Gramsci, Antonio

Dizionario di filosofia (2009)

Gramsci, Antonio


Uomo politico e pensatore italiano (Ales, Cagliari, 1891 - Roma 1937). Aderì nella prima giovinezza al Partito socialista italiano, e nel 1917 divenne segretario della sezione torinese di quel partito. Nel 1919 fondò (insieme ad A. Tasca, U. Terracini e P. Togliatti) L’ordine nuovo, settimanale di cultura socialista. Dall’autunno del 1919 fu animatore dei ‘consigli di fabbrica’. Nel sett. del ’20 partecipò al movimento di occupazione delle fabbriche, e nel ’21 fu tra i fondatori del Partito comunista italiano. Nel 1923-24 si allontanò sempre più dalle posizioni di A. Bordiga, che aveva diretto il Partito comunista dalla fondazione, e si avvicinò alle posizioni leniniste dell’Internazionale comunista. Nel 1926, nel congresso di Lione, riuscì a far prevalere la propria linea. In occasione della grave crisi provocata dal delitto Matteotti, G. propose ai gruppi dell’Aventino e al Comitato delle opposizioni di costituirsi in antiparlamento. Nel 1926 fu arrestato; dopo un periodo di confino, nel 1928 fu condannato dal Tribunale speciale fascista a venti anni di reclusione, durante i quali si ammalò e morì. Di G. sono stati pubblicati, postumi, oltre alle Lettere dal carcere (1947; ed. ampliata 1965), vari volumi tratti dai suoi Quaderni del carcere, saggi e appunti scritti durante il periodo di detenzione: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce (1948); Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura (1949); Il Risorgimento (1949); Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno (1949); Letteratura e vita nazionale (1950); Passato e presente (1951). Nel 1975 è stata pubblicata (a cura di V. Gerratana) un’ed. critica dei Quaderni del carcere. Nei Quaderni (che hanno esercitato un largo influsso sulla cultura italiana del secondo dopoguerra), G. ha affrontato una grande varietà di temi filosofici, storici e letterari. In campo filosofico ha sviluppato un serrato dibattito ideale con l’opera di Croce (da G. considerata «il momento mondiale odierno della filosofia classica tedesca»), sulla base della convinzione che la filosofia crociana fosse in misura notevolissima una ritraduzione in linguaggio speculativo dello «storicismo realistico» del materialismo storico. Quest’ultimo viene concepito da G. come «filosofia della prassi» (secondo l’espressione coniata da Labriola e ripresa da Gentile nel suo saggio sulla filosofia di Marx). L’interpretazione del marxismo sviluppata da G. risente fortemente del neoidealismo italiano. Egli rifiuta – sulle orme di Gentile e di Mondolfo – il miscuglio di darwinismo e di dialettica hegeliana realizzato da Engels e l’applicazione che questi aveva fatto della dialettica alla natura (respinge quindi il cosiddetto materialismo dialettico, che faceva parte dell’ortodossia dei partiti comunisti di osservanza sovietica). Per G. la dialettica è sì uno strumento essenziale al marxismo, e anzi la sua sostanza midollare, ma per intendere la storia umana, non per applicarla in modo estrinseco alla natura. Allo stesso modo egli respinge l’estensione dei metodi delle scienze empiriche al mondo degli uomini, cioè alla storia. G. è molto netto su questo punto: il marxismo, o «filosofia della prassi», è una concezione dialettica della storia umana, e la dialettica è incompatibile con i metodi delle scienze empiriche, che si fondano sul principio di causa, studiano i processi come rigorosamente connessi fra loro e derivanti gli uni dagli altri secondo un legame necessario, e quindi non conoscono alcuna discontinuità nel proprio materiale. Invece, ciò che contraddistingue il mondo storico degli uomini è che la necessità può essere vinta da un atto di volontà, da una presa di coscienza di vaste masse umane. Su questa base (e seguendo Croce) G. definisce «fuorviante» la definizione del marxismo come materialismo storico, e in ogni caso, egli dice, bisogna «posare l’accento sul secondo termine storico, e non sul primo, di origine metafisica». In campo filosofico-politico G. ha sviluppato il concetto di «egemonia»: nei paesi dell’Europa occidentale, nei quali la società civile è ricca e articolata, il movimento operaio non può conquistare il potere attraverso un atto rivoluzionario ed esercitarlo con la sola dittatura, ma deve conquistare il complesso tessuto della società civile, attraverso una paziente e originale elaborazione e azione politico-culturale: solo dopo aver esercitato una vera egemonia politico-culturale sull’intera società, il «nuovo Principe» (il Partito comunista) può esercitare il potere, il quale quindi non può essere mera forza, ma deve essere forza+consenso. Nella concezione di G. l’elaborazione di una nuova cultura diventa la premessa essenziale per una efficace azione politica dei comunisti (in ciò corregge in modo sostanziale il leninismo).

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