BROGLIO, Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BROGLIO, Angelo (Angelo da Lavello, Tartaglia, Tartaglia da Lavello)

Alfred A. Strnad

Nacque, intorno alla seconda metà del sec. XIV, in Lavello (Potenza) da Andrea, figlio illegittimo di Raimondo (II) del Balzo degli Orsini, principe di Taranto, e da una donna a noi ignota. Dalla Cronaca composta da uno dei suoi figliuoli, Gaspare, siamo informati che apprese giovanissimo i primi rudimenti dell'arte della guerra militando tra le schiere di uno dei più famosi condottieri italiani dell'epoca, Cecchino da Broglia, dal quale venne in un prosieguo di tempo adottato come figlio. In tal modo il giovane assunse il cognome e le armi del condottiero, cui successe, ereditandone il vessillo, nel comando della sua compagnia di ventura (Solimene).

Unitosi a Muzio Attendolo Sforza ed entrato quindi al servizio della Repubblica di Firenze, il B. prese parte alla battaglia di Casalecchio sul Reno (avvenuta il 26 giugno 1402, che permise a Gian Galeazzo Visconti di impadronirsi di Bologna e nel corso della quale il B. fu fatto prigioniero. Liberato e tornato al seguito di Muzio Attendolo, nel 1404 il B. marciava, col suo corpo di quattrocento lance, in soccorso del signore di Padova, Francesco Novello da Carrara, allora in lotta contro Venezia; e due dopo, sfociato in guerra aperta l'antagonismo tra Pisa e Firenze, prese parte attiva all'assedio di Pisa, che si vide costretta a capitolare di fronte alla preponderanza degli eserciti comandati dal B. e dallo Sforza (9 ott. 1406).

Qui il B., che era divenuto signore di Lavello dopo la morte del padre (17 febbr. 1406), si urtò con lo Sforza; il grave dissidio poté venire composto per il momento solo grazie alla mediazione di alcuni tra i più ragguardevoli uomini politici fiorentini: da allora, tuttavia, i due condottieri rimasero sempre divisi da una accesa rivalità, che sarebbe durata tutta la loro vita e che sfociò spesso in aperta ostilità per trasformarsi da ultimo in odio mortale. Passato, all'inizio del 1407, agli stipendi della Repubblica di Siena, il B. riuscì ad ottenere, nel 1409, una condotta da Ladislao d'Angiò-Durazzo, re di Napoli, che servì fedelmente come capitano di ventura e come consigliere tra i più influenti. Diretta con successo, già nel 1409, la difesa di Perugia, che aveva riconosciuto la signoria di Ladislao. nel 1411 riuscì a conservare nella fedeltà al re di Napoli anche Civitavecchia, assediata da Braccio da Montone. Occupata in nome del re di Napoli nelle vicende del conflitto che oppose l'Angiò-Durazzo a Giovanni XXIII - la stessa Roma (notte dell'8 giugno 1413), il B. fece inseguire dalle sue truppe vittoriose il pontefice, fuggito al nord, senza tuttavia riuscire a catturarlo. Creato dal re Ladislao, in segno di riconoscenza per i servizi resi, il 23 luglio 1413 "rettore e governatore" di Tuscania (di cui il B. appare tuttavia padrone sin dal 1408), il condottiero si stabilì nella cittadina laziale, ove iniziò la costruzione di un palazzo fortificato (oggi in rovina), che volle chiamare "Lavello". Per quanto ricoprisse alla corte partenopea l'importante carica di "primo confidato" del re, alla morte di Ladislao il B. preferì abbandonare le parti della sorella del defunto monarca, Giovanna II, succeduta a Ladislao sul trono di Napoli nonostante l'opposizione del Papa, per passare, convinto da emissari della Repubblica di Firenze, al campo avversario. Presolo ai suoi stipendi, Giovanni XXIII lo nominava (16 sett. 1414) vicario generale in suo nome a Tuscania e nella regione circostante, affidandogli l'incarico di riassoggettare all'autorità pontificia le città fortificate di Viterbo e di Corneto.

Da questo momento il B., che si intitola "specialis commissarius pro S. Romana Ecclesia rector patrimonii" o in modi consimili, si atteggia a signore assoluto dei territori di dominio pontificio. Mentre le sue soldatesche razziano e saccheggiano per ogni dove, e mentre vengono giustiziate persone come Beccarino Brunoro, semplicemente sospettate di aver congiurato contro la vita del condottiero, per assicurarsi il suo favore gli inviano doni Siena, Orvieto ed altre città dell'Umbria. La stessa Roma deve essere protetta dalle violenze dei suoi armati mediante un accordo particolare, stretto per iniziativa di Francesco Orsini e del cardinal legato Iacopo Isolani (10 sett. 1415). Ciò nonostante il papa concedeva al B., il 27 settembre di quel medesimo anno, l'ambito titolo comitale. Nemmeno un anno più tardi, il 5 ag. 1415, dopo una festa di riconciliazione, presso Colfiorito (Perugia) cadeva sotto i pugnali del B. e di Ludovico Colonna un altro potente feudatario romano, Paolo Orsini, i cui domini venivano incorporati parte in quelli di Braccio da Montone, parte in quelli del Broglio. Tuttavia, di fronte alla potenziale minaccia rappresentata dalle affamate milizie del condottiero lucano, anche il nuovo legato pontificio, Pietro Stefaneschi, si dovette acconciare ad un nuovo negoziato col capitano di ventura, negoziato che prevedeva una condotta per il B. con il titolo e i poteri di capitano e rettore del Patrimonio.

Costretto a ritirarsi, insieme con Braccio da Montone, di fronte alla preponderanza delle forze messe in campo dallo Sforza (1417), il B. fece giustiziare il fratello del suo avversario, Donato, che era caduto nelle sue mani. L'anno seguente si decise a prestare giuramento di fedeltà al nuovo papa, Martino V, eletto l'11 nov. 1417 a Costanza, che, non potendo prescindere dall'apporto militare del B. e della sua compagnia di ventura per la progettatata riconquista delle terre di dominio pontificio, gli offerse di rimanere al suo servizio. Il B. ottenne in tal modo, al soldo di 39.000 fiorini d'oro, una condotta per sé e per trecento lance e il comando delle operazioni contro Braccio da Montone (11 sett. 1419): il 15 ottobre di quello stesso anno, dopo un breve ma durissimo assedio, la ben munita Assisi capitolava davanti agli eserciti della Chiesa e il condottiero faceva ingresso nella città alla testa delle sue truppe.

Aveva avuto accanto, nel corso della breve campagna, il suo antico emulo e rivale Muzio Attendolo Sforza. Per desiderio del papa - che temeva il riaprirsi del dissidio fra i suoi due capi militari - ebbe luogo, nella città da poco riconquistata, un formale atto di riconciliazione tra lo Sforza e il B., conciliazione che si volle consolidare con un contratto di matrimonio: Giovanni Sforza, figlio illegittimo di Muzio Attendolo e di Lucia Terzana di Torsciano, sposò una figlia del B., Lavinia. Del resto, già nel gennaio del 1419 il B. stesso aveva sposato una dama appartenente a una nobile famiglia orvietana, Agnesella di Luca di Berardo della Cerbara dei Monaldeschi (e le magistrature di quel Comune gli avevano inviato, come dono di nozze, la cospicua somma di 30 fiorini d'oro). Per vincolare più strettamente il condottiero lucano agli interessi e alla politica papale, che mirava a porre sul trono di Napoli Luigi III d'Angiò (figlio di Luigi II, marito e collega di Giovanna II), Martino V lo elevò al rango di conte ereditario e lo investì della città e del territorio di Tuscania, assegnandoli in feudo a lui e ai suoi successori (8 sett. 1421).

Fu così che il B. scese ancora una volta in campo per la difesa della Chiesa, accanto allo Sforza; egli non aveva tuttavia rotto, per questo, i suoi rapporti e il suo accordo con Braccio da Montone, il quale perseguiva una sua particolare politica, volta a salvaguardare i suoi interessi nell'Italia centrale, e spesso in contrasto con quella del papa. Quando questi maneggi vennero scoperti - sembra che un fratello della moglie del B., Luigi della Cerbara, allora al suo servizio e suo emissario presso Braccio, avesse denunziato la collusione esistente tra i due -, lo Sforza fece arrestare nel sonno il suo antico rivale, e, dopo avergli fatto confessare con la tortura le trame ordite, lo fece giustiziare sulla piazza del mercato di Aversa (Napoli). Fino a che punto Luigi III e Martino V fossero a conoscenza dei segreti maneggi avviati dal B., è tutt'ora discusso, per quanto il pontefice non sia esente da sospetti di complicità; è tuttavia provato che il B. era allora. effettivamente in contatto con Braccio da Montone.

La Chiesa riprese - per diritto di devoluzione - il possesso delle terre che erano state concesse in feudo al B.; la sola città di Marta (Viterbo) venne lasciata, per altri cinque anni, alla vedova del condottiero, Agnesella della Cerbara. La compagnia di ventura, che era stata del B., passata immediatamente dopo la morte del suo capitano dalla parte avversa, combatté sotto la condotta di Braccio contro il papa e lo Sforza. Oltre ad un figlio maschio, Gaspare, il B. aveva avuto sicuramente almeno altre due figlie, Lavinia ed Anna Maria, che aveva sposato nella famiglia Corsi. Suo segretario era stato, sin dal 1407, Giovanni Vitelleschi da Corneto.

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