VELENOSI, ANIMALI

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

VELENOSI, ANIMALI

Silvio RANZI
Luciana ARA

. Gli animali velenosi sono capaci di elaborare sostanze tossiche (v. veleni, XXXV, p. 22). Questi veleni possono essere prodotti in svariate parti dell'organismo, come: sangue, muscolatura, fegato o ghiandole specializzate per questa funzione (ghiandole velenose). Vi sono animali nei quali i veleni restano nel corpo senza venir versati all'esterno, e animali che versano all'esterno il loro veleno, che così acquista una netta funzione nei rapporti tra animale velenoso e ambiente biologico nel quale esso vive (nemici, preda). I veleni formati in corpo a un organismo dànno abitualmente a tutto il metabolismo di questo un aspetto particolare, così a volte i veleni tendono ad accumularsi in organi diversi da quelli nei quali vengono prodotti. Tale è il caso delle gonadi, onde le uova di molti animali velenosi (per es., Artropodi) riescono tossiche. Come ogni altra funzione biologica, l'elaborazione del veleno si presenta con intensità diversa nei diversi momenti dell'anno; onde il fatto ben noto che molti animali velenosi in determinate stagioni, lo sono meno in altre.

Si possono distinguere due gruppi principali di animali velenosi: animali velenosi periodicamente o durante tutta la loro vita, e animali che possono diventarlo accidentalmente in speciali condizioni biologiche o dopo la morte. Al primo gruppo appartengono sia animali nei quali le capacità velenose si possono associare a strutture organiche bene stabilite, sia animali che presentano generali proprietà tossiche non riferibili a nessuna precisa particolarità strutturale.

Possiamo con E. Pawlowsky distinguere tre sorta di animali con veleno in rapporto a particolari strutture: gli animali urticanti, gli animali con ghiandole velenose e gli animali che avendo un sangue velenoso sono in grado di spruzzarlo.

Gli animali urticanti sono i Protozoi ciliati e i Celenterati. Sotto la cuticola e nello spessore di essa i Ciliati posseggono bastoncini rifrangenti (tricocisti) che possono venir lanciati contro la preda o i nemici. I tricocisti proiettati con forza fuori del corpo dell'animale si estendono raggiungendo dimensioni pari a 10 volte quelle che hanno prima di essere lanciati. Poco sappiamo circa la natura del veleno, salvo il fatto che i tricocisti sembrano dotati del potere di paralizzare la preda.

Nei Celenterati si osserva un particolare elemento cellulare (cnidoblasto), caratteristico del gruppo, che secerne e inietta un secreto urticante. Per la presenza di cnidoblasti i Celenterati sono stati chiamati anche Cnidari. I cnidoblasti sono cellule epiteliali che racchiudono nel loro interno una capsula urticante (cnidocisti) nella quale è ravvolto a spira un filamento costituito da un sottilissimo tubolo (filamento urticante); se il cnidocilio è eccitato, il filamento urticante viene estroflesso rivoltandosi come un dito di guanto e inietta il secreto urticante contenuto nella capsula. Nei Celenterati i cnidocisti sono sparsi in varie regioni del corpo e sono più o meno numerosi e ammassati secondo le diverse specie; scarsi negli Octocoralli, sono abbondantissimi nelle meduse e in taluni Sifonofori (Physalia), nei tentacoli dei quali si trovano riuniti in grandi masse costituendo batterie urticanti. Dai Celenterati sono state estratte parecchie sostanze a carattere più o meno tossico (ipnotossina, attinotossina, attinocongestina, talassina, ecc.). Queste sostanze generalmente tossiche per ingestione e per iniezione sottocutanea (irritazione cutanea che segue al contatto con una medusa) possono dare luogo a fenomeni di immunità (v. immunità: Medicina XVIII, p. 893) e di anafilassi (v. III, p. 74). L'anafilassi anzi venne scoperta nel 1902 da P. Portier e C. Richet studiando il veleno delle attinie. La normale funzione di queste secrezioni è quella di allontanare i nemici e di stordire la preda.

Gli animali che posseggono ghiandole velenose vere e proprie possono possedere anche apparati vulneranti in rapporto ad esse o esserne privi.

Le larve di parecchie farfalle (Thaumatopoea) presentano peli urticanti che, se vengono a contatto di mucose, determinano lesioni e fenomeni irritativi.

Anche le pedicellarie di taluni Echinodermi (specie di pinze peduncolate che si osservano sul corpo di questi animali) contengono a volte ghiandole velenose, che servono a catturare la preda e ad allontanare i nemici; il loro veleno non è però molto energico.

Nello scorpione l'ultimo segmento del postaddome termina con un robusto aculeo. Presso la punta di questo si osservano due sbocchi di un paio di ghiandole velenose racchiuse in detto segmento e circondate da uno strato di fibre muscolari che, in condizioni di eccitamento dell'animale, comprimono la ghiandola e fanno uscire il veleno. La puntura dei nostri scorpioni non è pericolosa per l'uomo, ma i grandi scorpioni delle regioni equatoriali provocano con la loro puntura gravissimi disturbi.

Un pungiglione velenoso a forma di sperone si osserva nell'articolazione fra tarso e metatarso dell'arto posteriore del maschio dell'ornitorinco, che è l'unico mammifero velenoso. Questo sperone corneo è scavato in tutta la sua lunghezza da un canale contenente il condotto escretore di una ghiandola velenosa situata nella regione femorale. La puntura dello sperone dell'ornitorinco può uccidere un cane e la funzione di questo apparato sembra essere di semplice difesa contro i nemici.

I raggi delle pinne di alcuni Pesci e aculei opercolari o posti in altre regioni del corpo possono essere in rapporto a ghiandole velenose. Queste di regola sono costituite da un certo numero di cellule secernenti, ammassate, disposte lungo l'aculeo. Il secreto, versato dalle cellule, scorre lungo gronde che si osservano sulla superficie di questi aculei. Moltissimi sono i pesci velenosi. Tra i più noti dei nostri mari si può ricordare il pesce ragno (Trachinus) che presenta un doppio apparecchio velenoso distinto in una porzione opercolare e in una porzione dorsale. L'osso opercolare si prolunga in direzione caudo-dorsale in un aculeo velenoso a sezione triangolare. Questo aculeo presenta dorsalmente e ventralmente due solchi che lo percorrono in tutta la sua lunghezza. Alla base dell'aculeo questi solchi sboccano in depressioni scavate sull'opercolo. In queste due depressioni e nei corrispondenti solchi sulla spina vi sono due ammassi di cellule ghiandolari velenose che costituiscono la ghiandola. L'apparato dorsale è costituito dai primi tredici raggi della pinna dorsale che portano due solchi sulla loro faccia che guarda anteriormente. In questi solchi hanno posto le cellule ghiandolari. Oltre al Trachinus, velenoso e molto noto è anche il pesce porco (Scorpaena) nel quale sono velenosi gli undici raggi della prima pinna dorsale e i primi (1 o 3) raggi della seconda dorsale, i tre primi raggi dell'anale, il primo raggio dell'addominale. L'apparato velenifero di ogni singolo raggio ricorda la struttura di quello del Trachinus. La puntura di questi Pesci e dei Pesci in genere è per l'uomo molto dolorosa e il dolore può prolungarsi a lungo (oltre 12 ore); il veleno determina da prima polipnea e poi rallentamento dei movimenti respiratorî combinati ad azione paralizzante sul cuore.

L'estremità posteriore dell'addome degl'Imenotteri presenta un pungiglione velenoso. Esso è situato tra gli sbocchi dell'apparato riproduttore e dell'intestino. L'apparato ghiandolare velenoso è posto nell'addome, ventralmente al retto e dorsalmente alle vie genitali femminili. Nella massima parte delle specie il pungiglione è abitualmente retratto nell'addome e viene estroflesso al momento di pungere. L'apparato ghiandolare è tipicamente costituito da due ghiandole dette ghiandola acida e ghiandola alcalina per la reazione del loro secreto. I secreti delle due ghiandole mescolandosi formano il veleno di questi animali. Sono ben noti gli effetti delle punture delle api e delle vespe che hanno nel loro pungiglione un terribile organo di difesa: quest'organo, più o meno sviluppato, si ritrova anche in molte formiche, le cui proprietà velenifere sono però molto minori. Interessanti sono i Banchus, che utilizzano il loro apparato velenifero specialmente per paralizzare le larve di Panolis, nelle quali depongono le uova.

Nei Rettili velenosi i denti con le ghiandole boccali rappresentano l'organo del veleno. Un solo gruppo di Sauri (Heloderma) e quasi tutti gli Ofidî sono velenosi. Ghiandole velenose sono le ghiandole salivari e come queste presentano cellule a secrezione sierosa e cellule a secrezione mucosa. Queste ghiandole di solito occupano la posizione che ha la parotide nei Mammiferi, ma non sono ad essa omologhe. A volte presentano dimensioni cospicue e nel Doliophis sono lunghissime e possono raggiungere la metà della lunghezza dell'animale. I denti velenosi hanno in molte specie forma di doccia, ma in altre specie la doccia presenta i margini saldati e il dente assume forma di un tubolo con due aperture, una a un estremo, l'altra all'altro. Com'è ben noto il cranio dei serpenti (v., XXXI, p. 446) presenta le ossa in rapporto alla bocca mobilmente articolate tra loro, in alcune specie pertanto l'apertura della bocca è accompagnata da un'erezione dei denti velenosi che vengono ripiegati in dietro a bocca chiusa. In molte specie la muscolatura della faccia contraendosi per chiudere la bocca che ha afferrato la preda comprime le ghiandole velenose spremendo il secreto che viene pertanto iniettato. I veleni dei serpenti sono tra i più potenti veleni conosciuti; essi contengono tre principali principî attivi: neurotossine, emorragine e ematolisine. Contro i veleni dei serpenti vengono preparati vaccini e sieri, sia curativi sia preventivi. Le specie dei serpenti velenosi in Italia appartengono ai generi Tropidonotus, Zameni, Coronella, Coelopeltis, Vipera.

In generale le specie più velenose si trovano nei climi equatoriali, e questo si riscontra non solo per i serpenti, ma per tutti gli altri gruppi di animali velenosi; la fauna dei climi freddi invece è molto povera di specie velenose.

I pezzi boccali degli Artropodi sono a volte connessi con ghiandole velenose. Tale è, per es., il caso degli Aracnidi, tra i quali le ghiandole in rapporto ai cheliceri dei grandi Tetrapneumoni secernono un veleno potente che, anche nell'uomo, determina gravi effetti. In tutti gl'Insetti ematofagi, la saliva che viene iniettata prima che il sangue venga succhiato ha proprietà anticoagulante, e come tale è leggermente tossica determinando pruriti.

Gli Anfibî presentano ghiandole pluricellulari velenose cutanee, in alcune specie anche notevolmente sviluppate. A differenza di quanto avviene negli animali finora ricordati, nessun apparato vulnerante è connesso a queste ghiandole, la cui funzione si limita a versare nella pelle il loro secreto velenoso. Qualcosa di analogo s'osserva nei Millepiedi nei quali, lungo i lati del corpo, s'aprono degli sbocchi di ghiandole velenose che però non presentano apparato vulnerante.

Altre ghiandole velenose senza apparato vulnerante sono le ghiandole salivari di molti Gasteropodi che in taluni casi secernono anche sostanze fortemente irritanti come l'acido solforico secreto della ghiandola salivare del Dolium.

Vi sono infine Insetti che, possedendo sangue velenoso, sono in grado di spruzzarlo per mezzo di speciali apparati: la Timarcha (coleottero), per es., possiede speciali aperture delle pareti del corpo (pori celomatici) che possono venir aperte per il giuoco di speciali muscoli. Il sangue velenoso viene così proiettato contro i nemici.

Vicino agli animali dei quali finora si è detto, che hanno le loro proprietà velenose connesse a strutture bene stabilite, vi sono animali nei quali si osservano solo generali proprietà tossiche. Tra questi meritano di essere ricordati tutti i Pesci che posseggono sangue velenoso. In molti casi l'azione tossica si ha solo se siero o sangue vengono iniettati e non se vengono ingeriti; velenoso per iniezione è il sangue dell'anguilla, della murena, della torpedine, ecc. In alcuni casi (Tetrodon) sembra che un ormone messo in circolo dalle gonadi sia velenoso per ingestione; velenosa risulta per questo in qualche caso la carne se mangiata. Proprietà simili posseggono in ultima analisi quasi tutti gli animali endoparassiti. È ben noto infatti che l'azione che questi animali determinano nell'ospite, oltre che di carattere meccanico in rapporto ai danni specifici da essi prodotti (lesioni ai tessuti, ecc.) si esplica anche con fenomeni di intossicamento per veleni elaborati dal parassita e posti in circolo. Così, per es., ben nota è la tossicità del liquido contenuto nella cisti di echinococco e per questo i chirurgi devono prendere molte precauzioni quando procedono alla rimozione della cisti, onde evitare che il liquido fuoriesca e si spanda.

Vi sono infine, come s'è detto, animali che divengono velenosi solo in condizioni accidentali o dopo morti. I mitili (cozze) e le ostriche in determinate condizioni ambientali, per es., se vivono in acque ricche di batterî, possono divenire fortemente tossici: questa tossicità però sparisce se l'animale viene portato in acqua di mare pulita. La carne di molti pesci diviene velenosa in rapporto alla formazione di prodotti di scomposizione delle proteine che sono veri e proprî veleni.