ANTONIO da Fabriano

Enciclopedia Italiana (1929)

ANTONIO da Fabriano (Antonio Agostino di ser Giovanni da Fabriano)

Géza de Francovich

Pittore marchigiano della seconda metà del sec. XV, operò lungamente a Fabriano e a Sassoferrato; le sue notizie vanno dal 1451 al 1489. La prima opera rimastaci è il S. Girolamo, firmato e datato 1451, della raccolta Fornari di Fabriano, cui seguono in ordine di tempo: il Crocefisso, firmato e datato 1452, della Galleria Piersanti di Matelica; il trittico, lo stendardo in legno e la tavoletta con S. Girolamo in S. Clemente a Genga (Fabriano), la Madonna col Bambino nel duomo di Matelica; la Morte della Vergine nella Pinacoteca di Fabriano; due sportellì laterali di polittico, rappresentanti i santi Maddalena e Bernardino, nella casa parrocchiale di Cerreto d'Esi; il polittico in Santa Croce a Sassoferrato, il gonfalone di legno già nella Confraternita del Sacramento a Serra de' Conti, ora nella Galleria nazionale di Urbino; il polittico nel Capitolo della Collegiata di Cingoli e forse il polittico in Sant'Esuperanzio, in quella città. Inoltre gli sono stati di recente attribuiti l'affresco raffigurante la Madonna col Bambino, S. Antonio abate e S. Giacomo, già in S.. Francesco di Paola, ora nella Pinacoteca di Fabriano; il tabernacoletto scolpito in pietra nella cappella del Sacramento nel duomo di Fabriano e, nella stessa città, due affreschi assai deteriorati dell'ex convento di S. Domenico, dei quali uno rappresenta Cristo crocifisso tra due santi e due gruppi di frati domenicani, mentre dell'altro non restano che pochi frammenti. Le opere smarrite di A. da F. sono: il S. Francesco, venduto a Roma nel 1829; il S. Sebastiano, che nel 1804 era nella chiesa di S. Francesco in Sassoferrato, e il trittico venduto nel 1880, del conte Possenti di Fabriano. Dalle sue opere ben poco si vede della dipendenza di A. da Gentile di Fabriano, del quale, secondo C. Ricci (in Emporium, XXIII, 1906, p. 102), egli fu seguace. Il realismo meticoloso e minuto col quale è trattato il S. Girolamo del 1452 è derivato piuttosto da influssi nordici, a lui pervenuti forse attraverso qualche xilografia; influssi che, negati da L. Venturi, sono stati confermati dal trittico nella Pinacoteca di Gualdo Tadino, pubblicato da A. Colasanti. Il Crocifisso di Matelica, senza dubbio il capolavoro di A., palesa invece, nel rigore geometrico e sintetico dei piani potentemente squadrati, forme e modi provenienti dalla Toscana, e, più precisamente, dall'arte di Piero della Francesca. Questa tendenza di A. all'astrazione formale, al rilievo plastico vigoroso e rude, scevra di preoccupazioni di dolcezze cromatiche, si osserva anche in qualche altro dipinto, come nella tavola del duomo di Matelica e nel trittico di Genga. Poi nelle sue ultime opere A. da F. viene sopraffatto dalla corrente veneziana, tutta intreccio di linee ondulate e fastosa ricchezza di colori. Perdette così il valore del rilievo e divenne un semplice facitore d'immagini" (L. Venturi).

Bibl.: W. Bombe, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907 (con la bibl. precedente); L. Venturi, A traverso le Marche, in L'Arte, XVIII (1915), pp. 176-185; A. Colasanti, Un trittico ignorato di A. da F., in Rass. d'arte, VI (1919), pp. 201-202; L. Serra, Nuovi acquisti della Gall. Naz. di Urbino, in Boll. d'arte, n. s., I (1921-22), pp. 274-75; id., Un nuovo dipinto di A. da F., in Rass. march., III (1924-25), pp. 338-340; R. Sassi, La famiglia del pittore A. da F., ibid., V (1926-27), pp. 197-201; B. Molajoli, Un tabernacolo di A. F., ibid., VI (1927-28), pp. 301-303; id., Ignoti affreschi di A. da F., in l'Arte, XXX (1927), pp. 338-340.

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