BALDISSERA, Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALDISSERA, Antonio

Piero Pieri

Nato a Padova il 27 maggio 1838, fu, giovanissimo, raccomandato dall'arcivescovo dì Udine all'imperatrice d'Austria Marianna, moglie di Ferdinando I, che ne fece curare l'educazione, avviandolo alla carriera militare. Il B. frequentò, distinguendosi, l'Accademia militare di Wiener Neustadt e fu nominato ufficiale nel 1857. Nel 1866, all'invito dei patrioti veneti a lasciare l'esercito austriaco, rispose che la gratitudine verso la casa imperiale per i benefici ricevuti glielo impediva e partecipò come capitano di Stato Maggiore alla guerra sul fronte boemo, guadagnandosi l'Ordine di Maria Teresa. Dopo la conclusione della pace passò però nell'esercito italiano, dove le sue doti morali e intellettuali lo fecero subito apprezzare, sebbene la sua stessa fermezza di carattere e la sua provenienza dall'esercito austriaco gli creassero, qualche ostilità. Ad onta di ciò, dopo aver comandato il 7º reggimento bersaglieri, ed essere poi divenuto maggior generale, partì nel novembre 1887 da Napoli per l'Africa con la spedizione del gen. Asinari di San Marzano. Ebbe il comando di una brigata scelta, formata da un reggimento di bersaglieri e da un battaglione di alpini, con la quale costituì sulle prime la copertura oltre Massaua del corpo di spedizione, formato di quattro brigate; poi, insieme con la brigata Cagni, occupò le alture di Saati (1º febbr. 1888), dove tutto l'esercito si fortificò, rimanendo sulla difensiva. Il 26 marzo le avanguardie abissine apparvero in vista delle posizioni italiane, ma il negus Giovanni, dopo aver tentato approcci di pace, nella notte del 2 aprile si ritirò con i suoi centomila uomini senza avere sparato un colpo. Nell'aprile gran parte del corpo di spedizione tornava in Italia, mentre il B. restava a Massaua con circa seimila uomini.

Qui il B. doveva rivelarsi come uomo di eccezionali qualità e, più di ogni altro, abile nell'affrontare i nuovi gravi problemi della nostra espansione coloniale. Era in lui uno spregiudicato realismo. Egli riteneva che si dovesse avanzare cautamente, servendosi il più possibile di truppe ìndigene e soprattutto dei capi locali, sfruttando le loro continue e e spesso insanabili divisioni interne e rivalità, e così procedere senza dare nell'occhio, senza insospettire le grandi potenze europee. La spedizione del gen. di San Marzano non era rimasta sterile di risultati: la ritirata davanti alle posizioni italiane aveva sollevato recriminazioni e contrasti da parte dei diversi ras verso il negus Giovanni, diminuendone il prestigio, e il B. riprese le trattative con il negus, che servirono ad aumentare la confusione nel campo nemico.

Nel giugno dì quello stesso 1888, a meno di due mesi dalla partenza del San Marzano, egli ottenne un primo successo, facendo occupare Cheren dalle bande di Balambaràs Kafil, un capo divenuto suo fautore. Era una presa di possesso indiretta, che il B. era riuscito ad ottenere sfruttando l'ambizione di un capo indigeno, pur senza fidarsi troppo di lui, senza fornirlo di grandi mezzi, senza mostrarsi pubblicamente suo amico e tanto meno alleato, ma obbligandolo così a chiedere aiuti e a mantenersi legato agli Italiani. Il B. in questo modo aveva ora un suo avamposto sulla via verso il Sudan, ma egli meditava di sgretolare dall'interno il dominio di ras Alula, attirando tutti i malcontenti dalla parte italiana, accrescendo così le bande indigene e servendosi il meno possibile di truppe italiane.

Un simile procedere presentava tuttavia anch'esso non poche difficoltà; e ciò ben si vide nel fallimento dell'operazione contro Debeb, un capo attorno al quale era raccolto il nucleo di forze organizzate ancora esistenti nel Tigré, e del quale non ci si poteva più fidare.

Bisognava cogliere il traditore di sorpresa, nella sua residenza di Saganeiti, sita in posizione dominante, sull'orlo dell'altopiano; l'azione venne affidata a un capitano e a quattro ufficiali subalterni, cinque italiani in tutto, e quattrocento bascibozuk, irregolari indigeni, seguiti da altri duecento di riserva. Ma il capitano non seppe agire con la dovuta segretezza, si mosse con grande ritardo, procedé lentamente; per un guasto alla linea telegrafica non lo raggiunse l'ordine del B. di sospendere l'operazione. Questa si risolse l'8 ag. 1888 con la morte dei cinque ufficiali italiani e di circa trecento indigeni. Una piccola Dogali, dunque, ma nella quale i caduti erano quasi tutti indigeni, per cui la cosa non suscitò scalpore in Italia. Il B., che aveva agito di sua iniziativa, senza preavvertire il ministro della Guerra, poté dire che si trattava d'un'operazione di grossa polizia mal riuscita, e non ebbe noie. D'altra parte egli procedette all'arresto di elementi infidi e traditori, e non si ebbero sgradevoli ripercussioni nella vita della colonia.

Il B. svolse poi una importante e sagace opera di riordinamento. I bascibozuk nell'ottobre erano sostituiti con il primo reparto regolare di ascari, e si avviava a soluzione il problema del reclutamento indigeno, e questo mentre, accanto alla azione contro elementi infidi o traditori, si sviluppava un'azione rivolta a legare all'Italia un numero crescente di tribù, spinta fino a un rappacificamento con Debeb. Il B. faceva poi aprire strade e costruire ospedali, migliorava i servizi di cassa e di posta, di porto, di dogana, sottometteva alle leggi italiane anche i mercanti di varie nazionalità, residenti a Massaua. Si passava così dall'occupazione militare al regime di vera colonia. Ma nuovi avvenimenti maturavano intanto ai confini della zona di occupazione.

Dopo la ritirata del negus Giovanni da Saati di fronte agli Italiani, si era manifestata la grave secessione del Goggiam e dello Scioa; per di più veniva a morte Area Selassié, figlio del negus Giovanni e genero di Menelik, il ras dello Scioa, e si spezzava il vincolo di parentela fra i due. L'impero etiopico precipitava nella guerra intestina mentre alle porte premevano i Dervisci da un lato e gli Italiani dall'altro. Il negus Giovanni invadeva il Goggiam, devastandolo, e alla fine il ras di questa regione, Tecla Haimanot, si riappacificava con lui' lasciando in asso Menelik. Giovanni si attestava allora sul Nilo Azzurro, ma all'accostarsi delle avanguardie scioane retrocedeva e muoveva contro i Dervisci del Sudan; a Metemma, presso Gallabat, cadeva però ucciso il 10 marzo 1889, designando prima di morire come suo successore il figlio naturale ras Mangascià. L'esercito abissino retrocedeva e in parte si scioglieva.

Già nel gennaio 1889 il B. aveva ricevuto l'ordine di avanzare, ma, giunta la notizia che il ras del Goggiam aveva fatto pace con il negus e che di conseguenza anche Menelik aveva sospeso le operazioni, l'avanzata era stata rimandata. Alla morte del negus, nel marzo, Crispi manifestò l'intenzione che si intervenisse subito, per sfruttare la situazione e conseguire qualche prestigioso successo, tanto più che, attraverso il conte Antonelli, Menelik chiedeva l'aiuto dell'Italia. Il B. pensava invece che prima di intervenire fosse più opportuno lasciare aggravarsi la situazione di anarchia in cui l'Etiopia era caduta, in modo da risparmiare uomini, denaro e tempo; pensava che lungi dall'appoggiarsi a uno dei capi etiopici, con il rischio di apparire dei conquistatori, convenisse intervenire quando il desiderio di pace delle popolazioni avrebbe visto negli Italiani dei liberatori. Egli riteneva che l'operazione potesse essere iniziata a metà maggio. Il ministro della Guerra, gen. Bertolé-Viale, preferì attenersi al parere del Baldissera.

Questi intanto si persuadeva che per il momento Menelik non sarebbe entrato nel Tigré, e che si dovesse agire contro ras Mangascià e ras Alula per mezzo di Debeb, il quale doveva sottomettersi a Menelik come negus, e averne in cambio il riconoscimento per il Tigré; Debeb avrebbe poi riconosciuto all'Italia il possesso del territorio di Asmara (Hamasen) e di quello dei Bogos. Si trattava dunque di estendere pacificamente il territorio della colonia e di avere un vassallo nel Tigré, riconosciuto dallo stesso negus; in seguito si sarebbe visto il da fare. Il 18 maggio il B. dette notizia dell'accordo raggiunto con Debeb e si dichiarò pronto ad agire su Cheren, dove già l'anno prima aveva spinto avanti, come longa manus dell'Italia, il capo Balambaràs Kafil, divenuto ora un traditore. Cheren fu conquistata il 2 giugno 1889. Era la piena rivincita di Saganeiti; e intanto all'Asmara era giunta una banda di Debeb, comandata da un ufficiale italiano. Il Crispi, soddisfatto, dichiarò alla Camera che si era alla vigilia di trarre profitto dei sangue versato; ora si poteva avere un territorio nel quale dirigere tutta la massa degli emigrati che correva in America a cercar fortuna. Il 24 luglio il B. si decise a prendere Asmara e chiese che Menelik si movesse con lui, per rendere più sicura l'operazione. Ma all'improvviso Debeb era fatto prigioniero da Mangascià e ancora una volta il B. ritenne di dover sospendere l'impresa. Subito dopo però, chiarita la situazione, decise di agire e con fulminea marcia notturna il 3 agosto piombò sull'Asmara, impadronendosene senza colpo ferire. Ras Alula si trovava abbastanza lontano, nell'Entisciò, e non osò muovere contro gli Italiani.

Ciò tuttavia non bastava più al Crispi. Era giunto in Italia il conte Antonelli, con il testo del trattato di Uccialli firmato da Menelik e con la missione di ras Maconnen; da parte italiana si voleva un'"aggiunta addizionale" relativa specialmente ai confini della nuova colonia. Il 27 sett. 1889 il Crispi si rivolgeva a Umberto I perché il B. si muovesse ulteriormente; in realtà la minaccia di ras Alula aveva già indotto il B. ad agire nuovamente, ma con il suo solito sistema. Nello stesso mese di settembre, infatti, egli aiutò Batha Agòs, vecchio capo dell'Okulé Kusai, a riconquistare la sua terra, portando così l'influenza italiana fino al Mareb: ma raggiunti i cosiddetti confini naturali di quella che di lì a pochi mesi sarebbe stata chiamata ufficialmente Colonia Eritrea, egli non volle avanzare nel Tigré per imporvi l'autorità di Menelik, né appoggiare i capi tigrini a lui fedeli: intendeva andare avanti, ma sempre dopo che gli Abissini avessero sparato fra loro le ultime cartucce. E pensava di poter giungere allora come liberatore non solo ad Adua, ma fino a Gondar e al monte Tabor, nel cuore dell'Abissinia. Di qui il dissidio profondo con il Crispi, che voleva anche imprese brillanti e clamorose; il B. chiese perciò il rimpatrio, adducendo ragioni di salute, ma prima si accordò con Sebat e spinse bande indigene fino ad Adua e nell'Entisciò, fra Adua e Adigrat.

Gli avvenimenti posteriori diedero piena ragione al B., il solo generale che veramente avesse saputo adeguare la sua politica all'ambiente africano. Quando dopo sette anni di una politica africana erratissima, i nodi stavano venendo al pettine, lo stesso Crispi, dopo il doloroso episodio di Amba Alagi, pensò al "generale austriaco" per metterlo al posto del Baratieri. Solo l'8 febbr. 1896, però, era firmato il decreto di nomina del B.: al Crispi dispiaceva esonerare il vecchio amico garibaldino e avrebbe voluto che questi risollevasse il suo prestigio; ancora il 25 gli inviava il famoso telegramma della "tisi militare". Purtroppo il B. sbarcava a Massaua tre giorni dopo la rotta di Adua" trovava una situazione quanto mai difficile. Pure, il suo arrivo risollevò gli spiriti.

Gli abissini sembravano decisi ad avanzare su Gura, per penetrare nel cuore della Colonia Eritrea; le loro avanguardie si spingevano a Mareb' mentre la via di Adigrat era intercettata; sintomi di ribellione si avevano nella zona a sud-est di Asmara, e dal lato della frontiera occidentale, presso Cassala, la minaccia dei Dervisci si faceva sempre più grave. Vi erano però pur sempre nella colonia ancora quindicimila soldati italiani e cinquemila indigeni, oltre i superstiti di Adua, e altre forze stavano per sbarcare.

Il B. si preoccupò di coprire la colonia contro l'avanzata del negus, liberare Adigrat, soccorrere Cassala, e al tempo stesso riordinare radicalmente i servizi logistici e riorganizzare i superstiti di Adua. Per guadagnare tempo, cercava poi di intavolare trattative di pace con gli Abissini e ottenere la liberazione dei prigionieri. Se presto però gli Abissini si arrestarono, e il 20 aprile Menelik iniziò la ritirata delle sue truppe verso lo Scioa, lasciando nel Tigré i soli capi locali con circa dodicimila armati, la minaccia dei Dervisci si faceva sempre più grave. Il B. mandò verso Cassala il col. F. Stevani, il quale, riuniti circa tremila uomini, in gran parte indigeni, inflisse il 3 aprile a Tucruf presso Cassala una grave sconfitta a circa seimila Dervisci, eliminando ogni pericolo da quel lato. Ai primi di aprile il B. avanzò con il corpo di operazione, per due strade parallele e ben collegate, alla liberazione di Adigrat, superando notevoli difficoltà logistiche, mentre i Tigrini retrocedevano continuamente, dopo brevi scambi di fucilate. Una colonna spedita verso Adua serviva a distogliere parte delle forze tigrine dalla zona, e il corpo riunito poteva quindi, il 4 maggio, liberare il forte di Adigrat, ov'erano millequattrocento soldati italiani. Ma il grosso dell'esercito abissino si era ritirato senza perdite, e non sarebbe stato facile raggiungerlo, la stagione delle pioggie si avvicinava e il governo non intendeva impegnarsi in un nuovo ciclo operativo. Il B. ottenne il rilascio dei prigionieri fatti dai Tigrini ad Adua e il 18 maggio ripiegò sulla colonia; quindi rimpatriò definitivamente.

In Italia egli comandò i corpi di armata territoriali di Ancona e di Firenze. Il 4 marzo 1904 venne nominato senatore. Si spense a Firenze l'8 genn. 1917.

Fonti e Bibl.: Si veda, tra le fonti, A. Baldissera, Relazione sulla occupazione dell'Asmara,Voghera-Roma 1889; Id., Relazione sulle operazioni nel 2º, periodo della Campagna d'Africa. 1895-96, in Rivista militare italiana,16 ag. e 1º sett. 1896, pp. 1451-1625. Cfr. poi [P. Toselli), Pro Africa Italica,Roma 1891, passim; E.Bellavita, Adua,Genova 1931, pp. 40-97, 417-433; R. Battaglia, La Prima guerra d'Africa,Torino 1958, passim; L'Italia in Africa. Serie storicomilitare,I, L'opera dell'esercito, II, Avvenimenti militari e impiego,parte 1, Africa Orientale (1868-1934), testo di M. A. Vitale, Roma 1962, passim.

CATEGORIE
TAG

Trattato di uccialli

Impero etiopico

Colonia eritrea

Nilo azzurro

Bersaglieri