PALMIERI, Andrea Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALMIERI, Andrea Matteo

Giulio Sodano

PALMIERIAndrea Matteo. – Non è possibile specificare la data di nascita né i nomi dei genitori di questo cardinale del XVI secolo.

La data 10 agosto 1493, indicata in alcuni siti web ecclesiastici, non trova riscontro nei pochi cenni biografici a disposizione e, al contrario, discorda con la notizia secondo la quale Palmieri aveva 26 anni quando ottenne da Leone X l’arcivescovado di Acerenza e Matera, tanto che, non avendo compiuti i 27 anni previsti dalle norme canoniche, fu necessaria una dispensa pontificia.

Camillo De Lellis (1701) – che lo segnala come cardinale eletto da Clemente VII – attesta una generica diffusione della famiglia Palmieri in diverse parti d’Italia e nel Regno di Napoli, dove esponenti del casato si erano distinti come signori feudali e militi.

Era certamente nipote del vescovo Vincenzo Palmieri, che  gli cedette l’arcivescovado di Acerenza e Matera nel 1518.  Ricevette la berretta col titolo di S. Clemente a Castel S. Angelo il 21 novembre 1527, nella seconda promozione di cardinali di Clemente VII, il quale in quell’occasione favorì l’elezione al cardinalato di diversi elementi napoletani: con Palmieri ottennero infatti la porpora Antonio Sanseverino, già cardinale in pectore di Leone X, Vincenzo Carafa, nipote del cardinale Oliviero, e Sigismondo Pappacoda, un gruppo che non godeva di buona reputazione, come si evince  dal duro giudizio espresso sulla loro qualità da Francesco Guicciardini nel libro XVIII della Storia d'Italia (ed. a cura di G. Rosini, Firenze 1835, p. 771). Le nomine erano state, peraltro, notoriamente dettate dalle esigenze finanziarie di Clemente VII, che trasse da quella elezione circa 100.000 scudi. Va, tuttavia, detto che Lorenzo Cardella, uno dei pochissimi biografi di Palmieri, lo descrive (1793, pp. 94 s.) come «giovane di indole egregia», le cui eccellenti qualità «unite ad uno specchiato candore di costumi» lo resero benvoluto non solo da Clemente VII e dal suo successore Paolo III, ma anche dall'imperatore Carlo V. Pietro Paolo Vergerio indica in Palmieri e in Agostino Trivulzio i cardinali più intimi di Paolo III negli anni successivi alla sua elezione (Setton, 1984, p. 403).

Come molti ecclesiastici del tempo, impegnati più nella vita curiale che in quella pastorale, è molto probabile che Palmieri sia stato poco o per nulla presente nelle sue pertinenze ecclesiastiche. La presa di possesso della cattedra di Matera avvenne il 9 settembre 1518, attraverso procura, da parte tali Giovanni de Pegorre di Monteleone  e Simeone de Novella di Eboli. Il primo fu poi nominato vicario generale. Successivamente come vicario risulta  Pietro de Querquis, vescovo di Mottola, alla cui morte fece seguito il vescovo di Bisceglia, Girolamo Sifolo.

La diocesi di Matera e Acerenza, come numerose altre del Regno di Napoli tra Quattro e Cinquecento dominate dal nepotismo, costituiva una sorta di possesso della famiglia Palmieri: dieci anni dopo averla ricevuta dallo zio Vincenzo, Andrea Matteo la cedette a suo fratello Francesco, al quale aveva già precedentemente concesso la diocesi di Sarno, di cui era entrato in possesso in occasione della sua elezione  a cardinale. All’epoca della giurisdizione di Francesco, a seguito della pace tra Carlo d’Asburgo e Clemente VII (29 giugno 1529), la diocesi di Matera e Acerenza venne annoverata tra le 24 cattedre vescovili di nomina regia, probabilmente non a caso, visto che era in saldo possesso di una famiglia vicina all’imperatore. Francesco entrò effettivamente a Matera il 9 gennaio 1529, ma morì improvvisamente nell’agosto dello stesso anno a Miglionico. L’arcivescovado ritornò, quindi, ad Andrea Matteo, il quale subito lo riassegnò, prima provvisoriamente e poi, nel 1531, definitivamente a Giovanni Michele Saraceno, dando inizio al dominio dei Saraceno come vescovi di quella diocesi.

L’attività di concessioni e successive cessioni di amministrazioni di cattedre vescovili nel corso degli anni Trenta da parte di Palmieri fu frenetica. Nel 1535 ottenne la Chiesa di Conza, una delle arcidiocesi più estese del Mezzogiorno, che per 18 anni, fino alla rinuncia del 14 giugno 1535, era stata retta da Camillo Gesualdo; l’affidamento, nonostante fosse in amministrazione perpetua, durò pochissimo, poiché Palmieri già il mese successivo riassegnò la diocesi, con diritto di regresso, a Troiano Gesualdo, nipote di Camillo e figlio del conte di Conza Fabrizio Gesualdo. Amministrò la Chiesa di Sarno  dal 1527 fino al 1530, quando, come si è detto, vi rinunciò a favore del fratello. Paolo III nel 1534 gli accordò l’amministrazione della Chiesa di Lucera e il 5 luglio dell’anno successivo gli diede in commenda quella di Policastro, di cui Palmieri restò titolare fino alla morte.

Il cardinale non ebbe contatti esclusivamente con diocesi del Regno di Napoli ma, a vario titolo, anche con realtà ecclesiastiche extraregnicole. Giovan Battista Moroni (1845, XXXIII, p. 86) lo cita come governatore, nominato da Clemente VII nel 1533, della città vescovile umbra di Gualdo Tadino: in quella veste avrebbe operato una deviazione dell’antica via Flaminia, facendola passare proprio per Gualdo, e sedato diversi tentativi di ribellione. Paolo III nel 1535 gli concesse l’amministrazione di Conferans in Guascogna e nello stesso anno Ravenna lo designò come suo protettore, presentandogli «un bellissimo regalo» consegnatogli a Roma da tal Ubertello Gordi (Pasolini, 1682, p. 49).

Tra tanti incarichi e amministrazioni, l’unica notizia genuinamente religiosa è la devozione che nutrì nei confronti della Madonna di Loreto, il cui santuario visitò  e beneficiò di numerosi doni votivi. Prima della nomina cardinalizia, sotto il pontificato di Adriano VI, aveva coltivato con passione l’organizzazione di una crociata antiturca: giunta notizia in Italia dell’assedio di Rodi, aveva manifestato al papa la volontà di andare come commissario apostolico nell’isola dell’Egeo e di impegnarsi in una raccolta di fondi o di assoldare a sue spese uomini armati tra Napoli e la Spagna. L’impresa, tuttavia, sembra non trovasse il pontefice particolarmente entusiasta, tanto che l’arruolamento procedette a rilento, per poi essere definitivamente interrotto allorquando giunse la notizia della caduta di Rodi, che rendeva vana qualsiasi iniziativa di difesa dell’isola.

Negli ultimi mesi del 1536, all’apice della sua fortuna politica, Palmieri fu nominato da Carlo V governatore di Milano. La vicinanza del cardinale all’imperatore risaliva a molto tempo prima ed era nota già all’epoca della sua nomina al cardinalato. Il fatto stesso che nel 1522 avesse accompagnato Adriano VI nel suo viaggio dalla Spagna all’Italia, dopo l’elezione al soglio pontificio, conferma che Palmieri frequentasse la penisola iberica e i circoli vicini alla corte. Biagio Aldimari (1691, p. 406) a proposito della famiglia Palmieri cita, inoltre, un fratello di Andrea Matteo, Giovanni Vincenzo, che nel 1533 ricevette l’abito di S. Giacomo dallo stesso Carlo V.

Palmieri morì improvvisamente, all’età di 44 anni, all’inizio del 1537, probabilmente mentre era in procinto di lasciare Roma alla volta di Milano.

Le testimonianze in proposito sono discordi. Secondo alcune fonti morì a Milano all’inizio del suo mandato e fu sepolto lì. L’esclusione del suo nome dalle liste dei governatori di Milano, indice della mancata presa di possesso della carica, rende più plausibile l'ipotesi – ripresa  da Cardella che afferma di aver tratto le sue informazioni da registri vaticani – che sia morto a Roma e lì sepolto nella chiesa di S. Maria del Popolo. Cesare d’Engenio (1623), invece,  scrive che il corpo del cardinale fosse stato trasportato da Milano a Napoli per essere sepolto nella chiesa di S. Caterina dei frati domenicani a Formello.

Fonti e Bibl.: C. Campana, Compendio historico delle guerre ultimamente successe tra Christiani e Turchi e tra Turchi e Persiani, Venezia, A. Salicato e G. Vincenti, 1597, pp. 13, 56; A. Chacón,  Vitae, et gestae summorum Pontificum ab Innocentio IV usque ad Clementem VIII, nec non S. t S. R. E. Cardinalium cum eorum insignibus liber secundus, Romae 1601, p. 1098; C. d’Engenio, Napoli Sacra, Napoli 1623, p. 151; S. Pasolini, Lustri ravennati dall’anno mille e cinquecento ventuno fino all’Anno mille e cinquecento ottanta otto..., Bologna 1682, p. 49; B. Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, così napoletane, come forestiere…, Napoli 1691, p. 406; C. De Lellis, Discorsi postumi ... di alcune poche nobili famiglie con annotazioni in esse e supplemento di altri discorsi genealogici ..., Napoli 1701, pp. 235 s.; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa ..., IV, Roma 1793, pp. 94 s.; F.P. Volpe, Memorie storiche profane e religiose su la città di Matera, Napoli 1818, pp. 288-290; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1845, XXXIII, p. 86, XLIII, p. 268, ; G. Normandia, Notizie storiche ed industriali della città di Sarno, Napoli 1851, pp. 173 s.; G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino a nostri giorni, vol. XX, Venezia 1866, p. 372; K.M. Setton, The Papacy and the Levant (1204-1571), III, The Sixteenth century, Philadelphia 1984, p. 403; M. Spedicato, Il mercato della mitra. Episcopato regio e privilegio dell’alternativa nel Regno di Napoli in età spagnola (1529-1714), Bari 1996, p. 27.

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