ANESTETICI

Enciclopedia Italiana (1929)

ANESTETICI (dal gr. ἀ[ν] privativo e ἀίσϑησις "sensazione")

Alberico BENEDICENTI

Con questo nome, come anche con quello di narcotici, si indicano le sostanze che, insieme con altre azioni esercitate sull'organismo, hanno in special modo quella di abolire la sensibilità. Si può rendere insensibile solamente un dato punto del corpo, praticando l'anestesia (v.) locale o periferica, e questo si può ottenere in varî modi: sia limitando la circolazione sanguigna nella regione che si vuole anestetizzare, sia perfrigerando le terminazioni nervose di senso, sia infine iniettando alcune sostanze le quali, come la cocaina, paralizzano queste terminazioni e le rendono incapaci di raccogliere gli stimoli e di trasmetterli ai centri. Per tale anestesia locale v. cocaina e etile cloruro.

Nell'anestesia generale, invece, con l'insensibilità di tutto il corpo, si ha la perdita della coscienza e della motilità. Perciò si può definire, col Lillie, l'anestesia generale come quella condizione fisiologica in cui le normali risposte e le normali attività automatiche di un organismo sono diminuite o abolite. Secondo questa definizione, forse troppo comprensiva, si identificano gli anestetici con gl'ipnotici, cioè con quelle sostanze usate per produrre un sonno simile a quello normale. Ma in verità, aumentando la dose, anche molti ipnotici possono, come gli anestetici, produrre prima uno stato di eccitamento e di stupefazione e poscia di insensibilità e di paralisi motoria.

Gli anestetici comunemente usati per inalazione nella pratica chirurgica (protossido d'azoto, cloroformio, etere), si distinguono dagli altri composti perche sono sostanze gassose o volatili che penetrano rapidamente nell'organismo, ma, pure rapidamente, possono uscirne. In tal modo lo stato di depressione prodotto da questi anestetici è reversibile e le condizioni dell'organismo possono in breve ritornare normali.

Il cloroformio e l'etere, che sono gli anestetici più comunemente usati, entrano nel sangue con l'aria inspirata, attraversando l'epitelio polmonare, e giungono in contatto coi centri nervosi ove manifestano la loro speciale azione. Allora la coscienza si abolisce; i movimenti volontarî e riflessi scompaiono; il cuore perde in parte la sua energia di contrazione; la pressione sanguigna si abbassa e la temperatura diminuisce. La penetrazione di questi anestetici nell'organismo avviene secondo determinate leggi dipendenti dalla tensione parziale dei vapori di cloroformio e di etere nell'ambiente e nel sangue, leggi che sono state studiate minutamente da varî autori (Bert, Geppert, Dunker, Tissot). La fissazione di questi anestetici nei tessuti e nel sangue è molto labile, come si è detto. Cessando l'inalazione, essi si eliminano subito con la respirazione, ma basta già una depressione atmosferica di cinque millimetri di mercurio per estrarne dal sangue e dagli organi notevoli quantità (Benedicenti), così che si può far ridestare più rapidamente, con questo mezzo, animali che siano stati profondamente narcotizzati.

Si è cercato, con molte esperienze, di comprendere in che modo gli anestetici agiscano per produrre tali caratteristici effetti sull'uomo e sugli animali superiori. Fino dal 1860, il Durham aveva tentato di spiegare la narcosi con uno stato di anemia e d'insufficiente nutrizione del cervello, ma il fatto che la narcosi si produce ugualmente nelle rane in cui il sangue è stato sostituito da una soluzione salina, e anche in animali che non possiedono sangue, ha tolto valore a questa spiegazione. Non più fortunata è stata la teoria che attribuisce l'anestesia a una diminuita eccitabilità e conducibilità dei nervi, e, più specialmente, a modificazioni morfologiche delle cellule cerebrali. Lepine e Duval descrissero una retrazione dei processi dendritici delle cellule nervose durante la narcosi; altri un aspetto moniliforme dei medesimi; altri riscontrarono diminuzione e fusione dei granuli di Nissl nell'interno delle cellule nervose, ma l'incostanza di questi reperti e le molte alterazioni cui si può andare incontro nella preparazione e fissazione dei tessuti per la loro indagine microscopica, hanno fatto abbandonare questi concetti.

Del resto queste teorie ed altre simili si sono dimostrate insufficienti quando si è visto che il cloroformio, l'etere e molti narcotici tipici, quali il cloralio, gli alcool monovalenti, gli uretani, ecc., esercitano la loro azione anestetica non solo sugli animali superiori, ma anche sugli esseri unicellulari, non solo sugli animali, ma anche sui vegetali: insomma su ogni sistema vivente, sia esso organo, cellula o tessuto.

Nell'indagare le cause dell'azione generale, protoplasmatica, dei narcotici, per prima cosa si è cercato se esistesse un qualche rapporto fra la costituzione chimica dell'anestetico e la sua azione fisiologica; e si è veduto che, in composti di serie omologhe, l'aumento del numero di atomi di carbonio porta un aumento della tossicità e del potere narcotico; che un simile aumento si ha ogni qualvolta s'introduce nella molecola un atomo di cloro; che il gruppo etilico infine è dotato di proprietà narcotiche spiccate. E se ne ha un esempio nel sulfonale

che è meno narcotico del trionale

e questo meno del tetronale

che però, per la sua tossicità, non viene adoperato in medicina.

Con altre esperienze si è studiato il rapporto che passa fra l'intensità d'azione del narcotico e la sua solubilità nell'acqua e nelle sostanze grasse; così è sorta la teoria lipoidolitica della narcosi, contemporaneamente e indipendentemente enunciata da Overton e da Meyer. Secondo questa teoria, esiste uno stretto parallelismo fra l'intensità d'azione del narcotico e il suo coefficiente di ripartizione, che si ottiene dividendo la solubilità del narcotico nei grassi per la sua solubilità nell'acqua. Quanto più alto è questo coefficiente, tanto più efficace è l'azione del narcotico. Nelle cellule in genere, ma più specialmente in quelle nervose, nel plasma delle loro membrane esistono delle sostanze simili ai grassi e dette perciò lipoidi (lecitina, cefalina, cerebrina, cerebrosi, colesterina, ecc.): le sostanm narcotiche sciogliendosi in questi lipoidi possono penetrare nelle cellule e manifestare la loro azione. Così, secondo la teoria suddetta, le sostanze facilmente assorbibili e che sono solubili nei grassi debbono avere un'azione anestetica.

A questa teoria suggestiva, ma che non sempre trova corrispondenza assoluta nei fatti, altre sono state opposte. Così il Verworn e i suoi allievi hanno fatto noto che la narcosi è generalmente accompagnata da una diminuzione dei processi d'ossidazione nelle cellule e che la deficienza di ossigeno produce anestesia. La narcosi è quindi dovuta a un'interferenza con l'ossidazione; la cellula, anche in presenza di ossigeno, diviene incapace di sottostare ai processi ossidativi, mentre quelli non ossidativi continuano inalterati. Il Traube sostiene invece che l'azione dei narcotici alifatici non è dovuta alla loro solubilità nei lipoidi cellulari, ma alla condensazione o adsorbimento dei narcotici stessi sulla superficie delle particelle colloidali del protoplasma, siano esse di natura lipoide o proteica. L'attività catalitica di queste particelle essendo così diminuita, si ha un rallentamento, o un' abolizione, dei processi chimici, dell'ossidazione e quindi delle funzioni cellulari. E poiché il condensamento del narcotico alla superficie delle particelle colloidali è proporzionale alla diminuzione di tensione superficiale prodotta dal narcotico stesso, íl Traube fa di questa proporzione la base della sua teoria.

Una discussione delle teorie sopra ricordate non è qui possibile, come anche l'enunciazione di molte altre che sono state a questo scopo escogitate (teoria della disidratazione, della polarizzazione dello stimolo, della mobilitazione del potassio, dei mutamenti di permeabilità della membrana, ecc.).

Bibl.: H. Meyer, Zur Theorie der Alkoholnarkose, in Arch. f. exper. Path. und Pharm., XLII (1899), p. 109; id., Über die Beziehung zwischen den Lipoiden und pharmakologischer Wirkung, in Münch. med. Wochenschr., LVI (1909), p. 1577; E. Overton, Studien über die Narcose, Jena 1901; J. Traube, Theorie des Osmose und Narcose, Jena 1901; id., Theorie der Osmose und Narcose, in Pflügers Arch., CV (1904), p. 541, CLX (1915), p. 501, CLXI (1915), p. 56; M. Verworn, Narkose, Jena 1912; H. Winterstein, Die Narkose, Berlino 1915.

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