ANGELO Clareno

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANGELO Clareno (Pietro da Fossombrone)

Arsenio Frugoni

Nato a Chiarino (una località tra Loreto e Recanati o nelle vicinanze di Ascoli) verso il 1255, da umili genitori ("nos qui sumus rustici"), ebbe nome Pietro. Entrò nella famiglia francescana verso il 1270 a Cingoli o a Fossombrone (da ciò, fino a che mutò nome in Angelo, come si dirà, la designazione nelle fonti come Pietro da Fossombrone). Ottenuto il diaconato (non fu mai ordinato sacerdote), si legò al gruppo di quei francescani della Marca d'Ancona, che, pauperisti in senso rigorista, dovevano subire, dopo la notizia che il concilio di Lione (1274) si era pronunciato contro l'impego da parte degli Ordini mendicanti a non aver proprietà alcuna, la persecuzione della "comunità" avversaria alla loro tendenza: quando A. iniziasse questa esperienza di persecuzione e in quali conventi fosse via via rinchiuso non è possibile stabilire con certezza. Sappiamo che l'intervento di Raimondo Gaufridi, eletto ministro generale nel 1289, significò la fine della sua segregazione ad Ancona; per evitare nuovi scontri fu inviato con altri quattro frati, tra cui Pietro da Macerata, missionario in Armenia minore (Cilicia). Nonostante il favore del re Hethum, l'ostilità dei "fratres communes" costrinse Pietro da Macerata ed A. al ritorno in Italia. Ma nessun convento volle accogliere i due "scismatici"; allora questi, per consiglio di confratelli della loro stessa tendenza, tra cui Corrado da Offida e Iacopone da Todi, si recarono all'Aquila dal papa Celestino V, che decise di staccarli dal loro Ordine, creando per essi e per quanti rifiutassero l'indirizzo della comunità una nuova congregazione di "pauperes eremitae", che sarebbero vissuti nei monasteri della congregazione celestiniana.

Ma la risoluzione papale (Pietro di Macerata prese allora il nome di fra' Liberato e Pietro da Fossombrone quello di fra' A.) suscitò la reazione violenta dei "fratres communes", che tentarono perfino di rapire manu armata i responsabilidi quella scissione. La sopravvenuta abdicazione di Celestino V, la cassazione di ogni sua concessione da parte del suo successore Bonifacio VIII, l'elezione a ministro generale di Giovanni Mincio da Morrovalle, ostile alla tendenza rigorista, lasciarono la congregazione dei "pauperes eremitae", che aveva a suo capo fra' Liberato, alla mercé dei suoi avversari. Fu dunque necessaria una nuova partenza: per l'Acaia, forse a Trixonia. Due anni di pace; poi l'infoltito gruppo di fra, Liberato, per le brighe dei "conventuali", si trasferì, verso il 1298, in Tessaglia. Ma qui li raggiunse la condanna di Bonifacio VIII, come transfughi da ogni religione approvata e ribelli dell'Ordine francescano. Fra' Liberato, dopo due ambascerie a Bonifacio VIII rimaste senza esito alcuno, decise di tornare in Italia per difendere i diritti e l'innocenza dei suoi frati presso il nuovo pontefice Benedetto XI: ma poté solo sfuggire all'arresto da parte dell'inquisitore Tomaso d'Aversa, per ritirarsi nell'eremo di S. Angelo della Versa, dove morì.

A., ch'era rimasto in Tessaglia ancora per un anno, per provvedere al rientro di tutti i suoi confratelli, sbarcando in Italia, proprio mentre un processo tentava di colpire come dolciniani alcuni compagni di fra' Liberato, si trovò impegnato a difendersi: si recò quindi a Perugia (settembre 1305) per chiedere l'appoggio dei card. Napoleone Orsini, al quale Celestino V aveva delegato la protezione dei "pauperes eremitae". Quando A., dopo aver superato a Roma un altro processo, si recò in Francia, nel 1311, al concilio di Vienna, la sua posizione, più che di capo della congregazione dei "pauperes eremitae", era quella ormai di guida riconosciuta di tutti gli "spirituali" francescani d'Italia, che non dal "velamentum" celestiniano, ma dalle decisioni del concilio attendevano una restaurazione dell'ideale pauperistico e la ricomposizione, in esso, della famiglia francescana. Il concilio, pur riaffermando i principi di povertà dell'Ordine, su un piano pratico, interdisse invece ogni ulteriore discussione, pro o contro, sull'ereticità dell'"usus pauper", imponendo un'impossibile distensione.

A. lasciò Avignone, alla fine del 1312, per recarsi a Maiorca, dove restò quasi due mesi, presso il mistico principe Filippo, figlio di Giacomo I di Maiorca. Tornato ad Avignone, la speranza di una diversa e più favorevole soluzione - il 5 apr. 1313 Celestino V veniva canonizzato - naufragò per la scissione, deprecata da A., degli spirituali di Toscana, che, impadronitisi con la violenza di alcuni monasteri ed eletto ministro generale Enrico da Ceva, si erano poi rifugiati in Sicilia, sotto la protezione di Federico III d'Aragona. La possibilità di difesa, da parte di A., con l'affermazione della sua estraneità all'Ordine francescano, perché "pauper eremita", - tra l'aprile e il giugno del 1317 A. subì un processo, nel quale si difese con successo, con la sua Epistola excusatoria -, fu distrutta da Giovanni XXII, succeduto a Clemente V, con la bolla Sancta Romana Ecclesia (30 dic. 1317), che aboliva tutti i gruppi francescani dissidenti. A. fu allora costretto ad entrare nella congregazione dei celestini: venutogli a mancare l'appoggio del suo grande protettore, il card. Giacomo Colonna, morto il 12 ag. 1318, ritornò in Italia. Si era rifiutato il procuratore dei celestini in Curia, frate Amaldo, di ospitare A. nei monasteri celestini: fu accolto invece dall'abate benedettino Bartolomeo presso il Sacro Speco di Subiaco.

La decisione di Giovanni XXII di risolvere definitivamente la questione della povertà, dichiarando eresia sostenere che Cristo e gli apostoli non avessero posseduto (bolla Cuminter nonnullos, del 12 dic. 1323), esasperò i contrasti in seno alla famiglia francescana: e mentre Ludovico il Bavaro, in lotta con il papa, lo dichiarava eretico e decaduto, opponendogli Pietro da Corvara, nell'Ordine si aveva la ribellione aperta, che, contro il papa, a fianco di Ludovico, vedeva lo stesso generale dell'Ordine Michele da Cesena. A., intanto, estraneo alle contingenti posizioni dei michelisti, raccoglieva le forze del francescanesimo spirituale, a capo di un gruppo che un processo del 1334 chiamerà dei "fratres de paupere vita".

Dal processo risulta che A. ha un sigillo generalizio (vi è effigiato s. Francesco che sposa la Povertà e ai piedi un frate in ginocchio): ha al suo fianco un segretario (socius), Nicola di Calabria, dal quale fa visitare i confratellì sparsi nelle province rette da ministri provinciali, nelle mani dei quali i nuovi confratelli promettono l'osservanza, oltre che della Regola, dei Testamento, rigorosamente pauperistico, di s. Francesco: e fra, A. concede l' "obbedienza", manda lettere circolari al suoi frati che vivono negli eremi o sparsi nei conventi, costituendo una fitta rete che ha il suo centro in Subiaco.

Ma, nonostante la qualche organizzazione dei "fratres de paupere vita", la vocazione di A., più che di pratico restauratore dell'Ordine francescano, è quella di maestro di spiritualità. L'enorme scandalo della decisione antipauperistica di Giovanni XXII non lo porta ad affermare una vacanza papale, come avviene tra i "fraticelli". Rifiuta l'antipapa Pietro da Corvara e proclama la sua fedeltà alla Chiesa: ma insieme, e al di sopra, chiede come essenziale la fedeltà all'esempio di perfezione evangelica dato da s. Francesco, in uno spirito di attesa di una riforma totale, che sarà, escatologicamente, per la misteriosa volontà divina, inizio di età nuova. La certezza dell'imminente età nuova, che forse potrà vedere pontefice l' "amico spirituale" Filippo di Maiorca, lo libera dai gorghi della storia umana, gli consente la più intima vocazione eremitica, senza attive ribellioni, accettando egli la desolata vicenda delle tribolazioni francescane come la scansione della vita della Chiesa destinata a perfezione. Il suo fitto epistolario, non per prudenza calcolata, ha solo vaghi accenni alle vicende contemporanee, e invece, per questa tensione spirituale, è tutto vibrante di un misticismo che vuole essere unica risoluzione della tormenta che sconvolge non solo la famiglia francescana.

Nel 1334 Giovanni XXII diede ordine al guardiano del convento di Ara Coeli di Roma e all'inquisitore Simone di Spoleto di impadronirsi della persona di Angelo. Ma l'abate Bartolomeo si rifiutò di con segnare il suo protetto. A., mentre un processo colpiva i suoi seguaci spintuali, poté allontanarsi da Subiaco, dirigendosi verso il Regno di Napoli, dove la presenza di Filippo di Maiorca e di spirituali provenzali e catalani alla corte della regina Sancia garantiva una continua assistenza. Si rifugiò poi nella Basilicata, e risiedette poco lontano da Marsico Nuovo, ora nel romitorio di S. Michele, ora in quello di S. Maria di Aspro, dove il 15 giugno 1337 si spense. La sua tomba fu a lungo meta di pellegrinaggio; ma nel sec. XVII, dispersisi gli eremiti di S. Maria d'Aspro, quella tomba era scomparsa.

Non del tutto chiara è la storia dei seguaci di Angelo. Nel 1340 Filippo di Maiorca fece un tentativo, senza successo, presso Benedetto XII, per ottenere l'autorizzazione a fondare un Ordine dove la Regola francescana potesse essere osservata nel suo pieno rigore. Ma il nome di A., se la sua eredità si disperse nelle vicende degli spirituali e dei fraticelli, sopravvisse in un gruppo eremitico, che aveva avuto come suo primo capo, nella montagna di Brugliano, Giovanni de Valle, poi (1351) Giovanni da Spoleto. Questi eremiti "Clareni", sotto la giurisdizione dei loro vescovi, erano presenti, secondo una bolla del 4 luglio 1447di Niccolò IV, in nove diocesi dell'Italia centrale. Una bolla di Sisto IV (11 marzo 1473) li affidava all'Ordine dei frati minori, dei quali, come fu deciso nel capitolo generale tenuto in un convento presso Rieti, il 9 sett. 1483, accettavano la vita e la Regola. Ma la difficoltà di mantenere la loro tradizione eremitica nei conventi li indusse a chiedere ancora il distacco nel 1486. Nel 1510 uniti agli osservanti, furono soppressi nel 1568. Notevole è l'attività di scrittore di Angelo Clareno. La sua opera maggiore è l'Historia septem tribulationum (ci sono giunti mss. che la conservano in versione italiana, forse dovuta al Gentile da Foligno), che, in uno schema gioachimitico, narra la storia delle sei tribolazioni francescane fino al 1325 circa, lasciandosi incerta la fine della sesta e l'inizio della settima ed ultima tribolazione. Non ne esiste una edizione unica e completa pur essendo essa edita tutta, cinque parti furono pubblicate da F. Ehrle in Archiv für Litteratur-und Kirchengeschichte des Mittelalters, II (1886), pp. 106-164 e 249-336, e le due prime "tribolazioni" da F. Tocco, in Rendic. d. R. Acc. dei Lincei, XVII(1908); larghi squarci in I. v. Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte, II, München 1890. Scrisse inoltre una Expositio Regulae fratrum minorum (fu edita nel 1912, a Quaracchi, da L. Oliger): l'opera fu scritta nella fase più acuta della questione della povertà, parrebbe prima del 1326, e dimostra, oltre la conoscenza della letteratura francescana, una padronanza profonda della patristica greca (non vi sono citazioni invece dalla grande Scolastica).

Del 1330 è la Epistola responsiva fr. Angeli contra fr. Alvarum Pelogium de Regula fratrum minorum observanda (edita da V. Doucet, col titolo Angelus Clarenus ad Alvarum Pelagium, apologia pro vita sua, in Archivum francisc. hist., XXXIX [1946, ma uscito nel 1948], pp. 63-200), la cui prima parte è una interessante difesa personale di A., che riprende taluni motivi della Epistola excusatoria ad papam  [Giovanni XXII] (edita da p. Annibali da Latera in Ad Bullarium franciscanum supplementum, Romae 1780, e dallo Ehrle, in Archiv für Litteratur-und Kirchengeschichte des Mittelalters, I[1885], pp. 521-533). Scrisse inoltre: Breviloquium super doctrina salutis ad parvulos Christi, trattatello destinato alla pietà dei laici, e Preparantia Christi Iesu habitationem et mansionem ineffabilem et divinam a nobis secundum exterioris et interioris hominis mores, che è evidentemente parte di una lunga lettera: ambedue furono pubblicati da N. Mattioli in Il beato Simone Fidati da Cascia, Roma 1898, e da p. Ciro da Pesaro in Il Clareno, Macerata 1920.

Si potrebbero ricordare ancora altre cose minori: ma quasi tutte si ricollegano all'attività epistolare di A., del quale resta un grande epistolario, raccolto per cura dei suoi amici Simone da Cascia e Gentile da Foligno, pubblicato solo parzialmente dallo Ehrle in Archiv für Litteratur-und Kirchengeschichte,I(1885), pp. 533-569. Ammiratissima fu l'attività come traduttore dal greco di A.: la sua più importante traduzione è quella della Scala Paradisi di Giovanni Climaco. Gli si attribuiscono anche la traduzione della Regola di s. Basilio, del S. Macarii dialogus, erroneamente, secondo l'Oliger (cit., pp. XLIX, L), quella di un'opera di Giovanni Crisostomo, indicata, senza precisazione alcuna, da Bartolomeo da Pisa.

Bibl.: Oltre le introduzioni delle edizioni citate (fondamentale quella di L. Oliger all'Expositio Regulae, cit., pp. X-LXXVIII), G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell'Oriente francescano, I,Quaracchi 1906, pp. 341-350, 429; René de Nantes, Ange de Clareno, in Études franciscaines, XIX (1908), pp. 610-624; ibid., XX, (1909), pp. 25-41, 256-273; F. Tocco, Studii francescani, Napoli 1909, pp. 239-310, 353-405; L. Oliger, Frammenti di un carteggio (1784-1808) per la conferma del culto di Angelo Clareno, in Archivum francisc. hist., VII (1914), pp. 556-563; Id., Documenta inedita ad historiam fraticellorum spectantia, Quaracchi 1913, pp. 190-196; Id., De sigillo fr. Angeli Clareni, in Antanianum, XII (1937), pp. 61-64;Id., Fr. Angelo de Chiarino nel VI centenario della sua morte, in Frate Francesco, XIV (1937), pp. 169-176; Id., Documenta tria de Clarenis saeculi XV, in Archivum francisc. hist., XXXI (1938), pp. 59-72; L. von Auw, Clemente V e Angelo Clareno, in Religio, XV (1939), pp. 119-133;Id., Angelo Clareno et les spirituels franciscains (tesi di dottorato), Losanna 1948; A. Frugoni, Subiaco francescana, in Bullett. d. Ist. Stor. Ital. per il M. E., LXV (1953), pp. 107-119; Id., Celestiniana, Roma 1954, pp. 124-167; L. von Auw, Quelques notes sur Angelo Clareno, in Bullett. d. Ist. Stor. Ital. p. il M. E., LXVI (1954), pp. 115-128.

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