Anagramma

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

anagramma

Stefano Bartezzaghi

Preistoria dell’anagramma

L’anagramma (dal gr. aná «sopra» e grámma «lettera») è la condizione per cui due (o più) parole o due (o più) altre sequenze linguistiche sono costituite dallo stesso insieme di lettere (più raramente, di suoni), disposto linearmente in ordine diverso. Avendo come oggetto uno stato di fatto, molto prima che un gioco, la storia dell’anagramma è la storia del modo in cui tale stato di fatto è stato diversamente riconosciuto, ed eventualmente denominato, e della funzione che gli è stata di volta in volta attribuita.

Il primo anagramma attestato con certezza non fu denominato in alcun modo. Si tratta della constatazione che Platone riprese dalla tradizione sapienziale, a proposito del nome di Era, formato dalle stesse lettere del nome aér «aria»: «Ma, forse, il legislatore, indagando i fenomeni celesti denominò Era l’aér in modo nascosto, ponendo l’inizio alla fine: lo comprenderesti, se ripetessi più volte il nome di Era» (Cratilo, 404 C). Tale osservazione viene fornita come una convincente – perché autoevidente – dimostrazione del motivo per cui Era è dèa dell’Aria. È la «via dei nomi», come fu poi teorizzata dal cabalismo di Abramo Abulafia (1240 - c. 1291) e praticata, anche in ambiente cristiano, da Pico della Mirandola (1463-1494), che dimostrò l’origine divina di Cristo osservando che il suo nome si ricava aggiungendo una s, la lettera che significa «essere, esistenza», all’impronunciabile tetragramma vocalico. In questa concezione, la relazione fra nomi è una funzione della relazione fra le cose nominate: l’anagramma è visto come una forma criptica o subliminale (comunque eloquente per chi la riesca e identificare) di omonimia, una corrispondenza segreta dei nomi che testimonia di una corrispondenza segreta fra le cose.

Così come il primo anagramma non ebbe nome, il primo uso del nome anagramma ha avuto un impiego generico di trasposizione di sillabe o anzi di reinterpretazione di unità linguistiche. Il luogo è il trattato di Artemidoro sui sogni (II-I sec. a.C.), che descrive (sconsigliandola) la pratica dell’‘anagrammare’ i contenuti linguistici di un sogno. L’esempio è il sogno di Alessandro, dove un satiro (satyros) può stare per l’enunciato predittivo sa Tyros «la città di Tiro sarà tua». Il termine anagramma qui indica con tutta evidenza una generica manipolazione delle lettere del nome, che ritornano in forma non disordinata ma con una semplice differenza di scansione.

A entrambi i casi è comune una considerazione del linguaggio di tipo analitico e atomistico: la parola è un dato che è possibile scomporre, e le componenti (in sé non associate a significato) che così si ottengono hanno rilevanza per la sua interpretazione.

La nozione più diffusa di anagramma, che prevede una riorganizzazione dell’ordinamento delle stesse lettere di una sequenza, viene tradizionalmente datata all’età alessandrina, sotto Tolomeo Filadelfo (III sec. a.C.), quando sarebbero sorti contemporaneamente:

(a) l’anagramma come forma di onomanzia encomiastica sui nomi dei sovrani (Ptolemàios e Arsinòe rispettivamente interpretati come apò mélitos «di miele», e Eras íon «violetta di Era», dal poeta di corte Licofrone);

(b) l’anagramma come forma di manipolazione del Testo Sacro, nelle discussioni talmudiche che furono alla base della posteriore tradizione della kabbalah (in cui la permutazione delle lettere prende il nome di temurah).

Le due vie dell’anagramma, apparentemente votate l’una al gioco l’altra alla mistica, si incrociarono nuovamente nel Rinascimento, nell’opera di Giulio Camillo Delminio (1485-1544). La fiorente anagrammatica barocca usò (b) come sfondo colto ed esoterico di (a): la connotazione mistica ed esoterica passò definitivamente in secondo piano e, con tutte le suggestioni connesse a ogni metamorfosi combinatoria, l’anagramma diventò essenzialmente un gioco. Quella fu anche l’epoca in cui il termine anagramma divenne definitivamente il nome di tale fenomeno.

L’anagramma negli pseudonimi

In tutta l’antichità non vi è (o non si conosce) un solo caso in cui l’anagramma non venga scoperto fra due sequenze linguistiche preesistenti (come Era e aér in Platone) ma venga costruito artificialmente da un autore. È suggestivo che ciò, in tutta evidenza, capiti con l’autore di una cosmologia a sfondo satirico, e per un’esigenza di mascheramento: l’anagramma è il nome di Alcofribas Nasier con cui François Rabelais (1494-1553) firmò i primi due libri di Gargantua e Pantagruel, per eludere la censura della Sorbonne.

Pseudonimi e alter ego anagrammatici furono poi adottati e messi in scena da molti altri autori. Per dare un’idea della loro varietà, si possono citare Giovan Battista Basile, Voltaire, Jonathan Swift, Renato Fucini, Vladimir Nabokov, Carlo Emilio Gadda, Guido Ceronetti.

L’anagramma come gioco

Nel Cinquecento l’arte anagrammatica, a cui si attribuivano ancora connotazioni mistiche o misteriche, venne praticata soprattutto come gioco poetico, a fini encomiastici, spesso su nomi di sovrani (James Stuart = A just master; Marie Stuart = I’m a true star) o di donne amate (Marie Touchet = Je charme tout).

Emanuele Tesauro (1592-1675) classificò gli anagrammi fra le arguzie per equivoco e li definì come «Significationi pellegrine, risultanti dal Mutamento di un Nome proprio». Le loro «virtù» possibili sono due: «La Proprietà della significazione: sì ch’ella sia quadrante alla persona: e quasi per fatal mistero avviluppata e nascosta nel Vocabolo naturale» e l’«Integrità: in maniera che dalla sola Mutazion del sito delle lettere, senz’alcuno accrescimento o diminuzione o scambiamento di una lettera in un’altra nasca il Concetto pellegrino». Le due proprietà trovate da Tesauro sono tuttora pertinenti all’anagramma.

La «sola Mutazion del sito» è una condizione di esistenza dell’anagramma, condizione che nell’➔enigmistica odierna è considerata minima: necessaria ma non sufficiente. Di tutti gli schemi enigmistici che contemplano l’esatta equivalenza dei due insiemi di lettere che compaiono alle due parti del segno di uguale, l’anagramma è quello in cui le lettere tornano disposte in ordine caotico. Se Tesauro dà come esempio di anagramma la combinazione Roma = amor l’enigmistica contemporanea la definisce come bifronte, il tipo speciale di anagramma in cui le stesse lettere ritornano in ordine perfettamente inverso. Parimenti la condizione della «Mutazion del sito» è soddisfatta sia dall’esempio Lucia Mondella = lucida monella sia dall’esempio Lucia Mondella = docile, ma nulla; ma mentre il secondo caso realizza una permutazione caotica delle lettere del nome, nel primo l’unica lettera che cambia di posizione è la d, secondo lo schema enigmistico dello spostamento. Per i canoni dell’enigmistica contemporanea italiana è inesatto per imprecisione (ma non assolutamente erroneo) definire come anagrammi quegli schemi in cui le lettere cambiano ordine, in modo però non caotico. Tali schemi sono: lo spostamento, lo scambio, la sciarada (➔ sciarade), la sciarada alterna, l’incastro, l’intarsio, il bifronte, l’antipodo.

Per quanto riguarda la «Proprietà della Significazione», questa non è strettamente richiesta dall’enigmistica (intesa in senso stretto), ma caratterizza l’anagrammatica popolare e diffusa.

L’anagramma come gioco enigmistico

L’anagramma entrò nel novero degli schemi enigmistici nella seconda metà dell’Ottocento, ben dopo la sciarada, l’enigma e il ➔ rebus. Inizialmente fu considerata una forma di logogrifo, in origine il nome generico di tutte le trasposizioni dell’ordinamento delle lettere in una parola (con il Novecento, invece, per logogrifo si intese l’anagramma parziale).

Gli schemi enigmistici sono permutazioni combinatorie che riguardano indovinelli la cui soluzione è costituita non da una ma da più parole. L’anagramma è uno dei modi in cui le parole che costituiscono la soluzione di un indovinello complesso si combinano:

Umiltà di un principiante

Non so recitar, latro:

son più un cane che un xxxxxx a xxxxxx

Soluzione: attore = teatro. Dagli anni Venti, la forma di presentazione di indovinelli di questo genere ha abrogato la presenza della soluzione nel testo, mascherata dalla sequenza di incognite. L’enigmistica accademica del Novecento ha invece preso ad alludere alle parole della soluzione con testi a doppio senso:

Campione di formula uno

È in quinta, quindi viene allo scoperto

ed è spettacolare come parte.

Quando fa il pieno al box, il trionfo è certo.

In macchina sembra un dio: è la sua arte

Soluzione: attore = teatro (i primi due versi alludono all’attore: quinta, teatrale; spettacolare, in senso proprio, da spettacolo; parte, recitata; gli ultimi due versi si riferiscono al teatro: pieno al box, tutto esaurito al box office; macchina, dio: allusione al deus ex machina).

In entrambe le forme di presentazione, in particolare nella seconda, non è necessario che le parole della soluzione facciano riferimento l’una all’altra che Tesauro raccomandava come «Proprietà della Significazione» (e che è almeno parzialmente presente nell’esempio attore = teatro). Così l’enigmistica ha elaborato varietà di anagramma, basate su parole o locuzioni autonome:

strategia = sigaretta

grattacielo = l’arte gotica

l’asma bronchiale = il ballo in maschera

sogno / realtà = ergastolano

roulotte / sidecar = le ruote di scorta

infermeria / ospedaletto = le maestre di pianoforte

L’unico vincolo all’anagramma enigmistico è dato dal fatto di dover coinvolgere o singole parole presenti sul dizionario, o locuzioni fortemente standardizzate (come ruota di scorta, asma bronchiale, ballo in maschera), o parole in rapporto di attinenza semantica, per sinonimia (infermeria / ospedaletto), antonimia (sogno / realtà), appartenenza a un comune campo semantico (roulotte / sidecar).

Coerenza e consistenza sintattica e semantica sono invece richieste al cosiddetto anagramma a senso continuativo, dove le due parti di una stessa frase sono anagramma l’una dell’altra:

San Pietro, mitico (=) tempio cristiano

muraglioni (=) lungo i mari

tremenda fine (=) d’inerme fante

il Cireneo scortava (=) la Veronica e Cristo

l’ira d’una suocera (=) ricade su la nuora

la Croce Rossa (=) accorre al Sos.

L’anagramma come gioco non enigmistico

In italiano, come in altre lingue, l’anagramma viene praticato anche e soprattutto come gioco linguistico, in cui torna a essere richiesta la «Proprietà della Significazione» tesauriana.

Nella tradizione inglese si alternano l’aptagram e l’antigram, che alternativamente predicano una definizione del soggetto (aptagram: Piet Mondrian = I paint modern) o il suo contrario (antigram: funeral = real fun; evangelist = evil’s agent).

Questo gioco si è diffuso soprattutto dalla seconda metà del Novecento, pur avendo importanti ma sporadici precedenti, secondo due forme principali: la ricerca della definizione o lo sviluppo poetico. Il primo caso è quello più comune, ed è stato definito anche come onomanzia. Dato un soggetto, rappresentato da un nome proprio o comune, l’anagramma ne deve costituire una definizione o una descrizione plausibile.

Ci sono casi in cui l’anagramma fornisce una definizione enciclopedica perfetta:

Marco Antonio = antico romano

Clint Eastwood = Old West action

Carol Voitila [sic] = l’alto vicario

Elio Vittorini = Titoli: Viri e no

il Santo Natale = l’alta solennità

adulterio = il duo a tre

Nella maggior parte delle volte, un buon anagramma si limita a mettere in luce un aspetto del soggetto:

l’Aldilà misterioso = assillo dei mortali

Alec Guinness = genuine class

il matrimonio legale = marito, moglie, anelli

Maria Goretti = rigettò amori

anagrams = Ars magna

fioca protesta = fiato sprecato

La definizione può arrivare alla deformazione satirica:

Gianni Agnelli = inganni legali

Rocco Buttiglione = un clerico bigotto

Maurizio Costanzo = sorcio umanizzato

Vincent Auriol = voilà, un cretin!

mother-in-law = woman Hitler

Salvador Dalì = avida dollars

Dagli anni Novanta del Novecento, in Italia, questa forma di anagramma è uscita dalla cerchia ristretta delle rubriche di giochi, arrivando in alcuni casi alle pagine di cronaca politica dei giornali, come curiosità linguistica e tocco di colore.

La seconda forma, meno comune e più letteraria, di presentazione del gioco è il carme anagrammatico: una poesia in cui tutti i versi sono anagrammi del titolo. Come divertimento occasionale, questa forma ha avuto tra i suoi cultori Ennio Flaiano e Umberto Eco. Di Flaiano è uno dei più precoci esempi della moda tardonovecentesca dell’anagramma. Il suo Omaggio agli scrittori superrealisti (databile al 1965-66) è costituito da una serie di anagrammi – a base nonsensica – sul nome di Truman Capote:

Truman Capote

O Captan Trume

Captane Mortu.

Tru cop amante?

Turco tam pena?

Còpate, Truman

Umberto Eco pubblicò nel 1975 una serie di carmi anagrammatici su scrittori italiani:

Alberto Moravia.

Lì amavo Roberta,

ma volea abortir.

È morta! A! Roba vil ...

Amavo tribolare

(Umberto Eco, Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 1992)

Una forma diversa di carme anagrammatico è quella adottata da don Anacleto Bendazzi, culminata nella sua Vita di Cristo in mille anagrammi, composta nel 1944. In questa forma, ogni verso è diviso in due emistichi di cui il primo è l’anagramma del secondo. Cambiando a ogni verso le lettere da anagrammare, questa forma di carme anagrammatico è il più adatto a riprodurre sviluppi narrativi:

Ingresso a Gerusalemme

Siamo là – a Solima.

Vedo agile sopra vile giumento – montare il pio Gesù: dove va egli?

Tra folta – frotta, là

a Solima – omai sal.

Piene son le vie d’alto grido – devoto, dei pellegrini a Sion. E molti or si accalcan – e acclamano il Cristo.

Ansano: – «Osanna!»

(Anacleto Bendazzi, Bizzarrie letterarie, [Ravenna], presso l’autore nel Seminario di Ravenna, 1951).

L’anagramma poetico

Una ricerca di Ferdinand de Saussure, risalente ai primi del Novecento, rimasta incompiuta e pubblicata solo nel 1971, ipotizzava regole di tipo anagrammatico nella composizione dell’antico verso saturnio. Saussure aveva osservato la ricorrenza di fonemi in tali versi e aveva congetturato che esistesse addirittura un segreto di composizione che imponeva di ripetere ogni fonema all’interno del singolo verso, o nei versi immediatamente adiacenti. Dato che le risultanze delle sue analisi testuali non davano né conferme né smentite assolute alla sua ipotesi, provò a confermarla per linee extratestuali, chiedendo informazioni su questo punto al massimo poeta in latino della sua epoca, che era Giovanni Pascoli (il quale non rispose mai alla lettera in cui il linguista formulava i suoi interrogativi).

Riscoperta e commentata da Jean Starobinski (Starobinski 1971), l’ipotesi anagrammatica di Saussure ha influenzato le correnti critiche e teoriche del primo post-strutturalismo, incontrandosi con l’idea di «autonomia del significante» derivata dalla psicoanalisi di Jacques Lacan.

La ricerca di anagrammi (o, più propriamente, di paragrammi) abbandonò così la presupposizione di una norma vincolante di poetica per trasformarsi nella formulazione di un principio generale: il principio del parallelismo, per il quale la struttura del testo poetico invita di per sé alla ripetizione (non solo di suoni, ma anche di forme sintattiche e prosodiche). A parte casi come il leopardiano Silvia = salivi (prima e ultima parola della prima strofa dell’ode “A Silvia”) l’anagramma o paragramma poetico non è tenuto a rispettare rigorosamente la parità dei fonemi; inoltre è da ritenersi il più delle volte involontario o preterintenzionale.

Anagrammi involontari

Il gioco della combinatoria alfabetica rende sempre possibile (e più frequente di quanto ci si possa aspettare) l’esistenza di anagrammi involontari. Se esempi come quello leopardiano Silvia / salivi possono ancora lasciare il sospetto di un’intenzione d’autore, è sicuramente opera del caso (ovvero, della combinatoria) che il verso di ➔ Torquato Tasso «Senza remi le navi a noi conduce» sia anagramma del verso di ➔ Vincenzo Monti «Ed ecco vera innanzi e luminosa»; che siano l’uno anagramma dell’altro due settenari di “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” di ➔ Ugo Foscolo («traluceano di Venere» / «le cerve un dì traevano») o due endecasillabi rispettivamente del Burchiello («e ’invetriato par ciascun suo osso») e di Luigi Pulci («se tu trovassi a caso un pecorino»).

L’espressione «leopardy of words» impiegata nella sua poesia “The Poem” da Vladimir Nabokov (autore di diversi anagrammi nelle sue opere) in italiano può essere tradotta letteralmente solo da un anagramma che con ogni probabilità l’autore non avrebbe sospettato: leopardi di parole. Italo Calvino aveva coniato per Elsa de’ Giorgi il soprannome di Raggio di sole e tramite tale soprannome le aveva dedicato il libro delle Fiabe italiane (1956). Quando qualcuno risalì al nome reale della dedicataria, ricavandolo da un anagramma (leggermente imperfetto) del nome e cognome dell’attrice, Calvino se ne stupì: non era consapevole del fatto che Raggio di sole aveva tutte le lettere (tranne una) in comune con il nome Elsa de’ Giorgi.

Studi

Bartezzaghi, Stefano (2004), Incontri con la Sfinge. Nuove lezioni di enigmistica, Torino, Einaudi.

Bartezzaghi, Stefano (2010), Scrittori giocatori, Torino, Einaudi.

Bendazzi, Anacleto (1951), Bizzarrie letterarie. Migliaia di frasi anagrammate …, [Ravenna], presso l’autore nel Seminario di Ravenna.

Dossena, Giampaolo (2004), Il dado e l’alfabeto. Nuovo dizionario dei giochi con le parole, Bologna, Zanichelli.

Eco, Umberto (1992), Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani.

Pozzi, Giovanni (1984), Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Bologna, il Mulino.

Starobinski, Jean (1971), Les mots sous les mots. Les anagrammes de Ferdinand de Saussure, Paris, Gallimard (trad. it. Le parole sotto le parole. Gli anagrammi di Ferdinand de Saussure, Genova, Il Melangolo, 1982).

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