Anomia

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Deficienza della legge, carenza dei poteri dello Stato, anarchia. Il termine è stato introdotto nel linguaggio sociologico da É. Durkheim, il quale, nell’opera La division du travail social (1893), definì anomiche quelle società fondate sulla divisione del lavoro in cui non si dia solidarietà sociale. Per Durkheim una situazione di a. è del tutto abnorme, potendosi produrre solo in periodi di grave crisi, ovvero di boom economico («crises heureuses»), durante i quali la rapidità del mutamento sociale non consente alle norme societarie di tenere il passo con le molteplici sollecitazioni e istanze emergenti nel sistema sociale, che lascia così senza direzione normativa i propri componenti o buona parte di essi.

Lungo questa linea è stata sviluppata la teoria dell’a. dai massimi teorici sociali contemporanei di orientamento funzionalista. In particolare, T. Parsons considera l’a. come «l’antitesi della piena istituzionalizzazione», sottolineando, tuttavia, che si tratta di un concetto limite. R. Merton usa il termine per indicare situazioni in cui le mete individuali socialmente prescritte e le norme istituzionalmente regolanti il conseguimento di esse risultano incongruenti, ovvero incompatibili di fatto. R.M. MacIver tende a impiegarlo in rapporto a individui (anomici), che sono vittime dell’alienazione sociale. Tra i tentativi di misurare il grado di a. vanno ricordati quelli di Leo Srole (1908-1993).

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Alienazione sociale