ZAMBONI, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZAMBONI, Angelo

Diego Arich

– Nacque a Verona il 31 ottobre 1895 da Amato, impiegato, e da Rosa Tubini, sorella di Francesco, decoratore.

Tra il 1910 e il 1914 studiò all’Accademia Cignaroli di pittura e scultura, dove fu allievo di Alfredo Savini ed ebbe come compagno Orazio Pigato. Dopo aver affiancato Carlo Donati, suo maestro per l’affresco, nella chiesa di S. Croce del Bleggio, nel 1914 fu incaricato dal conte Rienzo Ruffoni di decorare villa La Pavarana ad Azzago in Valpantena: il ciclo rivela echi della cultura secessionista viennese, cui a Verona guardavano allora anche Felice Casorati, Attilio e Guido Trentini. Nel 1915 espose i dipinti a olio Neve e Un’ombra alla mostra annuale della Permanente di Milano e alla fine dell’anno successivo inviò alla quarta mostra della Secessione romana Aurora, la stilizzata veduta di Azzago, poi intitolata Alba statica (riprodotta in Gaglione, 1918; e riproposta all’Esposizione delle Tre Venezie di Torino nel novembre del 1918 e l’anno successivo a Ca’ Pesaro), che nella semplificazione volutamente naif si avvicina a certe formule di Donati. In altri dipinti del 1915, Dopo la prima messa e Notturno calante, si riconoscono un sintetismo di carattere decorativo e l’influenza di modelli grafici, affini alle prove di Teodoro Wolf Ferrari e di Tullio Garbari, come suggerì fin dal 1971 Licisco Magagnato.

Durante la guerra continuò a dipingere, grazie a un anno di licenza per convalescenza e al rientro definitivo a Verona, dopo essere stato riformato per debole costituzione nel settembre del 1916. Fece parte della commissione esecutiva della prima delle tre esposizioni d’arte Pro assistenza civica, allestita nella primavera del 1918 a palazzo Pompei, dove figurò con undici dipinti. Dell’originale produzione di quegli anni, ispirata al paesaggio fluviale e collinare dei dintorni di Verona e caratterizzata da una stesura «a falde larghissime [...] piatte e legnose» e da contorni sinuosi, scrisse il poeta Lionello Fiumi, già in un articolo su Humanitas del settembre del 1916 (Lorenzoni, 2000, p. 19). L’intesa tra Fiumi e Zamboni è documentata dai numerosi interventi dello scrittore sull’artista suo coetaneo e dal ritratto che questi gli dedicò nel 1917 inserendovi nello sfondo uno scorcio di periferia, l’«avancittà» cara al poeta (Verona, Centro studi internazionale Lionello Fiumi, in deposito alla Galleria d’arte moderna). I titoli di alcuni dipinti del 1916, Solarità di una piazza in una mattina di marzo, Sensazione di un pomeriggio domenicale, Sensazione di sole marzolino sulle case popolari, raccolti nella terza esposizione Pro assistenza civica nell’autunno del 1918, si ispirano a composizioni di Fiumi come Impressione d’un mattino di maggio, dopo un temporale; e le nuvole cantate in questa lirica trovano un riscontro visivo nelle «sintesi plastiche» realizzate dal pittore nel 1917: Temporale di giugno, donato da Zamboni al compositore Italo Montemezzi, Primavera e L’afa prima del temporale, ripresentate alla fine del 1919 alla Promotrice di Torino nella sala riservata da Casorati agli amici veronesi. Su incarico della casa editrice Taddei di Ferrara, Zamboni realizzò le copertine di pubblicazioni ‘avanguardiste’, tra cui il volume dedicato da Fiumi a Corrado Govoni (1918), la raccolta Riflessi di broccato di Alberto Neppi (1918) e l’antologia di poeti veronesi Gialloblù (1919).

Al 1919 sono datate due vedute monocrome dell’area compresa nell’ansa dell’Adige nei pressi di ponte Pietra: Autunno, presente quell’anno all’Esposizione cispadana di belle arti di Verona e a Ca’ Pesaro, e Ricerca di toni grigi, che Magagnato avrebbe scelto per la copertina del catalogo Verona anni Venti. Le case prive di porte e finestre, che un critico stigmatizzò come una caratteristica delle «nuove tendenze» insieme all’assenza di prospettiva e alla «soppressione di gran parte delle ombre» (Franceschini, 1920, pp. 163-165), si ritrovano nello sfondo di Signora in nero e paesaggio, il primo dei due ritratti dedicati ad Ada Bertoldi, la pittrice vicentina allora legata a Zamboni.

Questa fase stilistica «tendente alla geometrizzazione decorativa [...] tutto ruvidore di carta a smeriglio: spigoli e angolosità» (Fiumi, 1919, p. 79) venne superata nei mesi successivi grazie al confronto con il più anziano e già affermato Guido Trentini, che lavorava nella stessa casa sulle pendici del colle di San Pietro in cui Zamboni aveva lo studio. Alcune vedute dalla terrazza che sovrastava il teatro romano figurarono in importanti collettive: Case vecchie alla Promotrice di Torino del 1919, Inverno (o L’Adige in città) all’Esposizione nazionale di Vicenza del 1920 e L’Adige contro il sole – studio alla mostra della Società di belle arti veronese del 1921. La chiesa di S. Libera al teatro romano campeggia nello sfondo di due ritratti del 1919, quello del tenente Giuseppe Castagnetti e quello di Quirino Zampieri (Verona, Galleria d’arte moderna). Quest’ultimo dipinto fu ammesso alla Biennale veneziana del 1920, insieme al secondo ritratto di Bertoldi (Banco BPM, in deposito alla Galleria d’arte moderna di Verona), alcuni mesi prima che l’artista aderisse alla mostra degli artisti dissidenti di Ca’ Pesaro alla galleria Geri Boralevi di Venezia. Alla Biennale successiva venne accettato Paesaggio – Mattino, un’ampia veduta a volo d’uccello delle contrade di Azzago con il monte Baldo innevato sullo sfondo, ben diversa dalle rapide ‘impressioni’ di Ortisei e di Velo veronese che sarebbero state esposte a Ca’ Pesaro nell’autunno del 1923. In occasione della Primaverile fiorentina del 1922, Ugo Zampieri (1921) presentò in catalogo l’amico, evidenziando il superamento della fase «pseudo-futurista» e l’approdo a un «convinto e riposato equilibrio tra il colore e la forma» (pp. 237 s.).

Dall’inizio degli anni Venti Zamboni fu molto attivo come decoratore, dedicandosi anche al restauro e all’integrazione di affreschi in numerosi edifici della città e della provincia di Verona. Insieme a Pigato eseguì nel 1921 i dipinti murali della cappella dei caduti progettata nella parrocchiale di Sommacampagna dal soprintendente Ferdinando Forlati, con il quale collaborò anche in casa Sacerdoti a Padova (1923), nella chiesa-sacrario di S. Rocco a Lendinara, realizzando un altro ciclo dedicato ai caduti (1925), e in occasione del restauro dell’abbazia di Follina e della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia, dove dipinse i Simboli degli evangelisti nei pennacchi della cupola. In collaborazione con Pino Casarini decorò nel 1925, su incarico di Antonio Avena, direttore dei Musei civici di Verona, tre sale del Museo di Castelvecchio e, nello stesso complesso, il Salone dei concerti (distrutto nel 1945). Sempre con Casarini eseguì nel 1928 gli affreschi (non più esistenti) sulla facciata della sede della Cassa di Risparmio di Verona, secondo un complesso programma iconografico dettato da Avena. Nel 1929 concluse l’impegnativo ciclo di affreschi nella chiesa veronese di S. Maria del Pianto presso l’Istituto Antonio Provolo per l’educazione dei sordomuti, per cui realizzò anche una pala d’altare. Figurò inoltre tra i numerosi artisti coinvolti nel radicale restauro del palazzo della Provincia in piazza dei Signori a Verona, completato nel 1930 sotto la direzione artistica di Avena. L’episodio più interessante tra le commissioni private fu nel 1923 la decorazione di sapore metafisico nella villa Cometti di Grezzana.

Parallelamente espose con regolarità alle mostre promosse dalla Società di belle arti di Verona e alle rassegne capesarine dell’Opera Bevilacqua La Masa (dove fu presente in altre nove edizioni tra il 1924 e il 1934). Dopo la partecipazione alla Biennale del 1924 con Commemorazione dei morti, un’insolita composizione con cinque figure di ascendenza donatiana, continuò a privilegiare i paesaggi. Un gruppo di opere della seconda metà degli anni Venti, La Cattedrale di Verona (inviata al Lido di Venezia nel 1926), Castel S. Pietro, Teatro romano e S. Libera (Provincia di Verona) e Dall’altana, accettato alla Biennale del 1928, rivela una maturazione stilistica favorita dal confronto con l’ambiente di Ca’ Pesaro e con la «grande lezione di Cézanne [...] avvertibile in certe bloccature di volume e nel taglio di taluni paesaggi», come scrisse Gian Luigi Verzellesi recensendo sul Corriere del mattino la retrospettiva curata nel 1955 dalla Società di belle arti a Verona (Angelo Zamboni, 1985, p. 137). Le visite a Burano del «suntuoso colorista Zamboni» e di altri pittori veronesi furono rievocate da Juti Ravenna, che prima della «calata dei baguttiani» era solito lavorare sull’isola con Fioravante Seibezzi, Pio Semeghini e Gabriella Oreffice (lettera del 1966 in Branzi, 1975, p. 17). Alle mostre veneziane Zamboni figurava abitualmente con gli amici Pigato, Guido Farina e Albano Vitturi, i tre paesaggisti veronesi con cui avrebbe organizzato una collettiva alla galleria del Milione di Milano nel 1931, recensita da Giuseppe Marchiori. Il critico di Lendinara, che fu amico e corrispondente di Zamboni, mise in rilievo le «linee grandiose» dei suoi paesaggi, caratterizzati da «rapide pennellate a tratti, a strisci che lo distinguono tra mille», e la centralità del «disegno di questo artista istintivo sì, ma frenato dalla meditazione», soffermandosi sul quadro esposto alla Biennale del 1930, Alla barriera del Ponte Garibaldi a Verona (Marchiori, 1931). A questo scorcio della città con i giardini del bastione di S. Giorgio in Braida l’artista sarebbe tornato nel dipinto inviato alla Biennale nel 1936, Inizio di primavera a Verona.

Partecipò alla mostra del centenario della Società amatori e cultori di Roma (1929-30), alla prima Quadriennale romana (1931), alla mostra dei quarant’anni della Biennale (1935), alle Sindacali nazionali di Firenze (1933) e Napoli (1937), spesso con paesaggi di Romagnano, il paese della Valpantena dove era solito trascorrere le estati con la famiglia. La moglie, Teresa Abati, sposata nell’agosto del 1925, e il primo dei tre figli (Ugo, Annamaria e Piero) comparvero in alcuni dei suoi rari quadri di figura (In casa, Contentezza, Giubbetto rosso, Mio figlio) o di spalle nella veduta Settembre a Romagnano, esposta al Lido nel 1930 e alla galleria del Milione l’anno successivo. Gravi problemi di salute rallentarono la sua attività: l’ultimo lavoro di decorazione lo vide impegnato nel 1938, a fianco del giovane Aldo Tavella, nella parrocchiale di Romagnano. Scomparso a Verona il 1° febbraio 1939, venne ricordato da Marchiori sul Corriere padano e in seguito su Emporium, in occasione della retrospettiva presentata da Avena nella Sindacale veronese di quell’anno.

Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio storico delle arti contemporanee, Fototeca b. Z2; M. Gaglione, I giovani, Caserta 1918; L. Fiumi, La Cispadana di Verona, in Pagine d’arte, VII (1919), 9, pp. 79-81; G. Franceschini, La Esposizione Nazionale d’Arte a Vicenza, in Emporium, LII (1920), 309, pp. 162-168; U. Zampieri, A. Z., in La Fiorentina Primaverile. Catalogo, Firenze 1921, pp. 237 s.; P. Campostella, Il pittore A. Z. e la decorazione della chiesa di Santa Maria del Pianto in Verona, in Arte cristiana, XIX (1931), 3, pp. 80-85; G. Marchiori, Pittori veronesi, in Corriere padano, 24 aprile 1931; Id., Ricordi della vita e dell’arte di A. Z., ibid., 23 febbraio 1939; L. Fiumi, Li ho veduti così. Figure ed episodi nella Verona della mia adolescenza, Verona 1952; A. Z. (1896-1939) (catal.), Verona 1956; Verona anni Venti (catal.), a cura di L. Magagnato - G.P. Marchi, Verona 1971; S. Branzi, I ribelli di Ca’ Pesaro, Milano 1975, pp. 16 s.; A. Z. Pittore veronese: 1895-1939 (catal.), a cura di M. Brognara Salazzari, Verona 1985; S. Marinelli, La pittura «italiana» a Verona (1797-1945), in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di P. Brugnoli, I, Verona 1986, pp. 1-98; Felice Casorati a Verona (catal.), a cura di S. Marinelli, Milano 1986; M. Brognara Salazzari, A. Z., in Venezia. Gli anni di Ca’ Pesaro, 1908-1920 (catal.), Milano 1987, pp. 222-224; L. Lorenzoni, La pittura murale a Verona tra il 1900 e il 1945, in Verona nel Novecento. Opere pubbliche, interventi urbanistici, architettura residenziale dall’inizio del secolo al Ventennio, 1900-1940 (catal.), a cura di M. Vecchiato, Verona 1998, pp. 129-149; L. Lorenzoni, A. Z., s.l. 2000; Id., Itinerari d’arte sacra. La pittura murale nelle chiese della provincia di Verona, in Carlo Donati, Agostino Pegrassi, Albano Vitturi. Arte sacra a Verona (1900-1950) (catal.), a cura di F. Butturini, Vicenza 2000, pp. 123-159; E. Casotto, Il ritratto a Verona: storia di una società in rapida evoluzione. 1866-1918, in Il ritratto nel Veneto. 1866-1945, a cura di S. Marinelli, s.l. 2005, pp. 119-156; D. Arich, in La collezione d’arte della Fondazione Cariverona, a cura di S. Marinelli, s.l. 2006, pp. 172-175, nn. 88-89; A.C. Tommasi, Intorno alla cappella dei Caduti in San Luca e ad altri edifici dedicati ai Caduti della Grande Guerra, in Eroi e antieroi. Scultura a Verona nell’epoca della Grande Guerra, a cura di C. Bertoni, Verona 2017, pp. 134-145.

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