SEGHIZZI, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SEGHIZZI (Sighizzi), Andrea

Stefano L'Occaso

SEGHIZZI (Sighizzi), Andrea. – Nacque a Bologna, da Giovanni, forse nel 1610 (Scritti originali…, 1983, p. 234). Non è invece noto il nome della madre.

A Carlo Cesare Malvasia dobbiamo più che attendibili indicazioni circa la tortuosa formazione, avvenuta sotto Francesco Albani e Lucio Massari, poi con Francesco Brizio, presso il quale iniziò a studiare la prospettiva; dopo la sua morte (1623), Seghizzi studiò con Francesco Gessi, per essere quindi accolto nella squadra di decoratori condotta da Angelo Michele Colonna, Girolamo Curti detto il Dentone e Agostino Mitelli (Scritti originali…, 1983, p. 176). Dipinse innumerevoli decorazioni a Bologna e nel contado, «trovandosi poche abitazioni che di suo qualche dipinto non serbino» (Malvasia, 1678, p. 177; Stanzani, 1991, p. 253). Si specializzò in questi anni anche in apparati effimeri: «Ne le cene d’invenzione famose de’ signori marchesi Paleotti, de’ signori conti Orsi, de’ signori Guastavillani, e de’ signori Davia ha egli sempre portato il vanto e l’honore, facendo sorgere ed uscire con impensati mezzi le tavole e le vivande, e cangiando con improvise metamorfosi un sito in un’altro» (Malvasia, 1678, p. 177). Sempre a Bologna egli operò anche in contesti sacri, dipingendo la cappella maggiore della Madonna della Libertà e nella cappella Carrati in S. Maria dei Servi (Crespi, 1769, p. 284).

Nel 1627 si unì ai collaboratori di Curti, tra cui Colonna e Mitelli, e con loro si recò prima a Ravenna, per lavorare nel palazzo arcivescovile (Malvasia, 1678, p. 176), poi a Parma: per le celebrazioni del matrimonio tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici (1627) e per spettacoli in onore di Ferdinando II de’ Medici (1628; Cirillo, 2013, pp. 5-16).

Nel 1641 progettò il pubblico teatro Formagliari di Bologna, introducendovi più d’una innovazione destinata a fare scuola: la divisione con tramezzi radiali dei palchi (Guccini, 1988), e la disposizione dei palchi stessi, la cui sporgenza aumenta via via salendo, per garantire il miglior affaccio di ogni palchetto sulla scena (Marchelli, 1955, pp. 121 s.). Questa soluzione fu in seguito largamente impiegata, tanto che egli «deve essere considerato il vero creatore del teatro “all’italiana”» (ibid.). Difatti il «ben inteso e ben disposto teatro Guastavillani, o Formagliari che siasi, [...] ha servito poi per norma e modello d’ogn’altro, anche fuori di Bologna» (Malvasia, 1678, p. 177).

Nel 1651 Seghizzi era ancora impegnato come architetto nella realizzazione del teatro Malvezzi di Bologna, assieme a Cornelio Malvasia; il teatro, ad alveare, si inaugurò nel marzo 1653 e fu definito il «più nobile della città» (Marchelli, 1955, p. 123); nello stesso anno forse attese al teatro Falcone di Genova, che gli è riferito in maniera non del tutto concorde (p. 124; Gavazza, 1982, pp. 113 s. note 30-32).

Negli anni Cinquanta Seghizzi fu infatti attivo a Genova: con certezza dal giugno 1654 ai primi dell’anno seguente (Leoncini, 2008, p. 60). Del 23 gennaio 1655 è infatti la quietanza di 280 lire «pro mercede pingendi antisalam domus […] scilicet nonnullos prospectos in parietibus dictae antisalae» (Gavazza, 1974, p. 356 nota 44), che non si può tuttavia identificare con il salotto della Fama nel palazzo di Giovan Battista Balbi, decorato invece da Valerio Castello e Giovanni Maria Mariani (Leoncini, 2008, p. 57). In quello stesso torno di tempo, Seghizzi lavorò per Francesco Maria Balbi, assieme al figurista Castello, con il quale avrebbe continuato a collaborare dal marchese di Piovera (p. 60). In palazzo Balbi Senarega spetterebbero quindi alla coppia Castello-Seghizzi le decorazioni del salotto del Ratto di Orizia, del salotto di Leda e del salotto di Allegrezza, Pace e Abbondanza, e della sala del Carro del Tempo (Magnani, 2008, pp. 72-74). Al periodo genovese, Ezia Gavazza (1989, pp. 157-162) attribuisce anche la decorazione della sala delle Rovine nella villa Balbi allo Zerbino, ma in collaborazione con Domenico Piola.

Le quadrature genovesi risentono delle “vedute” di Mitelli, con molteplici punti di fuga (Gavazza, 1982, p. 107; Pigozzi, 1988, p. 337); Seghizzi fece tesoro degli studi del 1629 di Gioseffo Viola Zanini (Della architettura), così come delle ricerche prospettiche di Scipione Chiaramonti e Niccolò Sabbatini, e appare inoltre aggiornato sulle sperimentazioni di Giulio Troili, interpretate in senso meno teorico e scientifico, ma con larga maestria e pratica (Gavazza, 1982, p. 108; Pigozzi, 2006, p. 290).

Non si può escludere che Seghizzi abbia abbandonato Genova allo scoppiare di un’epidemia di peste, nel 1656 (Magnani, 2008, p. 75). Nel 1659 era a Modena, impegnato a realizzare un grandioso apparato funebre per le esequie del duca Francesco I d’Este in S. Agostino, in collaborazione con Gaspare Vigarani, nonché assieme a «sei altri pittori bolognesi», ad alcuni «pittori di Reggio», al tagliapietre Tommaso Luraghi e allo stuccatore Carlo Gravi (Riccomini, 1972, p. 61). Appunti di Malvasia (1983, pp. 238 s.) sembrano offrire una preziosa sequenza cronologica dell’attività di Seghizzi e dei suoi spostamenti da una corte all’altra, a partire dalla fine degli anni Cinquanta: dopo Modena e dopo un primo passaggio parmense, sarebbe passato a Mantova, quindi di nuovo a Parma («per l’ingresso nelle monache di S. Teresa» da parte di Caterina Farnese, nel 1662: Cirillo, 2013, pp. 22-26), quindi a Bozzolo, poi ancora a Mantova, a Bologna, quindi a Parma (Steccata e “collegio de’ Noli”), e ancora presso il duca di Savoia.

Dopo il soggiorno modenese, lo stesso Malvasia (1678, p. 177) elenca numerosi impegni a Parma «per le nozze della sorella del Duca di Savoia», Margherita Violante.

Nel 1661 Seghizzi fu chiamato a lavorare a Mantova e portò con sé il pittore bolognese Lorenzo Pasinelli, «per le figure da farsi ne’ sfondati di quelle camere» a Marmirolo (Zanotti, 1703, pp. 25 s.); tuttavia, in quest’anno risulta anche un sodalizio con un altro figurista bolognese, Domenico Santi (Piccinelli, 2010 [2011], p. 85).

Oltre che a Marmirolo, Seghizzi operò per Carlo II Gonzaga Nevers a Mantova, dove nel gennaio 1666 allestì in S. Barbara, assieme a Frans Geffels, il complesso apparato per le esequie del duca; in seguito fu chiamato «dal Principe di Bozzolo a dipingergli quattro cameroni et un oratorio» (Malvasia, 1678, p. 178). Di queste decorazioni sopravvive la quadratura nella volta della chiesa di S. Francesco a Bozzolo, già “oratorio” di Scipione Gonzaga (L’Occaso, 2017). Il 10 febbraio 1667 Seghizzi scrisse da Mantova al conte di Novellara, riferendo dei già compiuti lavori bozzolesi e impegnandosi a recarsi a Novellara a lavorare assieme a «un pittore de’ primi di Bologna per far le figure» (Campori, 1855).

Dopo i lavori a Mantova e Bozzolo, Malvasia ricorda Seghizzi «dal Serenissimo di Savoia a far gran prospettive nel palagio di quella comunità» (Malvasia, 1678, p. 178), ma di un impegno sabaudo non è stata sin qui recuperata traccia. Sappiamo altresì che tra il 1667 e il 1668 Seghizzi lavorò a Bologna (Lenzi, 1985, p. 165; Pigozzi, 1988, p. 342), dove è documentato anche nel 1669 (Lenzi, 1985, p. 172 nota 28); nel 1668-69 era nuovamente a Parma, impegnato a dipingere le lesene delle pilastrate di S. Maria della Steccata (Cirillo, 2013, pp. 35-39).

Nel 1671 fu assunto nei ruoli farnesiani per Piacenza, ma la sua presenza sembra risalire almeno alla fine dell’anno precedente (Pronti, 1994, p. 167 nota 2) e si protrasse per diversi anni, ossia fino al 1677 (Cirillo, 2013, p. 55), fruttando un’importante serie di quadrature e decorazioni nelle volte degli ambienti di palazzo Farnese, dove fu largamente coadiuvato dai figli Francesco e Innocenzo; non tutte le pitture sopravvivono in buono stato, ma nelle anticamere della duchessa Maria d’Este si dispiega il ricco repertorio ornamentale dell’artista (pp. 41-55). Il periodo fu contrassegnato anche da rapporti personali con Ludovico e Margherita Caffi (p. 42), nonché dalla presenza nel 1672, nella squadra di Seghizzi, del quindicenne Ferdinando Galli Bibiena (Ottani Cavina, 1962/1963 [1963], p. 130). Nel 1674 il cardinale Leopoldo de’ Medici si rivolse a Seghizzi per essere informato dell’ambiente artistico piacentino e per acquistare opere d’arte (Pigozzi, 2006, p. 291).

Neppure gli ultimi anni di vita dell’artista, che probabilmente tornò nella natìa Bologna, trascorsero inoperosi o stanziali. Nel 1681 egli progettò il monumentale catafalco in onore del cardinale Alfonso Litta, a Milano (Feinblatt, 1992, p. 170); ancora nel 1684, aiutato dai figli, s’impegnò nella decorazione di palazzo Ranuzzi a Bologna (Arfelli, 1957).

Non sono molte, rispetto a una produzione incessante, le imprese tuttora superstiti dell’artista, e sono concentrate a Genova e Piacenza. Non sono molti neppure i disegni a lui riferiti (Neilson, 2003; Cirillo, 2013, p. 29; Matteucci, 2003, p. 61), mentre numerose incisioni serbano il ricordo della sue invenzioni scenografiche.

È ignota la data di morte, ma nel 1684 egli era ancora in attività (Arfelli, 1957, p. 207).

I figli Carlo, Innocenzo e Francesco praticarono la pittura e collaborarono con lui (Crespi, 1769, p. 284).

Fonti e Bibl.: C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, II, Bologna 1678, pp. 176-178; R. Soprani - C.G. Ratti, Le vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, I, Genova 1768, pp. 346 s.; G.P. Zanotti, Nuovo fregio di gloria a Felsina sempre pittrice nella vita di Lorenzo Pasinelli pittor bolognese, Bologna 1703, pp. 25 s.; L. Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. Tomo III, Roma 1769, pp. 283 s.; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli stati estensi. Catalogo storico corredato di documenti inediti, Modena 1855, p. 441; R. Marchelli, Gli inizi del teatro pubblico e A. S., in Commentari, VI (1955), pp. 117-126 (in partic. pp. 121-126); A. Arfelli, “Bologna perlustrata” di Antonio di Paolo Masini e l’“Aggiunta” del 1690, in L’Archiginnasio, LII (1957), pp. 188-237 (in partic. p. 207); A. Ottani Cavina, Notizie sui Bibiena, in Rendiconto delle sessioni della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali, s. 6, II (1962/1963 [1963]), pp. 123-137 (in partic. p. 130); E. Riccomini, Ordine e vaghezza. La scultura in Emilia in età barocca, Bologna 1972, pp. 60 s.; E. Gavazza, La grande decorazione a Genova, Genova 1974, p. 356 nota 44; Ead., A. S. La pratica della quadratura e del teatro, in La scenografia barocca, a cura di E. Schnapper, Bologna 1982, pp. 105-115; Scritti originali del conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, a cura di L. Marzocchi, Bologna 1983, pp. 231-239; D. Lenzi, Dal Seghizzi al Monti ai Bibiena. Architetti e scenografi bolognesi a Mantova sotto gli ultimi Gonzaga, in Il Seicento nell’arte e nella cultura con riferimenti a Mantova. Atti del Convegno… 1983, a cura dell’Accademia Nazionale Virgiliana, Cinisello Balsamo 1985, pp. 164 s., 172 note 25-28; G. Guccini, Il teatro italiano nel Settecento, Bologna 1988, p. 34; M. Pigozzi, A. S., invenzione, artificio, novità. Gli scritti di Carlo Cesare Malvasia, in Il Carrobbio, XIV (1988), pp. 333-344; E. Gavazza, Lo spazio dipinto. Il grande affresco genovese nel Seicento, Genova 1989, ad indicem; A. Stanzani, Prospettive dipinte a Bologna nel Seicento e nei primi decenni del Settecento, citate nelle fonti e non più esistenti, in Architetture dell’inganno. Cortili bibieneschi e fondali dipinti nei palazzo storici bolognesi ed emiliani, a cura di A.M. Matteucci - A. Stanzani, Bologna 1991, p. 253; E. Feinblatt, Seventeenth-century Bolognese ceiling decorators, Santa Barbara 1992, ad indicem; S. Pronti, Le grandi imprese di corte: i Farnese per Piacenza, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, a cura di J. Bentini - L. Fornari Schianchi, Bologna 1994, pp. 153, 167 nota 2; A.M. Matteucci, Pittori di quadratura tra Bologna e Genova nel XVII secolo, in Studi di storia delle arti. Numero speciale in onore di Ezia Gavazza, Genova 2003, pp. 59-61; N.W. Neilson, Giulio Cesare Procaccini disegnatore, Busto Arsizio 2003, p. 259; M. Pigozzi, Ferdinando Galli Bibiena. Le esperienze di Seghizzi e di Troili e la consapevolezza della teoria prospettica dei francesi, in Realtà e illusione nell’architettura dipinta. Atti del Convegno… 2005, a cura di F. Farneti, Firenze 2006, pp. 290 s.; L. Leoncini, Gli affreschi di Valerio Castello nelle committenze Balbi, in Valerio Castello 1624-1659. Genio Moderno (catal.), a cura di M. Cataldi Gallo et al., Milano 2008, pp. 57 s., 59 s.; L. Magnani, Il ciclo di Valerio Castello nel palazzo di Francesco Maria Balbi, ibid., pp. 67, 72-75; R. Piccinelli, Collezionismo a corte. I Gonzaga Nevers e la “superbissima galeria” di Mantova (1637-1709), Firenze 2010 [ma 2011], ad indicem; G. Cirillo, A. S. e altri quadraturisti bolognesi del ’600 nel Ducato farnesiano, in Parma per l’arte, XIX (2013), pp. 5-61; S. L’Occaso, A. S. a Bozzolo. La scoperta di una sua quadratura, in Scritti per Eugenio. Ventisette testi per Eugenio Riccomini, a cura di M. Riccomini, Modigliana (FC) 2017, pp. 178-184.

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