GRIMALDI, Annibale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRIMALDI, Annibale

Alice Raviola

Nacque nel 1552, primogenito e unico figlio maschio di Onorato (del ramo di Boglio, per lui eretto in comitato nel 1581) e della nobildonna genovese Giulia Piccamiglio, presumibilmente a Nizza, dove il padre era governatore della città e della Contea.

In virtù della posizione paterna già durante l'adolescenza poté vantare un ruolo di spicco in seno all'aristocrazia nizzarda e nella corte ducale sabauda. Nel gennaio del 1573, in occasione della riunione per la ricostituzione dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro voluta dal duca Emanuele Filiberto a Nizza, fu promosso, insieme con il padre, al rango di cavaliere e nel maggio fu tra i protagonisti della solenne cerimonia di varo e consegna al conte Andrea Provana di Leinì, eroe sabaudo di Lepanto e grand'ammiraglio dell'Ordine, di due galere ("la Piemontese" e "la Margherita") da impiegare ancora contro i Turchi.

Il legame dei due Grimaldi con il Provana fu rafforzato dal matrimonio tra la figlia di questo, Anna Francesca, e il G., sancito da un contratto dotale stipulato tra i genitori il 1° maggio 1575 nella chiesa di S. Domenico di Nizza. Secondo l'accordo, il "principal fine" del matrimonio sarebbe stato quello di "conservar et accrescere la parentella et amicitia […] fra queste due case". In realtà, dietro a tutto era il duca Emanuele Filiberto, che sperava di unire quanto più possibile i Grimaldi di Boglio alla dinastia: non a caso testimoni per il Provana furono il marchese Filippo d'Este, genero di Emanuele Filiberto per averne sposato una figlia naturale, e il conte Tomaso Isnardi di Sanfrè, consigliere di Stato, entrambi molto vicini al sovrano.

Data la giovane età della sposa, il matrimonio si sarebbe dovuto consumare entro la metà del 1577, dopo di che Anna Francesca sarebbe vissuta con i suoi genitori per altri sei anni. La dote fu fissata a 10.000 scudi, metà dei quali da versare nel 1577 e metà nei cinque anni successivi.

Avviato alla carriera militare con il titolo di barone della Valle (con riferimento alla Valle di Massoins), alla morte di Emanuele Filiberto il G. divenne uno degli uomini di fiducia del nuovo duca Carlo Emanuele I che, nel marzo del 1589, accordò a lui e al padre la facoltà di acquistare i feudi di Scros, Todone e Cadenette già confiscati a un altro ramo dei Grimaldi. Pagando 15.000 scudi d'oro - 8000 dei quali da sborsare al Provana in ottemperanza al contratto dotale - i due Grimaldi poterono consolidare ulteriormente i possedimenti feudali in area nizzarda. Parallelamente ai titoli si moltiplicavano per il G. cariche e onori: nell'estate del 1591, quando subentrò al padre, defunto, nel titolo comitale di Boglio, negli uffici di governatore della città e della Contea di Nizza e colonnello delle armate ducali in zona, risulta essere anche ciambellano, gentiluomo di camera del duca e consigliere di Stato del Consiglio segreto. Il generalato delle galere ducali, appannaggio del suocero, andò a completare il ventaglio di cariche accumulate dal G. che, allo scoppio della guerra per il Marchesato di Saluzzo (1588), si distinse presto in brillanti operazioni militari.

Determinante fu l'azione di contenimento degli attacchi francesi condotta indefessamente dal G. negli anni 1594-97, in collaborazione con i governatori dei presidi dislocati sul territorio (Villafranca, Poggetto, Sospello). In considerazione della sua abilità tattica, del servizio diplomatico-spionistico offerto insieme con lo zio paterno Ludovico, vescovo di Vence, e dell'ampiezza dei mezzi da lui messi a disposizione per il sostentamento delle truppe, Carlo Emanuele I volle che il G. lo accompagnasse a Parigi nel 1599 in vista delle prime trattative di pace con Enrico IV. Al termine del conflitto, protrattosi per altri due anni e conclusosi con il trattato di Lione (1601), il G. fu ricompensato con il collare dell'Ordine dell'Annunziata conferitogli il 2 febbr. 1602.

Altro segno del favore ducale fu il contratto dotale stipulato per le seconde nozze del G., dopo la morte di Anna Francesca. La sposa designata era Caterina Madruzzo dei conti di Challant, sorella del principe vescovo di Trento, Carlo Gaudenzio, e dama d'onore della defunta duchessa di Savoia Caterina d'Asburgo. Come ricompensa per questo incarico il duca le aveva donato 10.000 scudi d'oro, che costituirono la parte più cospicua della dote. Il contratto ducale fu stipulato il 13 ag. 1606 a Torino con la partecipazione dello stesso Carlo Emanuele I, che aggiunse al donativo un censo di 500 scudi annui sui redditi di Barcellonette. I futuri coniugi, assenti, furono rappresentati l'una da Carlo Costa di Polonghera, che donò a sua volta 6000 scudi alla Madruzzo, e l'altro dallo zio vescovo Ludovico.

Oltre a confermare, una volta di più, la piena appartenenza del G. alla ristretta élite di corte, il matrimonio con la sorella del titolare dell'episcopato trentino rafforzò l'immagine ortodossa dei Grimaldi. Non è forse un caso, allora, che dopo la morte di Giulia Piccamiglio (8 genn. 1607), di poco successiva alle nozze, la figura della madre del G. fosse pienamente riabilitata. Per quanto, infatti, l'accusa di eresia che pendeva sul suo capo fosse stata formalmente revocata per l'intervento del duca Emanuele Filiberto in favore suo e di Onorato, la Piccamiglio non aveva cessato di professare il calvinismo, scatenando le ire delle autorità ecclesiastiche di Nizza, che avrebbero voluto negare al cadavere la sepoltura con rito cattolico, officiata, invece, il 19 nov. 1607 dal vescovo Francesco Martinengo.

I rapporti, apparentemente idilliaci, tra il G. e il duca Carlo Emanuele I cominciarono a incrinarsi nell'autunno del 1613. Mentre nel resto del Ducato iniziava a infuriare la prima guerra per il possesso del Monferrato, a Nizza si verificò un episodio che indusse il sovrano a dubitare della fedeltà del potente vassallo. Si trattò di una sorta di rivolta scatenatasi contro il segretario della prefettura cittadina Giovanni Ricordi il quale, acquistato l'ufficio di insinuatore, aveva tentato di applicare in loco le disposizioni ducali emanate nel 1610 in merito alla registrazione degli atti notarili detta, appunto, "insinuazione". Il 31 ottobre la popolazione, probabilmente fomentata dal patriziato locale, si diresse minacciosamente verso la casa del Ricordi che, umiliato con uno charivari e parecchie sassate, riuscì a fuggire dalla città e a denunciare l'accaduto. In quell'occasione nullo fu l'intervento del G., che pure di Nizza era governatore. La negligenza fu percepita da Carlo Emanuele I come un atto di insubordinazione ancora più grave di quello dei responsabili del moto, molti dei quali il duca graziò assecondando non le richieste del G. ma le suppliche del Consiglio municipale.

Per saggiare il grado di fedeltà del G., Carlo Emanuele decise addirittura di recarsi a Nizza in incognito. Giunto in città il 6 genn. 1614, fu subito riconosciuto per l'ingente seguito di cavalieri che lo accompagnava (secondo il Gioffredo, erano quasi mille). Il G., andandogli incontro, tentò di fugarne il disappunto, ma suo figlio Andrea, asserendo durante un colloquio che i Grimaldi dovevano dipendere esclusivamente dall'imperatore, non fece che esacerbarlo.

Probabilmente i sospetti di Carlo Emanuele I verso il G. avevano radici più profonde e dovevano risalire alla missione parigina del 1599, durante la quale il G., intrecciate amicizie poco chiare con alcuni dignitari di corte, poteva avere concepito l'idea di tradire il suo signore e di passare al servizio del re di Francia. Controllarlo, ora che il suo potere locale era cresciuto, significava necessariamente doverlo allontanare da Nizza: per questo, nell'aprile del 1614 Carlo Emanuele punì le intemperanze del giovane Andrea con alcuni giorni di detenzione nella fortezza di Villafranca e invitò il padre a seguirlo a Torino. Non è escluso che anche la costituzione del Senato di Nizza, sancita con patenti dell'8 marzo, rientrasse nel disegno ducale di ridimensionare l'azione del governatore con una magistratura di impronta prettamente burocratica, fedele ed estranea agli interessi locali.

Costretto a obbedire, il 25 aprile il G., insieme con il duca e con Andrea appena rilasciato, si mise in viaggio per la capitale. Il governo di Nizza e Contea fu affidato temporaneamente a Claudio Cambiano di Ruffia, non senza che Scros e Cadenette, terre dei Grimaldi, fossero state occupate da un presidio di 500 soldati svizzeri. Il soggiorno a Torino durò due mesi, trascorsi apparentemente in serenità, tra feste e banchetti, ma decisivi per confermare i dubbi di Carlo Emanuele: il G., infatti, continuò a rifiutare la proposta del duca di permutare i suoi feudi nizzardi con "altre terre ne' suoi stati, massime nell'Astigiana, od in Piemonte" (Gioffredo, VI, col. 220). Il ritorno a Nizza di Andrea e del G., che pure, formalmente, continuava a detenere le sue cariche, segnò la frattura definitiva: piccato per il trattamento ricevuto, il G. fece ricorso a Maria de' Medici, reggente il trono francese per Luigi XIII, ottenendo lettere di protezione datate 19 novembre. Sfruttando l'andamento incerto della guerra di Monferrato, il G. entrò in contatto con il governatore dello Stato di Milano don Pedro Álvarez de Toledo y Osorio al quale, nel 1616, promise segretamente di cedere le piazzeforti di Nizza, Villafranca e Sospello in cambio di una pensione annua di 20.000 scudi d'oro e del dominio della Contea per sé e per i suoi discendenti. Ricevuta parte della somma dagli Spagnoli e lusingato dalla corte di Parigi con promesse analoghe, il G. continuò a tramare pressoché indisturbato fino alla fine della guerra.

La situazione precipitò nel 1620: il duca di Guisa, governatore della Provenza, denunciò gli intrighi del G. - sempre coadiuvato dal figlio e da alcuni collaboratori come Onorato Malbecchi - al duca di Savoia e questi approfittò del contenzioso ancora aperto sulla restituzione dei feudi di Scros e Cadenette per citarlo di fronte al Senato di Nizza. Il 2 genn. 1621 il tribunale dichiarò il G. colpevole di fellonia con un corollario di dodici capi di imputazione e condannò a morte lui e il figlio. Per sfuggire all'esecuzione, i due si rifugiarono nella loro fortezza di Torrettas tentando di respingere l'assedio della milizia comandata da Annibale Badat, governatore di Villafranca, ma il castello fu espugnato e capitolò il 6 gennaio. Andrea riuscì a fuggire e a riparare in Francia. Il G., invece, fu strangolato da uno schiavo turco due giorni più tardi.

Con l'esposizione del suo cadavere aveva fine l'avventura di un grande aristocratico "condotto nel precipizio dalla mal consigliata ambizione" (Gioffredo, VI, col. 308). Pochi giorni dopo la morte del G., per rimarcare appieno la sua autorità, Carlo Emanuele I iniziò a smembrarne i feudi, già confiscati, e a donarli in piccole porzioni a vassalli di provata fedeltà.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Materie politiche in rapporto all'interno, Lettere di particolari, P, m. 64; G, m. 51; P. Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, a cura di C. Gazzera, V-VI, Torino 1839 (v. Indice, vol. VII); C.G. Manfredi di Luserna, Memorie… tra il 1551 e il 1631, a cura di V. Promis, Torino 1879, p. 407; J.B. Toselli, Biographie niçoise ancienne et moderne, I, Nice 1860, pp. 362 ss.; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, Firenze 1861-69, IV, pp. 158 ss.; A.-L. Sardou, Les Grimaldi de Beuil: histoire d'une puissante maison féodale de l'ancien Comté de Nice, Nice-Paris 1881, p. 66; A. Barety, Annibal G., comte de Beuil. Son exécution en 1620, à Tourrette-Revest, in Nice historique, XIV (1914), p. 393; R. Bergadani, Carlo Emanuele I, Torino 1926, p. 118; Ici finit le Comté de Beuil, a cura di C. Bourrier-Reynaud - M. Bourrier-Reynaud, Nice-Serre 1987; E. Hildesheimer, Les Grimaldi, seigneurs de Beuil, in Nice historique, XCIV (1994), 4, pp. 166-175; G. Barbier, Châteaux et places-fortes du Comté de Beuil, ibid., pp. 176-191; S. Laugeri, Tourette-Revest: un fief fatal aux Grimaldi de Beuil, in Tourette-Revest, a cura di C. Bourrier-Reynaud - M. Bourrier-Reynaud, s.l. né d., pp. 9-33; Roma, Biblioteca dell'Istituto dell'Enc. Italiana, A. Manno, Il patriziato subalpino, vol. GORI-GUT (dattiloscritto), p. 550.

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