DE GENNARO, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DE GENNARO, Andrea

Franca Petrucci

Nacque da Bartolomeo e da una nobildonna che alcune fonti dicono Nardella D'Afflitto, ed altre Margherita Ferrella. Uomo d'armi e di corte, fu attivo nel Regno di Napoli nella seconda metà del sec. XV. Prese in moglie Caterina Scarrera, da cui ebbe Scipione, Fabrizio, Giov. Ferrante, Cecilia e Isabella, che sposò Camillo Cantelmo.

Il suo nome ricorre per la prima volta fra quelli di coloro che seguirono Alfonso, duca di Calabria, quando egli, iniziata dopo il fallimento della congiura dei Pazzi la cosiddetta guerra di Toscana (1478), si portò con l'esercito napoletano in Val di Chiana. Rimase con il duca in Toscana, molto probabilmente, durante tutta la campagna e successivamente, quando, raggiunto l'accordo fra Lorenzo de' Medici e Ferrante d'Aragona, Alfonso si insediò in Siena. Seguì l'esercito napoletano quando questo fu precipitosamente richiamato nel Regno dopo l'attacco condotto contro le coste pugliesi dai Turchi di Maometto II, che erano riusciti a impadronirsi di Otranto (28 luglio-11 ag. 1480). Il D. prese parte all'assedio della città pugliese, sotto le cui mura rimase fino a che, morto Maometto II (3 maggio 1481), le armi napoletane non riuscirono a recuperarla (10 sett. 1481). L'anno dopo, scoppiata nel maggio la guerra di Ferrara che vedeva Sisto IV e Venezia alleati contro Ercole d'Este sostenuto da Napoli, da Firenze e da Milano, il duca di Calabria con l'esercito napoletano si portò nel Lazio, in territorio di dominio pontificio, dove però il 21 agosto fu battuto a Campomorto (Velletri). Il D., che come uomo d'arme aveva seguito il principe prendendo parte alle varie fasi della campagna, ne condivise la sorte, insieme con il fratello Princivalle. Con quest'ultimo aveva compiuto anche le altre imprese e nel 1481 aveva svolto un incarico diplomatico a Milano.

Quando a Chieti, nel giugno del 1485, il duca di Calabria riuscì a far prigioniero il conte di Montorio Pietro Lalle Camponeschi - fu questa una delle azioni che determinarono lo scoppio della congiura dei baroni -, il D. si trovava presso il duca di cui era allora camerlengo: in quell'occasione era stato chiamato dal campo "cum certi homini d'arme bene in ordine e certi fanti boni". Il D. si trattenne presso Alfonso di Calabria per tutta l'estate: nell'agosto ebbe modo con una inziativa personale di sollecitare a Francesco Zurlo la consegna di Nocera per l'Aragonese. Scoppiata la rivolta ad onta degli accordi della conferenza di Miglionico, nel novembre fu inviato dal duca di Calabria a Napoli, presso il padre Ferdinando; nel gennaio 1486 era al comando di sei squadre che operavano nel Lazio, dove si era portato l'esercito napoletano. Rimase in seguito costantemente presso il duca di Calabria, mentre terminava la guerra e il re schiacciava la congiura. Nel 1489, in seguito ad un incidente, si ruppe una gamba, cosa che dette occasione ad Alfonso di dimostrargli la sua benevolenza. Nel maggio del 1490 fu inviato come ambasciatore in Ungheria. Non è noto lo scopo della sua missione; si ritiene tuttavia che tale missione; sia da mettersi in relazione con la morte di Mattia Corvino, genero di re Ferdinando (6 apr. 1490), e con il fatto che la vedova, Beatrice d'Aragona, priva di prole, si trovava in una difficile situazione. Ritornò nel novembre e riprese il suo posto accanto al duca di Calabria.

Il D. persistette nel suo atteggiamento di fedeltà nei confronti dei dinasti aragonesi anche quando Carlo VIII si impadronì del Regno. Dopo la restaurazione di Ferdinando II (7 luglio 1495) assistette, nel 1495, e si sottoscrisse come testimone al testamento di Alfonso II che aveva abdicato il 23 gennaio di quell'anno. Per Ferdinando II recuperò Castelnuovo a Napoli, ricevendo dal sovrano, in feudo, Martirano, con il titolo di conte, La Motta di Santa Lucia e il casale di Conflenti, in Calabria Citra. Viveva ancora ed era ancora fedele alla casa d'Aragona nel 1496, quando il re Federico, successo al nipote Ferdinando II il 7 ott. 1496, gli confermò i feudi già in suo possesso e gli concedeva Scigliano, Altilia e Grimaldi.

Il D. morì in data a noi ignota: forse gli fu risparmiato di vedere la rovina degli Aragona, che aveva servito tutta la vita.

Il suo corpo fu seppellito a Napoli, nella chiesa di S. Maria di Monte Oliveto, dove il D. stesso, quand'era ancora in vita, si era fatto preparare un sepolcro con una lapide su cui era stata lasciata in bianco l'indicazione dell'età e dell'anno mortuale. Quando il corpo del D. fu sepolto, sulla lastra fu apposta come data del suo trapasso il 1490, che contrasta con gli elementi forniti dalle altre fonti e più sopra esposti.

Fonti e Bibl.: C. D'Engenio Caracciolo, Napoli sacra, Napoli 1624, p. 509; G. P. Leostello, Effemeridi delle cose fatte per il duca di Calabria (1484-1491), in G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle prov. napol., I, Napoli 1883, ad Ind.; C. De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Napoli 1654, pp. 274 s.; G. Paladino, Per la storia della congiura dei baroni..., in Arch. stor. per le prov. napol., n. s., VI (1920), p. 356; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, pp. 234, 433 ss.

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