MORATTI, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MORATTI, Angelo

Daniele Pozzi

MORATTI, Angelo. – Nacque a Somma Lombardo (Varese) il 5 novembre 1909 da Albino e da Gilda Basso. Un ramo della famiglia – attestata come originaria di Martinengo (Bergamo) già in età moderna – si era stabilito a Somma Lombardo, dove Albino era farmacista.

Rimasto orfano della madre a otto anni e in cattivi rapporti con la matrigna Fiorina Barracani, Moratti rinunciò presto agli studi e alla possibilità di continuare l’attività del padre, trasferitosi nel frattempo a Milano per gestire una farmacia in piazza Fontana. Ultimata la scuola elementare, iniziò a lavorare in una fabbrica di maniglie d’ottone, seguendo, nel contempo, corsi serali e ottenendo il diploma di scuola media. A 14 anni, dopo un tentativo di raggiungere Marsiglia e imbarcarsi per l’America, entrò casualmente in contatto con l’industria degli idrocarburi, rispondendo a un’inserzione di una ditta milanese di distribuzione di prodotti petroliferi: scelto tra molti candidati, iniziò l’attività di agente di commercio.

Gli anni della Grande Guerra avevano coinciso con una prima affermazione dei derivati del petrolio come carburanti e lubrificanti (dalla metà dell’Ottocento il maggiore impiego del petrolio era stata la produzione di kerosene, utilizzato come olio per lampade). Sebbene l’Italia non fosse uno dei mercati europei più rilevanti (in primo luogo per la scarsa diffusione dell’automobile), fu comunque uno dei Paesi nei quali benzine e gasoli soppiantarono precocemente il kerosene come prodotto principale. Inoltre, l’alto costo del carbone (quasi interamente importato) favorì una rapida diffusione dei derivati del petrolio che, nel 1925, superavano il 9% del consumo energetico nazionale (contro una media europea di poco superiore al 3%). Nel 1926 – quando sorse l’Azienda generale italiana petroli (AGIP) – l’Italia importava 216.786 t l’anno di benzina e 31.232 t di greggio e il mercato era dominato dai due colossi multinazionali Standard Oil of New Jersey e Royal-Dutch Shell.

Moratti si mostrò lungimirante e capace di sfruttare le opportunità offerte dalla crescente domanda di prodotti petroliferi, inserendosi in aree trascurate dai grandi operatori. Durante il servizio militare a Civitavecchia, nel 1927, allestì una propria rete di distribuzione che riforniva i pescatori locali di petrolio per alimentare le lampare. L’attività, svolta durante i periodi di licenza, si rivelò redditizia e gli permise di stabilire solide relazioni (estese all’area toscana e al porto sardo di Olbia), particolarmente utili anche dopo il congedo e la ripresa della regolare attività lavorativa.

Nella prima metà degli anni Trenta Moratti lavorò per una delle protagoniste della prima fase di crescita dell’industria della raffinazione, la Società anonima permanente olio (Permolio), proprietà dei conti Miani, stabilendosi a Civitavecchia e mettendo la propria rete a servizio della distribuzione dei prodotti dei nuovi datori di lavoro.

A partire dal 1934 sorsero in Italia le prime raffinerie a ciclo completo, impianti realizzati a Napoli dalla Standard Oil of NewYork-Vacuum (nel dopoguerra Mobil) e a Savona dal gruppo Shell, in grado di lavorare greggi provenienti per lo più da Stati Uniti e Venezuela e ottenere un’ampia gamma di prodotti. Accanto all’iniziativa degli operatori stranieri e, poi, dell’impresa di Stato, alcuni operatori italiani crearono propri impianti: l’Aquila di Trieste (società di imprenditori locali, industriali zuccherieri e Fiat), l’Anonima petroli italiana (API) di Falconara (famiglia Peretti) e le tre raffinerie Permolio di Roma, Genova e Milano. Nel 1938 queste ultime, con una produzione di oltre 70.000 t annue, coprivano circa il 5% della produzione nazionale.

Dopo il matrimonio con Erminia Cremonesi, nel 1933, Moratti lasciò la Permolio e si trasferì a Roma, dove avviò una propria società replicando il sistema di distribuzione consolidato nelle regioni del centro Italia. A 26 anni si spostò a Genova, divenuta nel frattempo la capitale italiana del petrolio e il principale punto d’ingresso di greggio e prodotti raffinati nel Paese. Qui riscosse la fiducia del finanziere Cerutti, figura cruciale nelle successive iniziative del giovane imprenditore.

Rientrato con la famiglia a Milano nel 1937, si vide offrire una partecipazione nella Società mineraria del Trasimeno (SMT o Somintra), che sfruttava una miniera di lignite in prossimità di Pietrafitta (Perugia). Mentre le politiche autarchiche favorivano interessanti prospettive anche per questo combustibile nazionale (benché di qualità nettamente inferiore al fossile importato), il mercato dei prodotti petroliferi era sempre più soggetto a limitazioni e a quote stabilite a livello politico (fino ad arrivare alla totale paralisi negli anni della guerra). Dopo una serie di contrasti con gli altri soci della Somintra, Moratti acquisì progressivamente il controllo totale.

Durante la guerra la miniera di Pietrafitta divenne il centro principale delle sue attività, malgrado le difficoltà di collegamento tra la sede di Milano e la miniera, la vertiginosa crescita, dopo il 1943, della manodopera formalmente occupata (per evitare la deportazione dei lavoratori in Germania) e il sabotaggio dell’impianto nel 1944 da parte delle truppe tedesche nel corso della ritirata.

Nel dopoguerra Moratti riuscì a evitare l’esproprio della miniera da parte dei lavoratori, grazie a un accordo basato sulla promessa di realizzare una fabbrica di mattoni e un impianto di produzione di vetro tali da assicurare la ripresa delle attività e il mantenimento dei livelli occupazionali. In una logica di valorizzazione della lignite estratta sul Trasimeno, che difficilmente avrebbe trovato mercato con la ripresa delle importazioni di carbone, si collocò il progetto di una centrale termoelettrica presso la miniera (nel 1948 Somintra forniva 21.266 t di lignite, circa il 2% della produzione nazionale, contro un consumo di oltre 10 milioni di t di fossile).

Mentre le due prime installazioni furono realizzate in tempi brevi, la costruzione di una centrale a carbone moderna incontrò molti problemi. In Italia, infatti, l’industria elettrica era ancora pesantemente legata a un’egemonia della tecnologia idroelettrica (la produzione termoelettrica era, nel 1940, solo il 6,3% del totale nazionale). Moratti acquistò un progetto per un impianto innovativo dalla tedesca Siemens e cercò capitali da associare a un’impresa divenuta nel frattempo impegnativa. Dopo un primo interessamento della Centrale di Luigi Bruno (che negli anni Trenta aveva tentato un’integrazione nel ramo minerario), stipulò un accordo con Carlo Pesenti. La centrale di Pietrafitta entrò in funzione nel 1955 e rimase sotto il controllo della società Moratti-Pesenti fino alla sua cessione al neo-costituito Ente nazionale per l’energia elettrica (ENEL), nel 1963.

Le difficoltà dell’industria carbonifera tedesca e inglese dopo la seconda guerra mondiale furono compensate dalla prima valorizzazione delle enormi riserve di greggio del Medio Oriente. Ragioni economiche e geopolitiche, inoltre, spingevano le autorità americane a favorire un impiego più massiccio dei combustibili liquidi in Europa. Già nel 1948 Moratti intuì come i nuovi equilibri dell’industria internazionale del petrolio avrebbero spostato il baricentro delle attività dall’area atlantica al Mediterraneo, e come l’Italia avrebbe potuto giocare un ruolo di primo piano sfruttando la posizione intermedia tra Paesi produttori e mercati di sbocco dell’Europa centrosettentrionale. Non puntò all’attività di ricerca e estrazione (come fece l’Agip, poi Eni), né alla concorrenza coi gruppi maggiori attraverso una propria rete di vendita, ma piuttosto a offrire servizi di raffinazione alle imprese bisognose di incrementare in tempi brevi la propria capacità di lavorazione. La localizzazione di questa iniziativa in Italia avrebbe potuto preservare le compagnie dal turbolento clima politico dei Paesi produttori e consentito una maggiore flessibilità rispetto alla concentrazione dell’attività di raffinazione in un unico mercato. La localizza zione per la raffineria fu scelta al centro del Mediterraneo, in Sicilia. Moratti riuscì a convincere Giorgio Enrico Falck, con il quale si associò nel 1948 dando vita alla Raffinerie siciliane oli minerali (RASIOM). Maggiori difficoltà incontrò la ricerca di clienti: l’Agip di Enrico Mattei non aveva quantitativi di greggio eccedenti da trattare ed era comunque più orientata a una strategia di completa integrazione, mentre la Società italo americana del petrolio (SIAP), guidata da Vincenzo Cazzaniga, che pure avrebbe potuto essere interessata, non era disposta a sostenere in via preventiva un’iniziativa per molti aspetti azzardata.

Pur vantando una notevole esperienza commerciale, Moratti mancava di specifiche competenze nell’ambito della progettazione e dell’esercizio di un grande impianto. Inoltre, la progettata raffineria di Augusta (Siracusa) sarebbe andata a collocarsi in un territorio non industrializzato scelto per le buone possibilità di attracco e per la possibilità di affittare alcune installazioni della Marina. Per ovviare alle difficoltà che avrebbe comportato costruire da zero un nuovo impianto, il ragionier Pantaleone Poggio (già amministratore della Somintra) fu inviato con alcuni consulenti tecnici negli Stati Uniti per acquistare una raffineria completa. Un impianto adatto in dismissione fu trovato in Texas, proprietà di un raffinatore indipendente. La raffineria piuttosto vecchia e di dimensioni modeste per gli standard americani (450.000 t di trattazione primaria annue), non era troppo arretrata per la media italiana (nel 1948 la capacità di lavorazione era di 3,2 milioni di t annue, solo tre raffinerie superavano già le 500.000 t di capacità).

La raffineria texana fu completamente smontata e trasportata ad Augusta nel 1949. La ricostruzione degli impianti in Sicilia comportò numerosissimi problemi: il trasferimento dei pezzi dal porto al luogo dell’installazione rese necessario un adeguamento delle vie di comunicazione locali, inadatte allo spostamento di giganteschi manufatti industriali, la lontananza da ogni centro industrializzato provocò ritardi enormi anche negli approvvigionamenti dei pezzi e degli strumenti più semplici. Ma soprattutto, a causa di un disguido, la raffineria arrivò priva dei progetti originali e fu quindi compito dei tecnici italiani ‘reinventare’ gli impianti.

In una situazione così difficile la ricerca di personale specializzato divenne di primaria importanza. Moratti trovò un valido direttore tecnico in Sante Zuco, ingegnere calabrese che aveva lavorato per la raffineria ROMSA di Fiume. Il passaggio di questo impianto sotto il controllo iugoslavo aveva determinato una condizione di completa subordinazione per i lavoratori di origine italiana. Assumendo i tecnici istriani, la RASIOM poté quindi attingere a un serbatoio di manodopera altamente specializzata, alla quale si aggiunsero i lavoratori siciliani, privi di precedenti esperienze ma rapidamente addestrati dalla società.

Nel 1950 la raffineria entrò in produzione, ricevendo il primo carico di greggio dal Medio Oriente. Lo sviluppo delle attività negli anni seguenti portò gli impianti ai 5 milioni di t di capacità annua, grazie all’efficacia della strategia di Moratti (che dopo la morte di Falck nel 1951, deteneva la totalità del capitale dell’impresa) e a una serie di fattori contingenti.

Tra il 1951 e il 1954 l’Iran nazionalizzò la propria industria petrolifera, determinando, di fatto, il blocco di Abadan, la più grande raffineria del Medio Oriente. Si rivelarono in questo modo esatte le previsioni di chi, come Moratti, aveva sostenuto la necessità di spostare la lavorazione del greggio fuori dai paesi produttori: i cambiamenti di strategia delle compagnie e la valorizzazione di nuovi giacimenti fecero dell’Italia la naturale candidata al ruolo di raffineria dell’Europa. Grazie, anche, alla ripresa industriale e alla motorizzazione di massa che stimolarono il mercato, la materia prima trattata in Italia passò da 5352 t nel 1950 a 17.706 nel 1955. Inoltre la scoperta di greggio a Ragusa, nel 1954, da parte della Gulf e l’effimero boom petrolifero che ne seguì contribuirono a rafforzare la convinzione della centralità della Sicilia nello sviluppo dell’industria degli idrocarburi nazionali.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta la RASIOM crebbe enormemente grazie alla coerenza dell’impostazione strategica originaria di raffinazione di servizio a terzi. Il cliente principale di Moratti era la Esso Standard Italiana (dal 1950 nuovo nome della SIAP), che assorbiva l’80% della capacità dell’impianto, mentre quote inferiori di greggio erano trattate per conto della Gulf e del gruppo Eni. Gran parte dei prodotti ottenuti dalla raffineria di Augusta erano immessi nelle reti di distribuzione nazionali dei principali fornitori di greggio o esportati, mentre alcune parti della lavorazione (olio combustibile) furono usati in loco (in una centrale termoelettrica, in alcuni cementifici e, soprattutto, negli impianti petrolchimici che stavano sorgendo nella zona, grazie agli incentivi governativi). A fine decennio la RASIOM riforniva via oleodotto gli impianti chimici del gruppo Edison (Sincat e Celene, a Priolo) e della Montecatini (Augusta Petrolchimica), fornendo combustibile e materie prime (virgin nafta) per le lavorazioni. La scommessa di Moratti contribuì dunque anche alla creazione di un vasto polo industriale integrato nella Sicilia orientale; il suo successo imprenditoriale lo rese meritevole nel giugno 1955 del titolo di cavaliere del Lavoro.

Nel 1960, al rinnovo del contratto decennale con la Esso, la RASIOM era la maggiore raffineria del paese (con una capacità di lavorazione di 5200 t annue), con immobilizzazioni nette per quasi 17 miliardi di lire e un utile di oltre 500 milioni di lire. Il programma di espansione della raffineria prevedeva di arrivare agli 8 milioni di t annue di capacità, un impegno molto gravoso anche per la Esso (che si sarebbe trovata a dipendere da un unico raffinatore), la quale acconsentì al rinnovo del contratto solo in cambio di un’opzione sul 60% della società. Il mercato internazionale degli idrocarburi, seppure in forte crescita, era diventato nel frattempo molto turbolento e meno redditizio sia per le tensioni nazionalistiche nei paesi produttori, sia per l’aggressiva concorrenza delle compagnie indipendenti e per la penetrazione del greggio sovietico nei mercati europei. In questa situazione la Esso decise di esercitare già nel 1961 il diritto di opzione sul capitale RASIOM, arrivandone al controllo totale l’anno seguente.

Moratti, constatando l’impossibilità di continuare la propria azione come socio di minoranza di una potente compagnia petrolifera, preferì ritirarsi e utilizzare il ricavato dall’operazione di vendita in una serie di investimenti finanziari.

Già nel 1962 si lanciò in una nuova iniziativa nell’ambito della raffinazione, questa volta in Sardegna. Sembrerebbe che l’impresa ricevesse un forte stimolo dai contatti con la società Rumianca, che in quel periodo stava progettando l’apertura di un polo petrolchimico nella parte sudorientale dell’isola. Nel 1963 Moratti creò la Società Raffinerie Sarde (SARAS). La nuova raffineria di Sarroch (Cagliari) divenne operativa nel 1966. L’idea di fondo rimaneva quella di una raffineria di servizio collocata a metà strada tra i principali mercati e i paesi di provenienza delle materie prime, anche se cambiavano i clienti di riferimento, con un ridimensionamento della Esso. L’avvio della SARAS coincise anche con il pieno inserimento di due dei figli di Moratti nelle attività della famiglia: Gianmarco nato nel 1936 a Genova, già membro del CdA della RASIOM, dal 1963 divenne amministratore delegato e successivamente fece il suo ingresso in azienda anche Massimo, nato nel 1945 a Boscochiesanuova (Verona).

La strategia di specializzazione della SARAS nelle lavorazioni conto terzi fu particolarmente efficace nel proteggere la società dall’ascesa del nazionalismo nei paesi produttori (nei quali il gruppo Moratti non deteneva attività) e nel far superare le crisi petrolifere degli anni Settanta e Ottanta, continuando l’aggiornamento tecnico e l’ampliamento delle capacità.

L’azione di Moratti e dei suoi figli si contraddistinse per una fortissima fedeltà al core business e alla strategia originaria che aveva determinato il successo delle società. Nel 1972 Moratti acquisì la Società Petrolifera Italiana (SPI) di Fornovo Taro (Parma), una delle più antiche società minerarie italiane – aveva iniziato le proprie attività nel 1905 – proprietaria di alcuni permessi per la ricerca di gas in Adriatico, di una raffineria ad Arcola (La Spezia) e di un piccolo impianto a Fornovo. Dopo pochi anni le attività di upstream vennero lasciate all’Eni, conservando solo il ramo industriale, integrato con le attività della SARAS.

Tra gli investimenti della famiglia, al di fuori dell’industria della raffinazione meritano di essere ricordati quelli in ambito editoriale (con l’acquisizione de Il Globo e del Corriere della Sera, di cui Moratti detenne la maggioranza del capitale tra il 1972 e il 1973) e la presidenza del Football Club Internazionale Milano dal 1955 al 1968.

Appassionato sportivo e tifoso dell’Inter, fu convinto dalle insistenze dell’ambiente milanese a rilevare la società da Carlo Masseroni. Dopo i primi anni di avvicendamenti, nel 1960 Moratti chiamò ad allenare la squadra l’argentino Helenio Herrera; grazie alle sue innovazioni l’Inter vinse tre scudetti (1962-63, 1964-65, 1965-66), due Coppe dei Campioni (1963- 64, 1964-65), due Coppe Intercontinentali (1964-65, 1965-66). Moratti introdusse inoltre nel mondo del calcio attività di promozione dell’immagine (il club ufficiale o la rivista della squadra) e criteri di gestione tipici della pratica aziendale, il cui elemento più significativo fu probabilmente la trasformazione dell’Inter in una SpA, chiaro segnale della solidità economica, e non solo sportiva, della società.

Moratti morì a Viareggio, durante la villeggiatura in Versilia il 12 agosto 1981.

Fonti e Bibl.: La SARAS non dispone di un archivio storico e i materiali relativi alla vicenda di Moratti sono estremamente scarsi (anche per la vicinanza degli eventi e per il carattere strettamente familiare della proprietà). La ricostruzione si basa quindi principalmente sulle notizie fornite oralmente da Gianmarco e Massimo Moratti. Elementi relativi alla RASIOM si trovano in pubblicazioni giubilari quali RASIOM, Milano 1960; Esso Italiana. Raffineria di Augusta: fogli d’album dal 1950 al 2000, a cura di S. Maiorca, Avola 2000. Altre informazioni si ricavano da F. Pellizzetti, L’industria petrolifera italiana dall’Unificazione alle crisi energetiche (1860-1973), tesi di laurea, Università commerciale Luigi Bocconi, a.a. 1997- 98. Presso l’Archivio storico dei Cavalieri del lavoro esiste un fascicolo A.M. (scheda n. 1.341, 2 giugno 1955). Sullo sviluppo dell’industria degli idrocarburi in Italia si veda: G.E. Kovacs, Storia delle raffinerie di petrolio in Italia, Roma 1964; M. Magini, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Milano 1976; e, per un quadro generale L’industria italiana della raffinazione. Dinamiche tecnologiche, ambientali e di mercato, a cura di F. Amman - A. Ninni, Milano 1994. Dati statistici sul settore energetico e sulla raffinazione sono in Ministero dell’Industria e del Commercio, Ufficio petroli, Industria del petrolio in Italia, Roma, varie annate; Ministero dell’Industria e del Commercio, Ufficio petroli, L’industria del petrolio in Italia 1950-1960, Roma 1961; J. Darmstadter, Energy in the world economy. A statistical review of trends in output, trade and consumption since 1925, Baltimore-London 1971.

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