CLEMENTE III, antipapa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CLEMENTE III, antipapa

Carlo Dolcini

Wiberto (Guiberto), nato nella famiglia nobile dei da Correggio imparentati con la dinastia canossiana a Parma, probabilmente nell'arco del decennio 1020-1030, attraversa tutta la storia dell'età pregregoriana e gregoriana e della lotta delle investiture, come cancelliere imperiale (dal 1058), arcivescovo di Ravenna (1073-1100) e antipapa (dal 1080). Nominato cancelliere imperiale per intervento dell'imperatrice Agnese, reggente durante la minore età di Enrico IV, dopo la morte di Adalberto vescovo di Bamberga entra a far parte della corte enriciana, alla quale resterà sempre legato.

Nove documenti imperiali dal 1058 al 1063 (due sono conservati in originale) portano la recognitio cancelleresca di Wiberto (Stumpf, nn. 2554, 2556, 2557, 2584, 2596a, 2612, 2617, 2621, 2978). Invitato da Gerardo, vescovo di Firenze, eletto papa Niccolò II, al sinodo di Sutri (gennaio del 1059) per convalidare la deposizione di Benedetto X, accompagna il nuovo pontefice a Roma, insieme con Goffredo di Lorena, marchese di Toscana. Variamente interpretato e risolto dagli storici è il problema della mediazione compiuta da Wiberto per ottenere da Niccolò II il riconoscimento dello ius e honor imperii nell'elezione papale, come si legge nella versione "imperiale" del decreto del 1059; ma attraverso le più recenti ricerche (Krause, Capitani) è possibile verificare in maniera positiva l'autenticità dell'intervento di Wiberto in favore di Enrico IV e dei suoi successori. Dopo la morte di Niccolò II e l'elezione di Alessandro II, come cancelliere imperiale Wiberto partecipa attivamente agli sviluppi dello scisma di Cadalo vescovo di Panna (l'antipapa Onorio II). e, celebrato il sinodo di Basilea, lo accompagna nella spedizione. italiana, nella battaglia vittoriosa di Campoleone (1062) contro l'esercito raccolto da Ildebrando, fino al termine dell'impresa bloccata dall'arbitrato di Goffredo di L orena e anche da difficoltà finanziarie.

Negli anni 1063-1072 il silenzio e la lacuna delle fonti rendono oscura l'attività di Wiberto, probabilmente ritornato alla sue mansioni di cancelliere imperiale. Il 20 febbr. 1073 appare per la prima volta come arcivescovo di Ravenna, eletto ma non ancora consacrato (Rubeus, p. 298). Nell'assumere il difficile governo di una sede metropolitica colpita dall'interdetto papale nel 1065, Wiberto mantiene all'inizio rapporti di convivenza con la Chiesa romana (Gregorii VII Registrum..., p. 5), ma soltanto per un breve periodo. Una lettera di Gregorio VII (1º giugno 1073) esorta Guido conte di Imola a comporre la pace fra gli abitanti della medesima città, che avevano giurato obbedienza alla Santa Sede, e l'arcivescovo ravennate che aveva cercato di ridurli sotto la sua giurisdizione (ibid., p. 16). Nella quaresima del 1078 Wiberto viene sospeso dall'ufficio arcivescovile e scomunicato; e la condanna è ripetuta nel 1090. Dopo la seconda deposizione di Enrico IV da parte di Gregorio VII nel concilio del marzo 1080, Wiberto aderisce alla convocazione imperiale del sinodo di Bressanone: approvata la deposizione di Gregorio VII, e dopo la rinuncia di Tedaldo arcivescovo di Milano, lo stesso Wiberto viene eletto papa con il nome di Clemente III dai trenta vescovi ivi radunati (25 giugno 1080). Nell'anno seguente partecipa alla spedizione italiana di Enrico IV e alle fasi iniziali del lungo assedio di Roma. Caduta la città in mano all'imperatore (marzo 1084), C. III viene solennemente consacrato e intronizzato nel palazzo lateranense. Compiuta l'incoronazione imperiale di Enrico IV (31 marzo), l'antipapa abbandona Roma anche a causa dell'avvicinarsi dell'esercito di Roberto il Guiscardo. Vi ritorna nel 1087 e riesce a prevalere contro il nuovo pontefice Vittore III. Forse è questo il periodo più fecondo di attività e risultati per Clemente III. Crescono e si diffondono modelli di pubblicistica favorevole alla sua concezione del Papato, prevalentemente attraverso i cosidetti "falsi ravennati" che esamineremo a suo luogo. Viene convocato nel 1089 un sinodo romano, "una sorta di contromossa all'attività conciliatrice di Urbano II", in modo particolare per la "riaffermazione del celibato obbligatorio, seguita subito dalla diffida a non disertare gli uffici amministrati dai sacerdoti indegni, clausola questa che, con il chiaro intendimento di un ritorno all'ingiudicabilità della gerarchia tipica del periodo pregregoriano, mette bene in evidenza il carattere chiericale di questo documento" (Fornasari, p. 292).

Malgrado il tentativo di politica conciliativa nei confronti degli ecclesiastici incerti fra le due obbedienze e malgrado l'appoggio diretto dell'imperatore e l'alterno riconoscimento da parte di Inghilterra, Serbia e Ungheria, l'autorità e il prestigio di C. III cominciano a indebolirsi verso la metà degli anni '90. Riesce ancora una volta nel 1091 a insediarsi in Roma, dove continuava a resistere un forte partito guibertista. Ma la scarsa efficacia di un sinodo del 1092 e l'insuccesso dell'esercito di Enrico IV nell'assedio di Monteveglio rappresentano i primi segni di un costante regresso di C. III nei confronti di Urbano II, ormai saldamente riconosciuto dalle principali nazioni europee, riunite intorno al progetto papale di crociata. Negli ultimi anni di C. III si assiste anche al suo tentativo (1093) di riformare la vita comune dei canonici cardinali di Ravenna, con più larghe concessioni e sistemazioni giuridico-patrimoniali. Malgrado il sacer conventus dei guibertisti nel 1098 e il tentativo di opposizione al nuovo pontefice Pasquale II (1099), C. III non riesce a riorganizzare le forze ancora favorevoli in Roma e nel Lazio. La morte lo coglie a Civita Castellana l'8 settembre del 1100.

Figura complessa, che ancora sfugge a una conoscenza unitaria, C. III rimane al centro di interpretazioni divergenti e successive revisioni. Dal C. III di Köhncke, un puro e semplice esecutore della politica di Enrico IV, e di Augustin Fliche che lo aveva descritto come scialbo, piuttosto pacifico per natura, strumento docile e passivo dell'imperatore, si passa alla rivalutazione della sua autonomia e dei suoi programmi di riforma e governo (Kehr), e si arriva al recente giudizio di Ernst Werner che vede in C. III un personaggio di alta cultura, capace di rappresentare l'impulso a una riforma della Chiesa, da rendere libera da conflitti e rivendicazioni contro il regnum. Questa tesi può essere condivisa a patto di osservare che l'ecclesiologia di C. III non affermava il valore di una Chiesa pneumatica e antigiuridica, ma, senza mettere in discussione l'indipendenza e la superiorità dell'ordinamento pubblico regio, ricercava e otteneva da questo la delega e il consenso ad assumere responsabilità di natura politica, come appare nella complessa e a volte ambigua elaborazione dei "falsi ravennati". Per questo motivo il miglior accesso alla conoscenza del pensiero e dell'azione di C. III è attualmente consentito dallo studio della pubblicistica del suo tempo. Per la storia dei fatti, l'accertamento è ancora quasi tutto da compiere. Con un primo rilevamento delle fonti nell'Archivio arcivescovile di Ravenna si ottiene il seguente dato: per l'epoca dell'arcivescovo e antipapa C. III sono conservate 160 pergamene, delle quali quindici sono edite, trentuno regestate spesso in modo incompleto o infedele nei Monumenti ravennati del Fantuzzi, centoquattordici inedite.

La letteratura politica "guibertista", oltre a rappresentare una fonte di conoscenza per C. III, appartiene a un settore vasto e ancora non completamente esplorato della pubblicistica del tardo secolo XI, nella quale politica, teologia, diritto civile e canonico convivono in modo più o meno unitario e complesso. In questa sede è pertinente l'esame delle pièces e degli scritti che, senza essere direttamente attribuibili a C. III, si possono considerare di origine o formazione ravennate (1080-1100 c.). Esclusi opuscoli e trattati come il De Papatu Romano di Guido da Osnabrück, il De scismate Hildebrandi di Guido da Ferrara o anche il De unitate ecelesie conservanda, ilcensimento delle opere dovrebbe comprendere la Defensio Heinrici IV Regis di Pietro Crasso (in Monum. Germ. Hist., Libelli, I, pp. 433-453), la redazione "imperiale" del decreto di elezione papale del 1059 (in Krause, Das Papstwahldekret von1059..., pp. 271-275), i falsi privilegi di Adriano I a Carlo Magno (in Monum. Germ. Hist., Constitutiones, I, pp. 657-663) e di Leone VIII a Ottone I (ibid., pp. 666-667: privilegium minus; pp. 667-674: privilegium maius; pp. 674-678: cessio donationum). Dopo una lunga fase storiografica (da Ficker a Karl Jordan) impegnata a studiare e risolvere problemi specifici di attribuzione di testi senza discutere la loro genesi "guibertista", oggi quasi nessuna delle medesime opere sembra resistere a una duplice critica storica che elimina, o comunque attenua in misura notevole, il loro collegamento a C. III e al suo ambiente ravennate. Gli studi compiuti da Capitani hanno rivelato che la redazione "imperiale" del decreto di elezione papale deve essere situata "in un ambiente non propriamente wibertiano, ma di cardinali scismatici" e, "staccati i tempi e gli interessi dei privilegi di Adriano I e di Leone VIII" (Capitani, p. 41), il privilegium minus - databile in epoca posteriore all'elezione di Urbano II e anteriore al 1092 ca. - sembra riguardare "Enrico IV e le persone del suo entourage assai più credibilmente che non quelle dell'entourage di Clemente III, a Ravenna" (ibid., p. 42). Più di recente, Ian Stuart Robinson ha per la prima volta messo in dubbio la provenienza ravennate di Pietro Crasso e della Defensio Heinrici IV, considerata come pièce fabbricata nella Cancelleria salica in Italia (Stuart Robinson, pp. 75-83).

Punto di partenza per la nostra discussione può allora essere la Defensio, esaminata con novità di conseguenze da Stuart Robinson nella sua formazione a strati teologici, giuridici e anche letterari. Altrettanto importante e nuova, dopo le ricerche di Jordan, che aveva sottolineato nella Defensio l'uso del diritto privato romano a sostegno dell'ereditarietà dell'Impero, è la scoperta di affinità e somiglianze con parametri della letteratura panegirica enriciana. Meno convincente sembra la proposta di attribuzione della Defensio alla Cancelleria imperiale: perché, se non si possono mettere in dubbio le affinità indicate da Stuart Robinson, è anche vero che tali confronti sono reversibili e non si osservano sicure dipendenze testuali. Lo studioso irlandese ha comunque il merito di aver messo in crisi un'opinione veramente consolidata, ossia l'origine ravennate della Defensio. Bisogna riconoscere che a una prima lettura non vi sono elementi espliciti o diretti che consentano di collegare Pietro Crasso e la sua opera alla Ravenna di Clemente III. E tuttavia, esaminata in una prospettiva più larga, la Defensio sembra verosimilmente appartenere, se non direttamente a Ravenna, almeno ad ambienti e circoli legati all'antipapa. Qualche dato interessante può essere ricavato dall'analisi di una breve composizione poetica, probabilmente scritta nell'occasione della conquista imperiale di Roma nel 1084 e inserita subito dopo l'explicit della Defensio. Sembra opportuno rivalutare, insieme con Stuart Robinson, una nota di Fitting (1888, p. 40) secondo cui i versi, pervenuti in forma corrotta attraverso l'unico codice della Defensio, consentono di vedere in Pietro Crasso soltanto il latore dell'opera, scritta o commissionata da un "Petrus fidelis" e portata all'imperatore: "Petrus fidelis librum componere feci ... Henrice rex amabilis, qui Romae victor existis, hunc librum nostrum accipis, quem vestri Crassus tradidit, exemplis patrum editum, rogatu Petri conditum, vobis mandavit ocius, ut prosit ad concilium" (Libelli, I, p. 453). Osserva giustamente Stuart Robinson che queste parole, malgrado il metro zoppicante, fanno pensare a un caso analogo a quello della lettera a Ildebrando attribuita a Teodorico vescovo di Verdun, ma che risulta essere stata composta da Venrico di Treviri. Forse anche la Defensio era il lavoro di uno "scholasticus" che rimase sconosciuto (Stuart Robinson, pp. 76 s). Fin qui si può concordare con lo studioso irlandese, ma sembra anche necessaria un'integrazione: se la Defensio fucomposta per intervento diretto o commissione di "Petrus fidelis", se Pietro Prasso fu il latore dell'opera alla corte di Enrico IV, allora è veramente difficile attribuire la redazione della Defensio alla Cancelleria imperiale. Il trattato per l'imperatore sarà stato composto in qualche parte d'Italia e poi, più rapidamente ("ocius"), portato da Pietro Crasso a Enrico IV che aveva fatto il suo ingresso vittorioso in Roma. Esclusa la Cancelleria salica, il luogo più presumibile di composizione sembra essere Ravenna, o comunque l'entourage dell'antipapa che ancora il 26 genn. 1084 era presente nella città adriatica e il 21 marzo dello stesso anno si trovava già a Roma con l'imperatore.

Un tentativo per identificare il "Petrus fidelis" può consistere nell'analisi della cultura giuridica della Defensio e poi nella corrispondenza di più ipotesi sui rapporti oscurissimi fra Bologna e Ravenna nel periodo di Clemente III. L'esistenza di una scuola giuridica a Ravenna è negata dalla più recente storiografia: in particolare, la Defensio appare come "opera giuridicamente poco attendibile per la sua natura essenzialmente polemica, non ... scevra di errori nella citazione delle fonti. Si è rilevato, soprattutto, che un frammento attribuito al Digesto apparteneva in realtà al Codice, 9, 40, 10" (Paradisi, III, p. 349). Si può allora notare che la Defensio fu scritta o commissionata probabilmente a Ravenna da un "Petrus fidelis" e che l'autore conosceva e utilizzava soltanto il Codice e le Istituzioni. Se ora spostiamo la nostra attenzione su Bologna (1080-1100 c.), troveremo il nudo nome di un vescovo guibertista, Pietro, tramandato senza alcuna notizia nel Catalogo renano. Pietro era il successore di Sigifredo, già morto il 15 marzo 1086 e può essere rimasto nella sua sede fino a un periodo non lontano dal 1096 quando entra in Bologna Bernardo, eletto da Urbano II. Di recente Piero Fiorelli ha mostrato in modo convincente che il "legis doctor" Pepo (predecessore di Irnerio nella scuola giuridica bolognese) può essere tutt'uno con il vescovo Pietro. Ora, alla conoscenza di Pepo (Pietro) una recente scoperta compiuta da Ludwig Schmugge negli inediti Moralia Regum di Radulfo il Nero aggiunge una notizia per noi importante: "Magister Peppo ... tamquam Codicis Iustiniani et Institutionum baiulus, utpote Pandecte nullam habens noticiam". L'episodio, a cui la notizia è collegata, non reca una data, ma si svolge "coram imperatore in Lombardia": probabilmente, dopo la discesa imperiale del 1081. Arrivati a questo punto, sarebbe lavorare di fantasia dire che "Petrus fidelis" (Defensio) e Pepo (Pietro) sono la stessa persona. Ci sono però coincidenze e parallelismi, più o meno impressionanti, che è bene sottolineare: nell'epoca di C. III (o meglio, nel penultimo decennio del secolo XI) agiscono un "Petrus fidelis" e un Pepo (Pietro), che appartengono alla parte enriciana, operano come esperti di diritto o come libellisti per l'imperatore, l'uno nella Lombardia e l'altro a Ravenna e rivelano, ciascuno a suo modo ma senza reciproche oontraddizioni, una conoscenza dei libri legales limitata al Codice e alle Istituzioni. La prudenza invita a non procedere a un'identificazione che attualmente sarebbe arbitraria. Rimane sicuro il parallelismo giuridico, politico e geografico che intercorre fra l'autore (o editore) della Defensio e Pepo (Pietro vescovo di Bologna). Oltre non è possibile andare; ma certo, il medesimo parallelismo consente di gettare una nuova luce su importanti e ancora così oscuri motivi e momenti culturali che risalgono al penultimo decennio di Clemente III.

Altro testo appartenente alla letteratura politica guibertista dovrebbe essere la redazione "imperiale" del decreto di elezione papale (1059) per il quale conviene rinviare all'esauriente analisi del Krause che non mi sembra superata dai più recenti studi (p. es., Hägermann e Stürner). Contro il parere di Robert Holtzmann, ripreso anche da Stürner, Krause ha sottolineato il fatto che la tradizione manoscritta, migliore di quella della versione "papale", e anche argomenti di forma e contenuto depongono a favore dell'autenticità del testo che si trova nella versione "imperiale": l'elezione pontificia è affidata ai cardinali "salvo debito honore et reverentia dilectissimi filii nostri Heinrici, qui in presentiarum rex habetur et futurus imperator Deo concedente speratur, sicut iam sibi mediante eius nuntio Longobardie cancellario W. concessimus, et successorum illius, qui ab hac apostolica sede personaliter hoc ius impetraverint" (Krause, pp. 98, 272). Con un'analisi che conferma e integra le ricerche di Krause, Capitani ha osservato, attraverso un esame della versione "imperiale" e una serie di notizie provenienti dalla Disceptatio synodalis di Pier Damiani e dal Liber ad amicum di Bonizone, che la concessione del diritto imperiale di elezione papale ottenuta attraverso la mediazione di Wiberto è storicamente accertabile (Capitani, p. 40). Accertata la funzione svolta dal cancelliere Wiberto nella storia dei fatti, rimane sicuro per Capitani che "l'unica rilevanza che la cosiddetta redazione imperiale ha per la storia generale del periodo consiste nel livellamento dei ranghi dei cardinali" e, per quel che riguarda l'attribuzione della versione "imperiale" del decreto del 1059, "Wiberto sembra escluso da ogni preciso collegamento con esso" (ibid., pp. 40 s.). Infatti non ci sono prove o indizi per lasciare aperto il tentativo di attribuzione diretta a Wiberto della versione imperiale, elaborata in ambienti di cardinali scismatici che avevano concreto interesse all'uguaglianza del cardinalato, senza distinzione fra vescovi, preti e diaconi, contrariamente alla versione "papale" che prevedeva soltanto l'intervento dei cardinales episcopi nell'elezione pontificia. Non escluderei comunque che C. III abbia esercitato qualche influsso indiretto nella redazione "imperiale" o ne abbia ricavato qualche grado di legittimità della sua elezione del 1080. È degno di nota il fatto che l'autore del Liber de unitate ecclesie conservanda, di parte guibertista, ignori completamente il concilio di Bressanone nel quale C. III era stato eletto senza la presenza di cardinali vescovi: "quel che viene preso in considerazione è soltanto l'episodio romano della intronizzazione di Wiberto" (Zafarana, 1966, p. 635).

Tradizionalmente considerati come esempi emblematici delle falsificazioni medioevali, il privilegium maius e il privilegium minus di Leone VIII sono stati al centro di ipotesi contrastanti per la loro attribuzione. Il tentativo compiuto da Fedor Schneider di collegare i due falsi privilegi a Pietro Crasso fu contestato per motivi di stile e contenuto da Karl Jordan, a sua volta convinto dell'origine ravennate e guibertista dei due documenti. Sul fondamento della tradizione pervenuta attraverso due codici bambergensi, Waas ha provato ad attribuire i falsi diplomi alla Cancelleria di Enrico V. Ma l'ipotesi è stata oggetto di sicura contestazione dopo la scoperta di un ramo della tradizione manoscritta (Stuttgart, cod. Theol. 206) anteriore e indipendente rispetto ai due codici di Bamberga (Hartmann). La provenienza ravennate dei falsi privilegi è ancora sottolineata da Stuart Robinson. Ma nel 1971 Capitani ha compiuto un'importante revisione delle idee tradizionali sul privilegium maius e minus di Leone VIII. Partito da un'analisi della recezione del privilegium minus nel Decretum (D. 63, c. 23) e dopo aver sondato gli strati ecclesiologici (investitura regia e consacrazione dei vescovi, diritto imperiale di elezione papale estesa in perpetuum ai successori di Ottone I, contrariamente alla singola concessione del falso privilegio di Adriano I a Carlo Magno) e la diffusione del privilegio nella pubblicistica gregoriana e guibertista, Capitani ha accertato che il privilegium minus contiene e risolve una serie dei maggiori problemi della lotta per le investiture: problemi più significativi e pressanti per la Cancelleria e l'entourage di Enrico IV che non per l'ambiente dell'antipapa Clemente III. All'analisi del Capitani resterebbe soltanto da aggiungere che, pur abbandonando l'idea dell'origine ravennate, non ne consegue necessariamente una completa estraneità di C. III e del suo ambiente alla diffusione e fruizione del falso privilegio. In particolare, una traccia, sepolta da un errore cronologico, del privilegium minus è rilevabile nel De scismate Hildebrandi di Guido da Ferrara (Libelli, I, p. 565), in funzione antigregoriana e favorevole all'investitura imperiale dei vescovi contro ogni popularis seditio: "Hanc concessionem Adrianus apostolicus Karolo, Leo tercio Ludoico, alii vero Romani pontifices aliis atque aliis imperatoribus confirmaverunt...". Guido da Ferrara si riferisce a un decreto di Leone III a Ludovico (?), ma la corrispondenza e contiguità del falso decreto di Adriano I per Carlo Magno inducono a pensare che Guido, caduto o tratto in errore materiale, avesse in mente il testo del privilegium minus. Se questa ipotesi regge, dovremmo osservare che in ambienti guibertisti il privilegium minus era conosciuto e usato come documento per l'investitura regia dei vescovi, senza che fosse chiamata in causa l'altra grande componente politica del medesimo privilegio: l'elezione imperiale del papa.

Più congeniale e vicino all'ambiente ravennate e allo stesso C. III sembra essere il falso privilegio di Adriano I a Carlo Magno per dimostrare anche attraverso la lex regiade imperio che il pontefice insieme con il clero e il popolo romano aveva concesso a Carlo Magno il diritto di elezione papale e di conferire l'investitura ai vescovi prima della loro consacrazione. Il falso privilegio (che passa nella Panormia di Ivo di Chartres e poi nel Decretum di Graziano, D. 63, c. 22) fu fabbricato in un periodo anteriore al 1090-1100 ca. perché viene citato da Landolfo Seniore nel secondo libro della sua HistoriaMediolanensis. Come notava Capitani, non è molto sicuro che Anselmo da Lucca (Libercontra Wibertum, ca. 1085-1086) nella sua polemica contro l'investitura regia abbia compiuto un esplicito riferimento al falso privilegio per Carlo Magno, "ma questo privilegio era già diffuso perché altrimenti Guido da Ferrara non ne avrebbe fatta menzione" (Perun riesame dei falsi ravennati..., p. 28). Il conferimento dell'elezione papale all'imperatore è singolo nel falso di Adriano I, perpetuo nel privilegium minus di Leone VIII. Per questo motivo e anche a causa della loro differente diffusione nella libellistica e nelle collezioni canoniche dei secoli XI-XII, Capitani ha proposto di staccare fra loro i luoghi d'origine e formazione dei due falsi privilegi.

Altrettanto collegata all'ambiente ravennate dell'antipapa è la cessio donationum, una falsificazione in forma di diploma con il quale Leone VIII restituisce a Ottone I una larghissima serie di città, castelli, monasteri, distretti pubblici, montagne e isole che la Chiesa romana aveva ricevuto da Pipino e Carlo Magno, L'attribuzione della cessio donationum a Pietro Crasso (oggi dovremmo dire "Petrus fidelis") fu compiuta da Ficker e con particolare convinzione da Fedor Schneider, mentre l'editore del testo, Weiland, aveva espresso qualche riserva senza dubitare dell'origine ravennate. In seguito Jordan ha negato valore all'attribuzione tradizionale, ma senza elementi decisivi o probanti: se è vero che il comune rinvio e commento della Defensio Heinrici IV e della cessio donationum a Inst. IV, 18, 3 non è così letterale come pensava Schneider, occorre anche dire che nel medesimo luogo si riscontrano interessanti analogie per mantener viva l'ipotesi di un'identica provenienza dei due testi. I 151 toponimi della cessio donationum appartengono prevalentemente all'Esarcato, alla Pentapoli e all'Italia centromeridionale. Poiché l'analisi e lo studio dei nomi di luogo e della loro vasta e complessa derivazione dal Liber pontificalis (circa due terzi) richiedono un lavoro non breve, appare opportuno soffermarsi sulle caratteristiche del documento che consentono di gettare qualche luce su Clemente III. Fonte di notevole importanza per l'atteggiamento antiromano (Schneider) e per l'elaborazione concettuale dell'espansione territoriale dell'arcivescovato ravennate oltre i confini abituali dell'Esarcato e della Pentapoli (Jordan), la cessio donationum rappresenta il più concreto e ambizioso programma di attività e propaganda politica dell'entourage di C. III, che era possibile rivalutare, da parte di Schneider q jordan e ora anche di Stuart Robinson, nella sua autonoma consapevolezza solo in una certa misura coincidente con il tentativo compiuto nel 1080-1084 da Enrico IV per restaurare la sovranità imperiale nell'Italia centromeridionale. Nel progetto di legittimare il controllo di territori e popolazioni, il medesimo documento esprime il tentativo dell'antipapa di incorporare la funzione pubblica nella propria autorità religiosa, con l'assunzione di responsabilità politiche e rivendicazioni su larga parte della penisola.

Come sappiamo, il programma di dominio e influenza nazionale da parte di C. III non riuscì a imporsi; anche il controllo di Roma e del Lazio era divenuto sempre più difficile negli ultimi anni del suo pontificato. Riuscirono meglio le aspirazioni e i progetti di estensione del potere arcivescovile e di affermazione e consolidamento della sua autorità pontificia nell'Esarcato. I toponimi romagnoli della cessio donationum sono ventidue e rappresentano un vasto settore favorevole e fedele a C. III, prevalentemente per l'attività dei suoi vescovi suffraganei, come Ulrico da Imola, Roberto di Faenza, vicecancelliere dell'antipapa e anche per impulso di un vescovo non suffraganeo come Opizo di Rimini (Schwartz). Particolare rilievo nell'ambiente di C. III sembra aver esercitato Angelo vescovo di Cervia, suo compagno di viaggio a Roma nel 1084 e, secondo il Liber censuum di Bosone, anche suo consacratore; allo stesso Angelo era stato ceduto da C. III il controllo delle saline cerviesi, molto importanti per l'economia dell'Esarcato (Zattoni). Altrettanto valido per il movimento guibertista fu Gebizo, prima legato apostolico di Gregorio VII, poi passato alla parte di C. III come vescovo di Cesena e priore di un eremo dell'Appennino tosco-romagnolo, fondato da Pier Darniani. L'area appenninica sembra essere stata al centro di una costante attenzione da parte di C. III; notava jordan (Rav. Fälsch., p. 442) che dalla lettura della cessio donationum siricava l'impressione di un tentativo di allargare la giurisdizione arcivescovile nell'Appennino, in concorrenza con il potere locale dei conti Guidi. Qui si può aggiungere che il medesimo tentativo testimonia, oltre al progetto di contrastare la giurisdizione della nobiltà locale ed assicurarsi il controllo degli itinerari che portavano in Toscana e a Roma, anche il programma di restituire all'autorità dei vescovi ravennati una zona densa di istituzioni monastiche dipendenti dalla Chiesa romana. Particolare importanza assume il fatto che nella cessio donationum sia elencato anche il monastero di S. Ellero nella valle superiore del Bidente. Contro l'opinione di Giulio Buzzi (Ricerche, pp. 121 n. 2, 193), che aveva pensato alla falsificazione e interpolazione - avvenuta sotto l'arcivescovato di Wiberto - delle bolle e dei diplomi della Chiesa ravennate nei quali si fa menzione di S. Ellero, Cencetti ha rilevato che la serie dei documenti è genuina e da essi si può affermare l'appartenenza del monastero alla giurisdizione vescovile. Qualche dubbio però rimane di fronte ad uno di questi documenti, la bolla papale di Paolo I (5 febbraio 759). perché è conservata in copia del sec. XI (Ravenna, Archivio arcivescovile, n. 2), presenta errori e contraddizioni nella datatio e contrasta con una lettera, tramandata nel Codex Carolinus, di Adriano I a Carlo Magno (784-791), che conferma la dipendenza di S. Ellero dal Papato. Soltanto ulteriori ricerche potranno dare conferma all'ipotesi di una falsificazione compiuta nel periodo dell'antipapa Clemente III. Dello stesso Buzzi deve essere segnalato il tentativo di scoprire le prime origini dei Comuni di Ravenna, Cervia e Cesena sotto l'arcivescovato di Wiberto (Ricerche, p. 193). Successive ricerche hanno però sottolineato il fatto che è prematuro parlare di autonomie comunali in Romagna anteriormente al secolo XII (Vasina). Nessun documento finora conosciuto consente di accettare la tesi del Buzzi, al quale rimane il merito di aver indicato alcuni gradi di parentela di C. III con famiglie di feudatari della Chiesa ravennate.

Fonti e Bibl.: Documenti e atti di C. III sono cronologicamente riportati in Ph. Jaffé-J. Wattenbach, Regesta pontificum Romanorum, I, Lipsiae 1885. Per l'Italia cfr. P. F. Kehr, Italia pontificia, V, Berolini 1911; Id., Papsturkunden inItalien. Reiseberichte zur Italia pontificia, I-II, Città del Vaticano 1977. Altre raccolte di docum. e lettere in H. Rubei Historiarum Ravennatum Libri X, Venetiis 1589; I. A. Amadesi, In antistitum Ravennatum chronotaxim... disquisitiones…, II, Faventiae 1783; M. Fantuzzi, Monumenti ravennati, I-VI, Venetia 1801-1804; J.P. Migne, Patrologia Latina, CXLVIII; Bibliotheca Rerum Germanicarum, II, Monumenta Gregoriana, a cura di Ph. Jaffé, Berolini 1865; Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, I, a cura di L. Weiland, Hannoverae 1893; Ibid., Diplom. regum et imperatorum Germaniae, VI, Die Urkunden Heinrichs IV, a cura di D. von Gladiss, I, Berolini 1941; II, Weimar 1952; III, a cura di A. Gawlik, Hannover 1978; Gregorii VII Registrum, I-II, a cura di E. Caspar, Berlin 1955; A. Vasina, Romagna medievale, Ravenna 1970; G. Zattoni, Scritti storici e ravennati, Ravenna 1975; Briefsammlungen der Zeit Heinrichs IV., a cura di C. Erdmann- N. Fickermann, München 1977. Regesti di fonti del periodo di C. III in K. Stumpf-Brentano, Die Kaiserurkunden des X., XI. und XII. Jahrhunderts chronologisch verzeichnet, II, Innsbruck 1865-1883; G. Meyer v. Knonau, Jahrb. des dt. Reichs unter Heinrich IV. und Heinrich V, III, Leipzig, 1890-1909; J. F. Böhmer, Regesta Imperii, II, a cura di H. Zimmermann, Wien-Köln-Graz 1969. Per le fonti pubblicistiche: Monumenta Germaniae Historica,Libelli de lite Imperatorum et Pontificum, I-III, Hannoverae 1891-1897. Assai utile la consultazione di Studi gregoriani, Indice dei volumi I-VI,VIII a cura di Z. Zafarana, Roma 1970. Per un primo orientamento sui fondi archivistici ravennati cfr. G. Rabotti, Inventario generale dei fondi degli Archivi di Stato di Ravenna e Faenza, Bologna 1979. Gli studi per la biogr. e le vicende di C. III sono: O. Köhncke, Wibert von Ravenna. Ein Beitrag zur Papstgeschichte, Leipzig 1888; P. F. Kehr, Due docum. pontifici illustranti la storia di Roma negli ultimi anni del secolo XI, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XXIII (1900), pp. 277-283; Id., Zur Gesch. Wiberts von Ravenna, in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, phil.-hist. Klasse, 1921, pp. 355-368, 973-988; G. Schwartz, Die Besetzungen der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig Berlin 1913, pp. 158, 252; G. Buzzi, Ricerche per la storia di Ravenna e Roma dall'850 al 1118, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XXXVIII (1915), pp. 121, 193; Id., La Curia arcivesc. e la Curia cittadina di Ravenna dall'850 al 1118, in Bull. dell'Istituto stor. ital. per il Medio Evo, XXXV (1915), pp. 7-187; W. 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Hägermann, Untersuchung zum Papstwahldekret von 1059, in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, kan. Abt., LVI (1970), pp. 157-193; H. Kantorowicz, Rechtshistor. Schriften, Karlsruhe 1970, p. 232; E. Spagnesi, Wernerius Bononiensis Iudex, Firenze 1970, pp. 148-152; O. Capitani, Per un riesame dei "falsi ravennati", in Atti e memorie della Deput. di storia patria per le province di Romagna, n.s., XXII (1971), pp. 21-42; F. Schneider, Eine antipäpstliche Fälschung des Investiturstreites und Verwandtes, in Ausgewählte Aufsätze zur Geschichte und Diplomatik, Aalen 1974, pp. 349-387; L. Schmugge, Codicis Iustiniani et Institutionum baiulus. Eine neue Quelle zu Magister Pepo von Bologna, in Ius commune, VI (1977), pp. 1-9; P. Fiorelli, Clarum Bononiensium Lumen, in Per Francesco Calasso, Roma 1978, pp. 413-459; I. Stuart Robinson, Authority and Resistance in the Investiture Contest, Manchester 1978; P. Colliva, Pepo legis doctor, in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le province di Romagna, n.s., XXIX-XXX (1978-1979), pp. 153-162.

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