WARHOL, Andy

Enciclopedia del Cinema (2004)

Warhol, Andy (propr. Warhola, Andy)

Daniela Daniele

Pittore, grafico e regista cinematografico statunitense, di origine ucraina, nato a Pittsburgh il 6 agosto 1928 e morto a New York il 22 febbraio 1987. Il suo nome resta legato alle riproduzioni seriali della sua pittura pop, ma spesso si dimentica che fu proprio lui, cultore di simulacri, a filmare la fine del glamour hollywoodiano. Autore di happening cinematici e di eventi mixed media, regista di film fondati su registrazioni neutre e impassibili che riprendono le reazioni di attori improvvisati, creatore di una poetica dell'estremo iperrealismo e di audaci esperimenti di cinema-verità, adottò tecniche tipiche del documentario abbattendo le barriere tra realtà e artificio, tra cinema e vita.

Dopo gli studi al Carnegie Institute of Technology, si trasferì a New York, dove esordì nel campo del disegno pubblicitario, imponendosi all'inizio degli anni Sessanta sulla scena internazionale come maggior rappresentante della Pop Art. Dal 1963 al 1970 sospese l'attività pittorica per girare film e fondò a New York la sua factory, circolo sessualmente permissivo, frequentato da una serie di esibizionisti e sbandati ‒ fra i quali reclutava i suoi attori improvvisati ‒ di cui raccontava le storie di marginalità e disadattamento all'ombra del sogno hollywoodiano. Sleep, Kiss, Haircut, Eat, Blow job sono film muti girati nel 1963 su temi minimali, legati al mero soddisfacimento fisico che riprendono, rispettivamente, un uomo che dorme, una serie di baci di circa tre minuti ciascuno, un taglio di capelli, un uomo che mangia un fungo e, in un lunghissimo primo piano di trenta minuti, un giovane al quale fuori campo viene praticata una fellatio. La tecnica è elementare, la ripresa viene deliberatamente disturbata dallo strobe cut, uno spazio luminoso creato dall'esposizione di alcuni fotogrammi che irrompe a fine sequenza come un difetto di pellicola. Tutti i film di W. sono in 16 mm, in bianco e nero e hanno un sonoro ottico mediocre; il taglio delle inquadrature è drastico, visibile, antiestetico, e rompe la fittizia unità drammatica consentita dal montaggio pulito. Anche la tecnica del piano-sequenza usata abitualmente dal regista produce una sensazione di snervante immobilità e di abolizione del tempo, costringendo lo spettatore a un'estenuante attesa di fronte a una camera fissa su antidivi e scene quotidiane svuotate di significato. Il regista si limita a disporre e registrare l'azione e quindi manca il soggetto-autore. Su questo punto, il cinema e la pittura (per es., la sua serigrafia Campbell'soup) di W. coincidono, dal momento che, in un'era tecnologica, l'imitazione acquista l'ulteriore statuto della riproduzione e il creatore scompare. Si pensi alla lunga ripresa dell'Empire State Building in Empire (1964), film-ritratto di natura morta che consiste in un'inquadratura della durata di otto ore sul famoso grattacielo che si staglia su New York. La possibilità di registrare ogni tipo di fatto fortuito fa del film un prodotto del caso, una registrazione genuina di avvenimenti. Couch (1964) porta all'estremo quest'estetica minimalista, in un ready made cinematico che fa ampio uso di pellicola nel tentativo di catturare gli incontri casuali che avvengono su un divano inquadrato anche in assenza del regista, ospitando conversazioni e rapporti sessuali che si consumano nella generale indifferenza. Nel 1964 W. girò il suo primo film sonoro, Harlot, seguito da Vinyl (1965), prima versione cinematografica di A clockwork orange di A. Burgess, e da Kitchen (1966), dove trascuratezza e incompletezza stilistica diventano deliberata strategia compositiva. Nelle scene a volte si aggira anche qualche intruso, a sottolineare che quanto avviene in scena è altrettanto importante del fuori scena, dando all'opera un carattere collettivo di happening. Ma il cinema di W. è anche e soprattutto parodia di Hollywood: egli infatti porta all'estenuazione caricaturale i divi inscenando un divismo declassato, kitsch, in una demistificazione che investe star del cinema, generi e personaggi cinematografici, come il western (Horse, 1965; Lonesome cowboys, 1968), Tarzan, il porno (Couch; Blu movie, 1968). W. imitò soprattutto le tipologie incarnate da James Dean, Joan Crawford e Hedy Lamar (Hedy, 1965) che fece impersonare da travestiti o da attori velleitari come Jackie Curtis. Del 1966 sono gli esperimenti mixed media come The Velvet Underground, registrazione di un concerto dei Velvet Underground che W. realizza con diapositive e luci stroboscopiche, in una complessa multivisione in cui viene utilizzata anche la tecnica di due proiezioni contigue e simultanee già sperimentata in The Chelsea girls (1966) e usata poi in Four stars (1967). In questi film, il regista affianca o sovrappone sullo schermo le immagini di due film distinti utilizzando due proiettori diversi. Dopo My hustler (1967), W. girò ancora Imitation of Christ in cui confronta ereticamente la vita solitaria di un drogato con il raccoglimento spirituale del credente. Dal 1968, quando tornò alla pittura, divenne produttore di film di culto iniziando la collaborazione con Paul Morrissey che firmò Flesh (1968) e, insieme a W., Women in revolt (1972). Trash (1970; Trash ‒ I rifiuti di New York) di Morrissey, viene letteralmente girato 'sul corpo' dei suoi personaggi, in una storia di accoppiamenti illeciti, di frustrazione e impotenze. W. apparve inoltre in varie opere underground, come The Illiac passion (1967) di Gregory J. Markopoulos, e i due film-ritratto a lui dedicati: Andy makes a movie (1968) di Robert Emmet Smith e il film realizzato da Jonas Mekas e incentrato sulla consegna all'artista dell'Indipendent Film Award (Award presentation to Andy Warhol, 1964).

Bibliografia

J. Coplans, Andy Warhol [Greenwich (CT)] 1970.

A. Aprà, E. Ungari, Il cinema di Andy Warhol, Roma 1971.

R. Milani, Il cinema underground americano, Messina-Firenze 1978.

P.S. Smith, Andy Warhol's art and film, Ann Arbour (MI) 1986².

M. Perniola, L'arte e la sua ombra, Torino 2000.

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