ADERNÒ, Antonio Moncada e Moncada conte di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ADERNÒ, Antonio Moncada e Moncada conte di

Antonello Scibilia

Nato nella seconda metà del sec. XV da Guglielmo Raimondo e da Contissella Moncada Esfar, alla morte del padre fu investito, il 14 ott. 1511, delle contee di Adernò e di Caltanissetta e di numerosi altri feudi minori (l'investitura fu ripetuta, per la successione di Carlo d'Asburgo nel Regno di Sicilia, il 2 maggio 1517).

Potentissimo feudatario, insieme con i principali esponenti della famiglia Luna, alla quale era legato da vincoli di parentela per aver sposato Giovanna Eleonora Luna, di Sigismondo, conte di Caltabellotta, capeggiò, durante il viceregno di Ugo Moncada, appartenente al ramo spagnolo della famiglia, quella fazione della nobiltà siciliana più vicina alla Spagna, che, in funzione di interessi particolaristici e di gruppo, appoggiava la politica antiautonomistica del viceré.

Quando nei primi mesi del 1516 il baronaggio di orientamento autonomista, cogliendo l'occasione della morte di Ferdinando il Cattolico, iniziò la rivolta contro il viceré, aizzandogli contro la plebe palermitana, l'A. si strinse, insieme con gli altri principali esponenti della sua fazione, intorno al Moncada. Coerentemente con questo atteggiamento, si ritrovò con pochi altri fedeli del viceré nello Steri (palazzo vicereale), assediato dalla folla in armi, ad organizzare la difesa, dalla quale desisté solo quando seppe che il viceré era già fuggito dal palazzo e dalla città, dirigendosi a Messina. Là, poco dopo, lo raggiunse l'Adernò.

I fatti di Palermo avevano intanto le loro ripercussioni alla corte di Bruxelles, dove si decise di convocare il viceré e i principali esponenti del baronaggio in rivolta, e di affidare la presidenza del Regno ad un fedele seguace del Moncada, Giovanni Luna, conte di Bivona (5 luglio 1516). Questi, naturalmente, appena insediato, cercò in ogni modo di favorire tutti i vecchi aderenti del Moncada, ed in tal senso inviò l'A. a Catania, dove i fautori del viceré erano stati cacciati dalle cariche pubbliche a furor di popolo. La missione dell'A. non ebbe però successo, a causa della tenace resistenza oppostagli dai Catanesi, che al suo avvicinarsi alla città gli uscirono contro in armi. Il ristabilimento nell'antica posizione della fazione del Moncada procedette comunque più speditamente in tutta l'isola, con l'arrivo di E. Pignatelli, conte di Monteleone, nominato luogotenente del Regno di Sicilia il 2 febbr. 1517 (la nomina a viceré gli arrivò solo il 28 apr. 1518).

La reazione dei gruppi anti-Moncada non si fece aspettare: il 23 luglio 1517, a seguito della congiura organizzata da G. L. Squarcialupo, una nuova rivolta scoppiò a Palermo, con l'obiettivo di eliminare definitivamente dalla scena politica dell'isola tutti i vecchi esponenti della fazione del Moncada, ritornati in auge col Monteleone. Allo scoppio della rivolta, l'A., che aveva ripreso ormai la sua antica influenza sul viceré, si mise subito in salvo, evitando per poco di cadere nelle mani dei rivoltosi, che, assalito lo Steri, fecero prigioniero il Monteleone e linciarono tutti i vecchi seguaci del Moncada che capitarono nelle loro mani. La folla infuriata, non avendo così potuto impadronirsi dell'A., gli saccheggiò e bruciò il palazzo.

L'A., fuggendo da Palermo, riparò nei suoi feudi di Adernò, spostandosi quindi a Catania, dove il Monteleone era riuscito in precedenza a rimettere in carica i vecchi esponenti locali della fazione del Moncada. A Catania, rimasta ancora fedele al viceré, convennero tutti i fuggiaschi da Palermo e si strinsero intorno all'A., che aveva sempre avuto in città, per la sua particolare posizione di grande feudatario del contado catanese (la contea di Adernò era a pochi chilometri da Catania), una notevole influenza. La situazione a Catania non era però del tutto sicura. I gruppi catanesi solidali con i rivoltosi palermitani, con alla testa F. Paternò, barone di Raddusa, si preparavano infatti a rientrare in città con la forza. Di questi propositi si ebbe ben presto sentore a Catania; il vescovo della città, Gaspare Ponz, si interpose allora fra le due parti e cercò di arrivare ad una tregua recandosi a Lentini, dove il Raddusa radunava i suoi armati. L'A. prese tempo, mostrandosi ben disposto alle trattative; nel frattempo, però, richiedeva ed otteneva subito rinforzi da Messina. A questo punto il Raddusa, rotti gli indugi, trasferì, via mare, una parte dei suoi armati ad Aci, e quindi attaccò la città per terra e per mare. L'A., che dirigeva la resistenza, si dovette ritirare ben presto dalla battaglia, a causa di una ferita ricevuta in uno scontro con gli assedianti sotto le mura della città. La cosa disanimò completamente gli assediati, provocando nello stesso tempo l'insorgere della plebe catanese, che aprì le porte della città ai fuorusciti, cacciando i moncadiani.

Tuttavia, esauritasi in seguito la rivolta palermitana, e ritornata la calma nell'isola, il Monteleone si recò personalmente a Catania, al comando di un distaccamento di truppe spagnole. Il vecchio ordine fu così ristabilito nella città, che vide sbanditi e in parte giustiziati il Raddusa e i suoi seguaci.

L'A., che era rimasto nei suoi feudi di Adernò in attesa di tempi migliori, rientrò a Catania, dove fu subito nominato dal Monteleone capitano d'armi. Ripresa in pieno l'antica posizione, il 30 ag. 1519 ottenne la riconferma di tutti i privilegi goduti in passato dalla sua famiglia, e l'anno dopo ebbe assegnati da Carlo d'Asburgo, in ricompensa della sua fedeltà al governo vicereale, molti dei beni confiscati ai rivoltosi. Nel 1522 fu nominato capitano generale delle milizie del Regno e nel 1527 vicario viceregio e capitano d'armi in Val di Noto: in tale qualità, riprese nel 1528 Augusta ai Veneziani, che l'avevano occupata. Morì a Caltanissetta nel 1549.

Fonti e Bibl.: P. Litta, Fam. cel. ital., Moncada di Sicilia,tav. II; F. Ferrara, Storia di Catania...,Catania 1829, pp. 133-137; I. La Lumia, La Sicilia sotto Carlo V imperatore (1516-1535),in Storie siciliane,III, Palermo 1882, pp. 48, 61, 71-72, 87, 108, 129, 132-133, 140-145, 173-174, 238; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia...,Palermo 1924, I, p. 17; II pp. 92-93; V, ibid. 1927, p. 242.

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