Amuleto

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Amuleto

J. Engemann
S.H. Fuglesang
G. Vikan
M. Bernardini

PARTE INTRODUTTIVA

di J. Engemann

Con questo termine si designano genericamente oggetti, per lo più di piccole dimensioni, ritenuti in grado di allontanare il male dalle persone che li indossano o anche di proteggere animali o luoghi particolari, la casa, i campi, la stalla, eccetera. In antico, il termine amuletum era usato con un'estensione più vasta, in riferimento a tutti gli oggetti cui veniva riconosciuta una funzione apotropaica.

L'etimologia del termine è controversa (Eckstein, Waszink, 1950), ma deriva probabilmente dal lat. amoliri 'respingere'. Vocaboli che ricorrono di frequente sono anche filatterio, dal tardo lat. phylacterium (gr. ϕυλάσσειν 'difendere, proteggere') e, in particolare nel Medioevo, ligamentum o ligatura (dal lat. ligare), giacché gli oggetti-a. venivano anche legati alle membra, specialmente per scopi terapeutici (e dunque per una sorta di difesa magica contro i 'dèmoni' ritenuti causa della malattia).

Documentati da una cospicua varietà di oggetti di diverse forme e materiali, gli a., nei loro differenziati aspetti funzionali, ebbero una vastissima diffusione per tutto il Medioevo e in ogni ambito, area e settore culturale e geografico.

OCCIDENTE

di J. Engemann

Il materiale conservato o tramandato testimonia il sussistere in Occidente per tutto il Medioevo di un concetto di prevenzione magica del male, basato sia sulle proprietà attribuite alla materia di cui erano costituiti gli a., sia sul modo di portare questi ultimi. Una visione d'insieme del fenomeno risulta tuttavia molto complessa, in primo luogo per la difficoltà di qualificare con certezza un oggetto come a. in relazione a un più generico valore decorativo o di ricordo, come nel caso per es. di pendenti con monete o di monete bratteate (Veit, 1982; Hauck, 1982), di dischetti ornamentali (Renner, 1970) e fibule; è necessario inoltre considerare che, con il progressivo estinguersi dell'usanza di porre nelle sepolture corredi funerari, dal sec. 8° in poi si restringe di riflesso, sino a ridursi a un numero esiguo, la quantità di a. conservatisi. Del resto, una chiara valutazione del materiale rinvenuto è impedita dall'assenza di una sistematica raccolta e catalogazione dei reperti.

Circa il modo di portare gli a. è attestata nel Medioevo l'usanza di porre elementi apotropaici nel diadema di un sovrano, già definita da s. Ambrogio particolarmente importante per la salvaguardia dell'intelletto (De obitu Theodosii oratio, 41-49; PL, XVI, coll. 1462-1465). La prima menzione di una corona con un frammento della Croce si trova nell'anno 867, nel testamento del conte Eberardo del Friuli (Schramm, 1954, p. 312). Anche l'usanza dei pellegrini di applicare al cappello speciali a. potrebbe derivare dal concetto di una funzione magica in base alla collocazione.Il modo più frequente di portare gli a. nell'Antichità e nel Medioevo era tuttavia quello di appenderli al collo mediante catenelle o cordoncini, in modo che uno o più pendenti per la prevenzione dei mali posassero sul petto, sede della vita. Vi si aggiungevano fibule e croci - si precisa qui una volta per tutte che nel testo ci si riferisce d'ora innanzi all'uso di questi oggetti, come in genere di ogni tipo di 'reliquia', cristiana e no, solo in quanto specificamente intesa come a. - variamente disposte sull'abito, nonché anelli con pietre magiche. In età tardoantica e altomedievale si diffusero poi gli a. contenenti reliquie da apporre alla fibbia della cintura; capsule con a. e sfere di cristallo venivano spesso attaccate a una lunga fascia o cinghia: in tal modo la protezione magica si estendeva anche all'ambito della sessualità, ritenuta particolarmente minacciata dai dèmoni.

Negli animali gli a. si trovavano di solito appesi al collo o alle briglie. In moltissimi casi la pratica medievale testimonia il perdurare di usanze antiche come quella per es. di proteggere con a. i bambini. Già in epoca romana il fatto che la capsula racchiudente a. (bulla) venisse deposta dai giovanetti non appena raggiunta la maggiore età dimostra che i bambini venivano considerati particolarmente soggetti ai malefici, specialmente al malocchio. Si può citare in questo senso il busto di bronzo di un bambino, in un arredo del sec. 4° (un tempo a Treviri), recante una bulla decorata con il monogramma di Cristo (Dölger, 1932b). Non è certo un caso, del resto, a riprova del perdurare di tale usanza, che nella pittura italiana dei secc. 14° e 15° si trovino nelle rappresentazioni di Gesù in età infantile molti esempi di a. di corallo in forma di ciondolo (Callisen, 1937). Si conservò in età cristiana anche la tendenza ad attribuire un valore magico a particolari materiali naturali, specialmente, come testimoniano numerosi autori medievali, a determinate pietre preziose o pietre dure e ancora cristalli al piombo, coralli, ambre (Meier, 1977, pp. 414-460). In un a. di pietra rossa a forma di corno potevano dunque essere congiunte insieme le qualità preservatrici dal male proprie del materiale, del colore del sangue e della forma simbolica del fallo (Hansmann, Kriss-Rettenbeck, 1966).

Vennero utilizzate anche tipologie di a. spiccatamente pagane, ma 'cristianizzate': un a. di bronzo a forma di falce lunare (lunula), rinvenuto a Lauriacum (presso Enns, Austria), era stato trasformato in senso cristiano mediante l'incisione di tre croci (Eckhart, 1976); in una lunula di piombo proveniente da Treviri i monogrammi di Cristo erano stati invece apposti sul recto e sul verso già al momento della fusione (Trier, Kaiserresidenz und Bischofssitz, 1984, nr. 130c). Per la forma più frequente dell'a. romano a lunula, in cui le punte della mezzaluna sono modellate l'una a guisa di fallo, l'altra in una forma che corrisponde all'antico gesto apotropaico della fica, non si conosce alcun esempio di uso cristiano; tuttavia questi simboli continuarono a mantenersi in specifici a. a ciondolo (Hansmann, Kriss-Rettenbeck, 1966; Stadt im Wandel, 1985, I, nr. 284). Ciondoli germanici in osso a forma di fallo e di clava, che ricordano gli a. romani a 'clava d'Ercole', sono stati talvolta rinvenuti in alcune tombe anche insieme a capsule racchiudenti a. cristiani (Werner, 1964, p. 180). Lo stesso vale per le conchiglie di cipree, per lo più forate per poterle appendere, che venivano portate al di sotto della cintura, rinvenute in tombe femminili datate dal sec. 5° al 7°, principalmente in ambito alamanno e baiuvaro (Werner, 1950; Arends, 1978, pp. 167-180); il loro carattere di a. si basava già nell'età antica sul simbolismo della vulva, richiamata dalla forma delle conchiglie. Sempre in tombe dei secc. 5°-7°, sia maschili, sia femminili, sono stati ritrovati in funzione di a. denti di diversi animali (Arends, 1978, pp. 137-165). L'introduzione successiva della formula magica abrasax è testimoniata, in epoca altomedievale, per es. in una croce di piombo rinvenuta in una tomba del sec. 8°-9° ubicata sotto la cattedrale di Losanna (Dölger, 1932a, p. 89).

Più importanti dal punto di vista del loro uso in quanto a. sono nel Medioevo gli oggetti apotropaici più specificamente cristiani, la maggior parte dei quali era costituita da croci, reliquie della Croce e reliquie delle più svariate specie. L'uso magico di pendenti a forma di croce e delle reliquie della Croce è documentato a partire dalla metà del sec. 4° (Gregorio di Nissa, De vita S. Macrinae, PG, XLVI, coll. 960-1000; Paolino di Nola, Ep. 32, 7, 11, PL, LXI, col. 334; Dölger, 1932a; Engemann, 1975; 1980). A. a forma di croce forniti di capsule racchiudenti reliquie divennero presto di uso comune, come confermano numerose descrizioni nelle fonti letterarie (Bartelink, 1973, pp. 56-58); ed è da essi che va fatta derivare la croce pettorale dei vescovi (Nußbaum, 1964).

Tra le fibbie da cintura lavorate in bronzo o in osso - pervenute da tombe dell'ambito franco e germanico, per lo più databili al sec. 6° e decorate con motivi cristiani (croci, Giona, Daniele tra i leoni, ecc.) - si trovano anche esemplari predisposti per custodirvi reliquie, o in una capsula in essi inserita o in un sacchetto a essi appeso. Le fibbie da cintura provengono in parte da tombe di chierici e il loro contenuto (fibre tessili, cera di candele, capelli, capsule con fiori di cotone, resti di materiale vegetale) potrebbe essere considerato come reliquia, nel senso probabilmente di reliquia da contatto (Werner, 1977; Weidemann, 1977; riguardo agli a. di materiale vegetale: Meaney, 1981, pp. 38-65). Per queste fibbie da cintura - linguette di cinghie con apposita capsula racchiudente reliquie sono più rare - è certa la loro utilizzazione come a.; per le fibule di almandino, per le sferette di cristallo di rocca, appese alla cintura con una lunga fascia (Hinz, 1966) e per i pendenti a capsula cilindrica e sferica di epoca merovingia - che contenevano sacchetti, resti di piante, tra cui l'Anthemis tinctoria (camomilla) e le ombrellifere, frammenti di anello, perle di vetro e, forse, ossa (Werner, 1950) - questa destinazione è probabile, tanto più che le fibule e le capsule sono spesso ornate di croci.

Particolarmente minacciati da pericoli e dunque bisognosi di protezione magica erano considerati viaggiatori e pellegrini. Già dal sec. 6° è attestato per i pellegrini che si recavano in Palestina l'uso di portare con sé dell'olio preso dai luoghi santi e racchiuso in ampolle, che servisse a proteggerli in mare e in terra, come indica l'iscrizione su un frammento di ampolla custodito a Bobbio (Mus. dell'Abbazia di S. Colombano). Non a caso il c.d. 'talismano di Carlomagno', nonostante la natura solida delle reliquie in esso contenute, è modellato a forma di ampolla. I segni di riconoscimento, fusi in piombo, che i pellegrini medievali - come spesso vengono raffigurati nei dipinti - portavano sul cappello durante il viaggio di ritorno, non avevano soltanto il compito di far riconoscere come pellegrino chi li portava ma erano inoltre considerati veri e propri oggetti apotropaici, con valore propiziatorio. Tale carattere si può desumere non tanto dalla ricorrente connessione di questi segni distintivi, o di riconoscimento, con gli a. a specchio, quanto soprattutto dall'utilizzo di riproduzioni dei medesimi simboli sulle campane delle chiese (Köster, 1972; 1984; Stadt im Wandel, 1985, I, pp. 400-414). Malgrado si sia conservato un numero esiguo di a. di questo genere, si può facilmente ritenere che la loro produzione raggiungesse nei luoghi di pellegrinaggio livelli notevolissimi. Del resto, più in generale, che l'uso di a. come mezzi di protezione contro il male costituisse nel Medioevo una pratica piuttosto diffusa, si può evincere, in negativo, dalla costante lotta contro gli oggetti apotropaici condotta dai teologi medievali e promossa dai concili (Harmening, 1979, pp. 235-247).

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PAESI NORDICI

di S.H. Fuglesang

L'identificazione di a. vichinghi e di età medievale provenienti dalla Scandinavia comporta una serie di problemi relativi alla lettura delle fonti ed è difficile tracciare una linea di demarcazione fra a. da un lato e ornamenti e oggetti di culto dall'altro.

Armi e utensili vichinghi, miniaturizzati in argento e in bronzo, erano spesso portati attorno al collo, con ogni probabilità come ornamento. L'interpretazione di tali oggetti in chiave apotropaica si basa in parte sulla coeva presenza di identici modelli in ferro (Arrhenius, 1961) e sul ritrovamento - all'interno di tombe in Inghilterra e sul continente europeo - di oggetti simili databili a un'epoca precedente.

Oltre ai modelli conosciuti nell'Europa occidentale, gli oggetti in miniatura vichinghi e scandinavi ne includono alcuni a forma di vanga, falce, bastone, la cui esatta connotazione simbolica resta sconosciuta. A parte forse il martello di Thor, nessuno di tali oggetti è automaticamente assimilabile a un simbolo e la loro connessione con Odino e con il dio della fertilità, Freir, si fonda essenzialmente su deduzioni non verificabili.

Grandi anelli votivi in ferro - ritrovati attorno al collo del defunto in alcune tombe - fanno parte di un gruppo di a. vichinghi tipici della Svezia, che in taluni casi hanno piccoli ciondoli di ferro (Ström, 1974; 1984).

Ciondoli vichinghi a forma di croce sono stati rinvenuti ovunque in Scandinavia. Alcuni esemplari - specie croci in bronzo - hanno provenienza tombale e i molti pezzi in argento sono stati recuperati da tesori (Stenberger, 1957-1958, II, pp. 171-181; Müller-Wille, 1976, p. 37; Gräslund, 1984). Tali croci sono state spesso ritrovate all'interno di tombe insieme ad altri tipi di a. a ciondolo: uno stampo proveniente dallo Jutland dimostra che nel medesimo periodo venivano realizzati ciondoli a forma di martello e a forma di croce (Roesdahl, 1982, p. 32). Fra gli a. vichinghi non si trovano figure di animali simboleggianti divinità, ma una piccola rana di bronzo, rannicchiata dietro a un elemento che viene interpretato come genitali femminili, potrebbe forse rappresentare un a. per la nascita di un bambino (Brondsted, 1942). Sono spesso stati indicati come probabili a. oggetti in forma di piccole sfere, il che sembrerebbe confermato da alcuni ritrovamenti vichinghi (Petersen, 1940, p. 207; Blindheim, 1958-1959, p. 82; Gräslund, 1972-1973, p. 173), ma nella maggior parte dei casi tali sfere hanno funzioni chiaramente ornamentali (Stenberger, 1957-1958, II, pp. 200-203, 222 ss.). A. di origine naturale sono raramente documentati in tombe vichinghe, ma se ne hanno tracce a Birka, in Svezia, nello Jutland e in Finlandia (Arbman 1940-1943, I, p. 64; Brondsted, 1942, p. 111; Kivikoski, 1965, p. 31; Roesdahl, 1977, pp. 143-150; 1982, p. 162).

Testimonianze sull'uso di erbe, parti di animali e gemme come a. sono principalmente letterarie e risalgono al Tardo Medioevo: ne offre un esempio la 'pietra' posseduta da re Magnus Erikson (1316-1374) che si diceva estratta dalla testa di un rospo e capace di trasudare se posta in contatto con i veleni. Tra le piante alle quali si attribuivano nel Medioevo proprietà magiche, in contrapposizione alle erbe medicinali vere e proprie, si ritrovano aglio, orzo, cicuta e alloro (Bo, Swartling, Kivikoski, 1956).I più antichi testi giuridici scandinavi contengono brevi passi in materia di stregoneria; di questi l'unico a dare informazioni su un oggetto magico è il Grágás islandese che cita una 'pietra' che in norreno era definita con un termine riferibile a materiale di origine così animale come minerale.

Le rune, di per sé, non erano segni magici, ma costituivano il sistema di scrittura di una società che non conosceva la pergamena; tuttavia, dal periodo delle migrazioni fino al Tardo Medioevo, esse erano adoperate anche per scrivere formule magiche. Esempi di a. runici (da distinguere dalle iscrizioni magiche su pietre runiche o su brattee) sono sporadici e i primi esemplari risalgono al 700 ca. (Gustavson, Snaedal Brink, 1981). La maggior parte di questi a. runici appartiene al periodo postvichingo. Molte delle iscrizioni sono alterate, ma quelle leggibili usano formule e invocazioni cristiane spesso in latino e alcune riportano frasi magiche comuni a tutta l'Europa, tra cui più di frequente agla (Moltke, 1938; Nordén, 1943; Moller-Christensen, 1959; Liestol, 1980; Gustavson, 1984). Gli a. runici sono realizzati di solito su lamine di bronzo o rame, piegate o tagliate a forma di croce; non mancano peraltro esemplari anche sotto forma di bastoncini runici in osso o in legno. Le loro funzioni erano varie: alcuni venivano interrati con i defunti, altri sepolti nei cimiteri o sotto i pavimenti delle chiese, altri ancora sono stati trovati nel corso di scavi all'interno di città, in circostanze che lasciano supporre siano stati persi accidentalmente.

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AREA BIZANTINA

di G. Vikan

Gli a. ebbero una notevole diffusione a Bisanzio, particolarmente nel periodo più antico (secc. 4°-8°) e tra gli strati inferiori della società. Il termine tecnico già nell'Antichità era phylaktérion (da ϕυλάσσειν 'proteggere'). Severo di Antiochia (Hom. LXXIX; PO, XXIX, 1, p. 58) stigmatizza l'usanza di "portare appesi e fissati al collo o alle braccia, o ad altre membra, [quegli oggetti] chiamati phylaktéria, o amuleti protettivi".

Nonostante il termine compaia raramente sulle antiche gemme-a. greco-egiziane (anche se vi si trovano diverse forme verbali imperative), esso è frequente nei papiri magici e compare a volte sugli a. bizantini, sia in quelli esclusivamente cristiani, sia in quelli sostanzialmente pagani. Il senso del nome e del verbo emergono dall'iscrizione posta su un elaborato a. in bronzo paleobizantino del sec. 5°-6° conservato all'Università del Michigan, raffigurante un santo cavaliere (Bonner, 1950, nr. 324): "Sigillo del Dio Vivente, proteggi (phýlaxon) da tutti i mali chi porta questo amuleto (phylaktérion)". Le esortazioni di Severo di Antiochia a evitare gli a. riecheggiano quelle della Chiesa ufficiale, specialmente quelle di Basilio (Hom. in Psalmum XLV; PG, XXIX, col. 418) e di Giovanni Crisostomo (Hom. VIII in Ep. ad Colossenses; PG, LXII, col. 357); in effetti il primo sinodo di Laodicea dava specifiche istruzioni affinché si radiassero dalla Chiesa coloro che portavano amuleti.

Si indicavano come a., distinti dai devotionalia più specificamente religiosi, un gran numero di oggetti, realizzati con i materiali più vari, dal pelo di animale e dai geòdi (entrambi considerati medicinali) alle pietre tombali, agli architravi e alle soglie (passaggi critici bisognosi di protezione), alle campane, agli incensieri, a placche e persino icone con iscrizioni particolari, tra cui le immagini di s. Simeone che, nel sec. 5°, erano appese nelle botteghe di Roma per allontanare il male (Teodoreto, Hist. eccl., 26, 11; PG, LXXXII, col. 1281B). Ma più spesso il termine era applicato a piccoli oggetti indossati o portati sul corpo: pendenti, bracciali, anelli, fibule, cinture, medaglioni e contrassegni. Il potere magico si riteneva dato dal materiale, dalle iscrizioni, nonché, o in alternativa, dalle immagini rappresentate, e ciascuno di questi aspetti era scelto sempre in funzione di un'invocazione del potere soprannaturale. Piccole reliquie e 'ricordi' di pellegrinaggi (per es. terra benedetta, olio o acqua di santuari) avevano grande valore ed erano ritenuti particolarmente dotati di poteri magici, come lo era, tra gli altri, il minerale di ematite, che sin dai tempi antichi era sempre stato considerato capace di arrestare magicamente il flusso del sangue.

La croce o chrísmon è comune sugli a. bizantini al pari del pentálpha (la stella a cinque punte), il sigillo con cui il re Salomone aveva 'rinchiuso' e quindi dominato tutti i dèmoni; ciascuno dei due poteva essere accompagnato da diverse combinazioni di 'segni di anello', oscuri simboli magici derivati dalle gemme-a. greco-egiziane. Compaiono spesso nomi divini di origine ebraica, come Iao e Sabaoth, così come quelli dei quattro arcangeli, allo scopo di invocare il potere divino; intento implicito anche nell'uso frequente del Trisághion (Santo, Santo, Santo) e dell'acclamazione apotropaica di origine precristiana "L'unico Dio (Heis Theós) vincitore sul male". Il versetto biblico più diffuso sugli a. bizantini è: "Tu che abiti al riparo dell'Altissimo" (Sal. 90, 1); più raramente, compaiono estesi ed espliciti incantesimi dei quali il più comune e nello stesso tempo più impressionante è quello diretto contro l'utero - "Ventre, scuro e nero, mangia sangue e bevi sangue; come un serpente ti attorcigli, come un leone ruggisci, come una pecora giaci" - che fu usato per un periodo particolarmente lungo, poiché è attestato dal sec. 5° per gran parte del periodo postbizantino.

Le fonti iconografiche per gli a. bizantini erano altrettanto varie e, in molti casi, antiche quanto quelle delle iscrizioni in essi contenute. Il malocchio e il santo cavaliere erano entrambi comuni in età paleobizantina, così come lo erano stati nel periodo romano; il primo, che rappresentava l'occhio (dell'invidia) pieno di sofferenza, era l'antidoto contro uno sguardo geloso, che avrebbe potuto altrimenti portare a soffocamento un neonato desiderato ardentemente o mandare in rovina un ricco raccolto; mentre il secondo, in quanto simbolo generico della vittoria del bene sul male, poteva essere utilizzato in diversi modi, con il cavaliere identificato di volta in volta con Cristo, Salomone o s. Sisinnio.

Tra le più popolari gemme-a. greco-egiziane erano quelle raffiguranti Chnoubis, la creatura polimorfa con testa di leone, corpo di serpente e sette raggi solari (i pianeti), che sopravvissero nel periodo bizantino e oltre come a. uterini, attraverso una mutazione di Chnoubis in testa di Medusa. Piuttosto diffuse erano anche le rappresentazioni di figure mitologiche e di eroi giudaici. Alessandro di Tralle (Therapeutiká, VIII, 2) per il trattamento delle coliche per es. prescrive un a. di diaspro che reca l'immagine di Eracle mentre soffoca il leone nemeo; d'altro canto compaiono frequentemente anche le immagini del più potente e saggio re degli Ebrei, Salomone, e dell'arcangelo Michele. Dal sec. 4° al 7° divennero sempre più comuni sugli a. bizantini le scene bibliche. Per la maggior parte si tratta di temi di salvazione, come il sacrificio di Isacco, scelti al fine di stabilire un'identificazione tipologica con il portatore e una magia simpatetica a suo vantaggio. Così, sugli a. per donne compare l'Emorroissa del racconto evangelico, mentre la scena di s. Pietro salvato dall'affogamento è frequente sugli a. dei marinai.

Gli a. bizantini erano in genere meno vari nelle tipologie e meno specifici negli effetti desiderati di quanto non lo fossero le precedenti gemme-a. greco-egiziane. È tuttavia possibile, fra tutti gli a. bizantini conservatisi, distinguere, a seconda della tipologia, alcune specifiche funzioni: 1) a. raffiguranti Chnoubis (Medusa), spesso d'argento, che possono prendere la forma di pendenti, bracciali o anelli; talvolta riportano l'incantesimo sopra citato riguardante l'utero e utilizzano Chnoubis-Medusa in quanto ritenuto - come nei più antichi a. - 'signore dell'utero', per controllare e facilitare il concepimento e la nascita; 2) a. raffiguranti il santo cavaliere, molti dei quali in bronzo; quando eseguiti specificamente in ematite, con il cavaliere identificato con Salomone, erano portati da donne in quanto, grazie alle supposte virtù emostatiche del minerale, erano considerati capaci di regolare il flusso mestruale; 3) ricordi di pellegrinaggi (euloghíai): essi comprendono un gruppo eterogeneo di oggetti facilmente trasportabili, costituito per lo più da bottiglie per contenere acqua o olio, o piccoli grumi di terra santificata dal contatto con un santo o con un luogo santo; da fonti e iscrizioni agiografiche risulta chiaro che queste euloghíai (benedizioni), in genere recanti le immagini del santo e del santuario a cui si riferivano, erano comunemente usate come a. medicinali o per protezione durante i viaggi (scopo analogo dovevano avere i numerosi gioielli-a. rinvenuti con la scena dell'Adorazione dei Magi); 4) a. raffiguranti il malocchio; molto popolari, questi compaiono in una grande varietà di materiali, anche se i più comuni sono in bronzo; oltre alla rappresentazione del malocchio, recano sull'altra faccia l'effigie del santo cavaliere. Tali a., come si è detto, erano ritenuti efficaci contro il temuto sguardo dell'invidioso.

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ISLAM

di M. Bernardini

La varietà tipologica dell'a. in ambito islamico può riferirsi a un insieme di oggetti che hanno in comune un aspetto magico legato peraltro, di volta in volta, a compiti specifici in funzione dei quali l'a. è stato confezionato.

L'uso di a. rientra nelle costumanze femminili legate al parto, alla crescita dei bambini, alla loro protezione rispetto ad agenti esterni durante la pubertà, alle pratiche amorose, alla garanzia dalla sterilità e a diversi usi domestici particolari. Altri tipi di a. sono destinati a difendere vuoi gli uomini in guerra, vuoi le case, vuoi gli animali da varie influenze esterne. Esistono poi a. di natura non profilattica o protettiva, ma funzionali alla creazione di malìe e incantesimi.

La produzione dell'area islamica si avvaleva di un apparato teorico elaborato in modo frammentario nel corso dei secoli. Molti a. rispondevano nella ideazione a criteri simpatetici: fatti, oggetti, individui, animali, lettere, frasi, interi brani canonici o testi invocatori ed eventi astrologici, considerati in un rapporto di reciprocità magica.

Tra gli a. più diffusi, sono quelli in forma di pendaglio (ḥamā'il) che svolgono un ruolo notevole nella profilassi. Il termine ṭilsim (e varianti), 'talismano', definisce l'oggetto più per le sue proprietà magiche che non per il suo aspetto. Generalmente si tratta di uno scritto contenuto in apposite capsule - che possono essere cilindriche, eventualmente a sezione ottagonale o esagonale, a forma di parallelepipedo o a cuneo triangolare, a seconda del modo con il quale il pezzo di carta vi è stato piegato all'interno - di norma appese alla parte inferiore di catenelle. Altri a., disposti insieme sulla stessa collana o appesi alla capsula, adottano forme più naturalistiche quali il crescente lunare, la mano, l'occhio, forme animali. Il materiale preferito sembra essere stato l'argento, ma si trovano anche pendagli in oro, bronzo, ferro, terracotta, talora con incastonate gemme o inserti in pasta vitrea. In questo genere di a. rientrano, con analoghe caratteristiche funzionali, le monete e le campanelle che, insieme a oggetti minuti come la ḥazzāqa (legame), possono essere isolate o annesse ai pendagli.

Si può ricordare in proposito l'uso di portare addosso rotoli scritti già presso il capsarius romano, schiavo addetto al trasporto dei rotoli di pergamena o di papiri, in casse o teche appese al collo o al braccio. Tra gli Ebrei sussisteva l'uso di portare durante la preghiera pezzi di pergamena recanti passi biblici legati al braccio o al capo. Contenitori cilindrici per a. si ritrovano per l'epoca partica a Taxila (Marshall, 1951, III, p. 631, tav. 191, nrr. 82-84) e per l'epoca sasanide a Tell Mahuz in Mesopotamia (Negro Ponzi, 1970-1971, fig. 85, nr. 36). In ambito islamico il filatterio (nuskha, anche 'codice', 'manoscritto', cui sembra potersi connettere il turco mūsqa), riprende tali usi precedenti. All'interno delle capsule si trovava un'invocazione scritta (du'ā') o versetti se non intere sure coraniche tratte da un apposito repertorio. Caratteristica di molti testi di a. era la scrittura crittografica, cifrata secondo il sistema abjad, con lettere separate o con l'omissione dei punti diacritici. Potevano essere utilizzate sigle in funzione amuletica come Y.S. (Corano XXXVI, 1).

A. scritti di area egiziana risalgono al periodo fatimide (secc. 10°-11°). Questi lunghi rotoli in carta di lino seguono in certi casi un procedimento di scrittura xilografica testimoniante la popolarità dei testi. Negli a. di questo genere si ritrova una caratteristica iconografica comune anche ai gioielli amuletici: i testi e le rappresentazioni figurative sono inseriti in cornici variamente decorate di natura 'protettiva'.I primi esemplari di capsule per a. islamici provengono dall'area iranica. La terminologia che li caratterizza sottolinea la natura occulta e la segretezza del loro contenuto: lo ḥirz 'profilattico' o lo ḥijāb 'cortina' definiscono tale ricettacolo. Il ta'wīdh a sua volta è il 'rifugio' di scritture e materie organiche. Scritto e contenitore rispondono comunque in area turco-iranica al termine ṭūmār 'rotolo'.I motivi decorativi delle capsule sono spesso zoomorfici o epigrafici e l'ornamentazione può anche alternare questi due motivi in riquadri successivi (Arne, 1914, p. 97; Pinder Wilson, 1962, pp. 32-35); meno frequenti sono le decorazioni vegetali o geometriche. Le iscrizioni possono essere costituite da versetti o intere sure coraniche, ma il più delle volte viene incisa o sbalzata un'invocazione propiziatoria come al-mulk (li'l-Lāh), 'la sovranità (spetta a Dio)'. Gli animali affrontati o disposti singolarmente ricalcano temi animalistici di carattere 'solare': frequenti sono il leone, l'elefante, l'ibis, la sfinge e uccelli mitici iranici quali il sīmurgh e l'humā. Altri animali sono legati al mazdeismo, come il gallo, o evocano esplicitamente simbologie astrologiche come la lepre e il pesce, legato quest'ultimo all'ἰχθύϚ cristiano, già usato anch'esso come amuleto.

Le capsule sono provviste di anelli nella parte superiore per permetterne la sospensione. Altri anelli in basso consentono talvolta l'aggiunta di elementi più piccoli. In altri esemplari la parte superiore può essere occupata da un prolungamento triangolare frequente in forme stereotipe negli odierni ṭūmār turkmeni (D. Schletzer, R. Schletzer, 1983, pp. 74-98, tavv. 1-23). Altri a., pur restando spesso inseriti nei collari, potevano svolgere mansioni autonome particolari. In alcuni si ritrovano i motivi delle capsule su pannelli quadrati o a losanga. Questi a. di area iranica (secc. 9°-10°) ripetono il motivo a 'cornice', inserendo talvolta decorazioni a palmette o comunque vegetali.

Presente nell'iconografia sasanide, il crescente lunare (hilāl), è usato in molte regioni islamiche come a. per il bestiame e i cavalli, ma svolge funzioni di protezione anche per l'uomo e si trova disposto in cima a edifici cuspidati o cupolati come le moschee, con analoghi compiti magici. In forma di placca metallica, semplice o incisa, granulata, filigranata, in cristallo o altri materiali più poveri, questo a. apparve tra il sec. 9° e il 10° in un'area che va dal Nordafrica all'Iran, sebbene il motivo fosse già presente nelle monete arabo-sasanidi del sec. 7° (Ettinghausen, 1961, p. 393, tav. XI, fig. 1). Alcuni a. di questo tipo traggono la loro origine da motivi ornitomorfi; la decorazione, soprattutto negli esemplari iranici, corrisponde a quella delle capsule; negli a. nordafricani può invece essere geometrica o a piccole spirali disposte, negli esemplari in filigrana, a fasce regolari. La tecnica può prevedere inserzione di gemme o lavorazione cloisonnée.

Analoghe funzioni magiche svolgeva la khamsa 'pentade', o 'mano di Fāṭima'. Il più delle volte si tratta di oggetti metallici, con l'uso prevalente di argento e oro. L'a. può essere costituito da una placca uniforme o filigranata e anche possedere al centro del palmo un occhio in pasta vitrea, pietra o semplicemente inciso. Molti a. di questo tipo sono iscritti con formule magiche. La forma della mano può essere molto stilizzata sino a ridursi a un semplice trifoglio o a un ciottolo con cinque fori disposti attorno a un nucleo centrale (Westermarck, 1933, pp. 42-46; Kriss, Kriss-Hendrich, 1960-1962, II, tavv. 1-13). La mano può essere chiusa o socchiusa, come in uno spillone in bronzo dorato persiano del sec. 10°-12° rinvenuto a Nīshāpūr. Le origini dell'a. a forma di mano risalgono alla prima età del Ferro (Bellucci, 1915, pp. 11-17) e il motivo si evolve via via come 'mano punica', 'caldea', 'ebraica' e 'cristiana'; la 'mano bianca' di Mosè è evocata in Corano XX, 22; XXVII, 12; XXVIII, 32. In area nordafricana essi hanno specifiche connotazioni falliche (Herber, 1927, pp. 213-214). È in questa regione che la khamsa ha avuto la massima diffusione; come a. sembra esservi stata introdotta dagli orafi ebrei. Tra gli Sciiti la mano è legata all'agiografia, con particolare riferimento alla tragedia di Karbalā' (Massé, 1938, I, p. 127, n. 1). Le cinque dita simboleggiano Muḥammad, Ḥasan, Ḥusayn, Fāṭima e Alī, la 'pentade' o famiglia sacra sciita. L'oggetto riveste più un carattere commemorativo che amuletico e viene posto in cima ai pennoni di stendardi in occasione di ricorrenze e cerimonie.Negli usi di profilassi il ruolo dell'òcchio' è rilevante. Tuttavia la fabbricazione di a. generalmente in pasta vitrea o pietrame fa sì che ne sopravvivano solo esemplari moderni turchi (göz), nordafricani ('ayn) e persiani (chashm) (Westermarck, 1933, pp. 34, 50, 65-68; Massé, 1938, I, p. 142; Kriss, Kriss-Hendrich, 1960-1962, II, tavv. 14-15; D. Schletzer, R. Schletzer, 1983, p. 45). Ma l''occhio' può essere inteso in maniera più concettuale in quanto 'nucleo', 'centro' di un oggetto come la khamsa stessa e in alcune lastre di pietra essere inscritto e circondato da una fascia epigrafica o da un serpente avvolto a spirale.

Gli a. in pietra possono consistere in lastre incise anche di notevoli dimensioni o in piccole gemme inseribili in gioielli. Le gemme vengono associate agli accadimenti astrologici e hanno valenze magiche particolari. Alla pietra più in generale si riconoscono proprietà apotropaiche e tali a. possono essere utilizzati per contatto; per loro tramite si possono formulare fatture e allontanare gli effetti demoniaci dalle case. In genere hanno inciso un repertorio animalistico diverso da quello dei pendagli: lo scorpione, il serpente e il dragone vi hanno un ruolo rilevante quali animali delle tenebre e svolgono funzioni analoghe nelle coppe magiche e in alcuni pendagli che a esse si ispirano. Il motivo del serpente ha origini molteplici. In Egitto aveva un ruolo magico nelle sepolture. Per proteggere il suo popolo dal morso velenoso del rettile, Mosè pose un serpente di rame su un'asta (Nm. 21, 8-9; Corano XX, 20). Serpenti sulla pietra erano rappresentati in area iranica (Massé, 1938, I, p. 55) e con scopi e simbologie diverse il motivo sopravvive in zone turchizzate dell'Asia Centrale (D. Schletzer, R. Schletzer, 1983, p. 50). Lo scorpione riveste in ambito islamico una natura meno negativa, talvolta è associato alla sfinge o è simbolo di natura esclusivamente astrologica (Scerrato, 1980, p. 82). Scorpioni e serpenti possono apparire affrontati al leone (Kalus, 1981, pp. 89, 93, tav. XIV nr. 35) secondo una simbologia vividamente descritta da Ibn Khaldūn (al-Muqaddima, a cura di V. Monteil, III, Beyrouth 1968, pp. 1091-1092).

La disposizione a 'cornice' delle scritture magiche caratterizza gli a. su pietra ed è analoga nelle coppe magiche (ṭāsat), sugli specchi (Scerrato, 1980, fig. 12) e nei pendagli. Si tratta in genere di fasce concentriche o singole che circondano un motivo figurato al centro. A queste rappresentazioni scrittorie presenti peraltro nelle coppe giudeo-arabe e in precedenti esemplari babilonesi in ceramica (Reich, 1937-1938, pp. 159-165), si associano rappresentazioni di 'nodi' - simbolo questo già citato in Corano CXIII, 4 - e quadrati magici. Ai quadrati magici possono essere associate rappresentazioni zodiacali, talvolta con un animale solare, come il leone, nel centro (Canaan, 1936, p. 146; Scerrato, 1967, p. 35; Schuster, 1968, pp. 290-307).

Le gemme sono incastonate in anelli, pendagli, bracciali e orecchini. L'anello in particolare acquista valenza di a. ed è legato alla figura di Salomone, tanto da chiamarsi khātim 'sigillo', come quello del profeta biblico-coranico. Sulle gemme le iscrizioni variano dai versetti coranici, ai monogrammi, alle formule magiche scritte con alfabeti crittografici. In forma composita o di monogramma, l'iscrizione può trovarsi all'interno della stella a sei punte (musaddas), formata dall'intersezione di due triangoli equilateri. Questo è più propriamente il khātim e si trova diffusamente in diversi oggetti: nelle bulle amuletiche vitree, sulle gemme con funzione di a., sulle lame delle spade.

Salomone era considerato un profeta mago degli Ebrei e la sua figura come cavaliere o orante appare nella sfragistica ellenistica a carattere magico. Secondo un'iconografia omogenea è rappresentato in a. e miniature del sec. 13° (Farès, 1959, pp. 154-156, fig. 2; Kalus, 1981, pp. 99-100, tav. XVI, nr. 13). L'Islam attribuisce a Salomone la magia 'lecita', esercitata successivamente anche da altri profeti. È lui che sottomise i jinn dopo essersi appropriato delle arti magiche e in Iran la sua figura fu associata a Jamshīd, anch'egli esercitante un potere sui dèmoni. Sempre a Salomone si riferisce la magia del numero sette e i sette segni che compongono il suo sigillo possono essere scritti con diversi procedimenti crittografici (Dawkins, 1944, p. 146; Kriss, Kriss-Hendrich, 1960-1962, II, pp. 74-79; Kalus, 1981, tav. XIV, nr. 34). Sette è anche, per es., il numero dei dormienti della caverna (Aṣḥāb al-kahf) o dormienti di Efeso, il cui nome insieme al cane Qaṭmīr appare in numerosi ciondoli e pendagli. I sette segni di Salomone sono presenti in vari oggetti tra cui coltelli, con funzioni specifiche legate al parto. A sua volta le spade e in particolare quella bilama di ῾Alī, detta Dhu'l-Faqār, possono essere rappresentate su drappelli o rotoli con analoghe funzioni. Formule amuletiche sono presenti in diversi capi di vestiario con funzioni magiche determinate (Féhérvari, Safadi, 1981, p. 240, nr. 164).

È ancora prematuro ricostruire una storia sistematica della produzione di a. nel mondo islamico. Il primo Islam accolse molteplici fattori rielaborandoli in forme sincretiche. A un'avversione teorica nei confronti della magia si accompagnò un riconoscimento non sempre esplicito del valore terapeutico e profilattico di alcune pratiche magiche. Maghi leciti (mu'azzimūn) risalenti a Salomone e illeciti (sāḥirūn) risalenti a Iblīs sono menzionati da Ibn al-Nadīm (sec. 10°). Ai talismani sono dedicate una parte delle epistole enciclopediche degli Ikhwān al-Ṣafā' (sec. 10°) e alcune opere dello pseudo-Majrīṭī (sec. 11°). La tolleranza che via via si stabilì vide un'introduzione dei sufi, e più in generale dei religiosi, nella legittimazione se non nella produzione di amuleti. Presto si delineò quindi una letteratura specialistica che conobbe il suo apice nello Shams al-Ma'ārif di al-Būnī (sec. 13°), in cui sono forniti prontuari circa i quadrati magici e altre simbologie amuletiche. Tale 'specializzazione' caratterizza opere sulle gemme, come il trattato di Aḥmad Tifāshī (sec. 13°) e capitoli di trattati come quello sulla tossicologia di Ibn Waḥshīya (sec. 10°).Il carattere di tradizione di queste pratiche ne ha conservato le manifestazioni oggettuali-artistiche fino alle epoche più recenti. Ciò ha permesso una discreta sistemazione del materiale etnografico raccolto, essenziale anche per la comprensione di esemplari molto più antichi.

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