DALLA PORTA, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DALLA PORTA, Antonio

Calogero Piazza

Nacque a Virgoletta, all'epoca feudo "antico" dei Malaspina dello Spino secco, oggi frazione del comune di Villafranca in Lunigiana (prov. Massa Carrara). Di famiglia notabile, originaria di Genova, ebbe due fratelli, uno dei quali, Matteo, fu canonico di S. Maria ad Martyres in Roma: a lui il D. sempre si rivolse come a fidato consigliere. Compì gli studi di humanae litterae nel Collegio Romano della Compagnia di Gesù; e ai suoi primi educatori restò vicino (una specialissima familiarità lo legava al p. Bruno Bruni), anche se, quando decise di secondare la vocazione religiosa, entrò nella Congregazione dei frati minori conventuali riformati. Forse fu maestro dei novizi nel convento di S. Lorenzo ad Orvieto; poi, nel tempo della soppressione, l'amore per la regola francescana lo portò ad aderire alla più rigorosa osservanza nella custodia riformata romana (o di S. Michele Arcangelo) dell'Ordine dei frati minori. Sin qui, le esatte date ci sfuggono.

Dal 1627 (è questa la prima data accertata) al 1630 egli studiò l'arabo e il siriaco presso il convento di S. Pietro in Montorio a Roma, nel Collegio delle missioni aperto nel 1622 in ottemperanza della costituzione apostolica del 1610, con la quale Paolo V invitava i regolari all'apprendimento delle lingue liturgiche e d'uso dei cristiani delle Chiese orientali. Fu, quindi, dei primi dodici allievi - tutti "frati teologi" - del p. Tommaso Obicini, già custode di Terrasanta ed ora magister studii. Nella Pentecoste del 1630 le due scuole del Collegio tennero una solenne accademia, al termine della quale i dodici francescani si recarono al porto di Ripa grande per imbarcarsi per il Levante. Il D. ebbe a destinazione l'isola di Cipro, che in effetti sembra raggiungesse, senza però poter esercitare il ministero per le difficoltà frapposte dalle autorità ottomane.

Era in provincia quando nell'ottobre 1633 - ritenuto soggetto esperto e sicuro - ricevette l'ordine della S. Congregazione de Propaganda Fide di interessarsi alle cose di Etiopia. La missione venne precisata nel gennaio 1634: si trattava di assistere con due compagni un singolare personaggio giunto a Roma da Gerusalemme, che si diceva figlio di un deposto imperatore; nel caso il principe fosse stato riconosciuto in patria, l'unione con Roma della Chiesa etiopica si sarebbe realizzata con la sua protezione. Così, fra il 1634 e il 1635, il D. accompagnò l'ospite nelle capitali degli Stati italiani - Venezia, Mantova, Parma, Torino - facendo il collettore delle ricche elemosine elargite da governi e sovrani per la causa romana.

A Torino il principe ottenne l'adesione dei duca di Savoia, Vittorio Amedeo I, ad un suo assurdo progetto di ritorno in Etiopia passando per il Kongo (oggi Angola) supposto finitimo: tali le conoscenze geografiche del XVII secolo. E poiché il Kongo era in qualche modo soggetto alla Corona di Portogallo, il duca promise di rimettere il buon esito del viaggio alla sorella, Margherita, reggente di Portogallo per il re cattolico.

Dalla Savoia, la scombinata brigata passò in Francia, con la speranza d'interessare ai tristi casi del pretendente lo stesso Luigi XIII, divisando ora l'ingresso in Etiopia per la via dell'Arabia o della Persia, con l'aiuto degli Inglesi o dei Polacchi. Le pretese e le stramberie del principe rendevano perigliosa la spedizione; a Lione, avvenne inevitabile la rottura.

Nel maggio 1635, sul cammino di Parigi, giunse al D. un nuovo incarico della Propaganda: sollecitare il nunzio presso il re cristianissimo ad ottenere il favore del cardinale di Richelieu all'unione con Roma della Chiesa copta, affidando le sorti dei cattolici d'Egitto alla protezione francese. L'incarico fu espletato presto e bene; nel gennaio 1636 il D. faceva ritorno in provincia: due mesi dopo era nominato prefetto apostolico dell'Etiopia.

Dopo il bando dall'Etiopia del clero cattolico (1633), la S. Sede aveva osservato una prudente politica intesa a facilitare un "ravvedimento" di Fásiladas, di fronte all'espansionismo ottomano; tanto più che nelle province settentrionali del paese operavano ancora numerosi gesuiti. Ma, all'aggravarsi della reazione copta, si ritenne opportuno provvedere; e ai sacerdoti del patronato d'Oriente vennero affiancati i missionari apostolici, non compromessi nelle dispute dottrinali e più inclini a transigere sulla questione dei riti. Forse - come scriverà nell'aprile 1638 il custode di Terrasanta alla Propaganda - il nuovo prefetto non aveva la prudenza necessaria per il successo. A lui furono destinati alcuni compagni, poi ridotti ad uno solo: il p. Antonio De Martino.

Nella primavera del 1637 il D. partì per la Siria, osservatorio privilegiato delle cose del Vicino Oriente: via Napoli-Messina raggiunse Malta; qui, il 24 settembre s'imbarcò su un vascello francese che, fuggendo la caccia dei corsari barbareschi, giunse a Sidone dopo trentasette giorni di navigazione. Dal custode di Terrasanta il D. venne subito inviato, in qualità di presidente, al santuario di Nazareth, per la pratica di un paese di missione. L'esperienza non fu invero fortunata: dopo appena quattro mesi (gennaio-maggio 1638) le autorità ottomane scatenarono una persecuzione (accusavano i francescani di aver edificato il convento con pietre tolte alla moschea); il D. venne messo in ceppi e condannato al paio; fuggì la morte solo per l'intervento di alcuni mercanti francesi che ne riscattarono la libertà. Poté, così, riparare a Gerusalemme. Appresa l'estrema difficoltà di pervenire in Etiopia per la via dell'Egitto, nel luglio 1638, si portava ad Aleppo per sollecitare l'aiuto della comunità cattolica al passo per Baghdad e Bassora - ma ne fu dissuaso.

Nel novembre 1638 lo troviamo al Cairo, in attesa di raggiungere Sawakin al seguito del nuovo Beylerbeyi ottomano d'Abissinia, che i buoni uffici del veneziano Sante Seghezzi gli avevano reso amico. Il 23 genn. 1639 il D. partiva per Sawakin; ma sulla strada di Ǧirgč, il pascià moriva. Il D. perveniva nel marzo alla città; di qui, travestito da mercante, si spinse sempre più a meridione, lungo l'antica carovaniera del Mar Rosso, giungendo a destinazione il 20 ottobre.

A Sawakin si pose in paziente attesa di continuare il viaggio; lì assisté i cattolici fuggiti innanzi alle persecuzioni di Fãsiladas, esercitando anche la medicina. Alla notizia dell'ingresso in Etiopia del luterano Peter L. Heyling, al seguito del metropolita Mârqos III, il D. nel dicembre 1640 si portava segretamente a Massaua nel tentativo di risalire l'altopiano. Nel porto (in dominio ottomano) apprendeva del martirio del p. B. Bruni; e corrispondeva, fino al luglio 1641, col patriarca Alfonso Méndez e con la Propaganda.

Come già fece rilevare C. Beccari (I, p. 373) dalle lettere appare evidente "la poca o niuna cognizione che e dei luoghi e delle persone e dello stato politico e religioso dell'Abissinia" aveva il D., al pari dei confratelli; ed anche a ciò si deve imputare l'insuccesso della missione francescana dell'Etiopia nei secoli XVII e XVIII.Scoperto da informatori dell'imperatore inviati a Massaua per impedire l'accesso ai "Franchi", venne fatto imprigionare dalle locali autorità ottomane; le quali, dopo avere inutilmente cercato la sua conversione all'Islam, nel maggio seguente lo rinviavano a Sawakin.

Qui, il D. morì di febbri il 26 ag. 1642.

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