HLA, antigene

Dizionario di Medicina (2010)

HLA, antigene

Arcangelo Nocera

MHC, HLA e trapianti

L’identificazione nell’uomo e in altri mammiferi (primati, maiali, polli, ratti) delle molecole codificate dai geni del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC), rappresentate nell’uomo dagli antigeni HLA, ha permesso di stabilire, tramite evidenze sperimentali, che tali molecole svolgono un ruolo centrale nei trapianti di cellule, tessuti ed organi.

Basi immunologiche delle risposte immunitarie ai trapianti

Nell’uomo, il successo degli allotrapianti (trapianti tra individui diversi della stessa specie), che rappresentano nella pratica clinica la quasi totalità dei trapianti, è legato da un lato alle reazioni immunologiche del ricevente nei confronti degli antigeni HLA di classe I (A, B, C) e di classe II (DR, DQ, DP) riconosciuti non-self, e dall’altro alla possibilità di modificare, con terapie immunosoppressive, tali risposte allo scopo di prevenire il rigetto. Il tipo e l’intensità di una risposta nei confronti di un organo trapiantato sono regolati da meccanismi effettori mediati da cellule o da anticorpi, responsabili di reazioni di rigetto acute o croniche. L’introduzione in un ricevente, attraverso il trapianto, di uno o più antigeni HLA non-self rappresenta lo stimolo primario per l’attivazione, da parte dell’organismo che ha ricevuto il trapianto, di linfociti T helper, i quali esprimono in membrana la molecola CD4 (T CD4+) in grado di interagire con molecole HLA di classe II (DR, DQ ,DP), non condivise con il donatore, tramite un recettore specifico (T cell receptor). Tali molecole sono espresse da cellule ematiche interstiziali, con capacità di presentazione antigenica, o da cellule APC (cellule dendritiche, macrofagi, monociti e linfociti B) e da cellule endoteliali vascolari. I linfociti T CD4+ dell’ospite, così stimolati, si trasformano in cellule attivate, secernenti svariate linfochine (tra cui le interleuchine IL-2, IL-4 e IL-5), responsabili della proliferazione ed espansione clonale di altri linfociti T. Da questi eventi conseguono meccanismi effettori mediatori del danno parenchimale nel trapianto. Tali meccanismi sono determinati principalmente da linfociti citotossici T CD8+ e da anticorpi con specificità anti-HLA. La ricchezza in APC rappresenta un fattore importante per la suscettibilità al rigetto dei vari organi; il midollo osseo e la cute risultano i più immunogenici, seguono isole pancreatiche, cuore, rene e per ultimo fegato.

Rigetto e compatibilità HLA

Gli allotrapianti, a causa di differenze immunologiche dovute ad antigeni HLA non condivisi tra donatore e ricevente, provocano nel ricevente risposte immunitarie che, se non controllate da un’adeguata terapia immunosoppressiva, portano al rigetto con riduzione o perdita acuta o cronica della funzione del tessuto o dell’organo trapiantato. In assenza di tali differenze, come per i trapianti eseguiti tra gemelli monozigoti o fratelli HLA identici, le riposte immunitarie del ricevente hanno un effetto trascurabile sulla sopravvivenza del trapianto. I rigetti, con reattività ricevente contro donatore, costituiscono la complicanza immunologica per eccellenza dei trapianti di organi solidi. Nella forme di rigetto acuto, soprattutto nel trapianto renale (il più eseguito nella pratica clinica), le reazioni immunitarie mediate principalmente da cellule T citotossiche CD8+, costituiscono il principale meccanismo effettore, sebbene possano essere coinvolti (in circa il 20% dei casi) anticorpi con specificità anti-HLA. Nelle forme di rigetto cronico (causa principale di perdita dell’organo nel lungo termine) il danno mediato da anticorpi riveste invece un ruolo predominante. La presenza di anticorpi anti-HLA nei sieri dei pazienti prima del trapianto ne condiziona inoltre in maniera negativa l’esito, per una maggiore incidenza di rigetti acuti e cronici da essi indotti. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) derivate dal midollo osseo, dal sangue di cordone ombelicale o dal sangue periferico, attualmente trattamento di scelta per numerosi disordini ematologici (per es., leucemie), sebbene soggetto agli stessi principi che governano il trapianto di organi solidi, presenta problematiche immunologiche peculiari. Infatti con il TCSE sono trasferite dal donatore all’ospite, reso totalmente immunoincompetente mediante immunosoppressione ablativa pretrapianto, anche cellule linfocitarie mature e loro precursori, in grado di reagire contro gli antigeni HLA del ricevente non condivisi. Tali reazioni sono alla base di sindromi gravi acute e croniche indicate come GVHD (Graft Versus Host Disease, malattie da reazione del trapianto verso l’ospite), che rappresentano la causa principale, se non controllate, di insuccesso del trapianto. La severità delle GVHD, nei casi di non perfetta compatibilità HLA, richiede che i TCSE vengano sempre eseguiti, quando possibile, da donatori consanguinei HLA identici (esiste una probabilità del 25% di trovare fratelli o sorelle compatibili); negli altri casi si può ricorrere, mediante strategie immunomodulatorie, a: donatori consanguinei ma identici per un solo aplotipo HLA e con una sola incompatibilità; donatori non consanguinei, selezionati da registri nazionali e internazionali, fenotipicamente HLA identici o con non più di una incompatibilità. Nel caso di trapianti di organi solidi (rene, pancreas, cuore, fegato, polmoni, intestino), che rappresentano il trattamento d’elezione per le rispettive insufficienze d’organo, la terapia immunosoppressiva permette di utilizzare, tranne che in riceventi con anticorpi anti-HLA preformati, anche donatori con bassa compatibilità. Tuttavia per i trapianti renali il grado di compatibilità HLA viene sempre utilizzato tra i criteri di scelta dei riceventi, inclusi quelli non immunizzati, in quanto garantisce maggiori sopravvivenze del trapiantato nel medio e lungo termine. La compatibilità HLA sembra non avere alcuna rilevanza clinica nei trapianti di fegato.

TAG

Cellule endoteliali

Trapianto di organi

Immunosoppressione

Gemelli monozigoti

Cordone ombelicale