Gramsci, Antonio

Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia (2013)

Antonio Gramsci

Nicolò Bellanca

L’influenza italiana dei Quaderni del carcere «sulla generazione che si venne formando intorno al ’50 è paragonabile solo a quella di Croce nel primo decennio del secolo» (N. Bobbio, Profilo ideologico del ’900, 1990, p. 201). Dagli anni Settanta inizia la fortuna planetaria della riflessione gramsciana, con una bibliografia che annovera più di 18.000 titoli in 41 lingue e continua a espandersi (M. Gibson, Introduction, «Journal of modern Italian studies», 2011, 16, 2, pp. 167-69, nr. speciale: Gramsci revisited). Le aree più frequentate dagli studiosi di Gramsci sono la teoria politica, la letteratura, l’antropologia, i Subaltern studies, i Women’s studies, la filosofia e la sociologia, mentre appare ridotta la presenza di contributi catalogabili in senso stretto come contributi di economia. Forse ciò dipende dal fatto che, come sostenne Perry Anderson (Considerations on western marxism, 1976), «il silenzio di Gramsci sui problemi dell’economia fu pressoché totale» (trad. it. 1977, p. 97)? Oppure si può avanzare una diversa e più plausibile spiegazione?

La vita

Antonio Gramsci nasce ad Ales, in Sardegna, il 23 gennaio 1891. Nel corso dell’infanzia subisce una deformazione scheletrica, provocata da un’infezione alla colonna vertebrale. Alla disabilità si affianca la miseria familiare, seguita alla condanna del padre per irregolarità amministrative. Lavora già a 11 anni, studia con tenacia, vince una borsa di studio con cui accede, nel 1911, alla facoltà di Lettere di Torino. Nel 1913 si iscrive alla sezione socialista cittadina. Due anni dopo entra nella redazione dell’«Avanti!». Nel 1917 assume la direzione del «Grido del Popolo» e diventa segretario della sezione socialista torinese. Nel 1919 è tra i fondatori del settimanale «L’Ordine Nuovo», che poi diventa quotidiano. Nel 1921 entra nel comitato centrale del Partito comunista d’Italia (PCd’I), costituito il 21 gennaio a Livorno. Nel 1922 parte per la Russia, quale rappresentante del partito nel comitato esecutivo dell’Internazionale comunista; viene ricoverato in una casa di cura presso Mosca, dove conosce Julija (Giulia) Schucht che diventerà sua moglie. Nel 1923 è colpito da un mandato di arresto della polizia italiana e, a fine anno, si sposta a Vienna, con il compito di mantenere i collegamenti tra il PCd’I e gli altri partiti europei. Nel 1924 fonda l’«Unità» e viene eletto deputato: grazie all’immunità parlamentare, rientra in Italia. Nel 1924 e 1926 nascono a Mosca i figli Delio e Giuliano.

Partecipa nel 1926 a Lione al terzo congresso del PCd’I; l’8 novembre dello stesso anno è arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un breve confino a Ustica, all’inizio del 1927 è ristretto nelle carceri giudiziarie di San Vittore. Nel 1928 è condannato a oltre vent’anni di reclusione e assegnato alla Casa penale speciale di Turi. L’8 febbraio 1929 inizia la stesura dei Quaderni. Il suo studio è reso possibile dall’affetto della cognata Tania e dall’amicizia militante di Piero Sraffa. Nel 1931, 1933 e 1935 è colpito da gravi crisi. A fine del 1933 viene trasferito in una clinica di Formia, e dall’agosto 1935 alla clinica Quisisana di Roma. Nell’aprile 1937 riacquista la piena libertà, ma pochi giorni dopo è colpito da emorragia cerebrale. Muore il 27 aprile 1937.

La riflessione metodologica e teorica sull’economia

Chiunque provi a ricostruire i contributi gramsciani alla scienza economica, non può non procedere da un’idea dei contenuti e dei confini di tale disciplina. Una possibile posizione, riferendosi all’orizzonte dello stesso Gramsci, chiama in causa David Ricardo e Karl Marx, Luigi Einaudi e Achille Loria (Potier 1986; Faucci 2010). Un’altra non ritiene improprio (cfr. Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, 1975, p. 1350) rileggere Gramsci alla luce di tematiche che ormai appartengono alla scienza economica, ma non vi rientravano ottant’anni fa, nonché alla luce delle riflessioni sull’economia di alcuni gramsciani odierni. Infine, una terza esamina anche le influenze che Gramsci potrebbe aver esercitato o ricevuto: al riguardo, l’attenzione si volge principalmente a Sraffa, che gli fu vicino negli anni del carcere, e che è uno dei maggiori economisti eterodossi del Novecento (Naldi 2000; Sen 2003). Richiameremo, in estrema sintesi, i due primi approcci, che non si escludono a vicenda e che, presi assieme, consentono di chiarire la domanda d’apertura.

Diversamente dal giudizio di Anderson, «un’indagine attenta dei Quaderni rivela una massa di materiale direttamente e indirettamente riguardante temi economici» (P.D. Thomas, The Gramscian moment, 2009, p. 348). Il luogo più esplicito è il quaderno 22, intitolato Americanismo e fordismo, ma anche nei quaderni 8 e 10

vi sono numerose note e considerazioni sull’economia (politica), sulla critica del modo economicistico di pensare e sul rinnovamento della “critica”, ossia dell’economia marxista. Esse danno testimonianza di un avanzato studio della letteratura economica disponibile e di un impegno serio con la storia e la logica della scienza economica […]. In queste annotazioni Gramsci si occupa della storia economica d’Italia e di altri paesi, studia la crisi economica internazionale in corso, l’evoluzione dei finanziamenti statali in Italia e in altri paesi, si misura con alcuni recenti sviluppi della teoria economica, riflette sulle fondamenta di una scienza economica indipendente, commenta talune critiche alla teoria economica di Marx […], discute il significato filosofico delle scoperte degli economisti classici (Krätke 1998, p. 54).

Iniziamo dalla critica metodologica all’economics. Occorre non perdere contatto con il senso comune, poiché

l’errore dell’intellettuale consiste ‹nel credere› che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica (Quaderni del carcere, cit., p. 1505).

Il senso comune non è l’acritico ‘buon senso’ della cultura tradizionale, bensì uno strumento tramite cui il ricercatore non smette di porsi le domande del soggetto subalterno (Quaderni del carcere, cit., pp. 1396-97, 1861, 2271). Esso preserva la natura politica dell’indagine economica: evocando passioni conflittuali e interessi strategici, evita che la riflessione economica diventi mero esercizio di abilità logico-formale, o peggio di giustificazioni ideologiche. Questa riflessione richiede la storicità delle astrazioni scientifiche:

Mercato determinato per l’economia critica [è] l’insieme delle attività economiche concrete di una forma sociale determinata, assunte nelle loro leggi di uniformità, cioè “astratte”, ma senza che l’astrazione cessi di essere storicamente determinata. Si astrae la molteplicità individuale degli agenti economici della società moderna quando si parla di capitalisti, ma appunto l’astrazione è nell’ambito storico di una economia capitalistica e non di una generica attività economica che astragga nelle sue categorie tutti gli agenti economici apparsi nella storia mondiale riducendoli genericamente e indeterminatamente all’uomo biologico (Quaderni del carcere, cit., pp. 1276-77).

Nel costruire un’argomentazione, l’economista sfoltisce, semplifica e stilizza un oggetto complesso. Ma è proprio il suo aggancio al senso comune a ridurre il rischio che, lungo il processo di astrazione, siano amputati i caratteri storicamente pregnanti della realtà, dai quali non si può prescindere nemmeno in un’approssimazione iniziale. Anzi, una decisiva differenza tra l’uno e l’altro studioso sta nel modo con cui ciascuno articola i fenomeni che sceglie di rappresentare. Ipotizzare, per es., come fa Gramsci contro il marxismo scolastico, che la distinzione fra società civile e politica sia «puramente metodica, non organica» (Quaderni del carcere, cit., p. 460), equivale a ripensare l’astrazione ‘capitalismo’, e apre il dibattito marxista a una prospettiva teorica che era preclusa finché quelle sfere venivano pensate in termini di gerarchia (sopra/sotto) e di separatezza. Un altro esempio concerne gli economisti liberoscambisti, i cui precetti poggiano su

un errore teorico di cui non è difficile identificare l’origine pratica: sulla distinzione cioè tra società politica e società civile, che da distinzione metodica viene fatta diventare ed è presentata come distinzione organica. Così si afferma che l’attività economica è propria della società civile e che lo Stato non deve intervenire nella sua regolamentazione (Quaderni del carcere, cit., p. 1590).

Marxismo scolastico e liberismo coltivano dunque lo stesso limite metodologico: separando ambiti istituzionali che si tengono a vicenda, e che non sono quindi che articolazioni di un sistema, si precludono la disamina di come quegli ambiti possano entrare in tensione e suscitare cambiamenti. La critica metodologica spinge a riconsiderare la natura delle leggi economiche:

È da svolgere l’accenno sul significato che “tendenziale” deve avere, riferito alla legge della caduta del profitto. È evidente che in questo caso la tendenzialità non può riferirsi solo alle forze controperanti nella realtà ogni volta che da essa si astraggono alcuni elementi isolati per costruire un’ipotesi logica. Poiché la legge è l’aspetto contraddittorio di un’altra legge, quella del plusvalore relativo che determina l’espansione molecolare del sistema di fabbrica e cioè lo sviluppo stesso del modo di produzione capitalistico, non può trattarsi di tali forze controperanti come quelle delle ipotesi economiche comuni. In questo caso la forza controperante è essa stessa studiata organicamente e dà luogo a una legge altrettanto organica che quella della caduta (Quaderni del carcere, cit., pp. 1282-83).

Non si coglie una legge sotto una clausola di ceteris paribus, ossia tenendo ferme tutte le restanti condizioni. Se così fosse, le controtendenze si attiverebbero ogni volta che allentiamo quella clausola. Piuttosto la legge rappresenta un processo organico entro una realtà che è contraddittoria, e in cui può essere colta un’altra legge, espressione di un processo organico contrastante. Così, nell’analisi del declino del saggio di profitto, le controtendenze non costituiscono la ‘concretizzazione’ della tendenza, ovvero il progressivo tener conto di fattori che erano stati esclusi nel modello più astratto, bensì l’affiorare di reazioni al processo organico raffigurato dalla legge.

Questa legge dovrebbe essere studiata sulla base del taylorismo e del fordismo. Non sono questi due metodi di produzione e di lavoro dei tentativi progressivi di superare la legge tendenziale, eludendola col moltiplicare le variabili nelle condizioni dell’aumento progressivo del capitale costante? […] Con ognuna di queste innovazioni l’industriale passa da un periodo di costi crescenti (cioè di caduta del saggio di profitto) a un periodo di costi decrescenti, in quanto viene a godere di un monopolio di iniziativa che può durare abbastanza a lungo (relativamente) (Quaderni del carcere, cit., p. 1312).

La nascita della catena di montaggio cambia le condizioni di lavoro in fabbrica e quelle sociali di riproduzione della forza-lavoro. Per un verso

esprime la capacità del capitale di aumentare la produttività, di sviluppare elementi di piano, di razionalizzare i rapporti sociali, di produrre consenso, tramite più alti salari, direttamente a partire dalla fabbrica; per l’altro verso, plasmando la vita extra-lavorativa in base alle esigenze dell’azienda, regolamentando gli istinti, parcellizzando le mansioni e facendo perdere ai lavoratori “la complessità dell’opera comune”, la rivoluzione industriale genera opposizione (C. Corradi, Storia dei marxismi in Italia, 2005, p. 55).

Pertanto il taylorismo-fordismo, in quanto contro-legge, contiene a sua volta, per dir così, una contro-contro-legge. Lo stacco dal determinismo unilaterale non potrebbe essere più netto e ragionato.

Dopo aver trattato i rapporti della scienza economica con la realtà, il modo di astrarre e la costruzione delle leggi, Gramsci si volge ai temi dell’equilibrio/ordine e del mutamento/crisi. Sono temi che attraversano tutte le pagine dei Quaderni, ma che possono sfuggire all’economista per la loro peculiare terminologia. L’equilibrio/ordine è esplorato mediante la «legge delle proporzioni definite»: essa considera quali rapporti di complementarità assicurino la riproduzione congiunta di più attività.

È certo che in ogni nazione deve esistere una certa (e determinata per ogni nazione) espressione della legge delle proporzioni definite. I vari gruppi cioè devono essere in certi rapporti di equilibrio, il cui turbamento radicale potrebbe condurre a una catastrofe sociale (Quaderni del carcere, cit., p. 1141).

Affinché «la struttura e le superstrutture form[i]no un “blocco storico”» (Quaderni del carcere, cit., p. 1051), occorre una complementarità tra i profili strategici delle molteplici sfere istituzionali. È qui che Gramsci riflette su come si organizza la società. «Le forze materiali sono il contenuto e le ideologie la forma», ma la distinzione è «meramente didascalica, perché le forze materiali non sarebbero concepibili storicamente senza forma e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza le forze materiali» (Quaderni del carcere, cit., p. 869). «Politica ed economia, ambiente e organismo sociale sono tutt’uno, sempre, ed è uno dei più gran meriti del marxismo avere affermato questa unità strategica» (Scritti di economia politica, a cura di F. Consiglio, F. Frosini, 1994, p. 9). Nella lettura di Raymond Williams (Base and superstructure in Marxist cultural theory, 1973), l’«unità strategica» di cui discorre Gramsci rimanda a

una serie di significati e valori che dal momento che sono sperimentati come pratiche appaiono reciprocamente rafforzati. Perciò l’egemonia costituisce per la maggior parte degli individui nella società il senso della realtà, il senso di una realtà assoluta perché è quella nota, al di là della quale è molto difficile per la maggioranza degli individui andare (p. 9).

Si ha dunque unità strategica tra forze materiali e ideologia quando esse, supportandosi mutuamente, compongono un blocco storico egemonico. Questa tesi teorica gramsciana è oggi al cuore del programma di ricerca dell’economia neoistituzionalista, con il nome di complementarità istituzionale (M. Aoki, Towards a comparative institutional analysis, 2001). Supponiamo che x′ e x″ siano due istituzioni alternative nel dominio X, mentre z′ e z″ siano due istituzioni alternative nel dominio Z. La complementarità istituzionale è definita dalle seguenti circostanze: 1) Il beneficio addizionale di avere l’istituzione x′ invece di x″ in X, è maggiore quando l’istituzione z′ (invece di z″) è scelta in Z. 2) Il beneficio addizionale di avere l’istituzione z″ invece di z′ in Z è maggiore quando l’istituzione x″ (invece di x′) è scelta in X. Come Gramsci, questo approccio analizza le circostanze in cui l’interazione (l’«unità strategica») tra domini istituzionali (un «blocco storico») è, sebbene non ottimale, capace di riprodursi («egemonicamente»).

Un’implicazione decisiva di questo modo di ragionare riguarda l’idea di potere sociale. Una classe opprime direttamente un’altra finché entrambe lottano per un’unica risorsa, come quando nel marxismo scolastico la borghesia e il proletariato si contendono il reddito monetario. Ma

Gramsci era consapevole che la moderna società industriale non è uno scontro d’interessi a somma zero, bensì una complessa compenetrazione di interessi, valori e visioni contrastanti del futuro. […] Il potere non può essere compreso in termini di unità omogenee da accumulare o detrarre (D. Schecter, Gramsci’s unorthodox marxism, «Modern Italy» 2010, 2, p. 153).

Occorre considerare chi controlla le risorse specifiche di questa o quella sfera istituzionale, e come le sfere si tengono a vicenda. Un’impostazione economicistica che guardi soltanto alla fabbrica o al mercato, cade nel vizio di metodo sopra delineato: elimina nelle proprie assunzioni i tratti essenziali del sistema che si propone di spiegare.

Passiamo alla crisi. Essa consiste «nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere» (Quaderni del carcere, cit., p. 311). Il mutamento/crisi avviene cioè quando una «complementarità istituzionale» perde capacità egemonica, senza che automaticamente emerga un blocco storico alternativo.

Nella riflessione gramsciana, al ‘catastrofismo’ d’impianto seconda e terza Internazionale si sostituisce una lettura delle crisi come fenomeni tendenziali, nella promozione dei quali politica ed economia sono profondamente intrecciate e la forma sintetica dei quali va sempre individuata nei diversi modi in cui essi si condensano sul piano politico (G. Vacca, Quale democrazia?, 1977, p. 30).

La crisi è sempre sistemica, quale intreccio contraddittorio di leggi e contro leggi, meccanismi che s’inceppano e strategie innovative di rilancio.

Lo sviluppo del capitalismo è stata una ‘continua crisi’, se così si può dire, cioè un rapidissimo movimento di elementi che si equilibravano ed immunizzavano. Ad un certo punto, in questo movimento, alcuni elementi hanno avuto il sopravvento, altri sono spariti o sono divenuti inetti nel quadro generale. Sono allora sopravvenuti avvenimenti ai quali si dà il nome specifico di ‘crisi’, che sono più gravi, meno gravi appunto secondo che elementi maggiori o minori di equilibrio si verificano (Quaderni del carcere, cit., pp. 1756-57).

Il più importante studio delle «complementarità istituzionali» impostato da Gramsci riguarda il dualismo Nord-Sud d’Italia.

Nulla o quasi di questa analisi può oggi essere tenuto fermo di fronte alle profonde trasformazioni subite dall’Italia dopo la caduta del fascismo. […] Ma il vecchio manoscritto di Gramsci indica ancora il metodo giusto di indagine: la questione meridionale non è una questione corporativa dei meridionali, bensì la questione centrale della storia d’Italia, delle sue lacerazioni, delle sue contraddizioni e può essere risolta solo con la trasformazione generale economica, politica e morale del paese in un quadro di solidarietà organica dei lavoratori italiani (U. Cerroni, Lessico gramsciano, 1978, pp. 68-69).

Infine, l’appena menzionato tema della «solidarietà organica» delle masse popolari si colloca in un’altra area cruciale della scienza economica odierna: il formarsi dell’azione collettiva mediante ‘giochi’ di coordinamento e di cooperazione.

Una delle prime parti [del moderno Principe] dovrebbe appunto essere dedicata alla ‘volontà collettiva’, impostando così la quistione: quando si può dire che esistano le condizioni perché possa suscitarsi e svilupparsi una volontà collettiva nazionale-popolare? (Quaderni del carcere, cit., p. 1559).

Per un verso i salariati «accondiscendono all’organizzazione capitalistica della società […] quando agiscono collettivamente come se il capitalismo fosse un gioco a somma positiva, ossia come se essi, cooperando con i capitalisti, scegliessero le proprie strategie» (Przeworski 1985, p. 146). Per l’altro verso, occorre cercare «ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni» (Quaderni del carcere, cit., p. 2284), esaminando le forme di coscienza elementari del ribelle che presiedono alla formazione dei «pilastri della politica e di qualsivoglia azione collettiva» (Quaderni del carcere, cit., p. 1752).

Dove Gramsci si distacca dalle versioni classiche del marxismo è quando non ritiene che la politica sia un’arena che semplicemente riflette identità collettive e politiche già unificate, forme di lotta già costituite. La politica per lui non è una sfera dipendente. È il luogo in cui forze e relazioni, nell’economia, nella società, nella cultura, debbono essere plasmate attivamente per produrre forme particolari di potere, forme di predominio. Questa è la produzione della politica – la politica come produzione (S. Hall, Gramsci and us, 1987; trad. it. 2008, p. 77).

A sua volta è l’ideologia il canale lungo il quale, nella pratica politica, l’azione collettiva si forma. Essa è «la premessa della volontà collettiva; è, secondo un’espressione di Gramsci, la molla principale del reale dramma storico» (Z. Bauman, Zarys marksistowskiej teorij społeczeństwa, 1964; trad. it. Lineamenti di una sociologia marxista, 1971, pp. 248-49). Nei termini degli odierni economisti, Gramsci si distacca dall’idea che il coordinamento e la cooperazione affiorino da meri calcoli strumentali di singoli agenti, ritenendo piuttosto che si fondino su credenze, convenzioni e mentalità condivise (D.C. North, Understanding the process of economic change, 2005; trad. it. 2006).

L’itinerario percorso aiuta a rispondere al quesito iniziale. Nei Quaderni vi è «la fondazione, in una forma relativamente frammentaria, di un marxismo sociologico» (M. Burawoy, E. Olin Wright, Sociological marxism, 2002, p. 462). Ciò ha poco da dire agli economisti, se la loro disciplina è composta da teoremi e modelli su valore, distribuzione e crescita; appare al contrario di significativo rilievo, per le riflessioni sulla scienza economica e sull’economia nella società, quando lo si legge in riferimento all’analisi neoistituzionalista e dell’azione collettiva. Entro queste coordinate si collocano i più vivaci contributi neogramsciani: dalle analisi di political economy di Przeworski (1985) a quelle del formarsi del sistema capitalistico mondiale (Arrighi, Silver 1999), dal mutare dei nessi egemonici tra i capitalismi nazionali (Cox 1983) alla disamina di una classe capitalistica transnazionale (Robinson 2005), dalle ristrutturazioni del ‘blocco storico’ planetario (Global restructuring, state, capital and labour, 2006) alle lotte sociali nel postsviluppo economico (Contesting development, 2010).

Opere

Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, 4 voll., Torino 1975.

Scritti di economia politica, a cura di F. Consiglio, F. Frosini, introduzione di G. Lunghini, Torino 1994.

Bibliografia

R.W. Cox, Gramsci, hegemony and international relations: an essay in method, «Millennium. Journal of international studies», 1983, 12, 2, pp. 162-75.

A. Przeworski, Capitalism and social democracy, Cambridge 1985.

J.-P. Potier, Lectures italiennes de Marx (1883-1983), Lyon 1986.

L. Cavallaro, L’economia politica di Gramsci, «Critica marxista», 1997, 6, 4, pp. 59-69.

M. Krätke, Antonio Gramscis Beiträge zu einer Kritischen Ökonomie, in Gramsci-Perspektiven, hrsg. U. Hirschfeld, Berlin-Hamburg 1998, pp. 53-94 (versione riv. e ampliata Antonio Gramsci’s contribution to a critical economics, «Historical materialism», 2011, 19, 3, pp. 63-105).

G. Arrighi, B.J. Silver, Chaos and governance in the modern world system, Minneapolis 1999.

F. Frosini, Critica dell’economia ed economia critica nei “Quaderni del carcere”, in Gramsci e l’internazionalismo, a cura di M. Proto, Manduria-Roma 1999, pp. 49-63.

N. Naldi, The friendship between Piero Sraffa and Antonio Gramsci in the years 1919-1927, «The European journal of the history of economic thought», 2000, 7, 1, pp. 79-114.

G. Vacca, Gramsci Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 58° vol., Roma 2002, ad vocem.

A. Sen, Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci, «Journal of economic literature», 2003, 41, pp. 1240-55.

B. Jossa, La teoria economica delle cooperative di produzione e il pensiero di Gramsci, «Economia politica», 2004, 21, 3, pp. 413-36.

W.I. Robinson, Gramsci and globalisation: from nation-state to transnational hegemony, «Critical review of international social and political philosophy», 2005, 8, 4, pp. 1-16.

Global restructuring, state, capital and labour: contesting neo-gramscian perspectives, ed. A. Bieler, W. Bonefeld, P. Burnham, A.D. Morton, Basingstoke 2006.

T. Maccabelli, La ‘grande trasformazione’: rapporti tra Stato ed economia nei “Quaderni del carcere”, in Gramsci nel suo tempo, a cura di F. Giasi, 2 voll., Roma 2009, pp. 609-30.

R. Faucci, Croce and Gramsci as ‘economists’, «Studi economici», 2010, 65, pp. 91-115.

Contesting development: critical struggles for social change, ed. Ph. McMichael, London 2010.

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