POZZO, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

POZZO, Andrea

Richard Bösel
Lydia Salviucci Insolera

POZZO, Andrea. – Nacque a Trento il 30 novembre 1642 (Trento, Archivio diocesano tridentino, Cattedrale di Trento, Registro dei nati e dei battezzati, III, c. 36r) da mastro Jacopo e da Lucia Bazzanella, sua seconda moglie, sposata il 15 gennaio 1637 (Trento, Archivio diocesano tridentino, Parrocchia di Povo, Registro dei matrimoni, I, c. 5v).

L’origine della famiglia è da collegarsi a quella degli artisti lacuali dei Pozzi di Valsolda. Il fratello minore Jacopo Antonio era scultore e architetto e divenne carmelitano con il nome di Giuseppe.

Pozzo esercitò con uguale maestria pittura, architettura e tecniche scenografiche, esaltando la forza illusiva insita nell’immagine spaziale in modo fino ad allora inedito. Fu anche teorico di prospettiva, tanto da scrivere un importante trattato (Perspectiva pictorum et architectorum, 1693 e 1700). Studiò a Trento nella Scuola dei gesuiti (1652-59 circa) e per il suo precoce talento fece apprendistato per tre anni da un pittore rimasto anonimo. Frequentò le principali botteghe di altaristi trentini, come quella di Mattia Carneri. Determinante fu la sua vocazione religiosa: all’inizio pensò ai carmelitani scalzi, come il fratello Jacopo, ma venne rifiutato per la sua gracilità. Un pittore di Como, oggi identificato con Giovanni Ghisolfi o Antonio Busca, lo portò con sé a Milano «per lo spazio di due anni» (Baldinucci, 1975, p. 316), tra il 1662 e il 1664 circa. Questo rapporto artistico, durante il quale Pozzo dipinse per certo dodici quadri andati dispersi, «che rappresentavano mezze figure di vecchj e d’appostoli» (Marini, 1992, p. 692), nella chiesa di S. Elisabetta al Verziere, fu in seguito chiuso bruscamente. Ospite di un «cavaliere […] amatore de’ virtuosi» (Baldinucci, 1975, p. 316), studiò da autodidatta, finché la sua crescente vocazione religiosa lo portò a entrare – il 23 dicembre 1665 – nella Compagnia di Gesù, presso la chiesa di S. Fedele a Milano. Iniziò il noviziato (1665-67) in Piemonte, probabilmente nella domus probationis a Chieri.

Tornato a Milano, e verificate positivamente dai superiori le sue doti artistiche, grazie al giudizio del pittore Luigi Pellegrino, detto lo Scaramuccia, cominciò un intenso periodo di committenze, che assolse anche in altre località. A Genova (1671-72) nella chiesa dei Ss. Ambrogio e Andrea (già del Gesù) dipinse per la cappella Spinola L’Immacolata porge Gesù Bambino a s. Stanislao Kostka e partecipò alla decorazione pittorica della volta e di altre parti della cappella dedicata al nuovo santo Francesco Borgia, per la quale dipinse anche la pala raffigurante S. Francesco Borgia, la Madonna con il Bambino e s. Anna. Il carteggio di questi anni tra i padri gesuiti delle varie case e collegi nella ‘Provincia Mediolanensis’ offre una chiara lettura degli spostamenti di Pozzo. Tornò brevemente a Trento (1672) e a Genova (1673), dove eseguì la Predica di s. Francesco Saverio, poi trasferita nella collegiata di Novi Ligure. Visitò probabilmente anche Venezia (Marini, 1992, p. 692). Del 1675 sono la Disputa di Gesù tra i dottori del Tempio per la cappella della Confraternita della dottrina cristiana nella chiesa di S. Defendente a Romano di Lombardia (attualmente presso il Museo d’arte e cultura sacra della medesima cittadina); il Miracolo di s. Siro per il Duomo di Pavia (oggi nella chiesa del Seminario vescovile); la Sacra famiglia e angeli per il santuario a Trento della Madonna del Carmelo alle Laste (ora nella chiesa di S. Pietro a Lasino), tema ripetuto anche per una pala nella chiesa di S. Maria a Cuneo. Si formò in Pozzo, infatti, l’abitudine di fare bozzetti, intesi come modelli iconografici da riutilizzare sia per sé sia per i suoi allievi.

I voti religiosi, che Pozzo professò il 2 febbraio 1676 nella chiesa di S. Fedele a Milano, confermarono in lui, divenuto coadiutore temporale, che la sua vita artistica sarebbe stata vincolata a quella gesuitica. Intraprese quell’incarico che si dimostrò decisivo per misurare lo stato delle sue capacità artistiche di quadraturista: la decorazione nella chiesa della Missione (già S. Francesco Saverio) a Mondovì (1676-77, ma già con dei primi sopralluoghi nel 1674), culminante con la Gloria di s. Francesco Saverio. Il bozzetto (conservato a Trento, presso il castello del Buonconsiglio) di S. Francesco Saverio che battezza la principessa Neachile mostra le sue potenziali qualità pittoriche. Tra il 1677 e il 1680 lavorò a Torino nella chiesa dei Ss. Martiri con «una approvazione universale» (Baldinucci, 1975, p. 320): sulla volta dipinse S. Ignazio in gloria, affresco ora perduto, e nella controfacciata degli Angeli musicanti; nel 1678 fece la pala con la Crocifissione e santi per la chiesa di S. Lorenzo. Migliorò stilisticamente, come si vede nella pala della Sacra Famiglia e angeli in concerto (Torino, coll. privata) per la cappella della sagrestia della chiesa di S. Fedele a Milano del 1679: nello stesso vano eseguì anche l’intera decorazione, ora perduta, con S. Ignazio in gloria. Risale agli stessi anni anche la pala con S. Ignazio che accoglie s. Francesco Borgia per la chiesa di S. Stefano a Sanremo. Una traccia concreta di questi primi successi si trova sempre nella corrispondenza tra il provinciale di Milano, i superiori delle case di Genova, Torino, Mondovì, il preposito generale Giovanni Paolo Oliva e i vari committenti laici, che insistevano per avere Pozzo al loro servizio. Si evincono le complesse relazioni con il patriziato milanese, in particolar modo con il principe Livio Odescalchi e il senatore Antonio Erba, imparentati con il papa Innocenzo XI.

Nei due decenni trascorsi nell’Italia settentrionale (1662-81), le esperienze di Pozzo nel campo dell’architettura si limitarono perlopiù a interventi di carattere effimero o – come nel caso di Mondovì – ad adattamenti di strutture preesistenti mirati a una più imponente illusione prospettica evocata dalle decorazioni pittoriche. L’artista sviluppò un’inedita sensibilità per la visione unitaria dello spazio, puntando sulla spettacolarità del repertorio formale e sull’effetto totalizzante di un’audace policromia.

Tra le macchine effimere ingegnate per Milano nel 1671-72 si segnalano tre episodi di grande valenza religiosa e politica: l’apparato per la canonizzazione di Francesco Borgia a S. Fedele, quello funebre per Felícia Henríquez de Sandoval y Uceda duchessa di Ossuna, consorte del governatore spagnolo, a S. Maria della Scala, e la macchina del voto dell’Immacolata in S. Fedele (Andrea e Giuseppe Pozzo. Atti del Convegno internazionale…, Venezia 2010, 2012, pp. 62 s.). Un ulteriore apparato di cui abbiamo notizia fu realizzato per i gesuiti di Genova (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Med. 81: Historia Domus Professae Genuensis […] ab anno 1603 ad 1773, pp. 164 s.).

Prima di partire per Roma, al fine di migliorare il suo talento pittorico per volere del preposito generale Oliva, dovette soddisfare alcune richieste improrogabili della famiglia pontificia, come i quadri per la cappella Odescalchi nella chiesa di S. Giovanni Pedemonte a Como (1680-81).

Giovanni Paolo Oliva, di raffinato gusto artistico e al quale già Pozzo inviò nel 1679 la Maddalena e S. Giovanni Crisostomo (Roma, Palazzi Vaticani), ammirati anche da Carlo Maratti, pensava di affidargli la soluzione per una nuova entrata, riservata e dignitosa, alle camerette in cui visse e morì s. Ignazio di Loyola nella Casa professa. Dopo la morte improvvisa di Oliva (26 novembre 1681) a ridosso dell’arrivo di Pozzo, il successore, Charles de Noyelle, gli confermò l’incarico del Corridoio.

Dalla metà del 1682 all’inizio del 1685 Pozzo trasformò il disadorno spazio di passaggio in una sontuosa galleria, decorandola con scene esaltanti la santità di Ignazio inserite in un apparato scenografico e prospettico illusorio. Applicò le difficili regole dell’anamorfosi, secondo le quali la corretta visione delle immagini può verificarsi solo grazie all’inserimento al centro del pavimento di un unico punto di osservazione. Nel Corridoio, quindi, Pozzo utilizzò come veri strumenti ad maiorem Dei gloriam – poi costantemente riproposti nelle opere successive – la ricerca sperimentale prospettica, spinta al limite del virtuosismo, e i profondi significati mistici derivati dagli Esercizi spirituali ignaziani. Pozzo riuscì così a far coincidere la sua vocazione religiosa con quella artistica: per questo volle svincolarsi dalle reiterate pressioni di Torino della duchessa Giovanna Battista di Savoia Nemours, decidendo di rifiutare qualsiasi altra committenza ‘laica’. Ne fece addirittura domanda esplicita a Innocenzo XI, che in un rescritto del 7 settembre 1684 (Archivio segreto Vaticano, Segreteria dei memoriali, 26, c. 103r) la approvò.

Già pochi mesi dopo il suo arrivo a Roma, Pozzo esordì con un acclamato apparato delle Quarantore al Gesù, realizzato con materiali poveri, ma con straordinaria resa scenografica. Ne conseguirono numerose opere similari, che sono note grazie alle figure del suo trattato di prospettiva; in particolare vanno ricordati tre spettacolari teatri sacri allestiti al Gesù, dedicati alle Nozze di Cana (1685), al Miracolo della guarigione dello storpio, nonché al noto passo veterotestamentario Sitientes venite ad aquas (1695).

Tali apparati si componevano di diverse quinte sistemate in sequenza scaglionata, eseguite con graduale intensità chiaroscurale per congiungersi nella perfetta visione prospettica di maestosi scenari architettonici. Il raffinato uso della geometria proiettiva venne enfatizzato da un’articolazione strutturale particolarmente plastica, da complesse planimetrie curvilinee (di difficile realizzazione con le superfici piane dei telai) e dall’accentramento su profonde fughe spaziali. Ingannevoli effetti nascevano dalle figure che, salendo su per i gradini delle ampie scalinate del proscenio, sembravano travalicare fisicamente i confini tra spazio reale e spazio immaginario.

A volte le installazioni effimere costituivano capisaldi atti a illustrare proponimenti per eventuali successive durevoli costruzioni. È il caso di un prospetto che celava temporaneamente, prima del 1685, l’abside ancora incompiuta di S. Ignazio. Anche per l’altare maggiore del Gesù, ritenuto allora «troppo tenue», Pozzo presentò due interessanti opzioni, rese visibili per mezzo di fondali prospettici esposti in due diverse date non precisabili (A. Pozzo, Perspectiva, pars secunda, 1700, figg. 71, 73 e 74). Il secondo di questi progetti, più elaborato, prevedeva una grande apertura ad arco posta dietro la mensa dell’altare che avrebbe permesso di scorgere, in un luminoso camerino retrostante, una pittorica visione della Circoncisione.

In quei primi anni romani affrescò, rifacendosi ad alcune scene del Corridoio, la cappella della Vigna di S. Balbina, dove s. Ignazio trascorse gli ultimi giorni della sua vita. Nel 1684 dipinse la Madonna con il Bambino e santi per la collegiata di S. Maria del Bosco a Cuneo, e nel 1685 S. Francesco d’Assisi che adora il crocifisso, per il principe Giovan Battista Pamphilj, nella collegiata dell’Assunta a Valmontone. Entrambi i bozzetti si conservano nella sagrestia della chiesa di S. Ignazio.

Dal 1685 intraprese, nella chiesa di S. Ignazio del Collegio romano, la sua committenza più prestigiosa in campo pittorico. Iniziò con l’idea originale della finta cupola, dipinta in modo fortemente verosimile grazie a dei complessi calcoli prospettici. Nonostante le iniziali critiche, la monumentale tela con la cupola dipinta con illusione prospettica riscosse grande ammirazione e stima anche dagli accademici. Proseguì, entro il 1691 circa, con gli affreschi per il catino absidale, raffiguranti Il potere taumaturgico di s. Ignazio, e con L’assedio di Pamplona e la conversione di s. Ignazio per l’imbotte della calotta. Fino al 1694 si dedicò alla maestosa volta, tra le più ambiziose del barocco europeo, riproducente l’Allegoria dell’opera missionaria della Compagnia di Gesù.

La struttura architettonica è dipinta in modo illusionistico, intesa come un luogo celeste che si apre verso spazi infiniti; santi e gruppi di figure simboliche danno corpo a un’iconologia complessa, spiegata da Pozzo stesso in una lettera al principe Antonio Floriano di Liechtenstein. Il fulcro è costituito da un rimando ottico di raggi divini che da Cristo toccano s. Ignazio e raggiungono le allegorie delle quattro parti del mondo a significare il percorso dell’apostolato gesuitico. Anche qui Pozzo applicò un unico punto di vista, nonostante l’ampiezza della volta, perché l’inganno visivo – la vacuità della vita – si supera solo riuscendo a «tirar sempre tutte le linee […] al vero punto dell’occhio che è la gloria divina» (A. Pozzo, Perspectiva, pars prima, 1693, avviso Al Lettore, Studioso di Prospettiva).

Fece infine i quattro peducci. Fino alla partenza da Roma (1702), si occupò dei lavori per l’abside, affrescandovi, sempre con l’aiuto dei suoi allievi, tre grandi pale con sontuose cornici: S. Ignazio invia s. Francesco Saverio nelle Indie, la Visione della storta e S. Ignazio accoglie nella Compagnia s. Francesco Borgia. Lavorò molto nelle sedi della Compagnia di Gesù, concentrandosi sulla rielaborazione dell’iconografia gesuitica e in particolare sul tema della santità da realizzare nelle pitture e negli altari scolpiti. Accettò anche incarichi non gesuitici: nel 1689 circa inviò a Torino una tela per l’oratorio della Compagnia di S. Paolo, ora perduta. Nel 1694 dipinse il refettorio del convento dei Minimi di Trinità dei Monti: nella volta la Trinità e la Gloria di s. Francesco di Paola e di s. Francesco di Sales e delle scene monocrome simili a quelle nel Corridoio; nelle pareti le Nozze di Cana con un’ariosa architettura costituita da un loggiato con arcate dove si snoda il banchetto. Pozzo, a eccezione di alcune figure di sua propria mano, come quelle del miracolo del vino compiuto da Gesù, lasciò al suo collaboratore più stretto Antonio Colli e ad altri le scene rimanenti con i vari personaggi. Tra il 1694 e il 1703 dipinse, in collaborazione con alcuni allievi, cinque tele con scene della vita di Gesù per la cappella dei Banchieri e Mercanti a Torino.

Sullo scorcio del secolo compì una serie di pitture per la chiesa del Gesù a Frascati: nella cappella maggiore un finto altare prospettico con la Circoncisione, nel braccio sinistro del transetto S. Ignazio che accoglie s. Francesco Borgia e in quello destro il Martirio di s. Sebastiano; infine dipinse una finta cupola al centro del transetto. Ad Antonio Colli si devono, invece, lungo le pareti della chiesa scene con la vita di Gesù e alcune pitture nelle cappelle laterali. Nel refettorio del Collegio inglese dipinse La cena a casa del fariseo (1700).

Pozzo fu un valente ritrattista, come si nota nel quadro raffigurante il musicista Bernardo Pasquini (Firenze, Conservatorio di musica Luigi Cherubini). Realizzò anche un autoritratto per la galleria del granduca di Toscana (Firenze, Galleria degli Uffizi), dove sul fondo si vede l’interno della chiesa di S. Ignazio ancora privo dei suoi affreschi. Una replica si trova nella chiesa del Gesù a Roma. Un intenso primo piano giovanile si conserva a Firenze (palazzo Pitti); si raffigurò anche in età avanzata seduto davanti al cavalletto (Trento, Castello del Buonconsiglio; il disegno preparatorio si trova nel Kunstmuseum di Düsseldorf, inv. n. FP.1980).

Fra gli incarichi di maggior prestigio che Pozzo ottenne spicca quello per realizzare, nel transetto sinistro della chiesa del Gesù, un sontuoso altare contenente l’urna con le sacre spoglie di s. Ignazio di Loyola.

Sin dalla canonizzazione di S. Ignazio (1622) diverse personalità munifiche, tra le quali l’imperatore Ferdinando II d’Asburgo, si erano proposte di esternare la propria devozione erigendo un degno santuario, emblema di un culto pervasivo a livello mondiale. Nulla si concretizzò, fino a quando i proventi di diverse collette attuate dai gesuiti delle province ispaniche d’oltremare raggiunsero la somma necessaria per iniziare i lavori. Il travagliato iter progettuale iniziò, verso la fine del 1694, con l’incarico da parte del preposito generale Tirso González, e sfociò da lì a poco in un vero e proprio concorso presieduto da Carlo Fontana.

Nel marzo 1695 furono pubblicamente esposti da Pozzo non meno di dodici diversi disegni, bozzetti e modellini, assieme ai progetti di due architetti estranei all’Ordine: Giovanni Battista Origoni e Sebastiano Cipriani; vincitore del concorso fu infine Pozzo, e nell’agosto dello stesso anno si poté aprire il cantiere, che si chiuse nel 1699 (Levy, 2004, pp. 84-106).

L’opera comprende, oltre alla maestosa edicola dell’altare stesso, due gruppi statuari posti ai fianchi, numerosi bassorilievi che ornano i piedistalli dell’edicola e le pareti a essa adiacenti, nonché un’elaborata balaustra, dotata di otto candelabri. Tale complessità e l’utilizzo di materiali svariati e preziosi (alabastro, lapislazzuli e altre pietre dure, argento e bronzo dorato) richiesero la partecipazione di una folta schiera di artisti e artigiani altamente specializzati. Per il loro coordinamento Pozzo fu assistito dal confratello Carlo Mauro Bonacina, che lasciò dettagliate testimonianze del lavoro (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Rom. 140: Ristretto dell’avvenuto nella fabbrica della cappella del nostro santo padre Ignatio nella chiesa della Casa Professa della Compagnia di Giesù di Roma, con l’aggiunta d’un’istruzzione per chi volesse fare una opera simile, cc. 3r-41v; Diligenze fatte per l’elezzione del disegno per la nuova cappella del nostro santo padre Ignazio, da farsi in questa chiesa del Giesù di Roma, cc. 46r-66r). Per la zona centrale dell’edicola si ideò una soluzione insolita: una pala dipinta che, per mezzo di un dispositivo di argani, poteva essere calata e rimossa facendo apparire una nicchia contenente una monumentale statua argentea del santo, realizzata da Pierre Le Gros il Giovane.

Nel 1697 iniziarono i lavori per l’altare di S. Luigi Gonzaga a S. Ignazio. La sua struttura, leggermente concava e plasticamente articolata in quattro colonne tortili e frontespizi mistilinei spezzati, avrebbe riscontrato una notevole fortuna internazionale; esempi derivati dal suo disegno – pubblicato, come pure alcuni progetti preparatori, nel trattato di Pozzo – sono riscontrabili in tutto il mondo. Un’ulteriore versione non realizzata è nota grazie a un modello ligneo originale (Roma, Museo nazionale di Castel S. Angelo).

I vasti e ambiziosi cantieri romani esigevano la formazione di una qualificata manovalanza artistica. Da ciò nacque in Pozzo l’idea di avviare l’insegnamento teorico e pratico nell’ambito di una propria accademia, istituita «in una vasta soffitta del Collegio del Gesù» (Baldinucci, 1975, pp. 333 s.), dove «scolari di varie nazioni», anche esterni all’Ordine, vennero istruiti nel disegno e nella pittura, nell’architettura e nelle regole della prospettiva, nonché nella tecnica dell’incisione.

Dall’attività didattica scaturì la stesura del celebre trattato Perspectiva pictorum et architectorum, dato alle stampe in due parti: la prima pubblicata nel 1693 e la seconda nel 1700. La prima edizione in latino e italiano venne presto seguita da traduzioni in inglese, francese, tedesco e fiammingo, come pure da una versione xilografica in mandarino, redatta a Pechino nel 1729. Ciò garantì una diffusione globale dei principi dell’illusionismo di Pozzo.

Il testo, conciso e pragmatico, è strutturato seguendo criteri di un progressivo apprendimento basato sulla chiarezza delle immagini. L’obiettivo principale del libro consiste nella dimostrazione della persuasività dei marchingegni prospettici e nell’insegnamento del loro corretto impiego, accompagnati da perorazioni favorevoli a un’audace sperimentazione formale che, come nell’Altare capriccioso (A. Pozzo, Perspectiva, pars secunda, 1700, fig. 75) dotato di «colonne sedenti», sembrano capovolgere ogni regola canonica dell’arte. È a tali stravaganze che si riferisce Francesco Milizia (1781), quando scrive: «Chi vuol essere architetto a rovescio studj l’architettura di fra Pozzo» (p. 276). Nelle figure del secondo volume si rispecchia il crescente impegno dedicato da Pozzo alla progettazione di interi edifici, soprattutto chiesastici. Il proponimento di una Casa religiosa, concepita su pianta triangolare intorno a una chiesa esagonale, con tre absidi e un’alta cupola, ha un carattere prettamente ideale e potrebbe pertanto derivare da un saggio dell’insegnamento accademico. I disegni di una magnifica Chiesa rotonda (A. Pozzo, Perspectiva, pars secunda, 1700, figg. 88-91) sono invece riferibili a un progetto non realizzato per S. Maria delle Fornaci a Roma (ante 1694).

Strutture particolarmente aperte e movimentate, di tendenze dichiaratamente borrominiane, caratterizzano i suoi progetti per la facciata di S. Giovanni in Laterano del 1699 (figg. 83-87), e influenzarono fortemente successive proposte presentate per lo stesso edificio.

Il secondo volume della Perspectiva termina con una Breve instruttione sulla tecnica dell’affresco, con indicazioni pratiche sull’uso del colore e sulle fasi di esecuzione. Un utile riscontro dei vari tipi di pittura murale impiegati da Pozzo si ha oramai grazie ai risultati emersi dai diversi restauri.

L’intensa attività architettonica degli ultimi anni del periodo romano si rivolse soprattutto alle numerose fabbriche della provincia romana dell’Ordine: progetti messi in opera per S. Ignazio a Dubrovnik (1699, disegni autografi in Roma, Archivio generale delle Scuole pie, Reg. Prov. 40,1-2), e ancora disegni rimasti su carta (databili al 1700-02) per il collegio di Siena (Parigi, Bibliothèque nationale, Cabinet des estampes, Hd-4b.61-62), per S. Apollinare (Bösel - Garms, 1981, pp. 372-375) e per S. Tommaso di Canterbury a Roma (Roma, Archivio del Venerabile Collegio inglese, Cartella Pozzo, nn. 1-4). In particolare, il progetto per la ricostruzione di S. Tommaso di Canterbury costituisce una delle creazioni architettoniche più singolari di Pozzo: parafrasando il S. Andrea al Quirinale di Gian Lorenzo Bernini, l’artista insistette sull’organica compenetrazione di differenti entità spaziali e sull’enfatizzazione di valori scenografici introducendo una «cupola a due volte» (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Rom.122, c. 386v), motivo presente anche in uno dei suoi progetti lateranensi, nonché in quello per la chiesa del Gesù a Montepulciano.

Verso il 1700 Pozzo esercitò la funzione del consiliarius aedificiorum: la disamina dei progetti giunti alla Curia generalizia dell’Ordine per ottenerne l’approvazione lo coinvolse a tal punto che partecipò a numerose imprese edili, suggerendo proposte migliorative, ma fornendo anche, a volte, dei propri disegni.

Gli vengono attribuiti i progetti per S. Ignazio a Belluno (1704) e per S. Francesco Saverio a Trento (1706); un suo disegno per la chiesa dei gesuiti di Novara, documentato dalle fonti (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Med. 43, c. 240r), è da considerarsi perduto. Sono di sua paternità, inoltre, gli altari di S. Sebastiano a Verona (del 1690 circa; trasferito a Cellore d’Illasi) e di S. Maria delle Grazie ad Arco (1697).

Tra il 1701 e il 1702 riavviò a Montepulciano il cantiere al Gesù, un edificio su pianta ovale, già iniziato sulla base di un progetto di Origoni, considerato troppo dispendioso; ancora, intraprese la decorazione pittorica del salone di palazzo Contucci, dove l’aiuto pittore Antonio Colli concluse i lavori. Nel 1702 Pozzo fece l’altare della collegiata di Lucignano e dipinse le pale con S. Francesco Saverio nelle chiese gesuitiche di San Sepolcro e di Arezzo. Ad Arezzo realizzò la finta cupola nella chiesa delle Ss. Flora e Lucilla.

Le finte cupole conobbero un sì grande riscontro da divenire in breve tempo l’idea prospettica maggiormente diffusa di Pozzo, la sua più emblematica eredità nella pittura illusionistica. Il loro successo fu eguagliato soltanto dalla fortuna degli altari, reali o dipinti, che, grazie alle relative riproduzioni nel trattato, si affermarono come modelli esplicitamente gesuitici in tutta Europa, nonché nelle terre di missione dalla Cina alle Americhe.

Nel 1702, su invito dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, si recò a Vienna, dove avrebbe vissuto fino alla morte. Lasciò Roma passando per Firenze e Trento. A Vienna ebbe l’incarico di affrescare l’interno della Peterskirche, tempio di un’arciconfraternita fondata dallo stesso sovrano; alcuni temporeggiamenti attardarono però il compimento della costruzione, e il suo contributo si limitò a qualche minore intervento iniziale, in seguito rimosso. L’opera più significativa del periodo viennese fu il radicale rifacimento interno della chiesa del Collegio gesuitico, oggi Universitätskirche (1703-09).

L’intervento – architettonico quanto pittorico – si basa su un avvincente uso di accenti plastici, cromatici e scenografici, nonché su un concetto illusionistico che mette in gioco la stessa tipologia dell’edificio: una finta cupola affrescata nel centro della volta a botte sembra ingannevolmente annullare l’effettivo orientamento longitudinale dello spazio. Il ciclo pittorico – un trionfo della fede espresso in chiave mariana e angelica e basato su diversi motti salmodici – si sviluppa su complessivi sei scompartimenti della navata e del presbiterio e preludia all’Assunzione della Vergine raffigurata nella pala dell’altare maggiore.

In diverse chiese di Vienna, su suo disegno, furono eretti altari: strutture a baldacchino più o meno spettacolari, ma eseguite con materiali piuttosto poveri o addirittura con tecniche affini alle macchine effimere. Fu il caso degli altari, scomparsi, nella chiesa dei Trinitari (Alserkirche), in quella dei Fatebenefratelli (Kirche der Barmherzigen Brüder) nel quartiere Leopoldstadt, nella cappella del castello di Schönbrunn, e dell’altare, tuttora esistente, della Franziskanerkirche, eseguito tra il 1706 e il 1707 (Pascoli, 1981, p. 201). Anche la chiesa am Hof, tempio della Casa professa dei gesuiti, possedeva un capolavoro dell’altaristica pozziana: sopravvive un piccolo frammento della pala d’altare, ma il suo aspetto d’insieme ci è noto tramite un disegno di Salomon Kleiner (Austin, Blanton Museum of art, Suida-Manning Collection).

Un’ulteriore testimonianza grafica rende edotti sul più rilevante intervento effimero realizzato da Andrea Pozzo a Vienna: l’apparato funebre (1705) per Leopoldo I nella chiesa del Collegio dei gesuiti (Universitätskirche).

Accanto alla corte imperiale e agli stessi gesuiti fu il principe Johann Adam Andreas von Liechtenstein a distinguersi come il maggiore committente viennese dell’artista. Nella sua villa suburbana (Gartenpalais Liechtenstein in der Rossau) Pozzo affrescò la volta del salone (1704-08): un Trionfo di Ercole raffigurato come una visione celestiale incorniciata da prospettive architettoniche. Allo stesso principe fornì, inoltre, progetti per le parrocchiali di Lichtenthal a Vienna (Brno, Moravská galerie, Dipartimento dei disegni e delle stampe, inv. n. B.14793) e di Pozořice in Moravia (Rizzi, 1993, pp. 224 s.).

Negli ultimi anni di vita Pozzo era intenzionato a tornare in Italia, dove l’avrebbero atteso importanti impegni: a Venezia, come progettista e pittore al servizio della nuova chiesa dei gesuiti, e a Roma, dove papa Clemente XI avrebbe voluto incaricarlo di affrescare l’interno di S. Maria degli Angeli.

Morì il 31 agosto 1709 a Vienna; fu seppellito con grandi onori nei sotterranei della chiesa della Casa professa.

Tra i numerosi suoi seguaci vanno segnalati i pittori Giuseppe Barberi, Carlo Gaudenzio Mignocchi, Kasper Bażanka, Christoph Tausch e Johann Hiebel.

Opere. Perspectiva pictorum et architectorum, pars prima, Romae 1693, pars secunda, Romae 1700; Copia d’una lettera scritta da Andrea Pozzo […] all’illustrissimo et eccellentissimo prencipe Antonio Floriano di Liechtenstein, ambasciadore dell’augustissimo imperadore Leopoldo Ignazio presso la santità di nostro signore papa Innocenzio XII circa alli significati della volta da lui dipinta nel tempio di Sant’Ignazio in Roma, Roma 1694.

Fonti e Bibl.: La maggior parte dei documenti relativi ad Andrea Pozzo si conserva a Roma presso l’Archivum Romanum Societatis Iesu.

P.A. Orlandi, L’abecedario pittorico, Bologna 1719, p. 344; G.A. Patrignani, Menologio di pie memorie d’alcuni religiosi della Compagnia di Gesù […] Dall’anno 1538 sino all’anno 1728, III, Venezia 1730, pp. 253-256; F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni, II, Parma 1781, pp. 275-276; A. Comolli, Bibliografia storico-critica dell’Architettura civile ed arti subalterne, III, Roma 1791, pp. 172-175; F.S. Baldinucci, La vita del padre A. P. (manoscritto del 1725-30 circa), a cura di E. Benvenuti, in Atti della Imperial Regia Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati in Rovereto, XVIII (1912), pp. 207-237; Id., Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII: prima edizione integrale del Codice Palatino 565 (manoscritto del 1725-30 circa), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 314-337; Id., in Zibaldone baldinucciano. Scritti di Filippo Baldinucci, Francesco Saverio Baldinucci, Luca Berrettini, Bernardo de Dominici, Giovanni Camillo Sagrestani e altri (manoscritto del 1725-30 circa), a cura di B. Santi, II, Firenze 1981, pp. 383-414; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti viventi: dai manoscritti 1383 e 1743 della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia (1730-1736), Treviso 1981, pp. 199-201; G. Marini, P. A., in L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni (1730-1736), ed. critica dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992, pp. 691-715.

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