BRUCIOLI, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRUCIOLI (del Bruciolo), Antonio

RR. N. Lear

Figlio di Francesco, nacque a Firenze nel popolo di S. Niccolò in data incerta nell'ultimo decennio del sec. XV (forse 1498). La condizione civile dei Brucioli, famiglia di falegnami, era sufficientemente elevata, almeno a partire dal 1398, ma soprattutto durante i principati de facto di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo il Magnifico, perché fossero frequentemente rappresentati nel Priorato fiorentino.

Le prime informazioni relative al giovane B. (B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze 1857, I, p. 52) attestano la sua appartenenza alla cerchia prevalentemente aristocratica di poeti, filosofi e statisti che, dopo la restaurazione medicea del 1512, si riuniva in dotti conversari nei giardini di palazzo Rucellai, gli Orti Oricellari. Dominavano questo cenacolo di dotti, educati nel curriculum classico degli studia humanitatis, le imponenti figure del filosofo Francesco Cattani da Diacceto e di Niccolò Machiavelli .

È presumibile che il giovane B., introdotto nel circolo probabilmente dal Cattani, fosse già immerso, verso il 1513, nello studio delle letterature latina e greca e della filosofia classica. Questi studi saranno alla base delle sue traduzioni italiane di Aristotele (Retorica, 1545; Politica, 1547; Fisica, 1551; Della generazione e corruzione dei corpi, 1552; Del cielo e del mondo, 1552, 1556; Dell'anima, 1557), di Cicerone (Retorica, 1538, 1542; Il sogno di Scipione, s.d., 1539, 1544) e di Plinio (Storia naturale, 1543, revisione della traduzione di Cristoforo Landino, e 1548, nuova traduzione del Brucioli).

La sua giovanile passione per le lingue classiche, corroborata dai metodi critici e filologici degli umanisti oricellari e dallo spiritualismo neoplatonico cui essi aderivano, e il successivo apprendimento dell'ebraico - che gli procurò le lodi entusiaste di Pietro Aretino suo amico e a lui spiritualmente affine - fornirono al B. le basi per le sue importanti traduzioni delle Sacre Scritture come pure per i suoi controversi commentari sul Vecchio e Nuovo Testamento. La cosiddetta "Bibbia Bruciali" (1532), che si fondava in gran parte sulla Bibbia latina (1527)di Sante Pagnini (la cui opera meritò una glossa in sette volumi del famoso antitrinitario Michele Serveto: 1545)divenne la Bibbia che più influì sulla Riforma italiana e fu la versione delle Scritture più apprezzata dagli evangelici italiani della diaspora fino al Seicento inoltrato.Anche l'altra opera di maggior rilievo del B., i Dialogi della morale philosophia, di cui si ebbero tra il 1526 e il 1556 ben quattro edizioni italiane e due francesi, riflette tutto il peso che l'influenza delle discussioni oricellarie ebbe sulla sua teoria umanistica dell'educazione, sulla sua duplice dedizione alla riconquista delle virtù civiche e della devozione cristiana, e sul contenuto specifico del suo pensiero politico. Uno di questi dialoghi - il Dialogo della repubblica - costituisce una importante testimonianza del ruolo di Machiavelli nella cerchia oricellaria e dell'influenza che queste conversazioni ebbero a loro volta sulla formulazione - in età matura - della sua teoria politica nei Discorsi.

Nel 1522 venne scoperto un complotto contro la vita del cardinale Giuliano de' Medici; esso fu attribuito in parte alla fazione soderiniana in combutta coi Francesi e in parte ai repubblicani anticlericali della cerchia oricellaria. Due appartenenti a quest'ultimo gruppo, Iacopo da Diacceto e Luigi di Tommaso Alamanni, furono processati e decapitati. Altri, tra cui il B. ed i suoi amici Luigi Alamanni e Zanobi Buondelmonti fuggirono alla volta di Venezia e furono poi formalmente banditi da Firenze in quanto "ribelli"contumaci. Il ruolo del B. nelle vicende del complotto sembra essere stato secondario, ma il fatto stesso che egli fosse coinvolto nella congiura è indice della direzione cui già allora tendevano le sue riflessioni politiche e religiose.

Questo particolare tipo di umanesimo civico che in quegli anni veniva propugnato negli Orti, indubbiamente influenzato dalla presenza del Machiavelli e fedelmente registrato nel brucioliano Dialogo della repubblica, risolveva essenzialmente - o dissolveva - l'annoso dibattito umanistico sulla questione della vita attiva contro la vita contempiativa. Esso alleava retorica e politica. Integrava l'ideale neoplatonico dello Stato perfetto fondato sulla ragione con la nozione aristotelica della corruttibilità di tutte le cose umane. Ammetteva un freddo realismo politico pur conservando la fede umanistica nella fondamentale educabilità del genere umano e nella perfettibilità delle sue istituzioni. Incoraggiava, infine, con qualche reminiscenza dell'Atene periclea, gli uomini dotati di virtù civica a far seguire l'atto al pensiero. Agli occhi del B., che nel Dialogo della repubblica auspicava la restaurazione della ciceroniana "repubblica mediocre", il cardinal de' Medici rappresentava un duplice pericolo. Egli impersonava l'aristocrazia mercantile che a Firenze aveva corrotto le virtù repubblicane manipolandone la costituzione ed incanalando l'orgoglio civico in un egoistico sistema di dipendenze clientelari; e rappresentava la certezza che l'ordine ecclesiastico avrebbe interferito negli affari dello Stato il che, come la catastrofe del regime savonaroliano avrebbe dovuto ammonire, genera solo faziosità e caos e per di più distrae contemporaneamente il clero dalla funzione ad esso propria, cioè l'interpretazione delle Scritture basata sullo studio delle lingue, per istruire la comunità tutta sul "Verbo di Dio" e condurla verso una mralità collettiva.

L'itinerario dei primi anni d'esilio del B. permane alquanto vago. Sappiamo che nel gennaio 1523 aveva lasciato Venezia e si trovava a Lione, ove anche l'Alamanni ed il Buondelmonti avevano raggiunto Giovambattista della Palla pure implicato nella congiura. Eccezion fatta per una breve visita a Parigi, alla vana ricerca di una "condotta allo studio per leggere", la permanenza del B. a Lione sembra essersi protratta per due anni.

Fu forse a Lione che egli stabilì i primi contatti con i riformatori luterani e con gli umanisti cristiani della vicina corte di Margherita di Francia. La concentrazione di stampatori a Lione fu l'occasione di uno dei primi punti di incontro per la propaganda delle Riforme tedesca e svizzera. A probabile inoltre che la riforma civica a Lione abbia ispirato al B. l'idea di affidare alle mágistrature cittadine la responsabilità della sovrintendenza e della salvaguardia della vita ecclesiastica e religiosa della comunità. Possiamo infine supporre che la preoccupazione dei riformatori lionesi di fornire ai loro "confratelli" una Bibbia francese, abbia influenzato la decisione del B. di procurarne una versione italiana. Probabile anche che abbia incontrato il Pagnini, ad Avignone nel 1524 o a Lione nel 1525, ove questi stava approntando la pubblicazione della Veteris et Novi Testamenti nova translatio (1527), e che abbia intrapreso lo studio dell'ebraico in Francia sotto la guida dello stesso Pagnini.

In data imprecisata, ma successiva al gennaio 1525, il B. partì da Lione per la Germania, per intercedere, secondo il cronista Benedetto Varchi suo amico, presso il partito imperiale in favore di Massimiliano Sforza, che a quell'epoca tramava dalla Francia per ottenere l'appoggio imperiale alla sua restaurazione nel ducato milanese. Quali che possano essere stati i motivi reali del viaggio del B. i suoi contatti con i riformatori luterani non potevano che riuscire rafforzati dopo la dieta di Spira del 1525.

Possiamo solo congetturare i suoi successivi spostamenti fino a quando venne richiamato a Firenze, pienamente amnistiato, nella primavera del 1527, in seguito al sacco di Roma, la caduta dei Medici e la proclamazione della terza Repubblica fiorentina. Forse ritornò a Lione, o si recò altrove nell'Europa settentrionale, o proseguì direttamente per Venezia, ove potrebbe aver preparato la prima edizione dei suoi Dialogi (giugno 1526) con il suo stampatore Gregorio de' Gregori. In ogni caso il B., l'Alamanni e il Buondelmonti erano già tornati a Firenze nella estate del 1527.

Ma qui apparve subito chiaro che il governo di Niccolò Capponi stava rapidamente cedendo alle pressioni dei piagnoni. Col fallimento della politica estera del Capponi, che mirava a rompere l'alleanza permanente con la Francia in favore dell'Impero, e con Francesco Carducci nuovo gonfaloniere, la Signoria era ormai ritornata completamente nelle mani dei vecchi savonaroliani.

Il B., uno dei pochi repubblicani oricellari sopravvissuti, si apprestava ad una battaglia polemica con questi discepoli del "falso profeta", le cui lusinghe alle masse egli considerava come la rovina della Repubblica ed un ulteriore ostacolo alla realizzazione della "repubblica mediocre". Conformemente allo spirito dei Dialogi (che furono ripubblicati in una edizione ampliata con una dedica a don Francesco d'Este, capitano generale della Repubblica fiorentina, nell'agosto 1528), l'opposizione politica del B. era mscindibile dal suo programma di riforma del clero e di rinnovamento religioso. Secondo una testimonianza del notaio Ciaio degli Ottaviani a proposito dell'arresto del B. da parte degli Otto di guardia, nel giugno 1529, il B. fu accusato di aver fatto pubblica professione di luteranesimo, e di aver spinto la sua polemica con i domenicani di S. Marco sino a minacciare "che haveva nella ciptà quattrocento giovani a suo piacere, che gli bastava l'animo di condurli a San Marco ad arder quel convento". Al B. inoltre venivano attribuite lettere al re di Francia in cui si lamentava "che il governo di Firenze è ridotto con homini plebei et che e' nobili sono bistratati e malvisti, di modo che, se non si provede, è per durar poco tempo" (C. Guasti, Le carte strozziane..., Firenze 1884, s. I, 1, p. 368). La sentenza fu pronunziata il 5 giugno; il B. fu di nuovo bandito da Firenze per il prescritto periodo di due anni. Ma questa volta, conscio della futilità di ogni tentativo di salvar da se stessa la degradata Repubblica, egli si volse alla "consolazione della filosofia" e si trasferì definitivamente a Venezia dove nel 1530 Lucantonio Giunti pubblicò la sua traduzione del Nuovo Testamento.

Da questo momento fino alla morte possiamo seguire la carriera del B. a tre diversi livelli, spesso tra loro correlati: le sue opere, i suoi mutevoli atteggiamenti politici sotto la pressione del'esilio e, poi, dell'espatrio, e i suoi sempre più frequenti e gravi scontri con l'Inquisizione.

Il B. diede prova della sua reverenza per i maestri della lingua volgare italiana oltre che nei Dialogi e nelle traduzioni e nei commenti biblici, fornendo nuove edizioni del Decamerone di Boccaccio (Venezia 1538, 1542, 1543) e delle Rime e Trionfi di Petrarca (Venezia 1548, 1557; Lione 1550, 1551). Alle precedenti traduzioni di Cicerone e di Plinio aggiunse il Trattato della sphera (Venetia 1543) di Giovanni di Sacrobosco (John Holywood). Tra le traduzioni parziali delle Scritture sono un'edizione dei Salmi (Venezia 1531); una selezione di Epistole,lettioni et evangelii che si legono in tutto l'anno (Venezia 1532, 1539, s.l. né d., e Venezia 1543); e un Compendio di tutte l'orazioni de' santi padri,profeti et apostoli,raccolte da sacri libri del Vecchio e Nuovo Testamento (Venezia 1534; Brescia 1538, col titolo Orazioni et preci de' santi padri ... ).

Quest'ultima opera è stata ora identificata (Ginzburg, Nicodemismo)come l'unica traduzione italiana nota del Cinquecento dell'ultimo libro religioso di Otto Brunfels, le Precationes biblicae sanctorum patrum,illustrium virorum et mulierum utriusque Testamenti (Strasbourg 1528): uno spiritualistico appello interconfessionale in favore della tolleranza religiosa che in effetti sanzionava la prassi del nicodemismo per gli evangelici delle regioni governate dall'Anticristo o dEri suoi agenti. Conseguentemente la traduzione brucioliana incrementava la diffusione in Italia delle Pandectae Veteris et Novi Testamenti di Brunfels portando il messaggio nicodemitico, che Calvino avrebbe ben presto refutato, ad una più ampia cerchia di riformatori italiani. L'evidente interesse del B. per questa teoria spiega in gran parte le sue ricorrenti schermaglie con l'Inquisizione e la sua abilità nell'abiurare dottrine eretiche che egli in effetti continuava a sostenere. Analogamente il traduttore di Brunfels avrebbe incorporato nel Nuovo commento in tutte le celesti ed divine epistole di san Paulo (Venezia 1544) l'interpretazione pronicodemitica di Bullinger della prima Lettera ai Corinzi di S. Paolo (In primam D. Pauli ad Corinthios epistolam commentarius. Tiguri 1534).

Un'edizione riveduta del Dialogo della Repubblica (Venezia 1538) costituisco un importante documento delle riflessioni del B. in età matura sul corpus machiavelliano e la sua crescente sfiducia, negli anni dello esilio, anche nella mera possibilità di mantenere in vita per un periodo prolungato la "repubblica mediocre".

Laddove l'edizione del 1526 enumerava realisticamente le condizioni imprescindibili - cioè capacità di autodifesa ed aggressività territoriale - per la conservazione di questo Stato perfetto e concludeva con una descrizione classica della repubblica insulare, l'edizione riveduta accentua (per bocca di interlocutori oricellari tra cui Machiavelli) i vari e diversi pericoli che possono inficiare questi prerequisiti e sopprime la descrizione conclusiva. L'idealismo neoplatoniCO, ancora integro nella prima edizione, è stato ora sacrificato alla premessa aristotelica. Rimane il cinico realismo del repubblicano deluso, che richiama alla mente quello di Dante o dello stesso Machiavelli.

Il B. era al servizio di Cosimo I de' Medici, apparentemente sin dal 1538, con funzioni di agente politico del duca a Venezia e informatore sugli esuli fiorentini (Procacci, pp. 27-43: secondo lo Spini il B. sarebbe invece entrato al servizio di Cosimo I verso il 1549). All'incirca in questo periodo il B. sembra aver riveduto il suo giudizio su quello che era stato per lui il simbolo della Repubblica in rovina, il Savonarola, o, più plausibilmente, distinse tra il meritevole zelo riformatore del focoso frate nelle sue errate visioni politiche. Nel 1539 pubblicò tre distinte edizioni dei sermoni del Savonarola.

Nel 1540 il tipografo veneziano. Bartolomeo Zanetti stampò il brucioliano Commento al Vecchio Testamento. Seguì negli anni 1543-44 il suo Commento al Nuovo Testamento, pubblicato a Venezia dai fratelli del B., Francesco ed Alessandro. Per mantenere sé e la famiglia a Venezia il B. aveva lavorato come correttore per le tipografie locali, finché insieme con i suoi fratelli non fondò una propria tipografia. Questa cominciò a stampare le opere del B. nel 1541.

Il Commento al Nuovo Testamento è interessante soprattutto perché vi sono trascritti e parafrasati interi brani dalle Ennarrationes Perpetuae in Sacra quattuor Evangelia (1530) di Bucen. Questi estratti furono immediatamente individuati dal domenicano senese Ambrogio Caterino Polito che ne prese spunto per inserire in un suo libro pubblicato a Roma nel 1544 l'accusa contro il Commento brucioliano di propagandare verbatim dagli scritti latini di Bucer. I Commenti furono proibiti per la prima volta dall'Indice promulgato a Venezia, ed anche a Milano, nel 1554, e provocarono probabilmente il secondo processo dell'Inquisizione cui il B. fu sottoposto nel 1555. Vale la pena di ricordare che il Bucer fu anche uno dei primi propugnatori del nicodemismo. La sua moderata riforma, tendente alla riconciliazione, cui si affiancava un'interpretazione umanistica e cristiana dell'esegesi scritturale, deve aver attratto in modo particolare il B., come molti riformatori a Venezia, Modena e Bologna coi quali il Bucer era in corrispondenza agli inizi degli anni '40.

Nel 1548 il B. fu sottoposto a processo dal tribunale dei Savi, istituzione della Serenissima che, mentre accedeva alla ricostituzione dell'Inquisizione italiana (1542), non abdicava per ciò alla tradizionale giurisdizione veneziana in materia di affari ecclesiastici nell'ambito del proprio dominio territoriale. Il processo contro il B. va probabilmente interpretato come espressione locale dell'impegno di impedire sia la circolazione della pubblicistica della Riforma in Italia sia l'infiltrazione della stessa dal Nord protestante. Questa responsabilità era stata formalmente delegata alle Inquisizioni regionali in seguito alla pubblicazione del primo Indice dei libri proibiti romano di monsignor Giovanni Della Casa nel maggio del 1548. Il B. fu allora accusato di aver pubblicato, insieme con i suoi fratelli, la Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri (1547), uno degli opuscoli che maggiormente influirono sulla Riforma italiana. Vi sono pure motivi per supporre che al B. si debba anche la edizione del 1545 della traduzione italiana degli spiritualistici Dialoghi due,l'uno di Mercurio e Caronte,l'altro di Lattanzio e di un Arcidiacono di Alfonso de Valdés. Il B. fu condannato il 21nov. 1548 al pagamento di una ammenda di 50 ducati e bandito da Venezia e il suo distretto per un periodo di due anni. Ma la condanna venne mitigata quando egli addusse a propria difesa che uno dei due libri in questione era stato pubblicato quando era assente da Venezia, e a sua insaputa. È interessante notare che a quest'epoca le edizioni delle traduzioni brucioliane delle Scritture non erano ancora considerate sospette: compariranno per la prima volta nell'Indice dipapa Paolo IV nel 1559.

Che il B. abbia però fatto proprie varie dottrine contenute negli scritti del Negri e del Valdés sembra attestato dalla testimonianza di don Pietro Manelfi, che nel 1551 denunziò all'Inquisizione di Bologna le conventicole luterane ed in particolare anabattiste dell'Italia settentrionale, nelle quali era stato intensamente coinvolto per circa un decennio. Tra i "luterani" da lui conosciuti a Venezia "per più ragionamenti havuti insieme" il Manelfi nominò il B. (Ginzburg, I costituti..., pp. 49, 69 s.).

Bandito da Venezia, il B. riparò nel rifugio calvinista della duchessa Renata a Ferrara. Nel 1547 i fratelli Brucioli avevano pubblicato un'edizione dei Sermoni XXII del B. con l'aggiunta di una Epistola a Renata di Francia,duchessa di Ferrara,intorno a Christo Messia.

Nel 1555 fu aperto un secondo procedimento inquisitoriale contro il B. a Venezia. I commenti alle Scritture furono attentamente esaminati insieme con altre sue opere, e trenta accuse di eresia furono formulate contro di lui.

Il 22 giugno 1555 il B. abiurò; gli fu comminato il divieto di ogni ulteriore disputa o discussione sulle Sacre Scritture o qualsiasi articolo di fede, sui sacramenti, il libero arbitrio, la giustificazione.1 la prescienza, la predestinazione e le buone opere, senza specifica autorizzazione del S. Uffizio. Tutte le sue opere stampate o manoscritte che trattavano questioni di fede furono date alle fiamme. Gli fu proibito di scrivere o pubblicare checchessia concernente questi argomenti senza previa approvazione dell'Inquisizione. I Savi gli intimarono inoltre di pubblicare un elenco completo delle dottrine da lui abiurate. Non ebbe luogo la confisca procedurale dei suoi beni, date le misere condizioni della sua famiglia.

Alla fine dell'aprile 1558 il B. fu nuovamente convocato dinanzi al tribunale sotto l'accusa di avere volutamente omesso la pubblicazione dell'abiura del 1555.

Il testo composto in luogo di quella dal B. apparve immediatamente ai Savi un "opus pestiferas alias heresis continens" (Spini, pp. 130 s.).In esso il B. ammetteva, come aveva già fatto nel Commento al Nuovo Testamento, i settesacramenti, avendo cura di precisare però che solo il battesimo e l'eucarestia erano stati istituiti da Cristo. Gettato in prigione, soio nel novembre 1558 il B. poté ottenere la commutazione del carcere in arresto domiciliare. E nell'agosto del 1561 sua moglie Lucia Marqual rivolgeva un disperato appello al tribunale: "ritrovandosi Antonio Brucioli mio marito, costituto, in età decrepita et in estrema miseria et tale calamità che veramente patisce ogni crudele incommodo et sarà sforzato morirsene di fame se da vostre signorie reverende et clarissime non sarà agiutato (Spini, p. 131).

Non conosciamo né la risposta a questa angosciata supplica né la conclusione del processo. Probabilmente però fu proprio in tali condizioni miserevoli ed umilianti - tanto dissimili dal lussuoso ambiente degli Orti Oricellari e dalle promesse di quegli anni giovanili - che il B. morì il 5 dic. 1566.

Fonti e Bibl.: Per l'inventario degli scritti e delle edizioni brucioliane e per l'attività tipografica dei fratelli Brucioli, fondamentale G. Spini, Bibiografia delle opere di A. B., in La Bibliofilia, XLII (1940), pp. 129 ss.; vedi inoltre A. Calogerà, Raccolta di opuscoli scientifici e filosofici, XXXVI, Firenze 1747, pp. 161-178; I. G. Schelhorns, Ergötzlichkeiten aus der Kirchenhistorie und Literatur, I, Ulm und Leipzig 1762, pp. 405-15, 648-70; H. Brown, The Venetian Press, London 1892, p. 138; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Firenze 1905, pp. 198, 200; E. Pastorello, Tipografi editori librai a Venezia nel sec. XVI, Firenze 1924, p. 17; F. Ascarelli, La tipografia cinquecentina in Italia, Firenze 1953, p. 167; British Museum Catalogue of Italian Books (1465-1600), London 1958, pp. 93, 99 s., 102, 127. I documenti relativi ai processi per eresia subiti dal B. tuttora conservati sono consultabili presso l'Archivio di Stato di Venezia, Fondo S. Uffizio, busta 51, anni 1555-58. L'analisi più completa della vita e delle opere del B. con accurati riferimenti alle fonti rimane l'esemplare biografia di G. Spini, Tra Rinascimento e Riforma: A. B., Firenze 1940. Vedi anche Th. McCrie, History of the Progress and Suppression of the Reformation in the Sixteenth Century, Philadelphia 1842, pp. 90-94; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, II, Torino 1865, pp. 436, 445 ss.; G. P. Pons, A. B., in Rivista cristiana, III (1875), pp. 273 ss., 313 ss.; I. Bonnet, Procis d'A. B., in Bull.... de la Soc. d'histoire du protestantisme francais, XXV (1876), pp. 3-14; K. Benrath, Geschichte der Reformation in Venedig, Halle 1886, pp. 15 ss.; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, Roma 1890, I, pp. 56 ss.; E. Comba, I nostri Protestanti, II, Firenze 1897, pp. 115-150. Per i rapporti del B. con Machiavelli, vedi D. Cantimori, Rhetoric and Politics in Italian Humanism, in Journal of the Warbourg Institute, I (1937-38), pp. 83-102, e G. Procacci, Studi sulla fortuna del Machiavelli, I, 2, Roma 1965, pp. 27-43. Sul B. ed il nicodemismo, vedi C. Ginzburg, Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell'Europa del '500, Torino 1970, pp. 100 s. e n., 113 n., 114 n. Sul B. e il Manelfi, vedi C. Ginzburg, I costituti di don P. Manelfi, Firenze-Chicago 1970, pp. 49, 69 s. Sulla Bibbia brucioliana ed i circoli riformisti a Modena vedi J. A. Tedeschi, Contra Pietro Antonio Cervia, in Italian Reformation Studies in Honor of Laelius Socinus, Firenze 1965, p. 251 e n. Sul B. e Guido Gianetti da Fano vedi A. Stella, Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto, Padova 1967, pp. 31, 52 s., 135. Per la diffusione della Bibbia brucioliana tra i riformati a Cracovia vedi D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia,Polonia e Transilvania..., Firenze-Chicago 1970, pp. 89 s., 92 n., 247-256.

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