scontrarono di nuovo a Rimini e capitolarono. Sciolto l’esercito, Morandi assieme ai suoi uomini si imbarcò, il 28 marzo, sul brigantino Isotta diretto a Marsiglia, ma la mattina del 30 la nave fu bloccata dalle autorità austriache e gli occupanti tradotti nelle carceri veneziane. Morandi, timoroso di essere consegnato alle autorità modenesi, fuggì dalla prigione nella notte tra il 20 e il 21 agosto e dopo una serie di peripezie, transitando per Bassano del Grappa e Lugano, il 21 settembre giunse a Marsiglia da dove salpò il 3 dicembre per la Grecia.

Giuntovi il 27 trovò la Repubblica greca in preda a disordini e alla guerra civile. Nominato immediatamente Minarca della Gendarmeria dalle autorità, gli fu affidato il comando del secondo battaglione di Sira, un’isoletta a sud est del paese. Per qualche anno visse così nel paese ellenico espletando i servizi di ordine pubblico e mantenendo i contatti con diversi esuli italiani tra i quali i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera.

All’inizio del 1848, quando gli giunsero notizie sui moti scoppiati in Italia, Morandi chiese al ministero della Guerra una licenza di sei mesi per recarsi all’estero. Temendo lungaggini burocratiche chiese udienza al re Ottone I per sollecitare un parere favorevole al congedo e due settimane dopo, il 31 marzo, poté imbarcarsi per l’Italia. Arrivato ad Ancona il 6 aprile e nei giorni seguenti a Modena, si diresse quasi subito a Venezia per combattere in difesa della Repubblica. Entrato in contatto con Daniele Manin ricevette da questi il comando del consiglio militare per i corpi militari del Veneto formatosi a Treviso; e il 23 maggio assunse l’incarico di riordinare i corpi franchi fiaccati dall’indisciplina e dalle difficoltà.

Con l’aiuto di collaboratori come Giuseppe La Masa e Antonio Mordini, si adoperò per raccogliere tutte le forze dei volontari presenti in Veneto sotto un comando unitario e sfruttare al meglio l’entusiasmo popolare, arrivando ad appoggiare il rifiuto di una fusione dei trevigiani con il Piemonte sabaudo di Carlo Alberto. Il 3 giugno si distinse in un’azione contro l’esercito austriaco sulle rive del Sile, dove 250 austriaci furono messi in fuga a Porte Grandi, e oltre 800 capi di bestiame ricondotti in città. Nonostante la vittoria, le armate austriache espugnarono in pochi giorni Vicenza e la stessa Treviso costringendo Morandi e i suoi uomini ad una dolorosa ritirata e a una lunga peregrinazione, mentre Carlo Alberto firmava, il 9 agosto, l’armistizio di Salasco col quale si ripristinavano gli antichi confini tra Piemonte e Lombardo Veneto.

A Venezia, ultimo baluardo della resistenza agli austriaci, la brigata capeggiata da Morandi arrivò il 23 agosto; il generale fu subito destinato al comando di Marghera da dove il 27 ottobre mosse, su ordine del comandante Guglielmo Pepe, per conquistare Mestre con l’ausilio di tre colonne da lui dirette. La città fu presa ma dovette presto essere lasciata per l’impossibilità di mantenerne il controllo. Morandi espresse molti dubbi sull’utilità dell’azione ed entrò in contrasto con Pepe dopo la scoperta che gli austriaci erano venuti a conoscenza in anticipo dei piani militari della repubblica veneta. Le critiche espresse sul giornale L’Indipendente, con un’esplicita condanna dell’operato delle alte autorità militari, gli costarono un arresto di tre giorni che peggiorò un suo persistente stato febbrile e l’8 novembre portarono alla sua sostituzione.

Rientrò in servizio, una volta guarito, nel gennaio 1849. Posto inizialmente al comando della seconda brigata e successivamente del battaglione di Italia libera, si incaricò della difesa di Chioggia da dove effettuò alcune sortite, come quella verso Brondolo. Qui, il 22 maggio, 1200 uomini comandati da Morandi, che grazie a questa azione fu elevato al grado di generale di brigata, riuscirono a requisire derrate alimentari e viveri per Venezia affamata dall’assedio austriaco. Con l’aggravarsi della situazione Morandi, nominato il 18 giugno presidente del Consiglio straordinario di guerra con il compito di giudicare i delitti militari, propose di richiamare alle armi tutti coloro che avevano compiuto il servizio militare negli anni 1845-47 affinché nuovi uomini potessero rinsanguare i ranghi dell’esercito, ma il suggerimento non fu accolto dalle autorità governative. Il 27 giugno fu prima incaricato di comandare il III Circondario della difesa e poi nominato rappresentante della città di Venezia nel Parlamento veneto, luogo dal quale tornò a chiedere la formazione di colonne di corpi volontari in grado di portare la guerra sulla terraferma. Quando gli uomini di Manin si arresero agli austriaci Morandi si imbarcò nuovamente verso la Grecia, il 24 agosto, a bordo di un bastimento mercantile diretto a Corfù.

All’arrivo fu arrestato dalle autorità greche con l’accusa di diserzione e rinchiuso nel forte militare di Nauplia. In realtà nel corso dei mesi precedenti Morandi aveva chiesto più volte le dimissioni (consegnate anche ai consoli greci di Genova e Livorno) ma per problemi burocratici non erano mai giunte ad Atene. Dopo cinque mesi di carcere duro cominciò il dibattimento nel quale il Morandi si difese rivendicando i suoi 27 anni di attaccamento alla causa greca e facendo intendere che dietro tali accuse vi fosse l’Austria. Il Consiglio di guerra di Nauplia il 5 giugno 1850 assolse all’unanimità il generale, lo liberò e lo rinviò al suo corpo d’appartenenza, ma le autorità greche produssero appello a un tribunale civile che, il 7 dicembre 1852, lo condannò alla perdita dei diritti civili per tre anni con privazione del grado e delle decorazioni. Morandi si rivolse allora alla Corte d’appello di Atene che il 4 aprile 1853 ribadì l’assoluzione provocando il ricorso governativo all’Alto Tribunale dell’Aeropago. La sentenza fu confermata dall’Alto Tribunale il 2 luglio, con riabilitazione civile e penale dell’accusato e dal tribunale di Atene il 26 gennaio 1854. L’ultimo ricorso delle autorità greche fu respinto il 2 aprile 1854 e rimase esecutoria la sola sentenza del consiglio di guerra. A Morandi, dopo un’iniziale messa in disponibilità per la soppressione dell’impiego, fu riconosciuto il grado di colonnello della gendarmeria a stipendio pieno.

Allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, e dopo aver appreso della fuga del duca Francesco V da Modena e della sconfitta dell’esercito austriaco, Morandi chiese e ottenne le regolari dimissioni dall’esercito greco integrate da un personale intervento del re Ottone che gli prorogò la licenza all’estero di ulteriori sei mesi. Giunto a Modena alla fine di luglio del 1859, fu nominato il 19 agosto dal dittatore Luigi Carlo Farini comandante della brigata Reggio, 45º reggimento fanteria, con il compito di controllare i confini territoriali tra Emilia e Veneto. Alla nomina di Manfredo Fanti come comandante in capo della Lega d’Italia centrale assunse il ruolo di comandante della brigata Modena, un ruolo di grande responsabilità a contatto diretto con il Veneto ancora controllato dagli austriaci. Nell’aprile 1860 si giunse alla fusione delle brigate con l’esercito regio e il maggiore generale Morandi ricevette dal ministero della Guerra il decreto di nomina al grado equestre di Ufficiale dell’Ordine mauriziano e fu trasferito con i suoi uomini a Novi e Serravalle a far parte della 21ª divisione.

Nell’inverno del 1861 Morandi era di stanza a Torino con la sua brigata quando ricevette da Fanti l’ordine di recarsi in Sicilia per crearvi un presidio militare; alla fine di aprile partì per Messina al comando della sottodivisione militare di quella provincia con il compito di mantenere l’ordine pubblico. Nella sua permanenza siciliana sistemò le strutture militari dal punto amministrativo e logistico, allestì le carceri e ristabilì l’autorità statuale. Alla fine del giugno 1862, in occasione della spedizione di Garibaldi, ebbe l’ordine di bloccare le truppe irregolari che da Palermo cercavano di raggiungere la Calabria: organizzò un concentramento di forze a Patti e Milazzo per bloccare la strada verso Messina e rafforzò la vigilanza della provincia per evitare una ribellione popolare a favore dei garibaldini.

Il mattino del 26 agosto, dopo l’attraversamento di Garibaldi dello stretto di Messina, Morandi ebbe un colloquio con il ministro della Marina Carlo Persano che lo accusò di eccessiva indulgenza con i garibaldini. Il giorno dopo giunse a Messina il generale Enrico Cialdini che, in qualità di plenipotenziario per la lotta al brigantaggio in Sicilia, lo sollevò dall’incarico, pur riconoscendo la bontà del suo comportamento, concedendogli due mesi di permesso sino al 25 gennaio 1863, data della sua messa a disposizione. Morandi vide in questo una disapprovazione del suo operato e chiese che fosse riconosciuta la correttezza del suo atteggiamento. Dal ministero si ribadì la stima per la condotta di Morandi che venne comunque collocato a riposo per avanzati limiti d’età con dispaccio ministeriale del 26 maggio e dal 19 luglio con la definitiva firma del decreto sovrano per il suo pensionamento. In occasione dello scoppio delle ostilità con l’Austria nella terza guerra d’indipendenza chiese di poter offrire nuovamente il suo contributo ma dal ministero, pur apprezzando l’intenzione, non si credette di dare seguito alla richiesta anche se, il 28 giugno 1872, su proposta del ministro della Guerra Cesare Ricotti, gli fu concessa la nomina a cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.

Morandi trascorse gli ultimi anni della sua vita, scapolo e senza figli, a Modena partecipando saltuariamente alla vita politica e sociale; non fece tuttavia mancare il suo contributo (20.000 lire) per la realizzazione di un monumento a Menotti – opera dello scultore Cesare Sighinolfi – che, interrotto per mancanza di fondi, poté essere ripreso e inaugurato il 6 giugno 1880.

Morì a Modena il 1° febbraio 1883.

Opere: Il mio giornale dal 1848 al 1850, Modena 1867; con lo pseudonimo di Nionato Narmodi, La santa Trinità discesa in terra italiana. Conversazioni serali tenute nell’invernata 1871-72 fra sinceri amici su principii, politici, amministrativi e religiosi dell’epoca, ibid.1874.

Fonti e Bibl.: Modena, Museo Civico del Risorgimento, Carte Morandi (attualmente in corso di riordinamento). G. Fantoni, A. M., in Il Risorgimento italiano, 1908, n. 1, pp. 818-825; A. Sorbelli, La drammatica fuga di A. M. dalle carceri di Venezia, in Rassegna storica del Risorgimento, 1918, n. 1, pp. 1-53; G. Maioli, s. v., in Dizionario del Risorgimento nazionale, III. Le persone, E-Q, Milano 1933, p. 689; C. Brandoli, A. M. Un protagonista dimenticato del Risorgimento, Modena 2005; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Torino 2007, pp. 244 s., 390-425.