Doni, Anton Francesco

Enciclopedia Dantesca (1970)

Doni, Anton Francesco

Michele Messina

Letterato (Firenze 1513 - Monselice 1574). Nelle Librarie (Venezia 1580, 14) esprime il suo sincero e profondo amore per D., " lume della nostra patria, per mille lingue e mille penne messo nei cieli ", poeta " che ha onorato e illustrato la patria... per mille e mille secoli ". Nella Zucca (Venezia 1595, 20, 37, 48-49 passim) e nei Marmi (Firenze 1863, I 270 ss., II 15 ss.) oltre all'ammirata citazione di un verso (Pg XXVIII 41) ricorrono imitazioni nelle quali è chiaro il tentativo di commentare il modello. In due novelle si rifà, con abbondanza di particolari, all'entrata di D. all'Inferno e all'ascesa al Purgatorio. Un'ampia chiosa teologica è pretesto al Doni per esprimere il suo pensiero e dare un'interpretazione delle concezioni dantesche. Nelle Prose antiche di D., Petrarca, Boccaccio... (Firenze 1547) pubblicò in volgare, oltre a quella a Enrico VII, un'epistola a Guido da Polenta, datata marzo 1314, con la quale il poeta dava ragguagli della sua ambasceria al doge Giovanni Soranzo per compiacersi, a nome del signore ravennate, dell'elezione all'alta carica. Della paternità dantesca dell'epistola, che nel 1723 veniva dal Biscioni ristampata con la data del 1313, nessuno ha avuto per secoli ombra di dubbio: solo nell'Ottocento il Witte prima, poi lo Scartazzini e in modo definitivo il Bartoli dimostrarono trattarsi di vera e propria falsificazione del Doni, fabbricata, prendendo lo spunto da un passo della Vita di D. di Filippo Villani, per vendicarsi della città di Venezia. A parte il fatto che è impossibile che D. sia incorso in una svista così grossolana da attribuire a Virgilio il detto di Claudiano minuit praesentia famam, nessun manoscritto anteriore al secolo XVI tramanda l'epistola. Il Soranzo nel 1314 era doge da circa due anni e podestà di Ravenna era Lamberto, non il nipote Guido; né risponde a verità che i senatori veneti non intendessero il latino e l'italiano: Venezia contava numerose persone colte nelle lettere, nella teologia, nel giure; statuti, sentenze, provvisioni erano scritti in latino.

Bibl. - M. Barbi, Della fortuna di Dante nel sec. XVI, Pisa 1890; A. Dobelli, Studi letterari, Modena 1897, 159-172; Zingarelli, Dante 738, 1341; M. Messina, A.F. Doni, in Letteratura italiana - I Minori, Milano 1961, II 1293-1314 (con bibl.); C. Ricci, L'ultimo rifugio di Dante, Ravenna 1965, 18-24.

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